domenica 5 aprile 2020

ALBERTO MAGNO: VESCOVO, DOTTORE UNIVERSALE E SANTO


SANT'ALBERTO MAGNO, Vescovo e Dottore della Chiesa (1206-1280)
Sant'Alberto Magno/ Il 15 novembre si celebra il patrono degli ...

VOLERE CIO' CHE DIO VUOLE 
PER LA SUA GLORIA


L’università di Padova fu una delle prime a sorgere in Europa e già nel 1200 era fra le più famose e apprezzate. Attirava studenti un po’ da tutto il continente che qui si preparavano al futuro, studiando, riflettendo e divertendosi... in pure stile goliardico, molto creativo e spesso dissacrante. Venivano proposti loro anche dei momenti di formazione spirituale, come quando arrivò un rinomato predicatore, che era addirittura il numero due dell’Ordine dei Predicatori (Domenicani), fondati da poco da uno spagnolo, un certo Domenico di Guzman (Santo). Il suo nome era Giordano di Sassonia, ed era tedesco.


Forse non era molto convinto dell’utilità della sua predicazione, tuttavia predicò con tutto lo zelo di cui disponeva. Alla fine sospirò un po’ perplesso: gli sembrava di aver perso tempo, di aver gettato il seme della Parola di Dio su un “terreno sassoso” costituito da quella torma di allegri giovanotti. È questa la sensazione, peraltro non nuova, che gli (noi) insegnanti abbiamo davanti a certe classi di ragazzi di tutt’altro interessati fuorché alla scuola. Ma Giordano di Sassonia si sbagliava. In mezzo a quel terreno apparentemente impermeabile alle cose spirituali erano presenti anche piccole zone fertili, che avevano accolto quel seme della Parola con gioia. Infatti ben dieci universitari gli chiesero di entrare nell’ordine domenicano. Tra essi due figli di nobili tedeschi: uno si chiamava Alberto di Lauingen.

Quel giovanotto intelligente e di bell’aspetto, che amava molto i libri, rimase colpito dalle parole di Giordano di Sassonia: questi lo spedì nel convento a Colonia per il noviziato e per iniziare gli studi teologici. Nel 1228 divenne lettore di teologia, cominciando una prestigiosa carriera come insegnante: nei conventi di Hildesheim, di Friburgo, di Ratisbona, di Strasburgo. Poi nel 1243 fu inviato all’università di Parigi, dove nel 1245 divenne Magister theologiae cioè professore e tenne la cattedra di teologia per tre anni.

Finché nel 1248 i Domenicani diedero vita allo Studium generale di Colonia (una specie di università) e chiamarono a dirigerlo proprio Alberto che era a Parigi. Questi accettò l’incarico e prese una decisione di importanza straordinaria per la storia della cultura ecclesiastica (e non): portò con sé un suo allievo, il più brillante e il più intelligente: si trattava di un giovane domenicano italiano, di nome Tommaso d’Aquino. E il destino dei due si intrecciò vigorosamente per tanti anni con grande beneficio per la teologia e per la Chiesa intera.

Maestro ed esempio per Tommaso d’Aquino

A Colonia, Alberto, uomo sereno, oggettivo e aperto a tutte le verità da qualunque parte provenissero, ebbe modo di studiare (anche se su traduzioni imperfette) e approfondire la sua conoscenza di Aristotele, che stava ormai penetrando nel mondo accademico del tempo. C’era diffidenza in quegli anni in ambito cristiano verso il grande filosofo greco: lo si credeva (complice Averroè) nemico del cristianesimo, e non collimante con la visione tradizionale che si aveva allora e che era quella di Agostino.

In Alberto invece la filosofia di Aristotele trovò l’uomo in grado di dargli diritto di cittadinanza nell’insegnamento filosofico e teologico della Chiesa (la Scolastica latina). “Appare chiaro, con Alberto, che l’aristotelismo non solo non rende impossibile la ricerca scolastica, cioè la comprensione filosofica della verità rivelata, ma costituisce il fondamento sicuro di tale ricerca e offre il filo conduttore che consente di legare insieme le dottrine fondamentali della tradizione scolastica” (N. Abbagnano). Alberto ebbe questa grande intuizione, ma la realizzò solo in parte. In lui mancarono chiarezza, completezza, sistematicità e possiamo anche dire scientificità. Tutte caratteristiche che ebbe in grado eccelso il suo illustre discepolo e continuatore di questo connubio: il sommo Tommaso d’Aquino, Santo e Dottore della Chiesa.

Alberto con il suo esempio spronava tutti a non aver paura delle scienze umane, perché esse sono portatrici di verità che possono aiutare nella comprensione della fede. Dotato di una poderosa intelligenza sorretta da una formidabile memoria studiò anche la logica, la retorica, l’etica, e le varie scienze naturali come la matematica, l’astronomia, la fisica, la biologia. Tutto lo scibile di allora disponibile nel bacino mediterraneo. E, sollecitato dai confratelli, cominciò a scrivere anche un vasta enciclopedia proprio per loro. Comunque sia il giudizio dei critici, Alberto si è guadagnato degnamente alcune pagine nella storia della filosofia, oltre ad avere un posto nella storia della Chiesa come vescovo e dottore (gli è stato dato il titolo di Dottore Universale), e ciò che ancora più importante come santo.


È interessante notare che Alberto non era solo e tutto immerso nei libri: non era la figura dello studioso che vive solo di libri e per i libri. Era anche inserito bene nelle vicende politiche della città di Colonia. Si impegnò infatti personalmente per la pacificazione fra i suoi governanti e l’arcivescovo. Nel 1254, fu poi nominato anche responsabile spirituale dei Domenicani della vasta e importante provincia tedesca. In questo incarico si dimostrò non solo esperto di libri di filosofia e di scienza, ma anche uomo saggio e capace nell’arte del governo degli uomini (che è ben più difficile). Nel 1256, si recò a Roma e poi ad Anagni con Bonaventura di Bagnoreggio, francescano, presso la corte papale, dove difese con successo il diritto dei membri degli ordini mendicanti (Domenicani e Francescani) di potersi inserire nelle Università come insegnanti.

Alberto vescovo: scarpe grosse e cervello fino

Fu nel 1257 che il Capitolo Generale di Firenze lo sollevò dall’incarico e così Alberto, con gioia, tornò ai suoi studi nella città di Colonia. Credeva di potersi dedicare in tutta tranquillità ai suoi studi, ma si sbagliava. Gli arrivò, infatti, poco dopo, la nomina a vescovo di Ratisbona (oggi Regensburg, in Baviera). Il Papa Alessandro IV, che aveva conosciuto e apprezzato la scienza e la santità di Alberto, lo inviò in quella grande, famosa e prestigiosa diocesi, che in quel momento versava in difficoltà morali ed economiche. Alberto si piegò, anche se a malincuore, al volere del Papa di Roma e partì per il suo nuovo incarico. Vi arrivò vestito dell’umile abito dell’ordine domenicano con ai piedi un bel paio di scarponi, amici fidati dei lunghi viaggi.


La cosa non passò inosservata. I nobili della città, superficiali quanto orgogliosi delle gloriose tradizioni della loro città, si sentirono quasi insultati e umiliati da quel nuovo vescovo “dalle scarpe grosse” che si presentava in modo così umile (e non in pompa magna come i suoi predecessori). E naturalmente si lamentarono. Ma ben presto si accorsero che oltre alle scarpe grosse il nuovo vescovo aveva anche il cervello fine. Infatti, riuscì a portare la pace e la concordia in città, sistemò parrocchie e conventi, e tutte le organizzazioni caritative cittadine incominciarono a funzionare di nuovo e bene. Missione compiuta, si torna agli amati libri e agli studi a Colonia, pensò Alberto. E così fu. Ma non subito.


Dopo Ratisbona, ebbe dal Papa Urbano IV l’incarico di predicare la crociata nei paesi di lingua tedesca, e lo fece spingendosi, con lunghi viaggi, fino in Boemia, ma non ebbe molto successo. L’anno successivo fece un nuovo viaggio in Italia, arrivando fino a Viterbo dove c’era la curia papale e dove ebbe l’occasione di incontrare il suo carissimo amico e discepolo Tommaso d’Aquino. L’anno dopo (1263) fece ritorno in Germania, a Colonia e ai suoi amati studi. Ma Alberto non viveva solo di libri e di preghiera ma anche di impegno apostolico e sociale. In questo periodo infatti si adoperò, su richiesta degli interessati, a portare la pace e la concordia in varie città tedesche che si combattevano tra di loro (come del resto avveniva in Italia).


Nel 1274, eccolo di nuovo in viaggio verso Lione per partecipare al Concilio. Alberto era contento di questa esperienza, anche perché aveva la possibilità di rivedere il suo grande discepolo e amico italiano, cioè Tommaso. Ma aspettò invano, perché questi moriva proprio in quell’anno nell’abbazia di Fossanova. Alberto partecipò attivamente ai lavori del Concilio, con la sua scienza e la sua saggezza, con la sua esperienza e santità. Ma il ricordo di Tommaso che l’aveva preceduto nella casa del Padre, lo faceva sovente sospirare di nostalgia.


Tuttavia nel 1277, ormai carico di anni, di fama e di... acciacchi, si mise ancora in viaggio per Parigi per difendere il suo amico dall’accusa di eterodossia che gli aveva lanciato contro il Vescovo della città Stefano Tempier con la condanna di ben 19 tesi. Alberto con un vigoroso discorso all’Università difese Tommaso non solo dall’invidia dei suoi nemici ma anche dall’ignoranza e dal pericolo di far retrocedere gli studi e il pensiero cristiano, così mirabilmente portato avanti dall’amico.


La sua giornata terrena si concludeva nel 1280, dopo aver passato gli ultimi anni nella malattia, nella preghiera silenziosa, profonda e costante e nel continuo e amorevole ricordo di Tommaso che l’aveva preceduto in cielo.


Si racconta che ad un signore che era venuto alla porta del convento chiedendo se abitava lì il Maestro Alberto, lui rispose: “No, non abita più qui. Una volta era qui, ma non ricordo quando”. Solo umiltà o anche quello che oggi chiamiamo morbo di Alzheimer? Forse un po’ tutte e due le cose. Alberto ritornò a Dio il 15 dicembre 1280 lasciando le sue sostanze ai poveri e tutti i suoi libri al convento domenicano di Colonia. Fu santo e Dottore della Chiesa nel 1931, e nel 1941 dichiarato patrono dei cultori delle scienze naturali. 


                                                                            MARIO SCUDUsdb ***

METTITI ALL'ULTIMO POSTO

III. l’esortazione di Cristo a praticare sempre l’umiltà

13. “Quando sei invitato alle nozze, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più su di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: Cedigli il posto! allora dovrai con vergogna metterti all’ultimo posto” (Lc 14,8-9). E la Glossa commenta: Quando per la grazia della fede, chiamato dal predicatore, ti unisci ai membri della chiesa, non insuperbirti gloriandoti dei tuoi meriti, come tu fossi migliore degli altri.
Osserva che in questa terza parte il Signore tocca due argomenti: la superbia, quando dice: “Non metterti al primo posto”; l’umiltà quando aggiunge: “Mettiti all’ultimo posto”. È una grande superbia, nelle nozze, vale a dire nella chiesa di Gesù Cristo, volersi mettere al primo posto, cioè occupare le più alte cariche. Infatti il Signore ha detto: “Amano i primi seggi nelle sinagoghe” (Mt 23,6), essi che saranno privati dei secondi.
O sciagurata ambizione, che non sai ambire le cose veramente grandi! Qual tenace esploratore – dice Bernardo parlando dell’ambizioso superbo – si aggira arrampicandosi mani e piedi, per potersi infiltrare in qualche modo nel patrimonio del Crocifisso, e non sa, il miserabile, che quello è prezzo di sangue (cf. Mt 27,6). “Non mangerete carne con sangue”, dice la Genesi (Gn 9,4). Mangia carne con sangue chi, vivendo carnalmente, dissipa nei suoi eccessi il patrimonio del Crocifisso. E quindi sarà eliminato dal popolo di Dio (cf. Es 12,15). Non metterti dunque al primo posto perché, come dice il Signo­re: “Io detesto la superbia di Giacobbe e odio le sue case” (Am 6,8). Sulle alture si fanno sacrifici agli idoli (cf. 3Re 3,2-3). Il Signore è concepito a Nazaret, in un posto umile; invece viene crocifisso nel luogo più alto di Gerusalemme. “Non metterti, dunque, al primo posto”.
Dice Gregorio: “Non è certo in grado di coltivare l’umiltà quando è sulla vetta, chi non ha mai smesso di fare il superbo quando era nei posti più insignificanti. Tu che aspiri alle più alte cariche cerchi, così facendo, la rovina dell’anima tua, la perdita della tua buona riputa­zione, il pericolo per il tuo corpo, perché quanto più alta è la tua posizione, tanto più rovinosa sarà la caduta. È proprio il colmo della follia esporsi a sì grandi pericoli. “Non metterti dunque al primo posto”, perché poi dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto, all’inferno.

14. E su tutto questo hai anche la concordanza nel primo libro dei Maccabei, dove si racconta che Àlcimo, avendo comperato con il denaro il sommo pontificato (cf. 1Mac 7,21), “ebbe un attacco apoplettico, la sua bocca restò impedita, rimase tutto paralizzato: non poté più dire una parola né dare disposizioni per la sua casa. E morì in quel tempo con grandi sofferenze” (1Mac 9,55-56).
Àlcimo s’interpreta “fermento di malvagio disegno”, ed è figura del simoniaco il quale, con il fermento del denaro – nel loro conciliabolo non entri l’anima mia (cf. Gn 49,6) perché il loro convegno è riunione di malvagi – corrompe lo spirito di quelli che vendono colombe. Il simoniaco, per il fatto che, senza essere chiamato da Dio come Aronne, vuole salire a dignità ecclesiastiche, dopo essere colpito da paralisi come Àlcimo, morirà senza confessione, senza testamento e in mezzo a grandi sofferenze, e con somma vergogna dovrà occupare l’ultimo e più immondo posto dell’inferno, lui che in questo mondo voleva comparire primo e circondato di gloria.
Fratello, “mettiti dunque all’ultimo posto”, così meriterai di sentirti dire: “Vieni più in su” (Lc 14,10). Dice il filosofo: Per non cadere, lìmitati alle piccole cose (Seneca), perché, dice anche Salomone, “chi costruisce la casa troppo alta, va in cerca di rovina” (Pro 17,16). Per questo, ci dice l’Apostolo, Abramo abitò nelle tende, insieme con Isacco (cf. Eb 11,9). “Mettiti dunque all’ul­timo posto”.
L’ultimo posto è il pensiero della morte, e chi sempre ci pensa non ha alcuna voglia di mettersi al primo posto. Dice Girolamo: Chi pensa abitualmente che dovrà morire, non ha alcuna difficoltà a disprezzare tutte le cose. In questo ultimo posto, o fratello, fissa la tua dimora; siediti lì, guardando e salutando da lontano la celeste Gerusalemme (cf. Eb 11,13), il cui architetto e costruttore è Dio stesso (cf. Eb 11,10), e sii convinto di essere su questa terra soltanto pellegrino e ospite (cf. Eb 11,13). E così mettiti all’ulti­mo posto, senza mai preferirti ad alcuno, reputandoti più indegno di tutti; allora ti senti­rai dire: “Amico, vieni più in su”. Ti riconosce come amico dalla tua umiltà, colui che ti manda indietro per la tua presunzione.
Amico è come dire animi custos, cioè custode dell’animo (dello spirito). L’umiltà è la custode delle virtù, e chi la pratica custodisce il suo animo perché non fugga da lui, nulla essendo più fugace dell’animo. “Con ogni cura custodisci il tuo cuore” (Pro 4,23), è detto nel libro dei Proverbi. Vuoi quindi essere amico di Dio? Custodisci il tuo cuore, ossia conserva il tuo animo, perché se esso ti fuggisse, lo pagheresti con la tua anima5.

15. A questo proposito, nel terzo libro dei Re si racconta che uno dei profeti “si rivolse al Re e gli disse: Il tuo servo era uscito per combattere. Essendosi un uomo dato alla fuga, un altro lo prese, lo condusse da me e mi disse: Custodisci quest’uomo perché se fugge di nuovo pagherai la sua vita con la tua, oppure pagherai un talento d’argento. Mentre io sconvolto mi voltavo di qua e di là, l’uomo improvvisamente scomparve. Il Re d’Israele disse: Tu stesso hai pronunciato la tua condanna!” (3Re 20,39-40).
Tutti noi che siamo entrati in una religione, siamo usciti a combattere contro gli spiriti maligni. In questo combattimento un uomo, cioè il nostro animo, fugge da noi; ma la grazia di Dio riporta in noi il nostro animo, facendoci ridiventare coraggiosi, e dicendo a ciascuno di noi: “Custodisci quest’uomo”, ecc. Custode viene da cura, e cura è come dire cor agitat, muove il cuore. Custodisci dunque quest’uo­mo, abbi cura di lui affinché l’uomo non si cambi in donna, e come una prostituta non fugga da te e corra dietro ai suoi amanti. “Se fuggirà da te, la tua anima, la tua vita risponderà della sua”. Ecco qual è la minaccia del Signore.
Si deve fare attenzione a quello che dice: “Se fuggirà”. Se ne va in un momento ciò che è stato conquistato in lungo tempo (Catone). Nel primo libro dei Re, Saul dice: “Ho visto che il popolo se ne è fuggito da me” (1Re 13,11). E Geremia: “La mia vita è caduta nella fossa” (Lam 3,53).
Ahimè, quante volte il mio animo, dal quale proviene la vita, fugge, cade nella fossa della miseria e nel fango della palude! (cf. Sal 39,3). La mia anima, cioè la mia vita, pagherà dunque per l’anima, oppure dovrò pagare per essa un talento d’argento? Ahimè, Signore Dio, io ho un’anima, ma non sono in grado di pagare un talento di argento, non ho cioè la purezza della vita da mettere sulla bilancia del tuo giudizio. Non farmi pagare dunque con la mia anima questa caduta. Certamente, Signore, i tuoi giudizi sono giusti, e io merito di essere condannato per non aver custodito il tuo deposito (cf. 2Tm 1,12.14), il mio cuore, la mia vita, e quindi merito di essere privato della vita.
“Mentre sconvolto mi voltavo di qua e di là, quell’uomo improvvisamente scomparve”. Ecco come l’animo scompare. Fa’ attenzione alle due parole: “sconvolto” e “mi voltavo”. Sconvolto, il testo latino dice turbatus, come a dire terrae mixtus, mescolato con terra. Non c’è da farsi meraviglia che il tuo animo scompaia, se tu sei sconvolto, cioè immischiato nelle cose della terra. Vuoi perciò conservare il tuo animo? Conserva la tranquillità della tua coscienza. Pensa quanto giustamente ha detto: “Mentre io mi voltavo di qua e di là”: quando tu ti volti di qua, cioè alla carne, o di là, cioè al mondo, perdi il tuo animo. Non devi perciò voltarti a destra o a sinistra, ma camminare diritto sulla via regia, per essere sempre presente a te stesso. E non giudicare mai la vita o le azioni di questo o di quello. Non mormorare mai di nessuno.
“All’improvviso, quello scomparve”. Ogni volta che tu ti volti, se non a Dio o a te stesso, immediatamente il tuo animo scompare. Quindi non voltarti, ma abbi sempre il volto rivolto verso Gerusalemme affinché essa sia nel tuo cuore; e se custodirai il tuo cuore, diverrai amico di Dio. Possa dunque il Signore dirti: “Vieni più in su”. Chi si trova all’ultimo posto, non può che salire più in su, “perché chi si umilia sarà esaltato” (Lc 14,11). “E allora ne avrà onore di fronte a tutti i commensali” (Lc 14,10). Infatti, dice sempre Luca: “Li farà accomodare a tavola e passerà a servirli” (Lc 12,37). È veramente un grande onore che il Signore, il Padrone serva il servo.

16. Con questa terza parte del vangelo concorda la terza parte dell’epistola: “Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio, Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ef 4,5-6). Se tu stai all’ultimo posto dell’umiltà, temi il Signore, mantieni la fede e conservi l’innocenza battesimale. Fa’ attenzione alle cinque parole elencate: Il Signore, Dio, Padre, la fede e il battesimo.
Perciò chi vuole sentirsi dire: “Amico, vieni più in su”, mediti sulla potenza del Signore, sulla sapienza di Dio, sulla misericordia del Padre, sull’eccellenza della fede e sul valore del battesimo. Mediti sulla potenza per averne timore, sulla sapienza per provarne il gusto, sulla misericordia per aver fiducia, sull’eccellenza della fede per disprezzare le cose temporali, sul valore del battesimo per combattere sempre valorosamente.
Fratelli carissimi, preghiamo dunque il Signore Gesù Cristo di farci sedere all’ul­timo posto, di custodire il nostro animo, e di farci poi salire fino a lui, che è la gloria, nel regno di coloro che siedono alla sua mensa.
Ce lo conceda egli stesso, che è al di sopra di tutti, che agisce in tutti, che è presente in tutti e che è Dio benedetto nei secoli eterni. E ogni anima umile risponda: Amen, alleluie!


AMDG et DVM 

Il pianto su Gerusalemme e l’entrata trionfale nella Città santa.

VOLUME IX CAPITOLO 590


L'ingresso di Gesù a Gerusalemme – tra BIBBIA e ARTE – Un ...

DXC. Il pianto su Gerusalemme e l’entrata trionfale nella Città santa. Morte di Annalia.

   30 marzo 1947.
 1 Gesù passa il suo braccio sulle spalle di sua Madre, che si è alzata quando Giovanni e Giacomo d'Alfeo l'hanno raggiunta per dirle: «Tuo Figlio viene», e poi sono tornati indietro per riunirsi ai compagni che procedono lentamente, parlando, mentre Tommaso e Andrea sono corsi verso Betfage per cercare l'asina e l'asinello e condurli a Gesù.
   Gesù intanto parla alle donne. «Eccoci presso alla città. Io vi consiglio di andare. E andare sicure. Entrate prima di Me in città. Presso En Rogel sono tutti i pastori e i più fidi discepoli. Hanno ordine di farvi scorta e protezione».
   «È che... Abbiamo parlato con Aser di Nazaret e Abele di Betlemme di Galilea e anche con Salomon. Erano venuti fin qui per spiare il tuo arrivo. La folla prepara gran festa. E noi si voleva vedere... Vedi come si scuotono le cime degli ulivi? Non è vento che le agita così. Ma è la gente che coglie rami per spargerne la via e farti velo al sole. E là?! Guarda là, stanno spogliando le palme dei loro ventagli. Sembrano grappoli e sono uomini saliti sui fusti a cogliere e cogliere... E, sui pendii, vedi curvi i bambini a cogliere fiori. E le donne certo spogliano orti e giardini da corolle e da erbe odorose per giuncarti il cammino di fiori. Noi si voleva vedere... e imitare il gesto di Maria di Lazzaro, che raccolse tutti i fiori premuti dal tuo piede quando entrasti nel giardino di Lazzaro», prega Maria Cleofe per tutte.
   Gesù carezza sulla guancia la sua vecchia parente, che sembra una bambina vogliosa di vedere uno spettacolo, e le dice: «Nella gran folla non vedresti nulla. Andate avanti. Alla casa di Lazzaro, quella che ha per custode Mattia. Passerò di là e mi vedrete dall'alto».
   «Figlio mio... e vai solo? Non posso starti vicino?», dice Maria alzando il volto così triste e fissando i suoi occhi di cielo sul suo dolce Figlio.
   «Vorrei pregarti di stare nascosta. Come la colomba nella fessura della rupe. Più della tua presenza mi è necessaria la tua preghiera, Mamma diletta! ».
   «Se è così, Figlio mio, noi pregheremo. Tutte. Per Te».
   «Sì. Dopo averlo visto passare, verrete con noi nel mio palazzo di Sion. E io manderò dei servi al Tempio e sempre dietro al Maestro, perché essi ci portino i suoi ordini e le sue notizie», decide Maria di Lazzaro, sempre rapida nell'afferrare ciò che è il migliore da farsi e a farlo senza indugio.
   «Hai ragione, sorella. Benché mi dolga non seguirlo, comprendo la giustizia dell'ordine. E, del resto, Lazzaro ci ha detto di non contraddire il Maestro in cosa alcuna, ma di ubbidirlo anche nelle cose più tenui. E lo faremo».
   «E allora andate. Vedete? Le vie si animano. Stanno per raggiungermi gli apostoli. Andate. La pace sia con voi. Vi farò venire nelle ore che giudicherò buone. Mamma, addio. Abbi pace. Dio è con noi». La bacia e congeda. E le ubbidienti discepole se ne vanno sollecite.


 2 I dieci apostoli raggiungono Gesù. «Le hai mandate avanti?».
   «Sì. Vedranno da una casa la mia entrata».
   «Da quale casa?», chiede Giuda di Keriot.
   «Eh! sono ormai tante le case amiche!», dice Filippo. 
   «Non da Annalia?», insiste l'Iscariota.
   Gesù risponde negativamente e si incammina verso Betfage, che è poco lontana.
   Gli è prossimo quando tornano indietro i due mandati a prendere l'asina e l'asinello. Gridano: «Abbiamo trovato come Tu hai detto e ti avremmo condotto gli animali. Ma il padrone di essi volle strigliarli e ornarli delle migliori bardature per onorarti. E i discepoli, uniti a quelli che hanno passato la notte nelle vie di Betania per onorarti, vogliono avere l'onore di condurteli, e noi abbiamo annuito. Ci è parso che il loro amore meritasse un premio».
   «Avete fatto bene. Andiamo avanti, intanto».
   «Sono molti i discepoli?», chiede Bartolomeo.
   «Oh! una moltitudine. Non si riesce a penetrare per le vie di Betfage. Per questo ho detto a Isacco di condurre l'asino da Cleante il formaggiaio», risponde Tommaso.
   «Hai fatto bene. Andiamo sino a quel balzo del colle. E attendiamo un poco all'ombra di quegli alberi».      Vanno dove Gesù indica.
   «Ma ci allontaniamo! Tu superi Betfage girandola alle spalle!», esclama l'Iscariota.
   «E se voglio farlo, chi me lo può proibire? Sono forse già prigioniero, che non mi sia lecito di andare dove voglio? E c'è forse fretta che Io lo sia e si teme che Io possa sfuggire alla cattura? E se giudicassi giusto di allontanarmi per luoghi più sicuri, c'è alcuno che lo potrebbe impedire?». Gesù dardeggia i suoi occhi sul Traditore, che non apre più bocca e si stringe nelle spalle come per dire: «Fa' ciò che ti pare».
   Girano infatti dietro alle spalle del paesello, direi un sobborgo della stessa città, perché dal lato ovest è proprio poco lontano dalla città, facente già parte delle pendici dell'Uliveto che corona Gerusalemme nel lato orientale. In basso, fra le pendici e la città, il Cedron brilla al sole d'aprile.
   Gesù si siede in quel silenzio verde e si concentra nei suoi pensieri. Poi si alza e va proprio sul ciglio del balzo.

 3 Dice Gesù: «Qui metterai la visione del 31 luglio 1944 : "Gesù che piange su Gerusalemme" dalla frase che ti ho detta per inizio di visione.» E poi riprende a mostrami le fasi dela sua entrata trionfale.
 

30 luglio  
4 Non so come farò a descrivere, perché mi sento tanto male di cuore che non sto seduta che a fatica. Ma tanto è così. Devo scrivere ciò che vedo.
   Mi si illumina il Vangelo di oggi, 9a domenica dopo la Pentecoste.
   Da un poggio presso Gerusalemme Gesù guarda la città stesa ai suoi piedi. 
   Non è un poggio molto alto. Al massimo come può esserlo il piazzale di S. Miniato a monte, a Firenze; ma basta perché l'occhio domini sulla distesa di tutte le case e delle vie, che salgono e scendono su e giù per le piccole elevazioni di terreno che costituiscono Gerusalemme. Questo colle è certo molto più alto, se si prende il livello più basso della città, di quanto non sia il Calvario, ma è più vicino alla cinta di quello. Proprio ha inizio appena fuori delle mura e si alza con un balzo ripido dalla parte delle stesse, mentre dall'altra scende mollemente verso una campagna tutta verde che si stende verso est. Almeno mi pare l'oriente, se giudico bene la luce solare.
   Gesù e i suoi sono sotto un ciuffo di alberi, all'ombra, seduti. Si riposano del cammino fatto. Poi Gesù si alza, lascia lo spiazzo alberato dove erano seduti e si porta proprio sul ciglio del balzo. La sua alta persona si staglia netta sul vuoto che lo circonda. Pare ancora più alta, dritta così, e sola. Tiene le mani conserte sul petto, sul mantello azzurro, e guarda serio serio.
   Gli apostoli l'osservano. Ma lo lasciano fare senza muoversi né parlare. Devono pensare che Egli si sia isolato per pregare.
   Ma Gesù non prega. Dopo aver lungamente guardato la città in ogni suo rione, in ogni suo poggio, in ogni sua particolarità, talora con lunghi sguardi su questo o quel punto, talaltra con minore insistenza, Gesù si mette a piangere. Senza scosse o rumore. Le lacrime gonfiano l'orbita, poi sgorgano e rotolano sulle guance e cadono... Lacrimoni silenziosi e tanto tristi. Come di chi sa che deve piangere, solo, senza sperare conforto e comprensione da alcuno. Per un dolore che non può essere annullato e che deve essere sofferto, assolutamente.
 5 Il fratello di Giovanni, per la sua posizione, è il primo che vede quel pianto e lo dice agli altri, che si guardano l'un l'altro stupiti.
   «Nessuno di noi ha fatto male», dice uno; e un altro: «Anche la folla non ebbe insulti. Non vi fu fra essa nessuno a Lui nemico». «Perché piange, allora?», chiede il più anziano di tutti.
   Pietro e Giovanni si alzano insieme e si accostano al Maestro. Pensano che l'unica cosa da farsi sia fargli sentire che lo amano e chiedere che ha.
   «Maestro, Tu piangi?», dice Giovanni posando la sua testa bionda sulla spalla di Gesù, che è più alto di lui di tutto il collo e il capo.
   E Pietro, posandogli una mano alla cintura, cingendolo quasi di un abbraccio per attirarlo a sé, gli dice: «Cosa ti addolora, Gesù? Dillo a noi che ti amiamo».
   Gesù appoggia la guancia sulla testa bionda di Giovanni e, disserrando le braccia, passa a sua volta il braccio sulla spalla di Pietro. Restano così abbracciati tutti e tre, in una posa di tanto amore. Ma il pianto continua a gocciare.
   Giovanni, che lo sente scendere fra i suoi capelli, torna a chiedere: «Perché piangi, Maestro mio? Forse da noi ti venne pena?».
   Gli altri apostoli si sono riuniti al gruppo amoroso e ansiosamente attendono una risposta.
«No», dice Gesù. «Non da voi. Voi mi siete amici e l'amicizia, quando è sincera, è balsamo e sorriso, mai pianto.
 6 Vorrei che amici mi rimaneste sempre. Anche ora che entreremo nella corruzione, che fermenta e che corrompe chi non ha volontà decisa di rimanere onesto».
   «Dove andiamo, Maestro? Non a Gerusalemme? La folla ti ha già salutato con letizia. Vuoi Tu deluderla? Andiamo forse in Samaria per qualche prodigio? Proprio ora che la Pasqua è vicina?». Le domande sono fatte da diversi contemporaneamente.
   Gesù alza le mani imponendo silenzio e poi con la destra accenna la città. Un gesto largo come di uno che semini avanti a sé. E dice: «Quella è la Corruzione. Noi entriamo in Gerusalemme. Noi vi entriamo. E solo l'Altissimo sa come vorrei santificarla portandovi la Santità che viene dai Cieli. Risantificarla, questa che dovrebbe essere la Città santa. Ma non potrò farle nulla. Corrotta è e corrotta rimane. E i fiumi di santità che sgorgano dal Tempio vivo, e che ancor più sgorgheranno a giorni sino a lasciarlo vuoto di vita, non saranno sufficienti a redimerla. Verrà al Santo la Samaria e il mondo pagano. Sui templi bugiardi sorgeranno i templi del Dio vero. I cuori dei gentili adoreranno il Cristo. Ma questo popolo, questa città gli sarà sempre nemica, e il suo odio la porterà al più grande peccato.

 7 Ciò deve avvenire. Ma guai a coloro che saranno strumenti di questo delitto. Guai! ... ».
   Gesù guarda fissamente Giuda che gli è quasi di fronte.
   «Ciò a noi non avverrà mai. Noi siamo i tuoi apostoli e crediamo in Te, pronti a morire per Te». Giuda mente spudoratamente e sostiene lo sguardo di Gesù senza impaccio. Gli altri uniscono le loro proteste.
   Gesù risponde a tutti evitando di rispondere a Giuda direttamente.
   «Voglia il Cielo che tali voi siate. Ma molta debolezza è ancora in voi, e la tentazione potrebbe rendervi simili a coloro che mi odiano. Pregate molto e molto vegliate su voi. Satana sa che sta per esser vinto e vuole vendicarsi strappandovi a Me. Satana è intorno a noi tutti. A Me per impedirmi di fare la volontà del Padre e compiere la mia missione. A voi per fare di voi dei suoi servi. Vegliate. Entro quelle mura Satana prenderà colui che non saprà esser forte. Colui per il quale maledizione sarà stato l'esser eletto, perché fece della sua elezione uno scopo umano. Vi ho eletti per il Regno dei Cieli e non per quello del mondo. Ricordatevelo.
 8 E tu, città che vuoi la tua rovina e sulla quale Io piango, sappi che il tuo Cristo prega per la tua redenzione. Oh! se almeno in quest'ora che ti resta tu sapessi venire a Chi sarebbe la tua pace! Almeno comprendessi in quest'ora l'Amore che passa fra te e ti spogliassi dell'odio che ti fa cieca e folle, crudele a te stessa e al tuo bene! Ma verrà il giorno in cui ricorderai quest'ora! Troppo tardi allora per piangere e pentirti! L'Amore sarà passato e scomparso dalle tue strade, e resterà l'Odio che tu hai preferito. E l'Odio sarà verso te, verso i tuoi figli. Poiché si ha ciò che si è voluto, e l'odio si paga con l'odio. E non sarà allora odio di forti contro l'inerme. Ma odio contro odio, e perciò guerra e morte. Stretta da trincee e armati, languirai prima d'esser distrutta e vedrai cadere i tuoi figli per armi e per fame, e i superstiti andare prigionieri e scherniti, e chiederai misericordia, né più la troverai, poiché non hai voluto conoscere la tua Salute. Piango, amici, poiché ho cuore d'uomo e le rovine della patria ne traggono lacrime. Ma ciò è giusto si compia poiché la corruzione supera, fra queste mura, ogni limite e attira il castigo di Dio. Guai ai cittadini causa del male della patria! Guai ai rettori che ne sono la principale causa! Guai a coloro che dovrebbero esser santi per portare gli altri ad essere onesti e invece profanano la Casa del loro ministero e se stessi! Venite. A nulla gioverà la mia azione. Ma facciamo che la Luce splenda ancora una volta fra le Tenebre!».
   E Gesù scende seguito dai suoi. Va velocemente per la via con un viso serio e direi quasi accigliato. Né più parla. Entra in una casetta ai piedi del colle, né vedo più altro.

 9 Dice Gesù:
   «La scena narrata da Luca (19, 41-46) pare senza connessione, quasi illogica. Compiango le sventure di una città colpevole e non so compatire le abitudini di detta città? No. Non le so, non le posso compatire, poiché anzi sono proprio queste abitudini che generano le sventure; e il vederle acutizza il mio dolore. La mia ira sui profanatori del Tempio è logica conseguenza della mia meditazione sulle prossime sventure di Gerusalemme.
   Sono sempre le profanazioni al culto di Dio, alla Legge di Dio, quelle che provocano i castighi del Cielo. Facendo della Casa di Dio una spelonca di ladri, quei sacerdoti indegni e quegli indegni credenti (di nome soltanto) attiravano su tutto il popolo maledizione e morte. Inutile dare questo o quel nome al male che fa soffrire un popolo. Cercate il giusto nome in questo: "Punizione per un vivere da bruti". Dio si ritira e il Male si avanza. Ecco il frutto di una vita nazionale indegna del nome di cristiana.
   Come allora, anche ora, in questo scorcio di secolo, non ho mancato con prodigi di scuotere e richiamare. Ma, come allora, non ho attirato su Me e i miei strumenti che scherno, indifferenza e odio. Singoli e nazioni però ricordino che inutilmente piangono quando avanti non vollero conoscere la loro salvezza. Inutilmente mi invocano quando nell'ora in cui ero con loro mi cacciarono con una guerra sacrilega che, partendo dalle singole coscienze, devote al Male, si sparse per tutta la Nazione. Le Patrie non si salvano tanto con le armi quanto con una forma di vita che attiri le protezioni del Cielo.
   Riposa, piccolo Giovanni. E fa' di esser sempre fedele alla tua elezione. Va' in pace».
   Che fatica! Non ce la faccio proprio...
   
   [30 marzo 1947]
10 Quasi Gesù non fa a tempo ad entrare nella casa benedicendone gli abitanti, quando si sentono un allegro suonar di bubboli e voci a festa. E subito dopo il volto scarno e pallido di Isacco appare nella fessura dell'uscio, e il pastore fedele entra e si prostra davanti al suo Signore Gesù.
   Nell'inquadratura della porta spalancata si pigiano volti e volti e, dietro, altri se ne vedono... Un urtarsi, un pigiarsi, un voler farsi largo... Qualche grido di donna, qualche pianto di bambino preso in mezzo alla ressa, e grida di saluto, esclamazioni a festa: «Felice questo giorno che a noi ti riporta! La pace a Te, Signore! Ben torni, o Maestro, a premiare la nostra fedeltà».
   Gesù si alza in piedi e fa gesto di parlare. Tacciono tutti e netta si sente la voce di Gesù.
   «Pace a voi! Non vi accalcate. Ora saliremo insieme al Tempio. Sono venuto per stare con voi. Pace! Pace! Non fatevi male. Fate largo, miei diletti! Lasciatemi uscire e seguitemi, ché entreremo insieme nella Città santa».

11 La gente, bene o male, ubbidisce, e si fa un poco di largo, tanto che Gesù possa uscire e montare sull'asinello. Perché Gesù indica il puledro, sino allora mai cavalcato, come sua cavalcatura, e allora dei ricchi pellegrini, che si pigiano fra la folla, stendono sulla groppa di questo i loro sontuosi mantelli, e uno si pone con un ginocchio a terra e l'altro a far da gradino al Signore, che siede sulla groppa del puledro d'asina, e il viaggio si inizia, mentre Pietro cammina a un lato del Maestro e Isacco dall'altro, tenendo le briglie della bestia non doma, che però procede tranquilla come fosse usa a quell'ufficio, senza imbizzarrirsi o spaventarsi dei fiori che, gettati come sono verso Gesù, colpiscono sovente la bestiola negli occhi e sul morbido muso, né dei rami di ulivo e delle foglie di palma agitate davanti e intorno ad esso, gettate in terra a far tappeto coi fiori, né dei gridi sempre più forti di: «Osanna, Figlio di Davide!», che salgono al cielo sereno, mentre la folla sempre più infittisce e si accresce per nuovi venuti.
   Passare da Betfage, fra le viette strette e contorte, non è facile cosa, e le madri devono prendere in braccio i bambini, e gli uomini proteggere le donne da urti troppo violenti, e qualche padre si pone sulle spalle a cavalluccio il figliolino e lo porta alto sulla folla così, mentre le vocine dei bimbi sembrano belati di agnelli o stridi di rondini e le loro manine gettano fiori e foglie d'ulivo, che le madri porgono, e baci anche, al mite Gesù...
   Usciti dalla strettoia della piccola borgata, il corteo si ordina e distende, e molti volonterosi vanno avanti a far da battistrada per preparare sgombra la via, e altri li seguono spargendo di rami il suolo, e uno per primo getta il suo mantello a far da tappeto, e un altro, e quattro, e dieci, e cento, e mille lo imitano. La via ha al centro una striscia multicolore di vesti stese al suolo e, passato Gesù, le vesti sono raccolte e portate più avanti, con altre, con altre, e sempre fiori, rami, foglie di palma vengono agitati e gettati, e gridi più forti vengono innalzati intorno e in onore del Re d'Israele, al Figlio di Davide, al suo Regno!

12 I soldati di guardia alla porta escono a vedere che cosa succede. Ma non è sedizione, ed essi, appoggiati alle loro lance, si fanno da lato, osservando stupiti o ironici lo strano corteo di quel Re che cavalca un puledro d'asina, bello come un dio, umile come il più povero degli uomini, mite, benedicente... circondato da donne e bambini e da uomini disarmati gridanti: «Pace! Pace!», di questo Re che, prima di entrare nella città, sosta un momento all'altezza dei sepolcri dei lebbrosi di Innon e di Siloan (credo di dire bene questi luoghi, dove ho visto miracoli di lebbrosi altre volte) e, puntandosi sull'unica staffa in cui poggia il suo piede, essendo seduto sull'asino, non a cavallo dell'asino, si alza in piedi e apre le braccia gridando in direzione di quelle pendici orrende (dove volti e corpi paurosi si affacciano guardando verso Gesù e alzano il grido lamentoso dei lebbrosi: «Siamo infetti!», a respingere degli imprudenti che, pur di vedere bene Gesù, salirebbero anche sui corrotti e infetti scaglioni): «Chi ha fede in Me invochi il mio Nome ed abbia salute per quello! », e benedice riprendendo il cammino e ordinando a Giuda di Keriot: «Comprerai cibi per i lebbrosi e con Simone li porterai ad essi avanti sera».


13 Quando il corteo entra sotto la volta della porta di Siloan e poi, come un torrente, si riversa entro la città passando per il borgo di Ofel - nel quale ogni terrazza è divenuta una piccola aerea piazza colma di popolo osannante, che getta fiori e rovescia profumi giù, nella via, cercando di gettarli sul Maestro, e l'aria è satura dell'odore dei fiori morenti sotto i passi delle turbe e di essenze che si spargono nell'aria prima di cadere fra la polvere della via - il grido della folla sembra aumentare e farsi forte, come ognuno lo urlasse in una buccina, perché i numerosi archivolti dei quali è piena Gerusalemme lo amplificano con risonanze continue.
   Sento gridare, e credo voglia dire ciò che dicono gli evangelisti: (Matteo 21, 9; Marco 11, 9-10; Luca 19, 37-38; Giovanni 12, 12-13) «Scialem, Scialem melchil! », (o malchit: cerco di rendere il suono delle parole, ma è difficile, perché hanno aspirazioni che noi non abbiamo). Un grido continuo, simile all'urlo di un mare in tempesta, nel quale non è ancora caduto il fragor del maroso che schiaffeggia spiagge e scogliere che un altro maroso lo raccoglie e rialza in novello fragore, senza tregua mai. Ne sono assordita!
   Profumi, odori, gridi, agitarsi di rami e di vesti, colori, urli... È una visione che sbalordisce.
14 Vedo rimescolarsi continuamente la folla, apparire e sparire volti conosciuti: tutti i discepoli di tutti i luoghi di Palestina, tutti i seguaci... Vedo per un attimo Giairo, vedo Jaia il giovinetto di Pella (mi pare) che era cieco come sua madre e che Gesù guarì, vedo Gioacchino di Bozra e quel contadino del piano di Saron coi fratelli, vedo il vecchio e solitario Mattia di quel luogo presso il Giordano (sponda orientale) presso il quale Gesù si rifugiò mentre tutto era inondato, vedo Zaccheo con i suoi amici convertiti, vedo il vecchio Giovanni di Nobe con quasi tutti i cittadini, vedo il marito di Sara di Jutta... Ma chi può tener dietro a volti e nomi, se è un caleidoscopio di visi noti e ignoti, veduti più volte o una sola?... Ecco ora il viso del pastorello preso a Ennon. E, vicino a lui, il discepolo di Corozim che lasciò di seppellire il padre per seguire Gesù; e vicino a lui, per un momento, il padre e la madre di Beniamino di Cafarnao col loro figliolo, che per poco cade sotto le zampe dell'asinello per gettarsi avanti e ricevere una carezza di Gesù.

15 E - purtroppo! - volti di farisei e di scribi, lividi di ira per questo trionfo, che fendono prepotenti il cerchio di amore che si stringe intorno a Gesù e gli urlano: «Fa' tacere questi pazzi! Richiamali alla ragione! Solo Dio va osannato. Di' che tacciano! ».
   Al che Gesù risponde dolcemente: «Anche se Io lo dicessi di tacere e questi mi ubbidissero, le pietre griderebbero i prodigi del Verbo di Dio».
   Perché infatti la gente - oltre che gridare: «Osanna, osanna al Figlio di Davide! Benedetto Colui che viene nel nome del Signore. Osanna a Lui e al suo Regno! Dio è con noi! L'Emmanuele è venuto. È venuto il Regno del Cristo del Signore! Osanna! Osanna dalla Terra sino all'alto dei Cieli! Pace! Pace, mio Re! Pace e benedizione a Te, Re santo! Pace e gloria nei Cieli e in Terra! Gloria a Dio per il suo Cristo! Pace agli uomini che lo sanno accogliere. Pace in Terra agli uomini di buona volontà e gloria nei Cieli altissimi, perché l'ora del Signore è venuta» (e chi grida quest'ultimo grido è il gruppo compatto dei pastori che ripetono il grido natalizio) - oltre questi gridi continui, la gente di Palestina narra ai pellegrini della Diaspora i miracoli che hanno visto, e a chi non sa ciò che avviene, perché straniero di passaggio fortuitamente dalla città e che chiede: «Ma chi è Costui? Che avviene?», spiegano: «È Gesù! Gesù, il Maestro di Nazaret di Galilea! Il Profeta! Il Messia del Signore! Il Promesso! Il Santo!».
   Da una casa, e da poco è sorpassata la porta perché l'andare è lentissimo in tanta confusione, esce un gruppo di robusti giovani portando alti dei vasi di rame pieni di carboni accesi e di incenso, che arde spargendo nubi di fumo odoroso. E il gesto è raccolto e ripetuto, e molti corrono avanti o tornano indietro, alle case, per farsi dare fuoco e resine odorose da ardere in omaggio del Cristo.

16 La casa di Annalia appare. La terrazza, inghirlandata di vite dalle foglie novelle tremolanti ad un mite vento di aprile, ha sul lato della via tutta una fila di giovinette biancovestite e biancovelate, al centro delle quali è Annalia, con cesti di petali di rose sfogliate e di mughetti che già volteggiano nell'aria.
   «Le vergini di Israele ti salutano, Signore! », dice Giovanni, che si è fatto largo ed è ora al fianco di Gesù, attirando la sua attenzione sulla ghirlanda di purezza che si sporge sorridendo dal parapetto a spargere la via di petali rossi come sangue e di mughetti bianchi come perle.
   Gesù trattiene per un attimo le redini e arresta il puledro d'asina. Alza il volto e la mano a benedire quella verginità di Lui innamorata sino a rinunciare ad ogni altro amore terreno.
   E Annalia si protende e grida: «Il tuo trionfo io l'ho visto, o mio Signore! Prendi la mia vita per la tua glorificazione universale!», e con un grido altissimo, mentre Gesù passa sotto la sua casa e procede, lo saluta: «Gesù!».
   E un altro, diverso grido, supera il clamore delle turbe. Ma la gente, pur sentendolo, non si arresta. È un fiume di entusiasmo, un fiume di popolo in delirio che non può sostare. E mentre le ultime onde di questo fiume sono ancor fuori della porta, le prime onde già assalgono le salite che conducono al Tempio.

17 «Tua Madre! », grida Pietro accennando ad una casa quasi all'angolo di una via che sale al Moria e per la quale si incanala il corteo. E Gesù alza il volto a sorridere a sua Madre, che è lassù fra le donne fedeli.
   L'intoppo di una numerosa carovana arresta il corteo pochi metri dopo che la casa è superata. E mentre Gesù sosta con gli altri, carezzando i bambini che le madri gli porgono, accorre un uomo e si fa largo urlando: «Lasciatemi passare! Una donna è morta. Una fanciulla. All'improvviso. La madre invoca il Maestro. Lasciatemi passare! Egli già l'ha salvata una volta!».
   La gente fa largo e l'uomo corre presso Gesù: «Maestro, la figlia di Elisa è morta. Ti ha salutato con quel grido, poi si è piegata indietro dicendo: "Io son felice" ed è spirata. Il suo cuore si è franto nel gran tripudio di vederti trionfante. Sua madre mi ha visto sulla terrazza accanto alla sua casa e mi ha mandato a chiamarti. Vieni, Maestro!».
   «Morta! Morta Annalia! Ma se era sana, florida, felice solo ieri?». Gli apostoli si affollano agitati, i pastori pure. Tutti l'hanno vista ieri in perfetta salute. Poco fa l'hanno vista rosea, ridente... Non si capacitano della sciagura... Chiedono, domandano i particolari...
   «Non so. Tutti avete sentito le sue parole. Parlava forte, sicura. Poi la vidi piegarsi indietro più bianca delle sue vesti e udii gridare la madre... Altro non so».
18 «Non vi agitate. Non è morta. È caduto un fiore e gli angeli di Dio lo hanno raccolto per portarlo in seno ad Abramo. Presto il giglio della Terra si aprirà felice in Paradiso, ignorando per sempre l'orrore del mondo. Uomo, di' ad Elisa che non pianga la sorte della sua creatura. Dille che essa ebbe una grande grazia da Dio e che fra sei giorni comprenderà qual grazia Dio fece alla figlia sua. Non piangete. Non pianga nessuno. Il suo trionfo è ancor più grande del mio, perché alla vergine fanno corteo gli angeli per condurla alla pace dei giusti. Ed è trionfo eterno che salirà di grado senza mai conoscere discesa. In verità vi dico che per voi tutti, ma non per Annalia, avete ragione di piangere. Andiamo». E ripete agli apostoli e a chi lo circonda: «È caduto un fiore. Si è adagiato in pace e gli angeli lo hanno raccolto. Beata la pura di carne e cuore perché presto vedrà Iddio».
   «Ma come, di che è morta, Signore?», chiede Pietro che non si capacita.
   «D'amore. D'estasi. Di gaudio infinito. Felice morte! ».
   Chi è molto avanti non sa, chi è molto indietro non sa. E perciò gli osanna continuano anche se qui, presso a Gesù, si è fatto un cerchio di pensoso silenzio.
   È Giovanni che lo rompe: «Oh! vorrei la stessa sorte prima delle ore future!».
   «Io pure», dice Isacco. «Vorrei vedere il volto della fanciulla morta d'amore per Te...».
   «Vi prego di sacrificarmi il vostro desiderio. Ho bisogno della vostra vicinanza...».
   «Non ti lasceremo, Signore. Ma a quella madre non un conforto?», chiede Natanaele.
   «Provvederò ad esso...».

19 Sono alle porte della cinta del Tempio. Gesù scende dall'asinello, che uno di Betfage prende in custodia.
   Occorre tenere presente che Gesù non si è fermato alla prima porta del Tempio, ma ha costeggiato la cinta, fermandosi soltanto quando è sul lato nord della cinta, vicino all'Antonia. È là che scende ed entra nel Tempio, come per far vedere che non si nasconde al potere dominante, sentendosi innocente in ogni sua azione.
   Il primo cortile del Tempio mostra la solita gazzarra di cambiavalute e venditori di colombe, passeri e agnelli, soltanto che ora i venditori sono lasciati in asso perché tutti sono accorsi a vedere Gesù. E Gesù entra, solenne nella sua veste porpurea, e gira lo sguardo su quel mercato e su un gruppo di farisei e scribi che lo osservano da sotto un portico.
   Il suo volto sfolgora di sdegno. Balza al centro del cortile. Uno scatto improvviso che pare un volo. Il volo di una fiamma, ché di fiamma è la sua veste nel sole che inonda il cortile. E tuona con una voce potente: «Via dalla casa del Padre mio! Non è questo luogo di usura e di mercato. Sta scritto: (Isaia 56, 7; Geremia 7, 11) "La mia casa sarà chiamata casa di orazione". Perché dunque l'avete mutata in spelonca di ladroni, questa casa nella quale è invocato il Nome del Signore? Via! Mondate la mia Casa. Che non vi avvenga che, in luogo di usar le funi, Io vi colpisca con i fulmini dell'ira celeste. Via! Fuori di qui i ladri, i barattieri, gli impudichi, gli omicidi, i sacrileghi, gli idolatri della peggiore idolatria, quella del proprio io superbo, i corruttori e i menzogneri. Fuori! Fuori! O che Dio altissimo, Io ve lo dico, spazzerà per sempre questo luogo e farà le sue vendette su tutto un popolo».
   Non ripete la fustigazione dell'altra volta, ma, visto che mercanti e cambiavalute stentano ad ubbidire, va al banco più vicino e lo ribalta spargendo bilance e monete al suolo.
   I venditori e i cambiavalute si affrettano a porre in atto l'ordine di Gesù, dopo che hanno avuto questo primo esempio. E Gesù grida dietro a loro: «E quante volte dovrò dire che questo luogo non deve essere luogo d'immondezza ma di preghiera?». E guarda quelli del Tempio che, ubbidienti agli ordini ponteficali, non fanno un gesto di rappresaglia.

20 Mondato il cortile, Gesù va verso i portici dove sono raccolti ciechi, paralitici, muti, storpi e altri malati, che lo invocano a gran voce.
   «Che volete voi che Io vi faccia?».
   «La vista, Signore! Le membra! Che mio figlio parli! Che mia moglie risani. Noi crediamo in Te, Figlio di Dio!».
   «Dio vi ascolti. Sorgete e osannate al Signore!».
   Non cura uno per uno i molti malati. Ma fa un gesto largo con la mano, e grazia e salute scende da essa sugli infelici, che sorgono sani con gridi di giubilo che si mescolano a quelli dei molti bambini, che si stringono a Lui ripetendo: «Gloria, gloria al Figlio di Davide! Osanna a Gesù Nazareno, Re dei re e Signore dei signori!».
   Dei farisei, con finta deferenza, gli gridano: «Maestro, li senti? Questi fanciulli dicono ciò che non va detto. Riprendili! Che tacciano!».
   «E perché? Il re profeta, il re della mia stirpe, non ha forse detto: (Salmo 8, 3) "Dalla bocca dei fanciulli e dei lattanti hai fatto sgorgare la lode perfetta, a confusione dei tuoi nemici"? Non avete letto queste parole del salmista? Lasciate che i pargoli dicano le mie lodi. Sono loro suggerite dai loro angeli, che vedono costantemente il Padre mio e ne sanno i segreti e li suggeriscono a questi innocenti. Ora lasciatemi tutti andare ad orare al Signore», e passando davanti alla gente passa nell'atrio degli Israeliti per pregare...
   E poi, uscendo per un'altra porta, rasentando la piscina Probatica, esce dalla città tornando sui colli del monte Uliveto.

21 Gli apostoli sono entusiasti... Il trionfo li ha fatti sicuri e dimentichi, completamente dimentichi di tutti i terrori che le parole del Maestro avevano suscitato... Parlano di tutto... Ardono di sapere di Annalia. A stento Gesù li trattiene dall'andare, assicurando che provvederà in modo che sa Lui... Sordi, sordi, sordi ad ogni voce d'avviso divino... Uomini, uomini, uomini, che un grido di osanna smemora da ogni cosa...
   Gesù parla ai servi di Maria di Magdala, che lo hanno raggiunto al Tempio, e poi li licenzia...
   «E ora dove andiamo?», chiede Filippo.
   «A casa di Marco di Giona?», dice Giovanni.
   «No. Al campo dei Galilei. Forse saranno venuti i miei fratelli e vorrei salutarli», dice Gesù.
   «Lo potrai fare domani», gli osserva il Taddeo.
   «Buona cosa è fare mentre si può fare. Andiamo dai Galilei. Saranno contenti di vederci. Voi avrete notizie delle famiglie. Io vedrò i bambini...».
   «E questa sera? Dove dormiremo? In città? In che luogo? Dove è tua Madre? O da Giovanna?», chiede Giuda Iscariota.
   «Non so. Certo non in città. Forse ancora sotto qualche tenda galilea...».
   «Ma perché?».
   «Perché sono il Galileo e amo la patria mia. Andiamo».
   Si rimettono in cammino salendo verso il campo dei Galilei, che è sull'Uliveto verso Betania e che è tutto un biancheggiare di tende al lieto sole d'aprile.

 22 Dice Gesù: 
«Mia paziente segretaria, metti qui la visione:
“La sera della Domenica delle Palme” (4 marzo 1945); e la mia pace sia con te».

S. Alfonso pittore

Maria Giglio della Trinità”: Domini Sacrarium, Nobile Triclinium ...
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