SANT'ALBERTO MAGNO, Vescovo e Dottore della Chiesa (1206-1280)
VOLERE CIO' CHE DIO VUOLE
PER LA SUA GLORIA
L’università di Padova fu una delle prime a sorgere in Europa e già nel 1200 era fra le più famose e apprezzate. Attirava studenti un po’ da tutto il continente che qui si preparavano al futuro, studiando, riflettendo e divertendosi... in pure stile goliardico, molto creativo e spesso dissacrante. Venivano proposti loro anche dei momenti di formazione spirituale, come quando arrivò un rinomato predicatore, che era addirittura il numero due dell’Ordine dei Predicatori (Domenicani), fondati da poco da uno spagnolo, un certo Domenico di Guzman (Santo). Il suo nome era Giordano di Sassonia, ed era tedesco.
Forse non era molto convinto dell’utilità della sua predicazione, tuttavia predicò con tutto lo zelo di cui disponeva. Alla fine sospirò un po’ perplesso: gli sembrava di aver perso tempo, di aver gettato il seme della Parola di Dio su un “terreno sassoso” costituito da quella torma di allegri giovanotti. È questa la sensazione, peraltro non nuova, che gli (noi) insegnanti abbiamo davanti a certe classi di ragazzi di tutt’altro interessati fuorché alla scuola. Ma Giordano di Sassonia si sbagliava. In mezzo a quel terreno apparentemente impermeabile alle cose spirituali erano presenti anche piccole zone fertili, che avevano accolto quel seme della Parola con gioia. Infatti ben dieci universitari gli chiesero di entrare nell’ordine domenicano. Tra essi due figli di nobili tedeschi: uno si chiamava Alberto di Lauingen.
Quel giovanotto intelligente e di bell’aspetto, che amava molto i libri, rimase colpito dalle parole di Giordano di Sassonia: questi lo spedì nel convento a Colonia per il noviziato e per iniziare gli studi teologici. Nel 1228 divenne lettore di teologia, cominciando una prestigiosa carriera come insegnante: nei conventi di Hildesheim, di Friburgo, di Ratisbona, di Strasburgo. Poi nel 1243 fu inviato all’università di Parigi, dove nel 1245 divenne Magister theologiae cioè professore e tenne la cattedra di teologia per tre anni.
Finché nel 1248 i Domenicani diedero vita allo Studium generale di Colonia (una specie di università) e chiamarono a dirigerlo proprio Alberto che era a Parigi. Questi accettò l’incarico e prese una decisione di importanza straordinaria per la storia della cultura ecclesiastica (e non): portò con sé un suo allievo, il più brillante e il più intelligente: si trattava di un giovane domenicano italiano, di nome Tommaso d’Aquino. E il destino dei due si intrecciò vigorosamente per tanti anni con grande beneficio per la teologia e per la Chiesa intera.
Maestro ed esempio per Tommaso d’Aquino
A Colonia, Alberto, uomo sereno, oggettivo e aperto a tutte le verità da qualunque parte provenissero, ebbe modo di studiare (anche se su traduzioni imperfette) e approfondire la sua conoscenza di Aristotele, che stava ormai penetrando nel mondo accademico del tempo. C’era diffidenza in quegli anni in ambito cristiano verso il grande filosofo greco: lo si credeva (complice Averroè) nemico del cristianesimo, e non collimante con la visione tradizionale che si aveva allora e che era quella di Agostino.
In Alberto invece la filosofia di Aristotele trovò l’uomo in grado di dargli diritto di cittadinanza nell’insegnamento filosofico e teologico della Chiesa (la Scolastica latina). “Appare chiaro, con Alberto, che l’aristotelismo non solo non rende impossibile la ricerca scolastica, cioè la comprensione filosofica della verità rivelata, ma costituisce il fondamento sicuro di tale ricerca e offre il filo conduttore che consente di legare insieme le dottrine fondamentali della tradizione scolastica” (N. Abbagnano). Alberto ebbe questa grande intuizione, ma la realizzò solo in parte. In lui mancarono chiarezza, completezza, sistematicità e possiamo anche dire scientificità. Tutte caratteristiche che ebbe in grado eccelso il suo illustre discepolo e continuatore di questo connubio: il sommo Tommaso d’Aquino, Santo e Dottore della Chiesa.
Alberto con il suo esempio spronava tutti a non aver paura delle scienze umane, perché esse sono portatrici di verità che possono aiutare nella comprensione della fede. Dotato di una poderosa intelligenza sorretta da una formidabile memoria studiò anche la logica, la retorica, l’etica, e le varie scienze naturali come la matematica, l’astronomia, la fisica, la biologia. Tutto lo scibile di allora disponibile nel bacino mediterraneo. E, sollecitato dai confratelli, cominciò a scrivere anche un vasta enciclopedia proprio per loro. Comunque sia il giudizio dei critici, Alberto si è guadagnato degnamente alcune pagine nella storia della filosofia, oltre ad avere un posto nella storia della Chiesa come vescovo e dottore (gli è stato dato il titolo di Dottore Universale), e ciò che ancora più importante come santo.
È interessante notare che Alberto non era solo e tutto immerso nei libri: non era la figura dello studioso che vive solo di libri e per i libri. Era anche inserito bene nelle vicende politiche della città di Colonia. Si impegnò infatti personalmente per la pacificazione fra i suoi governanti e l’arcivescovo. Nel 1254, fu poi nominato anche responsabile spirituale dei Domenicani della vasta e importante provincia tedesca. In questo incarico si dimostrò non solo esperto di libri di filosofia e di scienza, ma anche uomo saggio e capace nell’arte del governo degli uomini (che è ben più difficile). Nel 1256, si recò a Roma e poi ad Anagni con Bonaventura di Bagnoreggio, francescano, presso la corte papale, dove difese con successo il diritto dei membri degli ordini mendicanti (Domenicani e Francescani) di potersi inserire nelle Università come insegnanti.
Alberto vescovo: scarpe grosse e cervello fino
Fu nel 1257 che il Capitolo Generale di Firenze lo sollevò dall’incarico e così Alberto, con gioia, tornò ai suoi studi nella città di Colonia. Credeva di potersi dedicare in tutta tranquillità ai suoi studi, ma si sbagliava. Gli arrivò, infatti, poco dopo, la nomina a vescovo di Ratisbona (oggi Regensburg, in Baviera). Il Papa Alessandro IV, che aveva conosciuto e apprezzato la scienza e la santità di Alberto, lo inviò in quella grande, famosa e prestigiosa diocesi, che in quel momento versava in difficoltà morali ed economiche. Alberto si piegò, anche se a malincuore, al volere del Papa di Roma e partì per il suo nuovo incarico. Vi arrivò vestito dell’umile abito dell’ordine domenicano con ai piedi un bel paio di scarponi, amici fidati dei lunghi viaggi.
La cosa non passò inosservata. I nobili della città, superficiali quanto orgogliosi delle gloriose tradizioni della loro città, si sentirono quasi insultati e umiliati da quel nuovo vescovo “dalle scarpe grosse” che si presentava in modo così umile (e non in pompa magna come i suoi predecessori). E naturalmente si lamentarono. Ma ben presto si accorsero che oltre alle scarpe grosse il nuovo vescovo aveva anche il cervello fine. Infatti, riuscì a portare la pace e la concordia in città, sistemò parrocchie e conventi, e tutte le organizzazioni caritative cittadine incominciarono a funzionare di nuovo e bene. Missione compiuta, si torna agli amati libri e agli studi a Colonia, pensò Alberto. E così fu. Ma non subito.
Dopo Ratisbona, ebbe dal Papa Urbano IV l’incarico di predicare la crociata nei paesi di lingua tedesca, e lo fece spingendosi, con lunghi viaggi, fino in Boemia, ma non ebbe molto successo. L’anno successivo fece un nuovo viaggio in Italia, arrivando fino a Viterbo dove c’era la curia papale e dove ebbe l’occasione di incontrare il suo carissimo amico e discepolo Tommaso d’Aquino. L’anno dopo (1263) fece ritorno in Germania, a Colonia e ai suoi amati studi. Ma Alberto non viveva solo di libri e di preghiera ma anche di impegno apostolico e sociale. In questo periodo infatti si adoperò, su richiesta degli interessati, a portare la pace e la concordia in varie città tedesche che si combattevano tra di loro (come del resto avveniva in Italia).
Nel 1274, eccolo di nuovo in viaggio verso Lione per partecipare al Concilio. Alberto era contento di questa esperienza, anche perché aveva la possibilità di rivedere il suo grande discepolo e amico italiano, cioè Tommaso. Ma aspettò invano, perché questi moriva proprio in quell’anno nell’abbazia di Fossanova. Alberto partecipò attivamente ai lavori del Concilio, con la sua scienza e la sua saggezza, con la sua esperienza e santità. Ma il ricordo di Tommaso che l’aveva preceduto nella casa del Padre, lo faceva sovente sospirare di nostalgia.
Tuttavia nel 1277, ormai carico di anni, di fama e di... acciacchi, si mise ancora in viaggio per Parigi per difendere il suo amico dall’accusa di eterodossia che gli aveva lanciato contro il Vescovo della città Stefano Tempier con la condanna di ben 19 tesi. Alberto con un vigoroso discorso all’Università difese Tommaso non solo dall’invidia dei suoi nemici ma anche dall’ignoranza e dal pericolo di far retrocedere gli studi e il pensiero cristiano, così mirabilmente portato avanti dall’amico.
La sua giornata terrena si concludeva nel 1280, dopo aver passato gli ultimi anni nella malattia, nella preghiera silenziosa, profonda e costante e nel continuo e amorevole ricordo di Tommaso che l’aveva preceduto in cielo.
Si racconta che ad un signore che era venuto alla porta del convento chiedendo se abitava lì il Maestro Alberto, lui rispose: “No, non abita più qui. Una volta era qui, ma non ricordo quando”. Solo umiltà o anche quello che oggi chiamiamo morbo di Alzheimer? Forse un po’ tutte e due le cose. Alberto ritornò a Dio il 15 dicembre 1280 lasciando le sue sostanze ai poveri e tutti i suoi libri al convento domenicano di Colonia. Fu santo e Dottore della Chiesa nel 1931, e nel 1941 dichiarato patrono dei cultori delle scienze naturali.
MARIO SCUDUsdb ***