mercoledì 10 giugno 2020

La Mia Chiesa



LA CHIESA

La mia Chiesa è molto travagliata, la mia Chiesa ha colonne sgretolate; ma essa si regge su di me e non crollerà, anche se dovrà subire una potente scossa, molto presto.   16.11.-98

 Il mio popolo non mi testimonia; la mia chiesa, quella che Io ho fondato solida e forte, è in preda ad una grande crisi; l’amore tra fratelli viene meno, lotte e discordie sono  dovunque ….   26.3.-99

Amati, vedete soffrire la chiesa: in questo momento essa è tribolata e percossa in una società smarrita e disorientata, ma la chiesa, per la quale voi tanto soffrite, la chiesa trema, geme, ma non crolla, non crolla, figli cari, figli tanto amati: essa è fondata su Gesù!   Essa trionferà, figli, vi annuncio che presto vi sarà il grande trionfo della chiesa di Gesù; proprio quando il nemico sognava la sua rovina, il suo tracollo, essa trionferà assieme a tutti quelli che l’hanno sostenuta, difesa, aiutata, amata.    11.2.-99

Piccola cara, quello che è accaduto a me sta per accadere alla mia Chiesa:  sembrerà colpita a morte, sembrerà giunta veramente alla fine, essa, però, come me risorgerà, risorgerà più grande e più splendida di prima …. 23.3.-99

Opera Divina Sapienza
AMDG et DVM

ALFONSO RODRIGUEZ: ESERCIZIO DI PERFEZIONE E DI VIRTÙ CRISTIANE


CAPO II.
Si dichiara meglio il secondo fondamento.
1. Dio non vuole il peccato.
2. Bensì l'effetto del peccato.
3. Così i malvagi servono di strumento alla divina giustizia.
4. Esempi.
5. Anche il demonio.
6. Prove della Scrittura.


1. È una verità tanto chiaramente espressa nella divina Scrittura, che tutti i travagli e mali di pena vengono dalla mano di Dio, che non vi sarebbe verun bisogno di trattenerci in provarla, se il demonio colla sua astuzia non procurasse d'oscurarla. Perché dell'altra verità, pur certa, che abbiamo detta, cioè non esser Dio cagione né autore del peccato, inferisce una conclusione falsa e bugiarda, facendo credere ad alcuni che, sebbene i mali che ci vengono per mezzo di cagioni naturali e di creature irragionevoli, come l'infermità, la carestia, la sterilità, vengono dalla mano di Dio; perché in queste cose non v'è peccato né vi può essere in creature tali, non essendo capaci di esso; nondimeno il male e il travaglio che accade per colpa dell'uomo, il quale ha dato delle ferite o ha rubato ad un altro, o lo ha ingiuriato, non viene dalla mano di Dio, né è guidato dalla sua ordinazione o provvidenza, ma viene dalla malizia e perversa volontà di colui; il che è un errore molto grande. 

Dice molto bene S. Doroteo, riprendendo questa cosa e quelli insieme che non pigliano tutte le cose come venute dalla mano di Dio: Vi sono alcuni, i quali, quando un altro dice qualche parola contro di essi, o fa loro qualche altro male, dimentichi di Dio, rivolgono tutta la loro ira contro il prossimo, imitando i cani, i quali mordono il sasso e non guardano alla mano che l'ha tirato, né fanno d'essa alcun conto (S. DOROTH. Doctr. 7, n. 6).


2. Per dar il bando a quest'errore, e acciocché stiamo ben fondati nella verità cattolica, notano i teologi che nel peccato che l'uomo commette concorrono due cose; l'una è il moto o atto esteriore che egli fa; l'altra il disordine della volontà col quale si scosta da quello che Dio comanda. Della prima cosa è autore Dio, della seconda l'uomo. Mettiamo, per esempio, che un uomo venga a rissa con un altro e lo ammazzi. Per ammazzarlo gli bisognò metter mano all'arma, alzare e maneggiare il braccio, tirare il colpo e far altri moti naturali, i quali si possono considerare da sé, senza il disordine della volontà dell'uomo che li fece per ammazzar quell'altro. 
Di tutti questi moti, considerati in sé stessi, ne è cagione Iddio, ed egli li fa, come fa anche tutti gli altri effetti delle creature irragionevoli: perché siccome esse non si possono muovere né operare senza l'attuale concorso di Dio, così né anche potrebbe senza esso maneggiar l'uomo il braccio né metter mano all'arma: Oltre di questo, quegli atti naturali da se stessi non sono cattivi, perché se l'uomo li usasse per sua necessaria difesa, o in guerra giusta, o come ministro della giustizia, e in questo modo ammazzasse un altro, non peccherebbe. 
Ma della colpa, che è il difetto e disordine della volontà con cui l'uomo cattivo fa l'ingiuria, e di quel traviamento dalla ragione e storcimento da essa, non ne è cagione Iddio; sebbene ciò egli permette, perché, potendolo impedire, non lo impedisce pei suoi giusti giudizi. E dichiarano questo con una similitudine. Si trova uno ferito nel piede e con esso va zoppicando. La cagione del camminare col piede è la virtù e la forza motiva dell'anima; ma del zoppicare ne è cagione la ferita, e non la virtù dell'anima: così nell’opera che uno fa peccando, la cagione dell'opera è Dio; ma l'errare e il peccare operando è del libero arbitrio dell'uomo.

Di maniera che, sebbene Iddio non è né può essere cagione né autore del peccato, abbiamo nondimeno da tener per certo che tutti i mali di pena, o vengano per mezzo di cagioni naturali e di creature irragionevoli; o vengano per mezzo di creature ragionevoli, per qualsivoglia via e in qualsivoglia modo che vengano, tutti vengono dalla mano di Dio, e per sua disposizione e provvidenza. Dio è quegli che ha maneggiata la mano di colui che ti ha percosso, e la lingua di colui che ti ha detta la parola ingiuriosa. «Vi sarà danno nella città, che non sia opera del Signore?» dice il profeta Amos (Am3,6); ed è piena la sacra Scrittura di questa verità, attribuendo a Dio il male che un uomo ha fatto ad un altro, e dicendo che Dio è quegli che l'ha fatto.


3. Nel secondo libro dei Re, parlandosi di quel castigo che Dio diede a Davide per mezzo del suo figlio Assalonne, per il peccato d'adulterio e d'omicidio che commise, dice Dio che un tale castigo gliela avrebbe dato egli di propria mano. «Ecco che io farò nascere le tue sciagure dalla tua stessa casa... poiché tu hai fatto in segreto, ma io farò questo a vista di tutto Israele, e a vista di questo sole» (2Re 12, 11-12). Quindi è ancora che i re empi, i quali per la loro superbia e crudeltà usavano trattamenti asprissimi col popolo di Dio, vengono chiamati dalla Scrittura strumenti della divina giustizia. «Guai ad Assur, verga del mio furore» (Is10,5). E di Ciro, re dei Persiani, per mezzo del quale il Signore aveva da castigare i Caldei, dice «che ne prese la destra» (Is45,1). 

Dice molto bene S. Agostino a questo proposito: Procede Dio con noi altri come suole procedere di qua un padre, il quale adirato col figliuolo dà di mano ad un bastone, che trova alla ventura, e con esso castiga il figliuolo erede di tutti i suoi beni. In questa maniera, dice il Santo, è solito anche il Signore dar di mano ai tristi e servirsene di strumento e di sferza per castigare i buoni (S. AUG. Enarr. in Ps. 73, n. 8).


4. Nella Storia Ecclesiastica (NICEPHOR. Eccles, hist. l. 3, c. 6) leggiamo che nella distruzione di Gerusalemme, vedendo Tito; capitano dei Romani, mentre passeggiava intorno alla città, i fossi pieni di teste di morti e di cadaveri, e che tutto quel paese circonvicino s'infettava per la puzza, alzò gli occhi al cielo e a gran voce chiamò Dio per testimonio, come egli non era cagione che si facesse tanto grande strage. 
E quando quel barbaro Alarico andava a saccheggiare e distruggere Roma, gli uscì incontro un venerabile monaco e gli disse che non volesse esser cagione di tanti mali, quanti si sarebbero commessi in quella giornata; ed egli rispose: Io non vo a Roma per volontà mia, ma una certa persona, la quale non so chi si sia, tutto dì mi va stimolando e mi tormenta, dicendomi: Va a Roma e distruggi la città (CASSIOD. Hist. tripart. l. 11, c. 9). 
Di maniera che abbiamo a conchiudere che tutte queste cose vengono dalla mano di Dio e per ordine e volontà sua. E così il reale profeta Davide, quando Semei gli diceva tanti improperi e gli tirava sassi e terra, disse a coloro che volevano di lui fare vendetta: Lasciatelo stare, ché il Signore gli ha comandato che dica tanto di male contro di me (2Re 16,10). E voleva dire: il Signore l'ha preso come suo strumento per affliggermi e castigarmi.


5. Ma che gran cosa è riconoscere gli uomini per strumenti della giustizia e provvidenza divina; poiché ne sono anche strumenti gli stessi demoni, ostinati e indurati nella loro malvagità e ansiosi della nostra rovina? S. Gregorio nota mirabilmente questa cosa sopra quello che dice la Scrittura nel primo libro dei Re: «Uno spirito maligno del Signore agitava Saulle» (S. GREG. Moral. l. 2, c. 10; l. 18, c. 2, n. 4). 
Lo stesso spirito si chiama spirito del Signore e spirito maligno; maligno, per il desiderio della sua maligna volontà; e del  Signore, per dimostrarci che era mandato da Dio per dar quel tormento a Saulle, e che Dio glielo dava per mezzo di esso. E lo dichiara ivi espressamente il testo medesimo, dicendo che lo spirito che lo vessava era per permissione di Dio (1Re 16,14), E per la stessa ragione dice il Santo (S. GREG. Moral. l. 14, c. 38, n. 46) che i demoni, i quali tribolano e perseguitano i giusti, sono chiamati dalla Scrittura ladroni di Dio, come si legge in Giobbe: ladroni, per la maligna volontà che hanno di farci male; e di Dio, per dimostrarci che la potestà che hanno di farci male l'hanno da Dio.


6. E così pondera molto bene S. Agostino (S. AUG. Enarr. 2 in Ps. 31, n. 26): «Non disse il Santo Giobbe: Il Signore me lo diede, il demonio me l'ha tolto»; ma ogni cosa riferì egli subito a Dio, e disse: Il Signore me lo diede; il Signore me l'ha tolto; perché sapeva molto bene che il demonio non può far più male di quello che gli è permesso da Dio. E prosegue il Santo: Nessuno dica: il demonio m'ha fatto questo male. Attribuisci pure a Dio il tuo travaglio e il tuo flagello; perciocché il demonio non può far niente, nemmeno toccarti un pelo della veste, se Dio non gliene dà licenza né anche nei porci dei Geraseni poterono entrare i demoni senza domandarne prima licenza a Cristo nostro Redentore, come narra il santo Vangelo (Mt 8, 31). 
Come dunque tenteranno te, o ti potranno tentare, senza licenza di Dio? Quegli che senza questa non poté toccare i porci, come potrà toccare i figliuoli?

ALFONSO RODRIGUEZ: ESERCIZIO DI PERFEZIONE E DI VIRTÙ CRISTIANE



AMDG et DVM

Un enorme altare...

   Dice Gesù:

   «Se la mia Carne è realmente cibo e il mio Sangue è realmente bevanda, come mai le vostre anime muoiono di inedia? 
Come mai non crescete nella vita della grazia? 
Vi sono molti per i quali è come se le mie chiese non avessero ciborio. Sono coloro che mi hanno rinnegato o dimenticato. 
Ma vi sono anche molti che si cibano di Me. Eppure non progrediscono. Mentre in altri, ad ogni unione con Me-Eucarestia, vi è un accrescimento di grazia.


   Ti spiegherò le cause di queste differenze. Vi sono i perfetti che mi cercano unicamente perché sanno che la mia gioia è di essere accolto nel cuore degli uomini e che non hanno gioia più grande di questa di divenire una sola cosa con Me. In questi l’incontro eucaristico diviene fusione, ed è tanto forte l’ardore che da Me emana e che da loro si sprigiona, che come due metalli in un crogiolo noi si diventa una cosa sola. Naturalmente quanto più la fusione è perfetta tanto più la creatura prende l’impronta mia, le mie proprietà, le mie bellezze. Così sanno unirsi a Me quelli che voi chiamate poi "Santi", ossia i perfetti che hanno capito chi Io sono.

   Ma in tutte le anime che vengono a Me con vero trasporto e puro cuore Io porto grazie indicibili e trasfondo la mia grazia, di modo che esse procedono sulla via della Vita e anche se non raggiungono una santità clamorosa, riconosciuta dal mondo, raggiungono sempre la vita eterna, perché chi sta in Me ha vita eterna.

   Per tutte le anime che sanno venire a Me con l’ardore dei primi e con la fiducia dei secondi e che mi dànno tutto quanto è in loro potere di dare, ossia tutto l’amore di cui sono capaci, Io sono pronto a compiere prodigi di miracoli pur di unirmi a loro. 
Il cielo più bello per Me è nel cuore delle creature che mi amano. Per loro, se la rabbia di Satana distruggesse tutte le chiese, Io saprei scendere, in forma eucaristica, dai Cieli. I miei angeli mi porterebbero alle anime affamate di Me, Pane vivo che dal Cielo discende.
   
Non è del resto cosa nuova. Quando la fede era ancora fiamma di amore vivo Io ho saputo andare ad anime serafiche seppellite negli eremi o nelle celle murate. Non occorrono cattedrali a contenermi. Mi basta un cuore che l’amore consacri. Anche la più vasta a splendida cattedrale è sempre troppo angusta e povera per Me, Dio che empio di Me tutto quanto è. Opera umana è soggetta alle limitazioni dell’umano e Io sono infinito. Mentre non m’è angusto e povero il vostro cuore se la carità lo accende. E la più bella cattedrale è quella della vostra anima abitata da Dio.
Dio è in voi quando voi siete in grazia. Ed è del cuore vostro che Dio si vuole fare un altare. Nei primi tempi della mia Chiesa non vi erano le cattedrali, ma Io avevo un trono degno di Me in ogni cuore di cristiano.
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   Vi sono poi quelli che vengono a Me soltanto quando il bisogno li spinge o la paura li sprona. Allora vengono a bussare al Tabernacolo che si apre, concedendo sempre conforto, spesso, se è utile, la grazia richiesta. Ma vorrei però che l’uomo venisse a Me non soltanto per chiedere ma anche per dare.

   Indi vengono quelli che si accostano alla Mensa, dove Io mi faccio cibo, per abitudine. In questi i frutti del Sacramento durano per quel poco di tempo che durano le Specie e poi dileguano. Non mettendo nessun palpito nel loro venire a Me, non progrediscono nella vita dello spirito che è essenzialmente vita di carità.
   Io sono Carità e porto carità, ma la mia carità viene a languire in queste anime tiepide che nulla riesce a scaldare di più.

   Altra categoria, quella dei farisei. Vi sono anche ora; è una gramigna che non muore. Costoro fanno gli ardenti, ma sono più freddi della morte. Sempre uguali a quelli che mi misero a morte vengono, mettendosi bene in mostra, gonfi di superbia, saturi di falsità, sicuri di possedere la perfezione, senza misericordia fuor che per se stessi, convinti d’essere esempio al mondo. Invece sono quelli che scandalizzano i piccoli e li allontanano da Me perché la loro vita è una antitesi di quella che dovrebbe essere e la loro pietà è di forma ma non di sostanza, e si tramuta, non appena allontanati dall’altare, in durezza verso i fratelli. Questi mangiano la loro condanna perché Io perdono molte cose, conoscendo la vostra debolezza, ma non perdono la mancanza di carità, l’ipocrisia, la superbia. Da questi cuori Io fuggo al più presto possibile.

   
Considerando queste categorie è facile capire perché l’Eucarestia non ha ancora fatto del mondo un   Cielo come avrebbe dovuto fare. Siete voi che ostacolate questo avvento d’amore che vi salverebbe come singoli e come società.

   Se realmente vi nutriste di Me col cuore, con l’anima, con la mente, con la volontà, con la forza, l’intelletto, con tutte insomma le potenze vostre, cadrebbero gli odî, e con gli odî le guerre, non vi sarebbero più le frodi, non le calunnie, non le passioni sregolate che creano gli adulterî e con questi gli omicidi, l’abbandono e la soppressione degli innocenti. Il perdono reciproco sarebbe non sulle labbra, ma nei cuori di tutti, e sareste perdonati dal Padre mio.

   Vivreste da angeli passando le vostre giornate adorando Me in voi e invocando Me per la [66] prossima venuta. La mia costante presenza nel vostro pensiero terrebbe voi lontani dal peccato, il quale sempre comincia da un lavorìo del pensiero che poi si traduce in atto. Ma dal cuore fatto ciborio non uscirebbero che pensieri soprannaturali e la terra ne sarebbe santificata. 
La terra diverrebbe un altare,  un enorme altare pronto ad accogliere la seconda venuta del Cristo, Redentore del mondo.»

Maria Valtorta: QUADERNI DEL 1943 CAPITOLO 23: 10 giugno 1943

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"Jesu, quem velatum nunc aspicio,
Oro, fiat illud quod tam sìtio:
Ut, te revelata cernens fàcie,
Visu sim beatus tuae gloriae. Amen."
Oh Gesù, che velato ora ammiro,
Prego che avvenga ciò che tanto bramo,
Che, contemplandoTi col volto rivelato,
A tal visione io sia beato della Tua gloria. Amen.


lunedì 8 giugno 2020

La preghiera di Benedetto XVI


     Apprendiamo dal BenedettoXVIblog che il vescovo di Eisenstadt Ägidius Zsifkovics, nella sua prefazione all’Annuario del Burgenland, descrive la preghiera come teologicamente scaltra e toccante  Lo scritto di Benedetto XVI è del giugno scorso; ma contiene elementi significativi anche in relazione agli eventi più recenti, tenendo anche conto che il discusso testo dell'Instrumentum Laboris del Sinodo Amazzonico era in quel momento già noto.
   Ricordiamo un precedente scritto particolarmente significativo: le Note [qui] vergate in occasione della riunione dei presidenti di tutte le conferenze episcopali del mondo per discutere sul tema degli abusi, convocata in Vaticano (24-29 febbraio 2019). Il documento fu reso pubblico nel successivo mese di aprile dimostrando come le sue osservazioni non fossero state tenute in alcuna considerazione.

La preghiera di Benedetto XVI
Benedictus XVI Papa

Signore Gesù Cristo,
sono passati più di 1900 anni da quando Tu, il Verbo eterno di Dio, sei entrato nel tempo e Ti sei fatto carne – Ti sei fatto uomo. Non hai dismesso la Tua natura umana come un vestito dopo averla assunta per poco tempo. No, fino alla Tua morte sulla croce Tu l’hai assunta, l’hai attraversata e l’hai sofferta e rimani, dopo essere risorto, per sempre uomo. Nella parabola, Ti sei paragonato al chicco di grano, che cade nella terra e muore, ma non rimane isolato, bensì emerge di nuovo e porta costantemente frutto. Nella Santa Eucarestia Tu sei sempre presente tra di noi, Ti affidi nelle nostre mani e nei nostri cuori affinché possa sorgere una nuova umanità. Quindi il Tuo farti uomo non è per noi un’esperienza lontana, bensì ci tocca tutti, ci chiama tutti. Aiutaci a comprenderlo sempre di più. Aiutaci a vivere e a morire nel segreto del chicco di grano e a contribuire al sorgere di una nuova umanità.


Prima di lasciare questo mondo e di tornare al Padre, per poi tornare tra di noi, Tu hai affidato a dei giovani uomini il compito di andare in tutto il mondo e di battezzare le genti nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. E l’essere battezzati ci fa diventare una nuova comunità, la Tua Chiesa. Come Tu hai annunciato, questo Tuo nuovo corpo – che si estende in tutto il mondo – si contraddistingue per la Tua vicinanza, che anima il corpo stesso. Ma è anche contraddistinto dalla nostra fragilità, che si supera solo lentamente.

In questo momento della nostra storia, Ti ringraziamo per la grazia di averci chiamato a far parte della Tua Chiesa. Ti ringraziamo per le realtà belle e grandi che si rendono visibili nel mondo per mezzo di essa. Ti preghiamo anche di aiutarci ad affrontare l’oscurità che, di tempo in tempo, è sempre minacciosamente attiva al suo interno.
E Ti ringraziamo perché da sessant’anni la nostra Patria, il Burgenland, è divenuta un episcopato ed è entrata come una famiglia unita nella più vasta famiglia di Dio. Alla fine della prima guerra mondiale l’immenso territorio della vecchia Austria, che univa tra loro molti popoli, si è frantumato ed è stato diviso in molti Stati [ricorda la fine dell'impero absburgico -ndT]. Ma la nostra patria si trova laddove le divisioni si dissolvono. Così, poco a poco il nostro episcopato si è evoluto dalla presenza di singole realtà a una nuova unità. Il suo compito è pertanto anche quello di agglomerare le varie lingue e le storie diverse di ogni parte in una nuova unità. Ti ringraziamo quindi per il fatto che – grazie alla guida di buoni pastori – il nostro episcopato è divenuto uno spazio di riconciliazione in cui la forza conciliatrice del Tuo amore è stata resa in qualche modo visibile.

In questo frangente pensiamo innanzitutto agli esordi della fede all’interno della nostra patria, all’epoca in cui Tu ci hai inviato la grande figura di San Martino, Vescovo di Tours. Martino nacque nella nostra terra – l’allora provincia romana della Pannonia – e le sue origini fanno sì che ci appartenga per sempre in modo speciale. Seguendo la volontà di suo padre, egli diventò un soldato romano e giunse nella Gallia, all’altro estremo del continente. Incontrò Te, Signore Gesù Cristo, nella figura di un mendicante, e spartendo con lui il suo mantello – la sua casa, potremmo dire – Ti ha riconosciuto nel suo cuore. Tu gli hai fatto dono di un grande maestro, Ilario di Poitiers, che ha illuminato la sua intelligenza e in tal modo lo ha protetto dalle insidie dell’arianesimo. Così, egli venne preservato da quella falsa forma di fede cristiana, che trasmetteva ai popoli recentemente convertiti un’immagine sminuita di Nostro Signore e impediva pertanto l’accesso alla grandezza della vera fede. Seguendo le orme di Sant’Ilario, San Martino tornò ancora una volta nella sua terra per poi recarsi di nuovo nella Gallia, ove realizzò il grande ministero della sua vita.

Anche oggi la nostra fede è minacciata da mutamenti riduttivi a cui le mode mondane la vorrebbero sottoporre per sottrarle la sua grandezza. 
Signore, aiutaci in questo nostro tempo ad essere e a rimanere veri cattolici – a vivere e a morire nella grandezza della Tua verità e nella Tua divinità. Donaci sempre vescovi coraggiosi che ci guidino all’unità con la fede e coi santi di tutti i tempi e ci mostrino come agire in modo adeguato al servizio della riconciliazione, cui il nostro episcopato è chiamato in modo speciale. Signore Gesù Cristo, abbi pietà di noi!
Benedetto XVI
Città del Vaticano,
Monastero “Mater Ecclesiae”,
8 giugno 2019
[Traduzione per Chiesa e Post-Concilio di Antonio Marcantonio]



AMDG et DVM

DIO NON ABBANDONA NESSUNO





“Quali che siano gli eventi, ricordatevi di due cose: Dio non abbandona nessuno. Quanto più vi sentirete solo, trascurato, vilipeso, incompreso, e quanto più vi sentirete presso a soccombere sotto il peso di una grave ingiustizia, avrete la sensazione di un’infinita forza arcana, che vi sorregge, che vi rende capaci di propositi buoni e virili, della cui possanza vi meraviglierete, quando tornerete sereno. E questa forza è Dio!
Di un’altra cosa dovete ricordarvi, ed è che non bisogna accasciarsi, ma mettere in pratica una delle quattro virtù cardinali, la fortezza. Accasciarsi significa giustificare le ragioni, che gli altri accampano per imporci un orientamento piuttosto che un altro”.


AMDG et DVM