"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
domenica 12 gennaio 2020
La Sacra Famiglia
LA SACRADA FAMILIA
LEONE XIII - Lettera apostolica «Neminem fugit»
Lettera apostolica sugli Statuti della Pia Associazione della Sacra Famiglia, 14 giugno 1892
A nessuno sfugge che la felicità privata e pubblica dipende in modo particolarissimo dall’istituzione familiare.
Quanto più profonde radici, infatti, avrà messo la virtù in casa, con quanta più cura saranno stati formati gli animi dei figli dalle parole e dall’esempio dei genitori all’osservazione dei precetti religiosi, tanto più ricchi saranno i frutti nella comunità.
Perciò interessa sommamente che la società familiare non solo sia costituita santamente, ma anche sia retta da leggi sante, e sia in essa promosso diligentemente e costantemente lo spirito di pietà e il modo di vivere cristiano.
È per questo certamente che Dio misericordioso, avendo decretato di compiere l’opera della riparazione umana aspettata a lungo da secoli, dispose il modo e l’ordinamento della stessa opera in maniera che gli stessi suoi primi inizi mostrassero al mondo l’augusto ideale della famiglia divinamente costituita, in cui tutti gli uomini vedessero un assolutissimo esemplare della società domestica e di ogni virtù e santità.
Tale fu davvero quella Famiglia Nazaretana, nella quale era nascosto il Sole di giustizia prima che risplendesse in piena luce a tutte le genti: e cioè Cristo Dio Salvatore Nostro con la Vergine Madre e Giuseppe Sposo santissimo, che svolgeva il compito di padre verso Gesù.
Nessun dubbio che fra tutte quelle lodi, che nella società e vita familiare provengono dalle mutue attenzioni della carità, dalla santità dei costumi, dall’esercizio della pietà, la più eccellente d’ogni altra sia rifulsa in quella Sacra Famiglia, che doveva essere di esempio in tutto questo alle altre.
E perciò per benigna disposizione della Provvidenza è così costituita, che i singoli cristiani, di qualunque condizione e luogo, se le prestano attenzione, possono facilmente trovare sprone ed invito alla pratica di qualunque virtù.
I padri di famiglia, infatti, hanno in Giuseppe una chiarissima norma della vigilanza e della provvidenza paterna; le madri hanno nella Santissima Vergine Madre di Dio un esempio insigne dell’amore, verecondia, sottomissione d’animo e perfetta fede; i figli poi hanno in Gesù, che «era sottomesso a loro», un divino esemplare di obbedienza da ammirare, venerare, imitare.
Chi è nato nobile, imparerà dalla Famiglia di sangue regale come dominarsi nella buona fortuna e conservare la dignità nella cattiva; i ricchi impareranno da essa quanto si debbano posporre le ricchezze alle virtù.
Gli operai poi, e tutti quelli che specialmente ai nostri tempi si irritano tanto aspramente per le strettezze di famiglia e per l’umile condizione, se guarderanno i santissimi conviventi di quella società familiare, avranno motivo di compiacersi, più che di dolersi, della condizione toccata loro.
Hanno, infatti, in comune con la Sacra Famiglia le fatiche, in comune le preoccupazioni della vita quotidiana; anche Giuseppe dovette provvedere col suo salario alle necessità della vita; che anzi le stesse mani divine attesero al lavoro del carpentiere.
Non è quindi affatto da stupirci se uomini sapientissimi, ricolmi di ricchezze, abbiano voluto disfarsene e scegliersi la povertà in compagnia di Gesù, Maria e Giuseppe. Per tutto questo a buon diritto tra i cattolici il culto della Sacra Famiglia ben presto introdotto riceve sempre maggior incremento...
E veramente non si può pensare nulla di più salutare o efficace per le famiglie cristiane dell’esempio della Sacra Famiglia, che racchiude la perfezione e il compimento di tutte le virtù familiari.
Si procuri quindi che il maggior numero possibile di famiglie, specialmente di operai, alle quali è indirizzata con maggior violenza l’insidia, si iscrivano a questa pia Associazione. Bisogna però badare che l’Associazione non defletta dal suo proposito, né si muti lo spirito; ma si conservino integri gli esercizi di pietà e di preghiere quali e come sono stati decretati. Cosi invocati Gesù, Maria e Giuseppe, stiano propizi tra le pareti domestiche, nutrano la carità, dirigano i costumi, inducano alla virtù con la loro imitazione e rendano più tollerabili i dolori, che da ogni parte incombono sui mortali, lenendoli...
Leone XIII
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sabato 11 gennaio 2020
Quel grido, quell’«Io mi vergogno», risvegliò le coscienze...
Edoardo Dallari
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Se all’interno del dibattito pubblico stiamo assistendo a un ritorno prepotente del pensiero di Oriana Fallaci il merito è di Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Le sue idee non hanno mai avuto chiaro colore politico. È tuttavia un fatto inequivocabile che, a partire dalla trilogia La Rabbia e l’Orgoglio, La forza della Ragione e Oriana Fallaci intervista se stessa, siano state abbracciate e portate avanti dagli ambienti legati alla destra italiana. La critica all’Islam culla del terrorismo, l’opposizione al pericolo dell’islamizzazione dell’Europa attraverso un’immigrazione di massa strumento dell’invasione «condotta all’insegna della clandestinità», la denuncia del fallimento del multiculturalismo e dell’idea di integrazione, l’attacco all’antisemitismo, la difesa della libertà occidentale, le posizioni pro vita («nascere è meglio di non nascere»), fanno sì che la Fallaci entri di diritto nel Pantheon intellettuale della Nuova Destra europea. Si trova così oggi accanto al comunitarista Alain De Benoist, all’ideologo dell’Eurasia Aleksandr Dugin, all’anti-islamista Michel Onfray. E questo accade nonostante fosse estranea, come ovvio, al dibattito contemporaneo globalisti-sovranisti, e il suo riferimento politico fosse la Destra storica liberale italiana dei Cavour e dei D’Azeglio, dei Gioberti e dei Cattaneo. E benché sia proprio il liberalismo a essere criticato da quegli autori «populisti».
Dalla Sinistra, quella Sinistra «confessionale», «ecclesiastica», «illiberale», «totalitaria», «anti-occidentale» come quell’Islam radicale antisemita che, apprezzando Khomeini e Arafat, ha difeso e sostenuto, Oriana è stata censurata, demonizzata, odiata. Proprio lei, che è nata antifascista e si è schierata contro la guerra in Vietnam, che ha fatto del femminismo una delle battaglie più importanti della sua vita. Quel grido, quell’«Io mi vergogno», risvegliò le coscienze, esaltando o indignando poco conta. Un grido che, insieme al «Wake up Occidente, sveglia!» testimonia tutta la sofferenza e la preoccupazione di chi sente che un’intera civiltà è al bivio decisivo: risorgere o tramontare. Senza boria dei dotti, contro le anime belle, contro ogni coscienza anestetizzata e sclerotizzata dal politically correct progressista dei maîtres à penser nostrani (le «cicale») che si diffonde come un morbo nella società.
L’11 settembre 2001, l’«Apocalisse» squarcia il velo dell’illusione della fine della storia preconizzato da Francis Fukuyama: la caduta del Muro di Berlino e dell’Urss non hanno decretato il trionfo della democrazia liberale, ma dato inizio a una nuova fase di incertezza. Non è più il socialismo reale a farsi carico ideologicamente delle istanze dei popoli poveri, ma l’Islam. E la Fallaci, con toni accesi, violenti, a tratti pericolosi, vede che l’11 settembre ha scoperchiato il vaso di Pandora: il Nemico pubblico dell’Occidente, il Nemico mortale, si è palesato.
L’Islam politico teocratico da un lato funge da veste ideologica dell’anti-occidentalismo che si diffonde in quel Medio-Oriente dove le potenze occidentali hanno fallito, dall’altro è l’humus del terrorismo globale. Per Samuel Huntington era l’inizio di un nuovo scontro di civiltà, per la Fallaci l’avvio di una «Crociata alla rovescia», la Jihad, che, attraverso una «penetrazione graduale», come sostiene anche Michel Houellebecq, altro autore caro al «populismo di destra», ha come mira finale la «sottomissione» della cultura occidentale a quella islamica, mercé l’introduzione della Sharia.
L’opposizione all’Eurabia è a un tempo per Oriana un’accusa a un’Europa stanca, smarrita, rassegnata e impotente, e a un Occidente nichilista incapace di affermare la sua identità e di ricordare le sue radici pagane e giudaico-cristiane. «Io sono un’atea cristiana» è un’invocazione all’orgoglio, a combattere una guerra che non si può vincere con la viltà del pacifismo e la retorica ipocrita dell’umanitarismo, e che non si può perdere, anche a costo di essere tacciati di razzismo. Il rispetto dell’altro non può voler dire abdicare ai propri valori, rinunciare a se stessi. È un’invocazione a lottare per la difesa del nostro Occidente, nonostante tutti i suoi limiti, gli errori e gli orrori che ha perpetrato. Whatever it takes.
L’11 settembre 2001, l’«Apocalisse» squarcia il velo dell’illusione della fine della storia preconizzato da Francis Fukuyama: la caduta del Muro di Berlino e dell’Urss non hanno decretato il trionfo della democrazia liberale, ma dato inizio a una nuova fase di incertezza. Non è più il socialismo reale a farsi carico ideologicamente delle istanze dei popoli poveri, ma l’Islam. E la Fallaci, con toni accesi, violenti, a tratti pericolosi, vede che l’11 settembre ha scoperchiato il vaso di Pandora: il Nemico pubblico dell’Occidente, il Nemico mortale, si è palesato.
L’Islam politico teocratico da un lato funge da veste ideologica dell’anti-occidentalismo che si diffonde in quel Medio-Oriente dove le potenze occidentali hanno fallito, dall’altro è l’humus del terrorismo globale. Per Samuel Huntington era l’inizio di un nuovo scontro di civiltà, per la Fallaci l’avvio di una «Crociata alla rovescia», la Jihad, che, attraverso una «penetrazione graduale», come sostiene anche Michel Houellebecq, altro autore caro al «populismo di destra», ha come mira finale la «sottomissione» della cultura occidentale a quella islamica, mercé l’introduzione della Sharia.
L’opposizione all’Eurabia è a un tempo per Oriana un’accusa a un’Europa stanca, smarrita, rassegnata e impotente, e a un Occidente nichilista incapace di affermare la sua identità e di ricordare le sue radici pagane e giudaico-cristiane. «Io sono un’atea cristiana» è un’invocazione all’orgoglio, a combattere una guerra che non si può vincere con la viltà del pacifismo e la retorica ipocrita dell’umanitarismo, e che non si può perdere, anche a costo di essere tacciati di razzismo. Il rispetto dell’altro non può voler dire abdicare ai propri valori, rinunciare a se stessi. È un’invocazione a lottare per la difesa del nostro Occidente, nonostante tutti i suoi limiti, gli errori e gli orrori che ha perpetrato. Whatever it takes.
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Il lassismo sentimentale di voi italiani è incredibile. Mi meraviglio che non vi buttino fuori da Schengen per mancata protezione delle vostre frontiere (Luttwak)
Lo sfruttamento macro-economico dei grandi capitali che sta alla base dell'impulso migratorio dall'Africa verso l'Europa
Si dice spesso che quello dell'immigrazione sia “un problema complesso”, e che non lo si possa quindi risolvere con una semplice formula di due righe.
Questo è verissimo, ma quando poi si cerca di analizzare questa complessità ci si trova davanti ad un garbuglio intricato di concetti che tendono a mescolarsi continuamente fra di loro.
Forse un piccolo grafico può aiutare, se non altro a separare fra di loro i vari livelli del problema.
Al livello più basso ci sono sicuramente i migranti stessi. Ovvero la carne umana, l'oggetto del contendere, la cristallizzazione fisica del problema reale. Centinaia di migliaia di disperati che lasciano le loro terre vuote di promesse alla ricerca di un futuro migliore.
Queste masse si spingono istintivamente verso nord, attratte dal miraggio del benessere europeo.
Ma fra loro e questo miraggio si frappone un problema: il viaggio. I paesi europei infatti non accettano un'immigrazione libera, da qualunque parte del mondo. È quindi necessario arrivare in Europa con metodi illegali.
E qui subentrano gli schiavisti, che si approfittano del desiderio di queste persone di raggiungere l'Europa, e ne traggono un notevole vantaggio economico. I migranti vengono raccolti in veri e propri lager sulle coste africane, e vengono spediti con mezzi di fortuna attraverso il mare, dopo essere stati torturati, schiavizzati e sfruttati, e dopo che a loro è stato spremuto dalle tasche fino all'ultimo soldo che possedevano.
In mezzo al mare ci sono ad attenderli le navi delle ONG, che rappresentano il “lato buono” dello schiavismo. Mentre i negrieri africani sfruttano apertamente i migranti prima di mandarli in mezzo al mare, coloro che li raccolgono lo fanno - almeno ufficialmente - per motivi umanitari.
Chi paghi il costo di queste navi, chi paghi lo stipendio ai suoi marinai, chi paghi le tonnellate di viveri che trasportano non è mai stato molto chiaro, perché a quanto pare queste ONG non sono obbligate ad una particolare trasparenza finanziaria.
Ma diciamo, almeno per adesso, che siano tutti motivati da puro spirito umanitario, e andiamo avanti.
Una volta che le navi hanno raccolto in mare i naufraghi li rifocillano, li curano se ne hanno bisogno, e li scaricano in qualche porto europeo, quasi sempre italiano. (O almeno fino a ieri le cose funzionavano così).
A questo punto entrano in scena i popoli europei, ovvero coloro che si vedono riversare queste masse di migranti nelle loro strade e nelle loro piazze, e che non sono quasi mai contenti di assistere a questo spettacolo. Un po' perché la presenza di questi migranti crea un senso di insicurezza fisica nelle popolazioni, un po' perché si teme una lenta ma irreversibile “colonizzazione” del nostro sistema culturale. (Curioso, vero? I colonizzatori di una volta temono oggi di essere colonizzati).
I popoli europei lamentano la loro insoddisfazione per questa “invasione” di popoli africani, e quindi si rivolgono alla politica perché metta un freno a questo fenomeno. E così i politici, che traggono la loro linfa vitale dallo stesso consenso popolare, cercano di agire in modo da ottenere un ampliamento del loro supporto elettorale.
Ma c'è anche un altro aspetto della faccenda, che impedisce ai politici di viaggiare tutti nella stessa direzione: i migranti infatti creano problemi, ma rendono anche dei soldi. Molti soldi. Per ogni migrante presente sul suolo nazionale, lo Stato eroga 35 euro a testa al giorno. E di questi 35 euro soltanto due vanno direttamente nelle tasche dei migranti. Tutti gli altri vengono dati alle cooperative che li gestiscono, e che - teoricamente - dovrebbero mantenerli in modo dignitoso. Ma tutti sappiamo che buona parte di quei soldi rimangono invece nelle tasche delle cooperative stesse. Il guadagno è proprio lì, nel non dover rendere conto allo stato di come vengono spesi i soldi ricevuti.
E a questo punto sarebbe stupido pensare che queste cooperative non abbiano un legame, diretto o indiretto, proprio con quella politica che determina da una parte i flussi migratori, e dall'altra i flussi di denaro verso di loro. La famosa frase di Buzzi “c'è più da guadagnare con i migranti che con la droga” sintetizza il problema in maniera esemplare.
Abbiamo quindi, da una parte, una classe politica che vorrebbe soddisfare le necessità di sicurezza e tranquillità della propria popolazione, ma dall'altra una classe politica che è anche inevitabilmente tentata di fare affari con l'immigrazione stessa.
Nascono così i due partiti: quello del “tutti a casa”, e quello dell' “accogliamoli a braccia aperte, siamo tutti fratelli su questo pianeta”.
Ovvero, il cosiddetto “razzismo xenofobo” da una parte, e il cosiddetto “buonismo universale” dall'altra.
Ma, fra i politici che incarnano queste diverse posizioni e la popolazione che tende a polarizzarsi su di esse, esiste una categoria intermedia, che è quella dei giornalisti. Sono loro infatti a rimestare nel calderone, e a fare continuamente leva - nei loro infiniti talk-show - sulle varie emozioni della popolazione. A volte calcano in modo quasi terroristico sul senso di insicurezza diffuso, altre volte promuovono in modo disgustoso il buonismo a 360°. Dipende da chi sono i loro protettori politici.
E fin qui abbiamo descritto solo quella che può essere la parte visibile del problema, e cioè la catena di interessi concorrenti che ci ha portato allo scontro sociale a cui siamo assistendo in questi giorni.
Poi però c'è il lato nascosto del problema, ovvero le elites finanziarie. “Quelli che hanno i soldi”, tanto per capirci, ovvero quelli che detengono il vero potere nel mondo di oggi.
Sono infatti le stesse elites finanziarie, nella forma di inappuntabili corporations, che hanno invaso e depauperato il continente africano nell'ultimo secolo, e che non esitano a causare guerre e genocidi pur di trarre un vantaggio economico per i propri azionisti.
È quindi lo sfruttamento macro-economico dei grandi capitali che sta alla base dell'impulso migratorio dall'Africa verso l'Europa. E nel cedere a questo impulso, gli stessi africani vengono ad alimentare, nel micro, tutta una catena di sub-economie che rendono denaro a schiavisti, mafiosi e forse alle stesse organizzazioni “umanitarie” che gestiscono il fenomeno migratorio.
Pensate che bello: a generare il problema all'ultimo livello sono quelli del primo livello. E in mezzo ci sono tutti gli altri - ci siamo noi, e ci sono loro - a scannarci gli uni contro gli altri per un tozzo di pane dal mattino alla sera.
Autore: Massimo Mazzucco / Fonte: luogocomune.net
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