domenica 5 aprile 2020

Il pianto su Gerusalemme e l’entrata trionfale nella Città santa.

VOLUME IX CAPITOLO 590


L'ingresso di Gesù a Gerusalemme – tra BIBBIA e ARTE – Un ...

DXC. Il pianto su Gerusalemme e l’entrata trionfale nella Città santa. Morte di Annalia.

   30 marzo 1947.
 1 Gesù passa il suo braccio sulle spalle di sua Madre, che si è alzata quando Giovanni e Giacomo d'Alfeo l'hanno raggiunta per dirle: «Tuo Figlio viene», e poi sono tornati indietro per riunirsi ai compagni che procedono lentamente, parlando, mentre Tommaso e Andrea sono corsi verso Betfage per cercare l'asina e l'asinello e condurli a Gesù.
   Gesù intanto parla alle donne. «Eccoci presso alla città. Io vi consiglio di andare. E andare sicure. Entrate prima di Me in città. Presso En Rogel sono tutti i pastori e i più fidi discepoli. Hanno ordine di farvi scorta e protezione».
   «È che... Abbiamo parlato con Aser di Nazaret e Abele di Betlemme di Galilea e anche con Salomon. Erano venuti fin qui per spiare il tuo arrivo. La folla prepara gran festa. E noi si voleva vedere... Vedi come si scuotono le cime degli ulivi? Non è vento che le agita così. Ma è la gente che coglie rami per spargerne la via e farti velo al sole. E là?! Guarda là, stanno spogliando le palme dei loro ventagli. Sembrano grappoli e sono uomini saliti sui fusti a cogliere e cogliere... E, sui pendii, vedi curvi i bambini a cogliere fiori. E le donne certo spogliano orti e giardini da corolle e da erbe odorose per giuncarti il cammino di fiori. Noi si voleva vedere... e imitare il gesto di Maria di Lazzaro, che raccolse tutti i fiori premuti dal tuo piede quando entrasti nel giardino di Lazzaro», prega Maria Cleofe per tutte.
   Gesù carezza sulla guancia la sua vecchia parente, che sembra una bambina vogliosa di vedere uno spettacolo, e le dice: «Nella gran folla non vedresti nulla. Andate avanti. Alla casa di Lazzaro, quella che ha per custode Mattia. Passerò di là e mi vedrete dall'alto».
   «Figlio mio... e vai solo? Non posso starti vicino?», dice Maria alzando il volto così triste e fissando i suoi occhi di cielo sul suo dolce Figlio.
   «Vorrei pregarti di stare nascosta. Come la colomba nella fessura della rupe. Più della tua presenza mi è necessaria la tua preghiera, Mamma diletta! ».
   «Se è così, Figlio mio, noi pregheremo. Tutte. Per Te».
   «Sì. Dopo averlo visto passare, verrete con noi nel mio palazzo di Sion. E io manderò dei servi al Tempio e sempre dietro al Maestro, perché essi ci portino i suoi ordini e le sue notizie», decide Maria di Lazzaro, sempre rapida nell'afferrare ciò che è il migliore da farsi e a farlo senza indugio.
   «Hai ragione, sorella. Benché mi dolga non seguirlo, comprendo la giustizia dell'ordine. E, del resto, Lazzaro ci ha detto di non contraddire il Maestro in cosa alcuna, ma di ubbidirlo anche nelle cose più tenui. E lo faremo».
   «E allora andate. Vedete? Le vie si animano. Stanno per raggiungermi gli apostoli. Andate. La pace sia con voi. Vi farò venire nelle ore che giudicherò buone. Mamma, addio. Abbi pace. Dio è con noi». La bacia e congeda. E le ubbidienti discepole se ne vanno sollecite.


 2 I dieci apostoli raggiungono Gesù. «Le hai mandate avanti?».
   «Sì. Vedranno da una casa la mia entrata».
   «Da quale casa?», chiede Giuda di Keriot.
   «Eh! sono ormai tante le case amiche!», dice Filippo. 
   «Non da Annalia?», insiste l'Iscariota.
   Gesù risponde negativamente e si incammina verso Betfage, che è poco lontana.
   Gli è prossimo quando tornano indietro i due mandati a prendere l'asina e l'asinello. Gridano: «Abbiamo trovato come Tu hai detto e ti avremmo condotto gli animali. Ma il padrone di essi volle strigliarli e ornarli delle migliori bardature per onorarti. E i discepoli, uniti a quelli che hanno passato la notte nelle vie di Betania per onorarti, vogliono avere l'onore di condurteli, e noi abbiamo annuito. Ci è parso che il loro amore meritasse un premio».
   «Avete fatto bene. Andiamo avanti, intanto».
   «Sono molti i discepoli?», chiede Bartolomeo.
   «Oh! una moltitudine. Non si riesce a penetrare per le vie di Betfage. Per questo ho detto a Isacco di condurre l'asino da Cleante il formaggiaio», risponde Tommaso.
   «Hai fatto bene. Andiamo sino a quel balzo del colle. E attendiamo un poco all'ombra di quegli alberi».      Vanno dove Gesù indica.
   «Ma ci allontaniamo! Tu superi Betfage girandola alle spalle!», esclama l'Iscariota.
   «E se voglio farlo, chi me lo può proibire? Sono forse già prigioniero, che non mi sia lecito di andare dove voglio? E c'è forse fretta che Io lo sia e si teme che Io possa sfuggire alla cattura? E se giudicassi giusto di allontanarmi per luoghi più sicuri, c'è alcuno che lo potrebbe impedire?». Gesù dardeggia i suoi occhi sul Traditore, che non apre più bocca e si stringe nelle spalle come per dire: «Fa' ciò che ti pare».
   Girano infatti dietro alle spalle del paesello, direi un sobborgo della stessa città, perché dal lato ovest è proprio poco lontano dalla città, facente già parte delle pendici dell'Uliveto che corona Gerusalemme nel lato orientale. In basso, fra le pendici e la città, il Cedron brilla al sole d'aprile.
   Gesù si siede in quel silenzio verde e si concentra nei suoi pensieri. Poi si alza e va proprio sul ciglio del balzo.

 3 Dice Gesù: «Qui metterai la visione del 31 luglio 1944 : "Gesù che piange su Gerusalemme" dalla frase che ti ho detta per inizio di visione.» E poi riprende a mostrami le fasi dela sua entrata trionfale.
 

30 luglio  
4 Non so come farò a descrivere, perché mi sento tanto male di cuore che non sto seduta che a fatica. Ma tanto è così. Devo scrivere ciò che vedo.
   Mi si illumina il Vangelo di oggi, 9a domenica dopo la Pentecoste.
   Da un poggio presso Gerusalemme Gesù guarda la città stesa ai suoi piedi. 
   Non è un poggio molto alto. Al massimo come può esserlo il piazzale di S. Miniato a monte, a Firenze; ma basta perché l'occhio domini sulla distesa di tutte le case e delle vie, che salgono e scendono su e giù per le piccole elevazioni di terreno che costituiscono Gerusalemme. Questo colle è certo molto più alto, se si prende il livello più basso della città, di quanto non sia il Calvario, ma è più vicino alla cinta di quello. Proprio ha inizio appena fuori delle mura e si alza con un balzo ripido dalla parte delle stesse, mentre dall'altra scende mollemente verso una campagna tutta verde che si stende verso est. Almeno mi pare l'oriente, se giudico bene la luce solare.
   Gesù e i suoi sono sotto un ciuffo di alberi, all'ombra, seduti. Si riposano del cammino fatto. Poi Gesù si alza, lascia lo spiazzo alberato dove erano seduti e si porta proprio sul ciglio del balzo. La sua alta persona si staglia netta sul vuoto che lo circonda. Pare ancora più alta, dritta così, e sola. Tiene le mani conserte sul petto, sul mantello azzurro, e guarda serio serio.
   Gli apostoli l'osservano. Ma lo lasciano fare senza muoversi né parlare. Devono pensare che Egli si sia isolato per pregare.
   Ma Gesù non prega. Dopo aver lungamente guardato la città in ogni suo rione, in ogni suo poggio, in ogni sua particolarità, talora con lunghi sguardi su questo o quel punto, talaltra con minore insistenza, Gesù si mette a piangere. Senza scosse o rumore. Le lacrime gonfiano l'orbita, poi sgorgano e rotolano sulle guance e cadono... Lacrimoni silenziosi e tanto tristi. Come di chi sa che deve piangere, solo, senza sperare conforto e comprensione da alcuno. Per un dolore che non può essere annullato e che deve essere sofferto, assolutamente.
 5 Il fratello di Giovanni, per la sua posizione, è il primo che vede quel pianto e lo dice agli altri, che si guardano l'un l'altro stupiti.
   «Nessuno di noi ha fatto male», dice uno; e un altro: «Anche la folla non ebbe insulti. Non vi fu fra essa nessuno a Lui nemico». «Perché piange, allora?», chiede il più anziano di tutti.
   Pietro e Giovanni si alzano insieme e si accostano al Maestro. Pensano che l'unica cosa da farsi sia fargli sentire che lo amano e chiedere che ha.
   «Maestro, Tu piangi?», dice Giovanni posando la sua testa bionda sulla spalla di Gesù, che è più alto di lui di tutto il collo e il capo.
   E Pietro, posandogli una mano alla cintura, cingendolo quasi di un abbraccio per attirarlo a sé, gli dice: «Cosa ti addolora, Gesù? Dillo a noi che ti amiamo».
   Gesù appoggia la guancia sulla testa bionda di Giovanni e, disserrando le braccia, passa a sua volta il braccio sulla spalla di Pietro. Restano così abbracciati tutti e tre, in una posa di tanto amore. Ma il pianto continua a gocciare.
   Giovanni, che lo sente scendere fra i suoi capelli, torna a chiedere: «Perché piangi, Maestro mio? Forse da noi ti venne pena?».
   Gli altri apostoli si sono riuniti al gruppo amoroso e ansiosamente attendono una risposta.
«No», dice Gesù. «Non da voi. Voi mi siete amici e l'amicizia, quando è sincera, è balsamo e sorriso, mai pianto.
 6 Vorrei che amici mi rimaneste sempre. Anche ora che entreremo nella corruzione, che fermenta e che corrompe chi non ha volontà decisa di rimanere onesto».
   «Dove andiamo, Maestro? Non a Gerusalemme? La folla ti ha già salutato con letizia. Vuoi Tu deluderla? Andiamo forse in Samaria per qualche prodigio? Proprio ora che la Pasqua è vicina?». Le domande sono fatte da diversi contemporaneamente.
   Gesù alza le mani imponendo silenzio e poi con la destra accenna la città. Un gesto largo come di uno che semini avanti a sé. E dice: «Quella è la Corruzione. Noi entriamo in Gerusalemme. Noi vi entriamo. E solo l'Altissimo sa come vorrei santificarla portandovi la Santità che viene dai Cieli. Risantificarla, questa che dovrebbe essere la Città santa. Ma non potrò farle nulla. Corrotta è e corrotta rimane. E i fiumi di santità che sgorgano dal Tempio vivo, e che ancor più sgorgheranno a giorni sino a lasciarlo vuoto di vita, non saranno sufficienti a redimerla. Verrà al Santo la Samaria e il mondo pagano. Sui templi bugiardi sorgeranno i templi del Dio vero. I cuori dei gentili adoreranno il Cristo. Ma questo popolo, questa città gli sarà sempre nemica, e il suo odio la porterà al più grande peccato.

 7 Ciò deve avvenire. Ma guai a coloro che saranno strumenti di questo delitto. Guai! ... ».
   Gesù guarda fissamente Giuda che gli è quasi di fronte.
   «Ciò a noi non avverrà mai. Noi siamo i tuoi apostoli e crediamo in Te, pronti a morire per Te». Giuda mente spudoratamente e sostiene lo sguardo di Gesù senza impaccio. Gli altri uniscono le loro proteste.
   Gesù risponde a tutti evitando di rispondere a Giuda direttamente.
   «Voglia il Cielo che tali voi siate. Ma molta debolezza è ancora in voi, e la tentazione potrebbe rendervi simili a coloro che mi odiano. Pregate molto e molto vegliate su voi. Satana sa che sta per esser vinto e vuole vendicarsi strappandovi a Me. Satana è intorno a noi tutti. A Me per impedirmi di fare la volontà del Padre e compiere la mia missione. A voi per fare di voi dei suoi servi. Vegliate. Entro quelle mura Satana prenderà colui che non saprà esser forte. Colui per il quale maledizione sarà stato l'esser eletto, perché fece della sua elezione uno scopo umano. Vi ho eletti per il Regno dei Cieli e non per quello del mondo. Ricordatevelo.
 8 E tu, città che vuoi la tua rovina e sulla quale Io piango, sappi che il tuo Cristo prega per la tua redenzione. Oh! se almeno in quest'ora che ti resta tu sapessi venire a Chi sarebbe la tua pace! Almeno comprendessi in quest'ora l'Amore che passa fra te e ti spogliassi dell'odio che ti fa cieca e folle, crudele a te stessa e al tuo bene! Ma verrà il giorno in cui ricorderai quest'ora! Troppo tardi allora per piangere e pentirti! L'Amore sarà passato e scomparso dalle tue strade, e resterà l'Odio che tu hai preferito. E l'Odio sarà verso te, verso i tuoi figli. Poiché si ha ciò che si è voluto, e l'odio si paga con l'odio. E non sarà allora odio di forti contro l'inerme. Ma odio contro odio, e perciò guerra e morte. Stretta da trincee e armati, languirai prima d'esser distrutta e vedrai cadere i tuoi figli per armi e per fame, e i superstiti andare prigionieri e scherniti, e chiederai misericordia, né più la troverai, poiché non hai voluto conoscere la tua Salute. Piango, amici, poiché ho cuore d'uomo e le rovine della patria ne traggono lacrime. Ma ciò è giusto si compia poiché la corruzione supera, fra queste mura, ogni limite e attira il castigo di Dio. Guai ai cittadini causa del male della patria! Guai ai rettori che ne sono la principale causa! Guai a coloro che dovrebbero esser santi per portare gli altri ad essere onesti e invece profanano la Casa del loro ministero e se stessi! Venite. A nulla gioverà la mia azione. Ma facciamo che la Luce splenda ancora una volta fra le Tenebre!».
   E Gesù scende seguito dai suoi. Va velocemente per la via con un viso serio e direi quasi accigliato. Né più parla. Entra in una casetta ai piedi del colle, né vedo più altro.

 9 Dice Gesù:
   «La scena narrata da Luca (19, 41-46) pare senza connessione, quasi illogica. Compiango le sventure di una città colpevole e non so compatire le abitudini di detta città? No. Non le so, non le posso compatire, poiché anzi sono proprio queste abitudini che generano le sventure; e il vederle acutizza il mio dolore. La mia ira sui profanatori del Tempio è logica conseguenza della mia meditazione sulle prossime sventure di Gerusalemme.
   Sono sempre le profanazioni al culto di Dio, alla Legge di Dio, quelle che provocano i castighi del Cielo. Facendo della Casa di Dio una spelonca di ladri, quei sacerdoti indegni e quegli indegni credenti (di nome soltanto) attiravano su tutto il popolo maledizione e morte. Inutile dare questo o quel nome al male che fa soffrire un popolo. Cercate il giusto nome in questo: "Punizione per un vivere da bruti". Dio si ritira e il Male si avanza. Ecco il frutto di una vita nazionale indegna del nome di cristiana.
   Come allora, anche ora, in questo scorcio di secolo, non ho mancato con prodigi di scuotere e richiamare. Ma, come allora, non ho attirato su Me e i miei strumenti che scherno, indifferenza e odio. Singoli e nazioni però ricordino che inutilmente piangono quando avanti non vollero conoscere la loro salvezza. Inutilmente mi invocano quando nell'ora in cui ero con loro mi cacciarono con una guerra sacrilega che, partendo dalle singole coscienze, devote al Male, si sparse per tutta la Nazione. Le Patrie non si salvano tanto con le armi quanto con una forma di vita che attiri le protezioni del Cielo.
   Riposa, piccolo Giovanni. E fa' di esser sempre fedele alla tua elezione. Va' in pace».
   Che fatica! Non ce la faccio proprio...
   
   [30 marzo 1947]
10 Quasi Gesù non fa a tempo ad entrare nella casa benedicendone gli abitanti, quando si sentono un allegro suonar di bubboli e voci a festa. E subito dopo il volto scarno e pallido di Isacco appare nella fessura dell'uscio, e il pastore fedele entra e si prostra davanti al suo Signore Gesù.
   Nell'inquadratura della porta spalancata si pigiano volti e volti e, dietro, altri se ne vedono... Un urtarsi, un pigiarsi, un voler farsi largo... Qualche grido di donna, qualche pianto di bambino preso in mezzo alla ressa, e grida di saluto, esclamazioni a festa: «Felice questo giorno che a noi ti riporta! La pace a Te, Signore! Ben torni, o Maestro, a premiare la nostra fedeltà».
   Gesù si alza in piedi e fa gesto di parlare. Tacciono tutti e netta si sente la voce di Gesù.
   «Pace a voi! Non vi accalcate. Ora saliremo insieme al Tempio. Sono venuto per stare con voi. Pace! Pace! Non fatevi male. Fate largo, miei diletti! Lasciatemi uscire e seguitemi, ché entreremo insieme nella Città santa».

11 La gente, bene o male, ubbidisce, e si fa un poco di largo, tanto che Gesù possa uscire e montare sull'asinello. Perché Gesù indica il puledro, sino allora mai cavalcato, come sua cavalcatura, e allora dei ricchi pellegrini, che si pigiano fra la folla, stendono sulla groppa di questo i loro sontuosi mantelli, e uno si pone con un ginocchio a terra e l'altro a far da gradino al Signore, che siede sulla groppa del puledro d'asina, e il viaggio si inizia, mentre Pietro cammina a un lato del Maestro e Isacco dall'altro, tenendo le briglie della bestia non doma, che però procede tranquilla come fosse usa a quell'ufficio, senza imbizzarrirsi o spaventarsi dei fiori che, gettati come sono verso Gesù, colpiscono sovente la bestiola negli occhi e sul morbido muso, né dei rami di ulivo e delle foglie di palma agitate davanti e intorno ad esso, gettate in terra a far tappeto coi fiori, né dei gridi sempre più forti di: «Osanna, Figlio di Davide!», che salgono al cielo sereno, mentre la folla sempre più infittisce e si accresce per nuovi venuti.
   Passare da Betfage, fra le viette strette e contorte, non è facile cosa, e le madri devono prendere in braccio i bambini, e gli uomini proteggere le donne da urti troppo violenti, e qualche padre si pone sulle spalle a cavalluccio il figliolino e lo porta alto sulla folla così, mentre le vocine dei bimbi sembrano belati di agnelli o stridi di rondini e le loro manine gettano fiori e foglie d'ulivo, che le madri porgono, e baci anche, al mite Gesù...
   Usciti dalla strettoia della piccola borgata, il corteo si ordina e distende, e molti volonterosi vanno avanti a far da battistrada per preparare sgombra la via, e altri li seguono spargendo di rami il suolo, e uno per primo getta il suo mantello a far da tappeto, e un altro, e quattro, e dieci, e cento, e mille lo imitano. La via ha al centro una striscia multicolore di vesti stese al suolo e, passato Gesù, le vesti sono raccolte e portate più avanti, con altre, con altre, e sempre fiori, rami, foglie di palma vengono agitati e gettati, e gridi più forti vengono innalzati intorno e in onore del Re d'Israele, al Figlio di Davide, al suo Regno!

12 I soldati di guardia alla porta escono a vedere che cosa succede. Ma non è sedizione, ed essi, appoggiati alle loro lance, si fanno da lato, osservando stupiti o ironici lo strano corteo di quel Re che cavalca un puledro d'asina, bello come un dio, umile come il più povero degli uomini, mite, benedicente... circondato da donne e bambini e da uomini disarmati gridanti: «Pace! Pace!», di questo Re che, prima di entrare nella città, sosta un momento all'altezza dei sepolcri dei lebbrosi di Innon e di Siloan (credo di dire bene questi luoghi, dove ho visto miracoli di lebbrosi altre volte) e, puntandosi sull'unica staffa in cui poggia il suo piede, essendo seduto sull'asino, non a cavallo dell'asino, si alza in piedi e apre le braccia gridando in direzione di quelle pendici orrende (dove volti e corpi paurosi si affacciano guardando verso Gesù e alzano il grido lamentoso dei lebbrosi: «Siamo infetti!», a respingere degli imprudenti che, pur di vedere bene Gesù, salirebbero anche sui corrotti e infetti scaglioni): «Chi ha fede in Me invochi il mio Nome ed abbia salute per quello! », e benedice riprendendo il cammino e ordinando a Giuda di Keriot: «Comprerai cibi per i lebbrosi e con Simone li porterai ad essi avanti sera».


13 Quando il corteo entra sotto la volta della porta di Siloan e poi, come un torrente, si riversa entro la città passando per il borgo di Ofel - nel quale ogni terrazza è divenuta una piccola aerea piazza colma di popolo osannante, che getta fiori e rovescia profumi giù, nella via, cercando di gettarli sul Maestro, e l'aria è satura dell'odore dei fiori morenti sotto i passi delle turbe e di essenze che si spargono nell'aria prima di cadere fra la polvere della via - il grido della folla sembra aumentare e farsi forte, come ognuno lo urlasse in una buccina, perché i numerosi archivolti dei quali è piena Gerusalemme lo amplificano con risonanze continue.
   Sento gridare, e credo voglia dire ciò che dicono gli evangelisti: (Matteo 21, 9; Marco 11, 9-10; Luca 19, 37-38; Giovanni 12, 12-13) «Scialem, Scialem melchil! », (o malchit: cerco di rendere il suono delle parole, ma è difficile, perché hanno aspirazioni che noi non abbiamo). Un grido continuo, simile all'urlo di un mare in tempesta, nel quale non è ancora caduto il fragor del maroso che schiaffeggia spiagge e scogliere che un altro maroso lo raccoglie e rialza in novello fragore, senza tregua mai. Ne sono assordita!
   Profumi, odori, gridi, agitarsi di rami e di vesti, colori, urli... È una visione che sbalordisce.
14 Vedo rimescolarsi continuamente la folla, apparire e sparire volti conosciuti: tutti i discepoli di tutti i luoghi di Palestina, tutti i seguaci... Vedo per un attimo Giairo, vedo Jaia il giovinetto di Pella (mi pare) che era cieco come sua madre e che Gesù guarì, vedo Gioacchino di Bozra e quel contadino del piano di Saron coi fratelli, vedo il vecchio e solitario Mattia di quel luogo presso il Giordano (sponda orientale) presso il quale Gesù si rifugiò mentre tutto era inondato, vedo Zaccheo con i suoi amici convertiti, vedo il vecchio Giovanni di Nobe con quasi tutti i cittadini, vedo il marito di Sara di Jutta... Ma chi può tener dietro a volti e nomi, se è un caleidoscopio di visi noti e ignoti, veduti più volte o una sola?... Ecco ora il viso del pastorello preso a Ennon. E, vicino a lui, il discepolo di Corozim che lasciò di seppellire il padre per seguire Gesù; e vicino a lui, per un momento, il padre e la madre di Beniamino di Cafarnao col loro figliolo, che per poco cade sotto le zampe dell'asinello per gettarsi avanti e ricevere una carezza di Gesù.

15 E - purtroppo! - volti di farisei e di scribi, lividi di ira per questo trionfo, che fendono prepotenti il cerchio di amore che si stringe intorno a Gesù e gli urlano: «Fa' tacere questi pazzi! Richiamali alla ragione! Solo Dio va osannato. Di' che tacciano! ».
   Al che Gesù risponde dolcemente: «Anche se Io lo dicessi di tacere e questi mi ubbidissero, le pietre griderebbero i prodigi del Verbo di Dio».
   Perché infatti la gente - oltre che gridare: «Osanna, osanna al Figlio di Davide! Benedetto Colui che viene nel nome del Signore. Osanna a Lui e al suo Regno! Dio è con noi! L'Emmanuele è venuto. È venuto il Regno del Cristo del Signore! Osanna! Osanna dalla Terra sino all'alto dei Cieli! Pace! Pace, mio Re! Pace e benedizione a Te, Re santo! Pace e gloria nei Cieli e in Terra! Gloria a Dio per il suo Cristo! Pace agli uomini che lo sanno accogliere. Pace in Terra agli uomini di buona volontà e gloria nei Cieli altissimi, perché l'ora del Signore è venuta» (e chi grida quest'ultimo grido è il gruppo compatto dei pastori che ripetono il grido natalizio) - oltre questi gridi continui, la gente di Palestina narra ai pellegrini della Diaspora i miracoli che hanno visto, e a chi non sa ciò che avviene, perché straniero di passaggio fortuitamente dalla città e che chiede: «Ma chi è Costui? Che avviene?», spiegano: «È Gesù! Gesù, il Maestro di Nazaret di Galilea! Il Profeta! Il Messia del Signore! Il Promesso! Il Santo!».
   Da una casa, e da poco è sorpassata la porta perché l'andare è lentissimo in tanta confusione, esce un gruppo di robusti giovani portando alti dei vasi di rame pieni di carboni accesi e di incenso, che arde spargendo nubi di fumo odoroso. E il gesto è raccolto e ripetuto, e molti corrono avanti o tornano indietro, alle case, per farsi dare fuoco e resine odorose da ardere in omaggio del Cristo.

16 La casa di Annalia appare. La terrazza, inghirlandata di vite dalle foglie novelle tremolanti ad un mite vento di aprile, ha sul lato della via tutta una fila di giovinette biancovestite e biancovelate, al centro delle quali è Annalia, con cesti di petali di rose sfogliate e di mughetti che già volteggiano nell'aria.
   «Le vergini di Israele ti salutano, Signore! », dice Giovanni, che si è fatto largo ed è ora al fianco di Gesù, attirando la sua attenzione sulla ghirlanda di purezza che si sporge sorridendo dal parapetto a spargere la via di petali rossi come sangue e di mughetti bianchi come perle.
   Gesù trattiene per un attimo le redini e arresta il puledro d'asina. Alza il volto e la mano a benedire quella verginità di Lui innamorata sino a rinunciare ad ogni altro amore terreno.
   E Annalia si protende e grida: «Il tuo trionfo io l'ho visto, o mio Signore! Prendi la mia vita per la tua glorificazione universale!», e con un grido altissimo, mentre Gesù passa sotto la sua casa e procede, lo saluta: «Gesù!».
   E un altro, diverso grido, supera il clamore delle turbe. Ma la gente, pur sentendolo, non si arresta. È un fiume di entusiasmo, un fiume di popolo in delirio che non può sostare. E mentre le ultime onde di questo fiume sono ancor fuori della porta, le prime onde già assalgono le salite che conducono al Tempio.

17 «Tua Madre! », grida Pietro accennando ad una casa quasi all'angolo di una via che sale al Moria e per la quale si incanala il corteo. E Gesù alza il volto a sorridere a sua Madre, che è lassù fra le donne fedeli.
   L'intoppo di una numerosa carovana arresta il corteo pochi metri dopo che la casa è superata. E mentre Gesù sosta con gli altri, carezzando i bambini che le madri gli porgono, accorre un uomo e si fa largo urlando: «Lasciatemi passare! Una donna è morta. Una fanciulla. All'improvviso. La madre invoca il Maestro. Lasciatemi passare! Egli già l'ha salvata una volta!».
   La gente fa largo e l'uomo corre presso Gesù: «Maestro, la figlia di Elisa è morta. Ti ha salutato con quel grido, poi si è piegata indietro dicendo: "Io son felice" ed è spirata. Il suo cuore si è franto nel gran tripudio di vederti trionfante. Sua madre mi ha visto sulla terrazza accanto alla sua casa e mi ha mandato a chiamarti. Vieni, Maestro!».
   «Morta! Morta Annalia! Ma se era sana, florida, felice solo ieri?». Gli apostoli si affollano agitati, i pastori pure. Tutti l'hanno vista ieri in perfetta salute. Poco fa l'hanno vista rosea, ridente... Non si capacitano della sciagura... Chiedono, domandano i particolari...
   «Non so. Tutti avete sentito le sue parole. Parlava forte, sicura. Poi la vidi piegarsi indietro più bianca delle sue vesti e udii gridare la madre... Altro non so».
18 «Non vi agitate. Non è morta. È caduto un fiore e gli angeli di Dio lo hanno raccolto per portarlo in seno ad Abramo. Presto il giglio della Terra si aprirà felice in Paradiso, ignorando per sempre l'orrore del mondo. Uomo, di' ad Elisa che non pianga la sorte della sua creatura. Dille che essa ebbe una grande grazia da Dio e che fra sei giorni comprenderà qual grazia Dio fece alla figlia sua. Non piangete. Non pianga nessuno. Il suo trionfo è ancor più grande del mio, perché alla vergine fanno corteo gli angeli per condurla alla pace dei giusti. Ed è trionfo eterno che salirà di grado senza mai conoscere discesa. In verità vi dico che per voi tutti, ma non per Annalia, avete ragione di piangere. Andiamo». E ripete agli apostoli e a chi lo circonda: «È caduto un fiore. Si è adagiato in pace e gli angeli lo hanno raccolto. Beata la pura di carne e cuore perché presto vedrà Iddio».
   «Ma come, di che è morta, Signore?», chiede Pietro che non si capacita.
   «D'amore. D'estasi. Di gaudio infinito. Felice morte! ».
   Chi è molto avanti non sa, chi è molto indietro non sa. E perciò gli osanna continuano anche se qui, presso a Gesù, si è fatto un cerchio di pensoso silenzio.
   È Giovanni che lo rompe: «Oh! vorrei la stessa sorte prima delle ore future!».
   «Io pure», dice Isacco. «Vorrei vedere il volto della fanciulla morta d'amore per Te...».
   «Vi prego di sacrificarmi il vostro desiderio. Ho bisogno della vostra vicinanza...».
   «Non ti lasceremo, Signore. Ma a quella madre non un conforto?», chiede Natanaele.
   «Provvederò ad esso...».

19 Sono alle porte della cinta del Tempio. Gesù scende dall'asinello, che uno di Betfage prende in custodia.
   Occorre tenere presente che Gesù non si è fermato alla prima porta del Tempio, ma ha costeggiato la cinta, fermandosi soltanto quando è sul lato nord della cinta, vicino all'Antonia. È là che scende ed entra nel Tempio, come per far vedere che non si nasconde al potere dominante, sentendosi innocente in ogni sua azione.
   Il primo cortile del Tempio mostra la solita gazzarra di cambiavalute e venditori di colombe, passeri e agnelli, soltanto che ora i venditori sono lasciati in asso perché tutti sono accorsi a vedere Gesù. E Gesù entra, solenne nella sua veste porpurea, e gira lo sguardo su quel mercato e su un gruppo di farisei e scribi che lo osservano da sotto un portico.
   Il suo volto sfolgora di sdegno. Balza al centro del cortile. Uno scatto improvviso che pare un volo. Il volo di una fiamma, ché di fiamma è la sua veste nel sole che inonda il cortile. E tuona con una voce potente: «Via dalla casa del Padre mio! Non è questo luogo di usura e di mercato. Sta scritto: (Isaia 56, 7; Geremia 7, 11) "La mia casa sarà chiamata casa di orazione". Perché dunque l'avete mutata in spelonca di ladroni, questa casa nella quale è invocato il Nome del Signore? Via! Mondate la mia Casa. Che non vi avvenga che, in luogo di usar le funi, Io vi colpisca con i fulmini dell'ira celeste. Via! Fuori di qui i ladri, i barattieri, gli impudichi, gli omicidi, i sacrileghi, gli idolatri della peggiore idolatria, quella del proprio io superbo, i corruttori e i menzogneri. Fuori! Fuori! O che Dio altissimo, Io ve lo dico, spazzerà per sempre questo luogo e farà le sue vendette su tutto un popolo».
   Non ripete la fustigazione dell'altra volta, ma, visto che mercanti e cambiavalute stentano ad ubbidire, va al banco più vicino e lo ribalta spargendo bilance e monete al suolo.
   I venditori e i cambiavalute si affrettano a porre in atto l'ordine di Gesù, dopo che hanno avuto questo primo esempio. E Gesù grida dietro a loro: «E quante volte dovrò dire che questo luogo non deve essere luogo d'immondezza ma di preghiera?». E guarda quelli del Tempio che, ubbidienti agli ordini ponteficali, non fanno un gesto di rappresaglia.

20 Mondato il cortile, Gesù va verso i portici dove sono raccolti ciechi, paralitici, muti, storpi e altri malati, che lo invocano a gran voce.
   «Che volete voi che Io vi faccia?».
   «La vista, Signore! Le membra! Che mio figlio parli! Che mia moglie risani. Noi crediamo in Te, Figlio di Dio!».
   «Dio vi ascolti. Sorgete e osannate al Signore!».
   Non cura uno per uno i molti malati. Ma fa un gesto largo con la mano, e grazia e salute scende da essa sugli infelici, che sorgono sani con gridi di giubilo che si mescolano a quelli dei molti bambini, che si stringono a Lui ripetendo: «Gloria, gloria al Figlio di Davide! Osanna a Gesù Nazareno, Re dei re e Signore dei signori!».
   Dei farisei, con finta deferenza, gli gridano: «Maestro, li senti? Questi fanciulli dicono ciò che non va detto. Riprendili! Che tacciano!».
   «E perché? Il re profeta, il re della mia stirpe, non ha forse detto: (Salmo 8, 3) "Dalla bocca dei fanciulli e dei lattanti hai fatto sgorgare la lode perfetta, a confusione dei tuoi nemici"? Non avete letto queste parole del salmista? Lasciate che i pargoli dicano le mie lodi. Sono loro suggerite dai loro angeli, che vedono costantemente il Padre mio e ne sanno i segreti e li suggeriscono a questi innocenti. Ora lasciatemi tutti andare ad orare al Signore», e passando davanti alla gente passa nell'atrio degli Israeliti per pregare...
   E poi, uscendo per un'altra porta, rasentando la piscina Probatica, esce dalla città tornando sui colli del monte Uliveto.

21 Gli apostoli sono entusiasti... Il trionfo li ha fatti sicuri e dimentichi, completamente dimentichi di tutti i terrori che le parole del Maestro avevano suscitato... Parlano di tutto... Ardono di sapere di Annalia. A stento Gesù li trattiene dall'andare, assicurando che provvederà in modo che sa Lui... Sordi, sordi, sordi ad ogni voce d'avviso divino... Uomini, uomini, uomini, che un grido di osanna smemora da ogni cosa...
   Gesù parla ai servi di Maria di Magdala, che lo hanno raggiunto al Tempio, e poi li licenzia...
   «E ora dove andiamo?», chiede Filippo.
   «A casa di Marco di Giona?», dice Giovanni.
   «No. Al campo dei Galilei. Forse saranno venuti i miei fratelli e vorrei salutarli», dice Gesù.
   «Lo potrai fare domani», gli osserva il Taddeo.
   «Buona cosa è fare mentre si può fare. Andiamo dai Galilei. Saranno contenti di vederci. Voi avrete notizie delle famiglie. Io vedrò i bambini...».
   «E questa sera? Dove dormiremo? In città? In che luogo? Dove è tua Madre? O da Giovanna?», chiede Giuda Iscariota.
   «Non so. Certo non in città. Forse ancora sotto qualche tenda galilea...».
   «Ma perché?».
   «Perché sono il Galileo e amo la patria mia. Andiamo».
   Si rimettono in cammino salendo verso il campo dei Galilei, che è sull'Uliveto verso Betania e che è tutto un biancheggiare di tende al lieto sole d'aprile.

 22 Dice Gesù: 
«Mia paziente segretaria, metti qui la visione:
“La sera della Domenica delle Palme” (4 marzo 1945); e la mia pace sia con te».

S. Alfonso pittore

Maria Giglio della Trinità”: Domini Sacrarium, Nobile Triclinium ...
INTRA TUA VULNERA ABSCONDE ME

La fedeltà all'uomo esige la fedeltà alla verità che, sola, è garanzia di libertà (cfr Gv 8,32) e della possibilità di uno sviluppo umano integrale.

 L'amore nella verità 


9. L'amore nella verità — caritas in veritate — è una grande sfida per la Chiesa in un mondo in progressiva e pervasiva globalizzazione. 
Il rischio del nostro tempo è che all'interdipendenza di fatto tra gli uomini e i popoli non corrisponda l'interazione etica delle coscienze e delle intelligenze, dalla quale possa emergere come risultato uno sviluppo veramente umano. 

Solo con la carità, illuminata dalla luce della ragione e della fede, è possibile conseguire obiettivi di sviluppo dotati di una valenza più umana e umanizzante. 

La condivisione dei beni e delle risorse, da cui proviene l'autentico sviluppo, non è assicurata dal solo progresso tecnico e da mere relazioni di convenienza, ma dal potenziale di amore che vince il male con il bene (cfr Rm 12,21) e apre alla reciprocità delle coscienze e delle libertà.

La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire [10] e non pretende « minimamente d'intromettersi nella politica degli Stati » [11]. 
Ha però una missione di verità da compiere, in ogni tempo ed evenienza, per una società a misura dell'uomo, della sua dignità, della sua vocazione. 

Senza verità si cade in una visione empiristica e scettica della vita, incapace di elevarsi sulla prassi, perché non interessata a cogliere i valori — talora nemmeno i significati — con cui giudicarla e orientarla. 

La fedeltà all'uomo esige la fedeltà alla verità che, sola, è garanzia di libertà (cfr Gv 8,32) e della possibilità di uno sviluppo umano integrale. Per questo la Chiesa la ricerca, l'annunzia instancabilmente e la riconosce ovunque essa si palesi. 

Questa missione di verità è per la Chiesa irrinunciabile. La sua dottrina sociale è momento singolare di questo annuncio: essa è servizio alla verità che libera. 
Aperta alla verità, da qualsiasi sapere provenga, la dottrina sociale della Chiesa l'accoglie, compone in unità i frammenti in cui spesso la ritrova, e la media nel vissuto sempre nuovo della società degli uomini e dei popoli [12].

AMDG et DVM

Vedere i giorni di Cristo sulla Terra è santificazione.

VOLUME VI CAPITOLO 364



CCCLXIV. 

Al Tempio. Preghiera universale e parabola del figlio vero e dei figli bastardi.

   1 gennaio 1946. Ore 6.35 antimeridiane
 1 Dice Gesù:
   « Alzati, Maria. 
Santifichiamo il giorno con una pagina di Vangelo. Perché la mia Parola è santificazione. 
Vedi, Maria. Perché vedere i giorni di Cristo sulla Terra è santificazione. 
Scrivi, Maria. Perché scrivere del Cristo è santificazione, perché ripetere ciò che dice Gesù è santificazione, Perché predicare Gesù è santificazione, Perché istruire i fratelli è santificazione. Ti sarà data grande ricompensa per questa carità ».
*

 2 Gesù ha lasciato Rama ed è già in vista di Gerusalemme. Procede come lo scorso anno, cantando i salmi prescritti (Vedi Vol 3 Cap 195). Molti, sulla strada affollata, si volta a guardare il gruppo apostolico che passa. Chi saluta reverente; chi si limita a sogguardare, sorridendo con venerazione, e queste sono per lo più donne; chi osserva soltanto; chi ha un sorrisetto ironico e sprezzante; e chi infine passa con sussiego e con palese malanimo. Gesù va tranquillo nella sua veste pulita e buona. Come tutti anche Lui si è mutato per entrare in ordine e, direi, in eleganza nella città santa.
  Anche Marziam quest'anno è all'altezza del momento nelle sue vesti nuove e cammina a fianco di Gesù, cantando a tutta gola con la sua voce in verità un poco aspretta perché non ancora virile. Ma il suo tono imperfetto si perde nel coro pieno delle voci dei compagni, e solo emerge limpido come tinnulo d'argento negli acuti che egli emette ancora con voce bianca e sicura. E' felice, Marziam...
In una pausa dei canti, mentre, già in vista della porta di Damasco - Perché entrano di lì per andare subito al Tempio - sostano in attesa che passi una pomposa carovana che tiene tutta la via e fa ingorgo, di modo che chi è prudente si ferma ai margini della strada, Marziam chiede: «Signor mio, non dirai un'altra bella parabola per il tuo figlio lontano? Vorrei unirla agli altri scritti che ho; Perché certo troveremo a Betania i suoi messi e le sue notizie. Ed io mi struggo di dare a lui una gioia, secondo che gli ho promesso e che il suo cuore ed il mio cuore vogliamo... »
   «Sì, figlio mio. Certo che te la darò».
   «Una proprio che lo consoli, che gli dica che egli è sempre il tuo amato... ».
   «Così dirò. E ne avrò gioia Perché sarà verità detta».
   «Quando la dirai, Signore? »
   «Subito. Andremo subito al Tempio come è dovere, e là parlerò prima che mi si impedisca di farlo».
   «E parlerai per lui? ».
   «Sì, figlio mio».
   «Grazie, Signore! Deve essere doloroso tanto essere separato così... », dice Marziam che ha quasi un luccichio di pianto negli occhi neri.
 3 Gesù gli pone la mano sui capelli e si volta ad accennare ai dodici di accostarsi per riprendere la marcia. I dodici, infatti, si erano fermati ad ascoltare alcuni, non so se credenti nel Maestro o desiderosi di conoscerlo, che si erano fermati anche loro per la stessa causa che aveva arrestato Gesù e i suoi.
«Veniamo, Maestro. Ascoltavamo costoro, fra i quali sono proseliti venuti da lontano, i quali chiedevano dove ti avrebbero potuto avvicinare», dice Pietro accorrendo.
   «Per quale motivo lo desiderano? ».
   E Pietro, ora al fianco di Gesù che riprende il cammino, dice: «Per volontà di udire la tua parola e per essere guariti da alcuni malanni. Vedi quel carro coperto, dopo il loro? Vi sono proseliti della Diaspora, venuti per mare o con lungo viaggio, spinti dalla fede in te, oltre che al rispetto alla Legge, a fare questo viaggio. Ve ne sono di Efeso, Perge e Iconio, e ve ne è uno, povero, di Filadelfia, che essi, ricchi mercanti per lo più, hanno accolto nel carro per pietà, pensando propiziarsi il Signore».
   «Marziam,và a dire loro di seguirmi nel Tempio. E avranno questo e quello: salute all'anima con la parola e salute ai corpi se sapranno aver fede».
   Il giovinetto se ne va svelto. Ma dai dodici sale un coro di disapprovazioni per "l'imprudenza" di Gesù che vuole mettersi in evidenza nel Tempio...
   «Andiamo apposta per mostrare loro che non ho paura. Per mostrare che nessuna minaccia mi può fare disubbidire al precetto. Ma non avete ancora capito il loro gioco? Tutte queste minacce, tutti questi, solo in apparenza, amichevoli consigli, sono volti all'intento di farmi peccare, per poter avere un elemento vero di accusa. Non siate vili. Abbiate fede. Non è la mia ora».
   «Ma Perché non vai prima a rassicurare tua Madre? Ti attende... », dice Giuda Iscariota.
   «No. Prima vado al tempio che, fino al momento segnato dall'Eterno per la nuova epoca, è la casa di Dio. Mia Madre soffrirà meno, attendendomi, di quello che non soffrirebbe sapendomi a predicare nel Tempio. E in tal modo Io onorerò il Padre e la Madre, dando al Primo la primizia delle mie ore pasquali e alla seconda tranquillità. Andiamo, non temete. Del resto, chi ha paura vada al Getsemani a covare la sua paura fra le donne».
   Gli apostoli, sferzati da questa ultima osservazione, non parlano più. Si rimettono in fila, a file di tre per tre, e solo in quello dove è Gesù, la prima, sono in quattro, finché non viene Marziam a renderla di cinque, tanto che il Taddeo e lo Zelote si mettono dietro a Gesù lasciandolo al centro fra Pietro e Marziam.
 4 Alla porta di Damasco vedono Mannaen. «Signore, ho pensato che era meglio farmi vedere per levare ogni dubbio sulla situazione. Ti assicuro che non c'è nulla, tolto il malanimo dei farisei e scribi, di pericoloso per Te. Puoi andare sicuro».
   «Lo sapevo, Mannaen. Ma ti sono grato. Vieni con Me al Tempio. Se non ti è di peso... ».
   «Di peso? Ma per Te sfiderei tutto il mondo! Farei ogni fatica! ».
   L'Iscariota borbotta qualcosa. Mannaen si volta risentito. Dice con voce sicura: «No, uomo. Non sono "parole". Prego il Maestro di provare la mia sincerità».
   «Non ce ne è bisogno Mannaen. Andiamo».
   Procedono fra l’ingorgo della folla, e giunti ad una casa amica, si liberano dalle sacche che Giacomo, Giovanni e Andrea depositano per tutti in un atrio lungo e oscuro, raggiungendo poi i compagni.
 5 Entrano nel recinto del Tempio passando presso l’Antonia.
   I soldati romani guardano, ma non si muovono. Parlottano fra di loro. Gesù li osserva per vedere se c’è alcuno di sua conoscenza. Ma non vede né Quintilliano né il milite Alessandro.
Eccoli nel Tempio. Fra il brulichio poco sacro dei primi cortili dove sono mercanti e cambiavalute. Gesù guarda e freme. Impallidisce e pare alzarsi più ancora di statura, tanto è solenne il suo incedere severo.
   L’Iscariota lo tenta: «Perché non ripeti il gesto santo? Lo vedi? Se ne sono dimenticati… e la profanazione è di nuovo nella Casa di Dio. Non te ne accori? Non sorgi a difesa? ». Il viso bruno e bello, ma ironico e falso nonostante ogni studio di Giuda per non farlo apparire tale, è persino volpino mentre, un poco curvo, come per venerabondo ossequio, dice queste parole a Gesù scrutandolo da sotto in su.
   «Non è l’ora. Ma tutto ciò sarà purificato. E per sempre!… », dice reciso Gesù.
   Giuda ride lievemente e commenta: «Il "per sempre" degli uomini!! Molto precario, Maestro! Tu lo vedi!..».
   Gesù non gli risponde, intento come è a salutare da lontano Giuseppe d’Arimatea che passa avvolto nei suoi paludamenti, seguito da altri.
   Fanno le preghiere di rito e poi tornano al cortile dei Gentili, sotto i cui portici si affolla la gente.


 6 I proseliti, incontrati per via, hanno sempre seguito Gesù. Hanno trascinato i loro malati con loro ed ora li adagiano all’ombra, sotto i portici, vicino al Maestro. Le loro donne, che li hanno attesi qui, si accostano piano piano. Tutte velate. Ma una è già seduta, forse perché malata, e le compagne la conducono presso gli altri malati. Altra gente si affolla intorno a Gesù. Vedo che c’è dello stupore e del disorientamento nei gruppi rabbinici e sacerdotali per l’aperta venuta e predicazione di Gesù.

   «La pace sia con voi, o voi che ascoltate!
   La Pasqua santa riconduce i figli fedeli nella Casa del Padre. Sembra, questa nostra Pasqua benedetta, una madre sollecita del bene dei figli, la quale li appelli a gran voce perché vengano, vengano da ogni dove, lasciando in sospeso ogni cura per una cura più grande. L’unica veramente grande ed utile. Quella di onorare il Signore e Padre. Da questo si capisce come siamo fratelli; e da questo, con testimonianza soave, sorge l’ordine e l’impegno di amare il prossimo come se stessi. Non ci siamo mai visti? Ci ignoravamo? Sì. Ma se qui siamo, perché figli di un unico Padre che ci vuole nella sua Casa al banchetto pasquale, eco che, se non coi sensi materiali, certo con la parte superiore, noi sentiamo di essere uguali, fratelli, venuti da Un solo, e ci amiamo perciò come fossimo cresciuti insieme. Anticipo, questa nostra unione di amore, dell’altra più perfetta che godremo nel Regno dei Cieli, sotto lo sguardo di Dio, tutti abbracciati dal suo Amore: Io Figlio di Dio e dell’uomo, con voi, uomini figli di Dio; Io, Primogenito, con voi, fratelli amati oltre ogni umana misura, sino a farmi Agnello per i peccati degli uomini.
   Ma noi, che godiamo al momento presente la nostra fraterna unione nella Casa del Padre, ricordiamoci anche dei lontani, che pure sono fratelli: nel Signore o nell’origine. Abbiamoli in cuore. Portiamoli nel nostro cuore, essi, gli assenti, davanti all’altare santo. Preghiamo per loro, raccogliendo con lo spirito le loro voci lontane, le loro nostalgie di essere qui, i loro aneliti. E come raccogliamo questi aneliti coscienti degli israeliti lontani, raccogliamo anche quelli delle anime che appartengono a uomini che neppur sanno di avere un’anima e di essere figli di Un solo. Tutte le anime del mondo gridano nelle prigioni dei corpi verso l’Altissimo. In buia carcere gemono verso la Luce. Noi, che nella luce della fede vera siamo, abbiamo misericordia di loro.

 7 Oriamo:
   Padre nostro che sei nei Cieli, sia santificato da tutta l’umanità il tuo Nome! Conoscerlo è avviarsi alla santità. Fa che i gentili e i pagani conoscano questa tua esistenza, o Padre santo, e come i tre saggi di un tempo, ormai lontano ma non inerte, perché nulla è inerte di ciò che ha attinenza coll’avvento della Redenzione nel mondo, vengano a Dio, a Te, Padre, guidati dalla Stella di Giacobbe, dalla Stella del mattino, dal Re e Redentore della stirpe di Davide, dal tuo Unto, già offerto e consacrato per essere Vittima per i peccati del mondo.
   Venga il tuo Regno in ogni luogo della Terra dove ti si conosce e ama, dove ancora non ti si conosce. E venga soprattutto a quelli, i tre volte peccatori, che pur conoscendoti non ti amano nelle tue opere e manifestazioni di luce, e cercano respingere e soffocare la Luce venuta nel mondo, perché sono anime di tenebre, e non sanno che voler soffocare la Luce del mondo è fare offesa a Te stesso, perché Tu sei la Luce Ss. e Padre di tutte le luci, cominciando da quella che si è fatta Carne e Parola per portare la tua luce a tutti gli animi di buona volontà.
   Sia fatta, Padre Ss., la tua volontà da ogni cuore che è nel mondo, si salvi cioè ogni cuore, e per nessuno sia senza frutto il sacrificio della Gran Vittima, perché questa è la tua volontà: che l’uomo si salvi e goda di Te, Padre santo, dopo il perdono che sta per essere dato.
   Dàcci i tuoi aiuti, o Signore; tutti i tuoi aiuti. E dàlli a tutti quelli che attendono, a quelli che non sanno di attendere, dàlli ai peccatori col pentimento che salva, dàlli ai pagani con la ferita della tua chiamata che scuote, dàlli agli infelici, dàlli ai reclusi, agli esiliati, ai malati di corpo o di spirito, dàlli a tutti, Tu che sei il Tutto, perché il tempo della Misericordia è venuto.
   Perdona, o Padre buono, i peccati dei tuoi figli. Di quelli del tuo popolo, che sono i più gravi, di quelli dei colpevoli di voler stare nell’errore, mentre il tuo amore di predilezione proprio a questo popolo ha dato la Luce. E dà il perdono a quelli che abbruttisce un paganesimo corrotto che insegna il vizio, e che affogano nella idolatria di questo paganesimo pesante e mefitico, mentre fra essi sono anime di prezzo esse pure, e che Tu ami avendole create. Noi perdoniamo, Io per primo perdono poiché Tu possa perdonare, e sulla debolezza delle creature invochiamo la tua protezione perché liberi dal Principio del Male, dal quale vengono tutti i delitti, tutte le idolatrie, tutte le colpe, tentazioni e errori, i tuoi creati. Liberali, o Signore, dal Principe orrendo, perché possano venire alla Luce eterna ».

 8 La gente ha seguito attenta questa solenne orazione. Si sono accostati rabbi famosi, fra i quali, tenendosi penosamente il mento barbuto, è anche Gamaliele… E si sono accostate un gruppo di donne, tutte avvolte in mantelli con una specie di cappuccio che ne vela i volti. E i rabbi si sono scostati sdegnosi… E sono accorsi, attirati dalla notizia che il Maestro è giunto, molti discepoli fedeli, fra i quali Erma, Stefano, il sacerdote Giovanni. E poi Nicodemo e Giuseppe, inseparabili, e altri amici loro che mi pare di avere già visto. 
   Nella pausa che succede all’orazione del Signore, che si raccoglie in Sé, solennemente austero, si sente Giuseppe d’Arimatea dire: «Ebbene, Gamaliele? Non ti pare questa, ancora non ti pare questa, parola del Signore? ».
   «Giuseppe, mi fu detto: “Queste pietre fremeranno al suono delle mie parole” », risponde Gamaliele.
Stefano, irruente, grida: «Compi il prodigio, o Signore! Ordina, ed esse si scardineranno! Crollasse l’edificio, ma sorgessero nei cuori le muraglie della tua Fede, grande dono sarebbe! Fàllo al mio maestro! ».
   «Bestemmiatore! », urla un gruppo rabbioso di rabbi e di allievi degli stessi.
   «No », grida a sua volta Gamaliele.
   «Il mio discepolo parla dicendo parola ispirata. Ma noi non possiamo accettarla perché l’angelo di Dio non ci ha ancora mondati dal passato col carbone tolto dall’Altare di Dio… (Isaia 6, 6-7) E forse, neppure se il grido della sua voce », e accenna a Gesù, «scrollasse i cardini di queste porte, noi sapremmo ancora credere… ». Si alza un lembo dell’ampio mantello candidissimo e se ne incappuccia, velandosi quasi il volto e se ne va.
   Gesù lo guarda andare…

 9 Poi riprende la parola rispondendo ad alcuni che borbottano fra loro e che appaiono scandalizzati e che, per fare più esplicito il loro scandalo, lo scaricano su Giuda di Keriot con una sequela di querimonie che l’apostolo sorbisce senza reagire, stringendosi nelle spalle con un volto per nulla soddisfatto.


Udite, voi tutti, una parabola.

   Gesù dice:
   «In verità, in verità vi dico che coloro che paiono bastardi sono figli veri, e quelli che sono figli veri divengono bastardi. Udite, voi tutti, una parabola.
   Un tempo ci fu un uomo il quale, per alcuni suoi impegni, dovette assentarsi per lungo tempo da casa lasciando dei figli ancora poco più che fanciulli. Dal luogo in cui si trovava scriveva lettere ai suoi figli maggiori per tenerli sempre nel rispetto del padre lontano e per ricordare loro i suoi insegnamenti. L’ultimo, nato quando egli era partito, era ancora a balia presso una donna lontana di lì, dei paesi della moglie, che non era della sua razza. La moglie venne a morire mentre questo figlio era ancora piccolo e lontano da casa. I fratelli dissero: “Lasciamolo là dove è, presso i parenti di nostra madre. Forse il padre se ne scorderà e noi ne avremo utile, avendo a dividere con uno di meno, quando nostro padre verrà a morte”. E così fecero. In questa maniera il fanciullo lontano visse allevato dai parenti materni, ignorando gli insegnamenti del padre, ignorando di avere un padre e dei fratelli, o peggio conoscendo l’amarezza della riflessione: “Essi tutti mi hanno ripudiato come fossi un bastardo”, e giunse persino a credere di esserlo, tanto si sentiva reietto dal padre.
   Il caso volle che, fatto uomo e messosi ad un impiego – perché, inasprito come era dai pensieri sopradetti, aveva preso in odio la famiglia si sua madre, che riputava colpevole di adulterio – questo giovane andasse nella città dove era il padre suo. E senza sapere chi fosse lo avvicinò ed ebbe modo di sentirlo parlare. L’uomo era un saggio. Non avendo soddisfazioni dai figli lontani – che ormai facevano da sé, mantenendo solo rapporti convenzionali col padre lontano, tanto per ricordargli che essi erano i “suoi” figli e che perciò se ne ricordasse nel testamento – si occupava molto di dare retti consigli ai giovani che aveva modo di avvicinare nella terra dove era. Il giovane fu attratto da quella rettezza, che era paterna verso tanti giovani, e non solo si accostò a lui ma fece tesoro di ogni sua parola, facendo buono il suo animo inasprito. L’uomo si ammalò, dovette decidersi a tornare in patria. E il giovane gli disse: “Signore, tu solo mi hai parlato con giustizia, elevando l’animo mio. Lascia che io ti segua come servo. Non voglio ricadere nel male di prima”. Vieni con me. Starai al posto di un figlio di cui non ho più potuto avere notizia”. E tornarono insieme alla casa paterna.
   Né il padre, né i fratelli, né lo stesso giovane, intuirono che il Signore aveva riunito di nuovo quelli di un sangue sotto un unico tetto. Ma il padre ebbe molto a piangere per i figli a lui noti, perché li trovò dimentichi dei suoi insegnamenti, avidi, duri di cuore, non più con la fede in Dio ma sibbene con molte idolatrie in cuore: superbia, avarizia e lussuria erano i loro dèi, e non volevano sentire di altro che utile umano non fosse. Lo straniero, invece, sempre più si accostava al Signore, si faceva giusto, buono, amoroso, ubbidiente. I fratelli lo odiavano perché il padre amava quello straniero. Egli perdonava e amava perché aveva capito che nell’amore è la pace.
   Il padre, un giorno, disgustato dalla condotta dei figli, disse: “Voi vi siete disinteressati dei parenti di vostra madre e persino del fratello vostro. Mi ricordate la condotta dei figli di Giacobbe verso il loro fratello Giuseppe. (Genesi 37, 3-28) Voglio andare a quelle terre per sapere di lui. Può darsi che lo ritrovi e che ne abbia conforto”. E si accomiatò tanto dai figli noti come dal giovane sconosciuto, dando a questo viatico di denaro perché potesse tornare al luogo da dove era venuto e mettervi un piccolo commercio.
Giunto alle terre della moglie morta, i parenti di essa gli raccontarono che il figlio abbandonato, dal nome
primitivo di Mosè era passato a quello di Manasse (il cui significato, spiegato subito dopo, è in: Genesi 41, 51), perché realmente egli col suo nascere aveva fatto dimenticare al padre di essere giusto avendolo abbandonato.
   “Non fatemi torto! Mi era stato detto che del fanciullo si erano perdute le tracce, e neppure speravo trovare più alcun di voi. Ma ditemi di lui. Come è? È cresciuto forte? Assomiglia alla mia amata sposa che si esaurì nel darmelo? È buono? Mi ama?”.
   Forte è forte, e bello come la madre sua, solo che ha gli occhi di un nero schietto. Ma persino della madre ha preso la voglia di carruba sul fianco. Di te invece ha la pronuncia lievemente blesa. Andò da adulto via di qui, inasprito della sua sorte, avendo dubbi sull’onestà della madre, e per te avendo del rancore. Buono sarebbe stato se non avesse avuto questo rancore nell’anima. Andò oltre monti e fiumi fino a Trapezius per…”.
   “A Trapezius dite? Nel Sinopio? Oh! dite! Io là ero e vidi un giovane che era lievemente bleso, solo e triste, e buono tanto sotto la sua crosta di durezza. È lui? Dite!”.
   Forse lui sarà. Ricercalo. Sul fianco destro ha la carruba rilevata e scura come l’aveva la moglie tua”.
   L’uomo partì a precipizio, sperando ritrovare ancora lo straniero alla sua casa. Era partito per tornare verso la colonia di Sinopio. E l’uomo dietro… lo trovò. Lo fece venire per scoprirgli il fianco. Lo riconobbe. Cadde in ginocchio lodando Iddio per avergli reso il figlio, e buono più degli altri che sempre più imbestiavano mentre questo, nei mesi che erano intercorsi, si era sempre più fatto santo. E al figlio buono disse: “Tu avrai la parte dei fratelli perché tu, senza amore da parte di alcuno, ti sei fatto giusto più di ogni altro”.
E non era giustizia? Sì che lo era. In verità vi dico che sono veri figli del Bene coloro che reietti dal mondo e spregiati, odiati, vilipesi, abbandonati come bastardi, reputati obbrobrio e morte, sanno superare i figli cresciuti nella casa ma ribelli alle leggi di essa. Non è essere d’Israele che dà diritto al Cielo. Né è essere farisei, scribi o dottori che assicura la sorte. È avere buona volontà e venire generosamente alla Dottrina di amore, farsi nuovi in essa, farsi per essa figli di Dio in spirito e verità. 
   Voi tutti che udite, sappiate che molti, che si credono sicuri in Israele, saranno soppiantati da coloro che per essi sono pubblicani, meretrici, gentili, pagani e galeotti. Il Regno dei Cieli è di chi sa rinnovarsi accogliendo la Verità e l’Amore ».


10 Gesù si volge e va verso il gruppo dei malati proseliti. «Sapete voi credere in quanto ho detto?», chiede forte.
   «Sì, o Signore! », rispondono in coro.
   «Volete voi accogliere Verità e Amore? ».
   «Sì, o Signore ».
   «Non vi dessi che queste, sareste contenti? ».
   «Signore, Tu sai ciò che più ci abbisogna. Dàcci soprattutto la tua pace e la vita eterna ».
   «Alzatevi e andate a lodare il Signore! Siete guariti nel Nome santo di Dio ».
   E rapido si dirige alla prima porta che trova, mescolandosi nella folla che satura Gerusalemme, prima ancora che l’orgasmo e lo stupore che è nel cortile dei Pagani possa mutarsi in ricerca osannante di Lui…
Gli apostoli, disorientati, lo perdono di vista. Solo Marziam, che non ha mai lasciato di tenergli un lembo del mantello, gli corre a lato felice dicendo: «Grazie, grazie, grazie, Maestro! Per Giovanni, grazie! Ho scritto tutto mentre parlavi. Non ho che da aggiungere il miracolo. Oh! è bello! Proprio per lui! Egli ne sarà felice tanto!… ».


AMDG et DVM

sabato 4 aprile 2020

Aldo Fabrizi - Il maestro (film)




Il maestro Aldo Fabrizi



AMDG et DVM

LA VIOLETTA

LA VIOLETTA



croce
Mi pare che sia quasi inutile scrivere ancora avendo detto tutto1. Ma lei si raccomanda di scrivere le cose che più mi colpiscono e io ubbidisco.
È la sera del Giovedì Santo.2 Parlando di Gesù non  mi distraggo perciò da Lui, ma anzi mi concentro in Lui. Le dirò dunque come ho passato queste ultime ventiquattro ore. Lei ieri sera mi ha visto sfinita. Ero realmente sfinita. Ma quando tocco il fondo della resistenza umana, e a chi mi vede do l’impressione di essere un povero essere incapace persino di pensare, è proprio allora che ho delle – dirò così – illuminazioni.

Ieri sera avevo letto il giornale; poi, stanca anche di quello, avevo chiuso gli occhi e stavo così… inerte.

D’un tratto ho visto, mentalmente, un terreno molto sassoso e brullo. Pareva la cima di un poggetto, come se ne vedono tanti sulle nostre colline. Nudo di vegetazione, solo ricco di pietre e selci ruvide e biancastre, aveva tutt’intorno un vasto orizzonte.
Proprio sulla cima era nata una pianta di mammole. Unica cosa che vivesse in tanto squallore.

Vedevo distintamente il ciuffo delle foglie ben folto e riunito come per opporre resistenza ai venti che battevano la cima. Qualche boccio di viola, più o meno aperto, sporgeva il capino dal cespo verde. Ma di completamente sbocciata non ce n’era che una. Bella, di un colore pieno, aperta e protesa verso l’alto.

Fu il suo stare così ritta, quasi fosse attirata da una forza speciale, che mi colpì l’attenzione e mi fece cercare con lo sguardo. E vidi un’asse, una grossa asse infissa nel suolo. Pareva un tronco appena piallato, quasi grezzo e scabro. A un mezzo metro dal suolo, forse meno, stavano due piedi trafitti… Non ho visto che quelli ieri sera. Due piedi torturati. E che fossero torturati acerbamente lo diceva la contrattura degli stessi con le dita quasi ripiegate verso la pianta come per spasimo tetanico.

Del sangue, scivolando lungo i calcagni,scendeva sull’asse scabra e la rigava sino al suolo. Altre gocce cadevano dalle dita contratte e piovevano sul cespo di viole. Ecco a che tendeva la violetta tutta tesa verso l’alto! A quel sangue che la nutriva come, fra tanto squallore di suolo, nutriva quell’unico cespo, saputo nascere contro quel legno.

Molte cose mi ha detto quella vista… E quando lei è venuto, io ero dietro a vedere quel segno che era la mia predica del Mercoledì Santo. Non si è dileguata la figurazione. Non dileguano facilmente. Restano nel cervello, nitide anche se le cose abituali le soverchiano, o tentano di soverchiarle.

Stamane poi, anche prima che lei venisse, ho intravisto il resto del corpo. Dico: intravisto, peché mi appariva e spariva come fra il fluttuare di veli di nebbia. Molto più nitido è stato altre volte… Ma allora mi pareva morto. Ora mi pare vivo. E penso sia una grande pietà di Gesù non mostrarmi oggi il suo viso. Gesù è talmente addolorato, la sua tristezza ha aggiunto una intensità così forte per tutta la nequizia umana che non si stanca d’esser tale – ma anzi sempre più diviene nequizia – che non potremmo sopportare, senza morirne di dolore, l’espressione del suo divino volto.

Gesù, il mio Maestro, con la sua parola senza suono, mi dice che il mio posto è più che mai ai piedi della sua croce. Dal suo Sangue solo, io devo trarre vita… e il mio compito è solo quello di essere incenso ai piedi del suo trono di Redentore. Incenso che copre, col suo profumo, il lezzo del peccato, della cattiveria, della ferocia che la terra esala. L’incenso non profuma che ardendo e consumandosi, E io devo fare la stessa cosa.

Mi dice anche che il fiore può attirare altri sguardi alla sua Croce, può far curvare altre creature sotto la pioggia del suo Sangue. Questo il compito del fiore verso il prossimo e verso Dio. Riparazione d’amore verso Gesù e attrazione a Gesù di molti cuori, accettando di vivere, per questo, in un brullo deserto, sola con la croce.

Potrei dire che sono rimasta con le labbra appoggiate a quei piedi trafitti come bevendo ad una sorgente che è freschezza e ardore insieme. Una sensazione spirituale, ma così viva da parere reale…

Stamane poi alle 10 mi è giunta da Roma una lettera di una mia Suora, lettera che le mostrerò e nella quale si parla proprio di questa missione ai piedi della croce, e alla lettera è unita una immagine con un Crocifisso e sotto un turibolo ardente e la scritta: ‘Si elevi la mia orazione come l’incenso al tuo cospetto’. Ho preso tutto questo come un muto discorso del mio Gesù alla sua piccola ostia che si consuma piano piano più d’amore che di malattia.

Penso che domani è il Venerdì Santo: il giorno dei giorni per me. Vorrei accumulare sacrifici a sacrifici per fare di esso un vero giorno di espiazione. Ma può fare così poche cose ormai Maria! Ebbene, faremo quelle poche cose. Del resto… può darsi che domani ci pensi Gesù a darmi la mia parte di dolore espiatorio. Io sto qui, ben stretta alla Croce. E’ il posto delle Marie, del resto. Così non mi sfuggirà neppure un cenno del mio Redentore…



Mattina del Venerdì Santo.3

Dice Gesù:
«La prima volta mio Padre per purificare la terra mandò un lavacro d’acque, la seconda mandò un lavacro di sangue, e di che Sangue! Né il primo né il secondo lavacro sono valsi a fare degli uomini dei figli di Dio. Ora il Padre è stanco, e a far perire la razza umana lascia che si scatenino i castighi dell’inferno, perché gli uomini hanno preferito l’inferno al Cielo e il loro dominatore: Lucifero, li tortura per spingerli a bestemmiarCi per farne dei suoi completi figli.

Io verrei una seconda volta a morire, per salvarli da una morte più atroce ancora… Ma il Padre mio non lo permette… Il mio Amore lo permetterebbe, la Giustizia no. Sa che sarebbe inutile. Perciò verrò soltanto all’ultima ora. Ma guai a quelli che in quell’ora mi vedranno  avendo eletto a loro signore Lucifero! Non vi sarà bisogno di armi nelle mani dei miei angeli per vincere la battaglia contro gli anticristi. Basterà il mio  sguardo.

Oh! Se gli uomini sapessero ancora volgersi a Me che sono la salvezza! Non desidero che questo e piango perché vedo che niente è capace di fare loro alzare il capo verso il Cielo da dove Io tendo loro le braccia.

Soffri, Maria,e dì ai buoni di soffrire per sopperire al mio secondo martirio che il Padre non vuole Io compia. Ad ogni creatura che si immola è concesso di salvare qualche anima. Qualche… e non è a stupirsi siano poche le concesse ad ogni piccolo redentore se si pensa che Io, il Redentore divino, sul Calvario, nell’ora dell’immolazione, di tutte le migliaia di persone presenti al mio morire sono riuscito a salvare il ladrone, Longino, e pochi, pochi altri…»



1 Maria Valtorta: ‘Autobiografia’, pag. 64 (Centro Ed. Valtortiano) dove la mistica parla a Padre Migliorini, suo Direttore spirituale.
2 22 aprile 1943
3 E’ il primo dettato ricevuto da Maria Valtorta. Marta Diciotti riferisce che avvenne verso mezzogiorno del 23 aprile 1943, venerdì santo…

AMDG et DVM