venerdì 15 novembre 2019

Santa Gertrude

sanGeltrude
CAPITOLO I - Libro terzo
SPECIALE PROTEZIONE DELLA VERGINE MARIA.
Geltrude aveva saputo, per via di rivelazione, che avrebbe dovuto sopportare avversità per crescere in merito. Era alquanto perplessa, temendo la sua fragilità; ma il Signore n'ebbe compassione e le diede sua Madre, l'Augusta dispensatrice della grazia necessaria per ben sopportare quella tribolazione. Egli voleva che, se la sofferenza le avesse stretto l'anima al di sopra delle sue forze, subito si rivolgesse alla Madre della misericordia che immediatamente le avrebbe accordato soccorso.
Poco tempo dopo ella si trovò immersa nella desolazione più tormentosa, perchè una persona consacrata a Dio, voleva costringerla a rivelare i favori particolari ricevuti nella festa precedente. Per vari motivi ella non giudicava opportuno aderire a quel desiderio, d'altra parte temeva di resistere alla divina volontà. In tale dubbio ricorse alla Consolatrice degli afflitti e n'ebbe questa risposta: «Dà generosamente tutto quello che hai, perchè il mio Figliuolo è abbastanza ricco per restituirti con sovrabbondanza quello che avrai speso per la sua gloria». Tuttavia ella teneva nascosto il suo segreto con tante precauzioni da riuscirle assai penoso e difficile svelarlo ad altri.
Si prostrò allora ai piedi di Gesù, supplicandolo di manifestare, ancora più chiaramente, la sua divina volontà, e di darle la forza di compirla. Il benigno Salvatore si degnò di illuminarla con queste parole: « Deposita le mie ricchezze alla banca, perchè al mio ritorno, ne abbia gli interessi ».
Lo Spirito Santo illuminò allora la sua intelligenza. Ella comprese d'avere celato i divini favori per motivi di amore proprio; così, in seguito, rivelò con facilità i doni di Dio, secondo la profonda parola dei Proverbi: « Gloria regum est celare verbum: gloria autem Dei est investigare sermonem: La gloria del Re è di tenere nascosta la parola, ma quella, di Dio consiste nel premurosamente rivelarla ».

CAPITOLO II
ANELLI DI SPIRITUALE ALLEANZA
Geltrude offerse un giorno al Signore, mediante una breve preghiera, le sofferenze dell'anima e del corpo, intendendo di aggiungere anche le delizie spirituali ed il riposo fisico di cui non poteva usufruire. Le apparve allora Gesù, portando quella duplice offerta sotto il simbolo di anelli ricchi di brillanti, posti, quali splendidi ornamenti, alle sue dita divine. Dopo d'aver ricevuto quella luce, rinnovò assai spesso la sua offerta. Un giorno, mentre la ripeteva con fervore, sentì Gesù toccarle l'occhio sinistro con l'anello della mano sinistra, simbolo della sofferenza fisica. Immediatamente sentì un acutissimo dolore a quell'occhio sul quale il Signore aveva posto la mano, tanto che esso non riacquistò mai più l'antico vigore.
L'atto del Signore le fece comprendere che l'anello è simbolo delle nozze; e che le sofferenze fisiche, o morali sono il segno infallibile delle divine predilezioni delle nozze dell'anima con Dio. In verità colui che soffre può dire fiduciosamente: « Anulo suo subarravit me Dominus» (Pontif. Rom. De Consacratione Virginum). « Mi ha dato il suo anello come pegno il Signore». Se poi l'anima afflitta sa lodare e ringraziare il suo Dio nell'angoscia, può con gioia celeste aggiungere: « Et tamquam sponsam decoravit me corona » (Ibid), perchè la riconoscenza a Dio fra le pene, procura gloriosa corona più preziosa dell'oro e del topazio.

CAPITOLO III
MERITO DELLA SOFFERENZA
Un giorno venne rivelato a Geltrude che la naturale ripugnanza che noi proviamo di fronte ai dolore, può darci un aumento di gloria. Verso la Pentecoste provò un dolore così forte al fianco, che le persone presenti avrebbero temuto vederla morire in quello stesso giorno, se non avessero fatto esperienza che altre volte aveva superate felicemente simili crisi. Il divino Consolatore ed Amante delle anime volle allora istruirla nel modo seguente: disse che quando si sarebbe trovata sola per la negligenza di coloro che avrebbero dovuto curarla, Egli avrebbe supplito alla loro mancanza con la sua dolce presenza, pegno d'ineffabili conforti. Ma se le attenzioni e le premure si fossero moltiplicate intorno a lei, Egli si sarebbe nascosto con aumento delle sue sofferenze.
Comprese allora Geltrude che più siamo abbandonati dagli uomini, più Dio ci accarezza nella sua misericordia. Verso sera, essendo tormentata dalla violenza del male, chiese un attimo di ristoro; il Signore, alzando le braccia, le mostrò che portava sul suo petto, quasi magnifico ornamento, tutte le sofferenze che aveva sopportato in quella giornata. Tale monile le parve completo e senza difetto, e mentalmente concluse che il male stava per finire. Ma Gesù, leggendole nel pensiero, le disse: « Quello che soffrirai ancora, aumenterà lo splendore dei mio gioiello ». Infatti il divino serto era ricco di pietre preziose, ma tali pietre non avevano alcuno splendore. Fu allora colpita da una specie di peste di forma benigna, durante la quale sofferse di più per l'assenza di ogni consolazione che per la stessa malattia.
AVE MARIA PURISSIMA!

giovedì 14 novembre 2019

Le sette Chiese di santo Stefano A BOLOGNA


Le Sette Chiese, ovvero il complesso di Santo Stefano a Bologna




le sette chiese bologna

Le Sette Chiese: un  viaggio nel tempo

Da fuori sembrano tante chiese una accanto all’altra; ma è solo entrando all’interno della prima e più grande che si inizia un vero e proprio viaggio nel tempo, che percorre a ritroso le tappe della formazione delle Sette chiese, un complesso unitario di tanti edifici di culto giustapposti nel corso dei secoli. Ognuno dei singoli edifici è dedicato ad un santo, ma l’intero complesso è dedicato al protomartire Stefano, e deve risalire molto indietro nel tempo. Il luogo di culto cristiano è infatti uno dei più antichi di Bologna se non addirittura il più antico, tanto che si fa risalire all’iniziativa del vescovo Petronio, che poi divenne il patrono della città (e al quale è dedicata la bella cattedrale bolognese), ma si installa su un precedente luogo di culto, un tempio dedicato ad Iside, di età romana piena.
Ma andiamo con ordine. Prima di visitarlo, è necessario innanzitutto capire qualcosa della storia del complesso.

I fase: la prima età imperiale

80-100 d.C.: siamo in piena età romana, e qui ci troviamo poco fuori dalla città romana di Bononia. Qui sorge un tempio dedicato alla dea Iside, articolato in un portico su 3 lati, chiamato deambulatorium, cui si accede da un ingresso monumentale, in uno spazio a pianta dodecagonale che costituiva il tempio vero e proprio, l’Iseo, e un altare per le offerte. E’ questo il primo nucleo, da cui ha inizio la lunga storia di quest’area sacra.

L’età paleocristiana

393-450 d.C.: nei primi tempi dell’era cristiana, da quando il Cristianesimo viene reso un culto libero all’interno dell’Impero romano (con l’Editto di Costantino nel 313 d.C.) le prime comunità cristiane rivolgono la loro attenzione ai primi martiri; così, con il ritrovamento dei corpi dei martiri Vitale e Agricola, nel 393 d.C., al posto dell’Iseo viene edificato un complesso costituito da una chiesa a pianta centrale coperta da cupola, il martyrium, che accoglie le reliquie dei martiri, mentre l’Iseo vero e proprio viene adattato a battistero, e accanto viene costruita un’altra chiesa, espressamente dedicata a ricevere le spoglie di Vitale e Agricola. Siamo ormai nel 450 d.C., in piena età cristiana: e ogni altro elemento dell’antico tempio pagano viene distrutto o reimpiegato nelle nuove costruzioni.

L'interno della Rotonda Stefaniana
L’interno della Rotonda Stefaniana

L’età longobarda e l’arrivo dei Franchi

450-760 d.C.: dopo la morte del vescovo Petronio i luoghi di culto perdono importanza e il battistero perde il suo ruolo e diventa la Rotonda Stefaniana. E’ solo con l’arrivo dei Longobardi che abbiamo una nuova ondata di vitalità, con la costruzione della chiesa  di San Giovanni Battista, tuttora la chiesa principale del complesso, che si va dunque ad aggiungere alla rotonda, alla chiesa di San Vitale e Agricola, al deambulatorium e al martyrium. Nel cortile porticato del deambulatorium viene posta una vasca, donata dal re longobardo Liutprando, chiamata Catino di Pilato.

Il chiostro con il catino di Pilato
Il chiostro con il catino di Pilato

760-830 d.C.: con l’arrivo dei Franchi la piccola chiesa di San Vitale e Agricola viene ampliata, mentre il martyrium viene completamente modificato e della grande aula centrale con cupola rimane un piccolo edificio a 3 absidi.

Il complesso di Santo Stefano nel Basso Medioevo

830-1200 d.C.: la fine dei Franchi introduce un nuovo periodo di abbandono, completo di un incendio che colpisce l’area nel 902. Ricomincia la ricostruzione con l’arrivo dei monaci di Cluny, ai quali si deve la realizzazione dell’ospedale di San Bovo accanto alla chiesa di San Vitale; viene risistemata anche la Rotonda Stefaniana; viene quindi costruito un monastero e innalzato il campanile; viene ampliata la chiesa di San Giovanni Battista, arricchita di un particolare pulpito esterno, visibile ancora oggi sulla facciata.

Le Sette Chiese dal Medioevo a oggi

1200-2000: il complesso subisce varie modifiche/ristrutturazioni/ampliamenti/riduzioni, fino ad assumere la forma, l’aspetto e la planimetria che il complesso delle Sette Chiese ha oggi.

credits: Santo Stefano nei secoli, opuscolo acquistabile presso il bookshop del museo delle Sette Chiese
creditsSanto Stefano nei secoli, opuscolo acquistabile presso il bookshop del museo delle Sette Chiese

Questa premessa è necessaria se si vuole visitare la chiesa senza perdersi. Il percorso di visita inizia dalla chiesa di San Giovanni Battista e dalla sua cripta, nella quale si discende dal presbiterio. Dall’aula della chiesa si accede all’adiacente Rotonda Stefaniana, ex tempio di Iside ed ex Battistero. Da qui, proseguendo ancora a sinistra si accede alla chiesa di San Vitale, a 3 navate, oppure si può uscire nel cosiddetto cortile di Pilato, chiamato così dal catino di Pilato che si trova  nel suo centro. Questo è il luogo privilegiato per guardare i dettagli delle murature in mattoni, disposte in qualche caso a creare decorazioni sulla parete, e i piccoli elaboratissimi capitelli medievali, uno diverso dall’altro, del chiostro. Dal cortile di Pilato si accede ad un altro chiostro, in fondo al quale si accede al piccolo museo con annesso bookshop del complesso ecclesiastico, tenuto dai frati del monastero.

dettagli della muratura della Rotonda Stefaniana e i capitelli del Cortile di Pilato
Dettagli della muratura della Rotonda Stefaniana e i capitelli del Cortile di Pilato

Anche se non è noto come altri monumenti di Bologna (senza dubbio le torri degli Asinelli e della Garisenda e la stessa San Petronio richiamano molto di più i turisti), il complesso delle Sette Chiese merita una visita: attraverso di esso infatti, non si visita tanto un edificio religioso, quanto un settore della città che trasuda storia. Ma è molto difficile raccapezzarsi al suo interno, nonostante la pannellistica che cerca di fare il punto della situazione.
Questo post è stato scritto con l’intenzione di aiutare quanti di voi vorranno visitare Santo Stefano a entrarvi senza rischiare di non capire dove ci si trova. Spero di essere riuscita nell’intento.

mercoledì 13 novembre 2019

Trasmettere la Parola di Dio

Ogni sua parola fu piena di Spirito Santo

13 novembre 1943

   Isaia Cap. 6° v. 6.
   Dice Gesù:
   «Per meritare di trasmettere la Parola di Dio occorre avere labbra e cuore mondi1. Cuore mondo, poiché è dal cuore che escono i moti che muovono pensiero e carne.
   Guai a coloro che non tengono puri se stessi ed osano parlare in mio Nome con anima di peccato.
Non sono costoro miei discepoli e miei apostoli. Sono miei predatori. Perché mi depredano delle anime per darle a Satana.

   Le anime, sia quelle che seguono il sacerdote con rispetto e fede, sia quelle che diffidenti lo osservano, sono soggette a riflettere, poiché hanno una ragione, sulla condotta del sacerdote. E se vedono che colui che dice: "Sii paziente, sii onesto, sii casto, sii buono, sii caritatevole, sii longanime, perdona, aiuta" è all’opposto preso dall’ira, dalla durezza, dal senso, dal risentimento, dall’egoismo si scandalizzano e, se pur non si allontanano dalla chiesa, sempre risentono in sé un urto. Sono come colpi di
2 ariete che voi - sacerdoti non vittime del vostro sublime ministero, che vi fa i continuatori dei Dodici fra le turbe che a venti secoli di distanza hanno sempre da essere evangelizzate, perché Satana distrugge continuamente l’opera del Cristo e sta a voi riparare le ingiurie di Satana - sono colpi di ariete che voi date all’edificio della Fede nei cuori. Se anche non crollano si lesionano, e basta poi una spallata di Satana per farli cadere.

   Troppi sono fra voi che imitano il dodicesimo apostolo e per bassi interessi umani vendono le parti di Me
3 - le anime che bagnate del mio Sangue vi ho affidate - al Nemico di Dio e dell’uomo. Lo stato attuale, per almeno cinquanta parti - e sono molto indulgente - dipende da voi, sale divenuto insipido, fuoco che più non riscalda, luce che fuma e non splende, pane divenuto amaro e conforto divenuto tormento, perché alle anime che, già ferite, vengono a voi per appoggio, presentate un insieme irto di spini: durezza, anticarità, indifferenza, rigorismo date alle anime che vengono a voi per sentire una parola di padre in cui sia l’eco della dolcezza, del perdono, della misericordia mia.

   Povere anime! Tuonate contro di loro. E perché non tuonate verso voi stessi?

Vi fa gola sembrare gli emuli degli antichi sinedristi? Ma quel tempo è passato. Su di esso io ho messo una pietra tombale perché meritava di essere sepolto perché più non nuocesse, e su di essa ho eretto il mio trono di Pietà e d’Amore dato da una Mensa e da una Croce dove un Dio si fa pane e un Dio si fa ostia per la redenzione di tutti.

   Imparate da Me, Sacerdote eterno, come si è sacerdoti. 
Esser sacerdoti vuol dire essere angelici, vuol dire essere santi. In voi le folle dovrebbero vedere il Cristo con una evidenza totale. Ahi! che spesso mostrate loro un aspetto più simile a quello di Lucifero.
   Di quante, di quante anime io chiederò conto ai miei sacerdoti! Vi ripeto il detto di Paolo. E credete che fareste meglio a confessare apertamente che non potete più rimanere in quella via anziché vivere come vivete. Mi abiurereste voi soltanto. Rimanendo, recidete da Me tante anime. Lasciate una buona volta da parte tante frange e tante sollecitudini.
   Per la coltura tornate ai Testi e chiedete a Dio di purificarvi mente e cuore col fuoco della continenza e dell’amore per poterli capire come vanno intesi. Perché, sappiatelo, avete reso le gemme ardenti del mio Vangelo delle pietruzze opache sporche di fango, se pure non ne avete fatto dei pietroni di anatema per lapidare le povere anime, dando alle parole dell’amore un rigorismo che agghiaccia e porta a disperare.
   Siete voi che le meritate quelle pietre, perché se un gregge viene sbranato dai lupi, o precipita in un burrone, o si pasce di erbe velenose, di chi è la colpa novanta volte su cento? Del pastore accidioso o crapulone che, mentre le pecore pericolano, gozzoviglia, o dorme, o si occupa di mercati e banche.

   Chiedete a Dio, attraverso ad una penitenza di vita che vi lavi da tanta umanità che un serafino vi purifichi continuamente col carbone acceso preso dall’altare dall’Agnello, potrei dire: dal Cuore dell’Agnello, che arde dall’eternità per lo zelo di Dio e delle anime. 
La penitenza non uccide altro che ciò che va ucciso. Non temete per la vostra carne che dovreste amare per quel che merita: pochissimo, e che amate come cosa preziosa4. I miei penitenti non muoiono di questo. Muoiono5 per la Carità che li arde. È la Carità che li consuma, non sono i cilizi e le discipline. Prova ne sia che talora giungono alle età longeve e con una integrità fisica che i solleciti protettori della carne non raggiungono. I miei santi spenti in età giovanile sono gli arsi nel rogo dell’Amore, non i distrutti dalle austerità.
   La penitenza dà luce e agilità di spirito perché doma la piovra dell’umanità che tiene confitti al fondo. La penitenza vi svelle dal basso e vi lancia in alto incontro all’Amore. Semplicità, carità, castità, umiltà, amore al dolore, sono le cinque gemme maggiori della corona sacerdotale. Distacco dalle sollecitudini, longanimità costanza, pazienza, sono le altre gemme minori. Fanno una corona di gemme pontute che stringono in un cerchio il cuore. Ma è proprio dall’essere stretto così, rimanendone ferito, che quel cuore aumenta il suo splendore e diviene rubino vivo fra un serto di diamanti.
   Non vi dico neppure: "Abbiate il cuore6 del mio Pietro"; vi dico: "Abbiate il cuore del mio Giovanni". Voglio quel cuore in voi perché fu il cuore apostolico perfetto dall’alba del suo sacerdozio alla sua sera.

   La mente di Pietro la infondo Io ai miei Vicari, ma il cuore ve lo dovete fare da voi. E quel cuore è indispensabile in chi mi è sacerdote: dall’altissimo mio Santo che è candido d’anima e di pensiero come di veste a che è l’Ostia maggiore in questa cruenta messa che la Terra celebra, al più piccolo mio ministro che spezza il Pane la Parola in un paesello sperduto: una spruzzata di case che il mondo ignora di portare sulla sua superficie, ma che l’Eucarestia e la Croce fanno7 augusto come una reggia, più di una reggia: lo fanno7 simile al massimo Tempio della Cristianità perché, in ciborio di oro tempestato di perle o in misero ciborio, è lo stesso Cristo Figlio di Dio, e le anime che a Lui si prostrano - vestite della porpora cardinalizia e di manto regale, o ricoperte di umile tonaca e di poveri panni - sono per Me uguali. Io guardo allo spirito, figli. E benedico là dove è merito. Non mi lascio sedurre da ciò che è mondo, come sovente voi fate.
   Mutatevi il cuore, sacerdoti. La salvezza di questa umanità sta molto nelle vostre mani. Non fate che nel grande Giorno io debba fulminare folte schiere di consacrati responsabili di rovine immense che dai cuori hanno dilagato sul mondo

    mondi è nostra correzione da mondo 
     2 di è aggiunto da noi.

   
     3 Vedi la nota 2 di pag. 82.
     4 preziosa è nostra correzione da prezziosa 
     5Muoiono è nostra correzione da Muiono 
     6 Dal seguente capoverso si ricava che forse qui, invece de il cuore, doveva essere scritto la mente 
     7 fanno è nostra correzione (tutte a due le volte) da fa

Loreto: Ecco come ti occulto il miracolo!

martedì 12 novembre 2019

Per non mettere la testa sotto la sabbia e aspettare che arrivi la guerriglia.

“Guerriglia” 

« In una Francia vicina e oscura, un sopralluogo della polizia in un quartiere multietnico di periferia si trasforma in una tragedia: un poliziotto caduto in un’imboscata perde il controllo e incomincia a sparare alla cieca. La periferia si incendia e tutto il Paese si ritrova improvvisamente catapultato in una situazione di equilibri precari. Le fiamme appiccate dagli immigrati si propagano di città in città e la Repubblica, alla fine, esplode. […] I cittadini, privati di tutto e abbandonati a loro stessi, si preparano così ad affrontare la carneficina, ad affrontare la Guerriglia… ».
Questa, in buona sostanza, la trama di Guerriglia, romanzo di Laurent Obertone che ha già spopolato in Francia nonostante il boicottaggio dei principali media e che si appresta a uscire anche in Italia, martedì 18 luglio, tradotto da Catia Lattanzi e curato da Federico Goglio. Grazie all’editore, la neonata Signs Publishing, abbiamo avuto modo di leggere il romanzo completo in anteprima assoluta e di constatare un semplice fatto: Guerriglia non preconizza un futuro assurdo e distopico, ma illustra con la necessaria chiarezza e durezza dei termini le conseguenze tranquillamente plausibili del nostro presente.
Sarà per questo, forse, che anche in Italia vige un assordante silenzio mediatico (rotto solamente, per la carta stampata, dai quotidiani La Verità e Il Giornale) rispetto alla nuova opera di uno scrittore che il famoso e pluri-premiato Michel Houellebecq ha definito “il grande polemista di domani”, ma che dall’autore di Sottomissione si differenzia per aver basato il suo ultimo lavoro non sulla possibile anticipazione del futuro di una Francia “dolcemente islamizzata” dal moderatismo di facciata della Fratellanza musulmana, ma sul lavoro di studio, di investigazione e di previsione dei servizi di sicurezza francesi e di esperti del terrore e delle catastrofi.
Nel complesso, da questo lavoro, emerge un semplice concetto: stante la situazione attuale, di fronte a rivolte endemiche delle masse di immigrati di prima, seconda e terza generazione, coordinate con attacchi terroristici di larga scala e una rapida estensione del caos alle campagne, la Francia è potenzialmente in grado di crollare in soli 3 giorni.
Proprio questa è la scansione del libro, 3 giorni: il primo giorno, in cui la miccia viene accesa da un controllo di polizia finito in tragedia; il secondo giorno, in cui la rivolta prende piede in tutta la Francia e la miccia si consuma; il terzo giorno, in cui la bomba costituita da decenni di politiche di assimilazione fallite esplode, travolgendo tutto e tutti: semplici cittadini, poliziotti, funzionari, politici, giornalisti. La fine di tutto questo sta nel titolo: la guerriglia, unico futuro che attende un paese senza più un nome né un qualsiasi barlume di ordine sociale, in cui a contare non sono più un conto in banca o una buona posizione dirigenziale in una grande azienda, ma le scorte d’acqua, di cibo, di armi e, soprattutto, di coraggio di fare quello che va fatto quando il caos prende piede.
Chi però pensasse che Guerriglia di Laurent Obertone (il nome è uno pseudonimo, utilizzato per evitare gli ovvi problemi a cui va incontro chi scrive senza accettare le castrazioni imposte dal politically correct) sia un libro che parla in maniera un po’ tragica e roboante di immigrazione o una declinazione in salsa iper-contemporanea della “fine del mondo” e delle conseguenze del caos sulla psicologia delle folle (una specie di The Walking Dead, con gli “immigrati” al posto dei “vaganti”), si sbaglia di grosso. Guerriglia è un libro a 360 gradi, che delinea con chiarezza tutte le ragioni nascoste, i convitati di pietra e le verità innominabili che potrebbero portare un paese occidentale, ricco e, all’apparenza, perfettamente sicuro e solido, a precipitare nella preistoria in 72 ore a seguito di scelte politiche, culturali e sociali scellerate nei loro risultati e, in certi casi, anche nelle loro intenzioni.
Dall’animalismo, che fa disperare per la morte di un cane-poliziotto e fa ignorare bellamente il poliziotto in carne e ossa vittima della stessa fine, al potere dei media mainstream nel manipolare l’opinione pubblica verso il buon-vivere-con-tutti, parossistica (ma non poi così lontana dalla realtà) tendenza dei media e dell’opinione pubblica liberal-progressista a contestualizzare, ridurre di portata e, talvolta, giustificare la criminalità allogena nel nome della “tolleranza”, del “non aiutare l’estrema destra”, del “evitare generalizzazioni”. In Guerriglia c’è tutto, e dietro a giudici comprensivi con i criminali, omosessuali intenti a stigmatizzare l’uso di pronomi non sufficientemente neutri e terroristi armati di coltello che, al posto di una strenua resistenza, incontrano solo scuse e senso di colpa, c’è sempre un mortifero buon-vivere-con-tutti, che è semplicemente un sottomettersi, da parte della maggioranza, agli altri, alle etnie minoritarie così come agli orientamenti sessuali più disparati, dentro una macchina lanciata a rotta di collo verso un burrone che, alla fine, travolgerà tutti.
Nessuno, infatti, si salva dentro la guerriglia. Il romanzo di Obertone non ha vincitorinon vincono gli “antifa”, bianchi francesi che si vergognano della loro appartenenza alla parte più ricca e sviluppata del mondo e per questo appoggiano le rivolte degli immigrati, salvo poi venire travolti da una rabbia e da una violenza che, alla mano tesa dei progressisti, risponde col machete e con i kalashnon vincono i terroristi, che nonostante mettano in scena attentati spettacolari e di una portata e gravità mai viste prima, si trovano privi della possibilità di potersene gloriare, per il semplice motivo che, con la Francia, è venuta meno anche la linea internet su cui postare le proprie gesta, unica loro vera e terrificante finalità; non vincono gli “identitari”, o quella che viene genericamente chiamata “estrema destra”, che sebbene veda avverarsi tutte le proprie profezie nefaste sul destino della Francia dopo la Grande Sostituzione, non riesce nemmeno a costruire un barlume di resistenza e viene schiacciata dagli “sbirri” senza nemmeno l’onore di una vera lotta contro il nemico allogeno.
In mezzo a tutto questo, scorrono i personaggi di Guerriglia, romanzo totalmente privo di un protagonista ma denso di nomi – tutti fittizi, ma in certi casi rimandanti con tutta evidenza a personaggi realmente viventi – che compaiono e scompaiono con la fredda disinvoltura di comparse, che vengono meno, travolti dal caos senza fine, proprio quando vorresti saperne qualcosa di più. Lo stile di Obertone – duro e grezzo, ben lontano dall’eleganza estrema de Il Campo dei Santi di Jean Raspail, a cui Guerriglia è stato correttamente associato però a livello contenutistico – è un tutt’uno con la storia narrata: nella Francia che sprofonda sotto i colpi di un’ineluttabile cambiamento, non c’è spazio per i grandi personaggi, né per le grandi narrazioni geopolitiche, per quello che avrebbe potuto essere ma non è stato, per i dibattiti interminabili. C’è solo la fine di un mondo, che non lascia scampo a nessuno e che lascia dubitare per il futuro anche delle (poche) storie individuali a parziale lieto fine di un libro spietato, nei toni e nelle immagini evocate.
Da questa fine, da questo caos senza speranze di risoluzione, da queste immagini di morte a cui nessuno potrà scappare, possiamo – ma sarebbe meglio dire “dobbiamo” – trarre degli insegnamenti sulla gestione del nostro presente, come suggerisce, nella splendida prefazione al testo, Marco Lombardi, professore di sociologia e comunicazione, gestione della crisi e metodi per l’Intelligence all’Università Cattolica di Milano. Si tratta di cogliere i segnali d’allarme lanciati da Obertone per affrontare con determinazione il tempo presente, al fine di cambiare il futuro, che fino all’ultimo non è mai scritto. Si deve cominciare dalle cose banali, come far passare il semplicissimo concetto che un migrante non è un terrorista, ma un terrorista è un migrante, in quanto non si può far finta che Abdelhamid Abaaoud o Salah Abdeslam fossero semplicemente cittadini belgi, e non i figli, di seconda o terza generazione, di immigrati di ondate precedenti a quella attuale; si dovrà poi proseguire con quelle più complesse, come recuperare il vero valore di una cittadinanza che, nei paesi europei, ha rinunciato alla condivisione di valori e di regole e ha preso a definire i cittadini dei semplici utenti funzionali dei servizi statali. 
L’alternativa a questa profonda presa di coscienza – a cui questo libro potrà, forse, dare un aiuto più grande di tanti studi approfonditi sul terrorismo e sui fenomeni migratori – c’è: mettere la testa sotto la sabbia e aspettare che arrivi la guerriglia.