lunedì 21 ottobre 2019

"Pace miei eletti! Ancora un poco e poi verrò".


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Dice Gesù:
Se si osservasse per bene quanto da qualche tempo avviene, e specie dagli inizi di questo secolo che precede il secondo mille, si dovrebbe pensare che i sette sigilli sono stati aperti.
Mai come ora Io mi sono agitato per tornare fra voi con la mia Parola a radunare le schiere dei miei eletti per partire con essi e coi miei angeli a dare battaglia alle forze occulte che lavorano per scavare all’umanità le porte dell’abisso.
Guerra, fame, pestilenze, strumenti di omicidio bellico – che sono più che le bestie feroci menzionate dal Prediletto – terremoti, segni del cielo, eruzioni dalle viscere del suolo e chiamate miracolose a vie mistiche di piccole anime mosse dall’Amore, persecuzioni contro i miei seguaci, altezze d’anime e bassezze di corpi, nulla manca dei segni per cui può parervi prossimo il momento della mia Ira e della mia Giustizia.
Nell’orrore che provate, esclamate: ‘Il tempo è giunto; e più tremendo di così non può divenire!’. E chiamate a gran voce la fine che ve ne liberi.
La chiamano i colpevoli, irridendo e maledicendo come sempre; la chiamano i buoni che non possono più oltre vedere il Male trionfare sul Bene.
Pace miei eletti! Ancora un poco e poi verrò.
La somma di sacrificio necessaria a giustificare la creazione dell’uomo e il Sacrificio del Figlio di Dio non è ancora compiuta.
Ancora non è terminato lo schieramento delle mie coorti e gli Angeli del Segno non hanno ancora posto il sigillo glorioso su tutte le fronti di coloro che hanno meritato d’essere eletti alla gloria.
L’obbrobrio della terra è tale che il suo fumo, di poco dissimile da quello che scaturisce dalla dimora di Satana, sale sino ai piedi del trono di Dio con sacrilego impeto.
Prima della apparizione della mia Gloria occorre che oriente e occidente siano purificati per essere degni dell’apparire del mio Volto.
Incenso che purifica e olio che consacra il grande, sconfinato altare - dove l’ultima Messa sarà celebrata da Me, Pontefice eterno, servito all’altare da tutti i santi che cielo e terra avranno in quell’ora - sono le preghiere dei miei santi, dei diletti al mio Cuore, dei già segnati del mio Segno: della Croce benedetta, prima che gli angeli del Segno li abbiano contrassegnati.
E’ sulla terra che il segno si incide ed è la vostra volontà che lo incide.
Poi gli angeli lo empiono di un oro incandescente che non si cancella e che fa splendere come sole la vostra fronte nel mio Paradiso.
Grande è l’orrore di ora, diletti miei; ma quanto, quanto, quanto ha ancora da aumentare per essere l’Orrore dei Tempi ultimi!
E se veramente pare che assenzio sia mescolato al pane, al vino, al sonno dell’uomo, molto, molto, molto altro assenzio deve ancora gocciare nelle vostre acque, sulle vostre tavole, sui vostri giacigli prima che abbiate raggiunto l’amarezza totale che sarà la compagnia degli ultimi giorni di questa razza creata dall’Amore, salvata dall’Amore e che si è venduta all’Odio.
Che se Caino andò ramigando sulla terra per avere ucciso un sangue, innocente, ma sempre sangue inquinato dalla colpa d’origine, e non trovò chi lo levasse dal tormento del ricordo perché il segno di Dio era su di lui per suo castigo – e generò nell’amarezza e nell’amarezza visse e vide vivere e nell’amarezza morì – che non deve soffrire la razza dell’uomo che uccise di fatto e uccide, col desiderio, il Sangue innocentissimo che lo ha salvato?
Dunque pensate pure che questi sono i prodromi, ma non è ancora l’ora.
Vi sono i precursori di colui che ho detto potersi chiamare: ‘Negazione’, ‘Male fatto carne’, ‘Orrore’, ‘Sacrilegio’, ‘Figlio di Satana’, ‘Vendetta’, ‘Distruzione’, e potrei continuare a dargli nomi di chiara e paurosa indicazione.
Ma egli non vi è ancora.
Sarà persona molto in alto, in alto come un astro umano che brilli in un cielo umano. Ma un astro di sfera soprannaturale, il quale, cedendo alla lusinga del Nemico, conoscerà la superbia dopo l’umiltà, l’ateismo dopo la fede, la lussuria dopo la castità, la fame dell’oro dopo l’evangelica povertà, la sete degli onori dopo il nascondimento.
Meno pauroso il vedere piombare una stella dal firmamento che non vedere precipitare nelle spire di Satana questa creatura già eletta, la quale del suo padre di elezione copierà il peccato.
Lucifero, per superbia, divenne il Maledetto e l’Oscuro.
L’Anticristo, per superbia di un‘ora, diverrà il maledetto e l’oscuro dopo essere stato un astro del mio esercito.
A premio della sua abiura, che scrollerà i cieli sotto un brivido di orrore e farà tremare le colonne della mia Chiesa nello sgomento che susciterà il suo precipitare, otterrà l’aiuto completo di Satana, il quale darà ad esso le chiavi del pozzo dell’abisso perché lo apra. Ma lo spalanchi del tutto perché ne escano gli strumenti d’orrore che nei millenni Satana ha fabbricato per portare gli uomini alla totale disperazione, di modo che da loro stessi invochino Satana Re, e corrano al seguito dell’Anticristo, l’unico che potrà spalancare le porte d’abisso per farne uscire il Re dell’abisso, così come il Cristo ha aperto le porte dei Cieli per farne uscire la grazia e il perdono, che fanno degli uomini dei simili a Dio e re di un Regno eterno in cui il Re dei re sono Io.
Come il Padre ha dato a Me ogni potere, così Satana ha dato ad esso ogni potere, e specie ogni potere di seduzione, per trascinare al suo seguito i deboli e i corrosi dalle febbri delle ambizioni come lo è esso, loro capo. Ma nella sua sfrenata ambizione troverà ancora troppo scarsi gli aiuti soprannaturali di Satana e cercherà altri aiuti nei nemici del Cristo, i quali, armati di armi sempre più micidiali, quali la loro libidine verso il Male li poteva indurre a creare per seminare disperazione nelle folle, lo aiuteranno sinchè Dio non dirà il suo ‘Basta’ e li incenerirà col fulgore del suo aspetto.
Molto, troppo – e non per sete buona e per onesto desiderio di porre riparo al male incalzante, ma sibbene soltanto per curiosità inutile – molto, troppo si è arzigogolato, nei secoli, su quanto Giovanni dice nel Cap. 10 dell’Apocalisse. Ma sappi, Maria, che Io permetto si sappia quanto può essere utile sapere e velo quanto trovo utile che voi non sappiate.
Troppo deboli siete, poveri figli miei, per conoscere il nome d’onore dei ‘sette tuoni’ apocalittici.
Il mio Angelo ha detto a Giovanni: “Sigilla quello che han detto i sette tuoni e non lo scrivere”.
Io dico che ciò che è sigillato non è ancora ora che sia aperto e se Giovanni non lo ha scritto Io non lo dirò.
Del resto non tocca a voi gustare quell’orrore e perciò…
Non vi resta che pregare per coloro che lo dovranno subire, perché la forza non naufraghi in essi e non passino a far parte della turba di coloro che sotto la sferza del flagello non conosceranno penitenza e bestemmieranno Iddio in luogo di chiamarlo in loro aiuto.
Molti di questi sono già sulla terra e il loro seme sarà sette volte sette più demoniaco di essi.
Io, non il mio angelo, Io stesso giuro che quando sarà finito il tuono della settima tromba e compito l’orrore del settimo flagello, senza che la razza di Adamo riconosca il Cristo Re, Signore, Redentore e Dio, e invocata la sua Misericordia, il suo Nome nel quale è la salvezza, Io, per il mio Nome e per la mia Natura, giuro che fermerò l’attimo dell’eternità. Cesserà il tempo e comincerà il Giudizio. Il Giudizio che divide in eterno il Bene dal Male dopo millenni di convivenza sulla terra.
Il Bene tornerà alla sorgente da cui è venuto. Il Male precipiterà dove è già stato precipitato dal momento della ribellione di Lucifero e da dove è uscito per turbare la debolezza di Adamo nella seduzione del senso e dell’orgoglio.
Allora il Mistero di Dio si compirà. Allora conoscerete Iddio. Tutti, tutti gli uomini della terra, da Adamo all’ultimo nato, radunati come granelli di rena sulla duna del lido eterno, vedranno Iddio Signore, Creatore, Giudice, Re.
"I Quaderni del 1943" 20.8.43. Pagine da 145 a 149

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AVE MARIA PURISSIMA!
Maria... Nostra Signora di Guadalupe schiaccia la testa a satana e salva il tuo popolo

Ecco Nicodemo. OGGI SON POCHI I NICODEMO


CAPITOLO 116



CXVI.

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4 Ed ora ognuno vada al suo riposo. Io resto con Giovanni e Simone ai quali devo parlare. Andate.”
   I discepoli si ritirano. Forse dormono nel frantoio. Non so. Vanno via e certo non rientrano in Gerusalemme, perché le porte sono chiuse da ore.
   “Hai detto, Simone, che Lazzaro ti ha mandato Isacco con Massimino, oggi, mentre Io ero presso la torre di Davide. Che voleva?”
   “Voleva dirti che Nicodemo è da lui e che voleva parlarti in segreto. Mi sono permesso di dire: ‘Che venga. Il Maestro lo attenderà nella notte’. Non hai che la notte per essere solo. Per questo ti ho detto: ‘Congeda tutti, meno Giovanni e me’. Giovanni serve per andare al ponte del Cedron ad attendere Nicodemo, che è in una delle case di Lazzaro, fuori le mura. Io servivo a spiegare. Ho fatto male?”
   “Hai fatto bene. Vai, Giovanni, al tuo posto.”
   Restano soli Simone e Gesù. Gesù è pensieroso. Simone rispetta il suo silenzio. Ma Gesù lo rompe d’improvviso e, come terminando ad alta voce un interno discorso, dice: “Sì. E’ bene fare così. Isacco, Elia, gli altri, bastano per tenere viva l’idea che già si afferma fra i buoni e negli umili. Per i potenti... vi sono altre leve. Vi è Lazzaro, Cusa, Giuseppe, altri ancora... Ma i potenti... non mi vogliono. Temono e tremano per il loro potere. Io andrò lontano da questo cuore giudeo, sempre più ostile al Cristo.”
   “Torniamo in Galilea?”
   “No. Ma lontano da Gerusalemme. La Giudea va evangelizzata. E’ Israele essa pure. Ma qui, lo vedi... Tutto serve ad accusarmi. Mi ritiro. E per la seconda volta...”


 5 “Maestro, ecco Nicodemo” dice Giovanni entrando per primo.
   Si salutano e poi Simone prende Giovanni ed esce dalla cucina, lasciando soli i due.
   “Maestro, perdona se ti ho voluto parlare in segreto. Diffido per Te e per me di molti. Non tutta viltà la mia.    Anche prudenza e desiderio di giovarti più che se ti appartenessi apertamente. Tu hai molti nemici. Io sono uno dei pochi che qui ti ammirano. Mi sono consigliato con Lazzaro. Lazzaro è potente per nascita, temuto perché in favore presso Roma, giusto agli occhi di Dio, saggio per maturazione di ingegno e cultura, tuo vero amico e mio vero amico. Per tutto questo ho voluto parlare con lui. E’ sono felice che egli abbia giudicato nel mio stesso modo.    Gli ho detto le ultime... discussioni del Sinedrio su Te.”
   “Le ultime accuse. Di’ pure le verità nude come sono.”
   “Le ultime accuse. Sì, Maestro. Io ero in procinto di dire, ‘Ebbene: io pure sono dei suoi’. Tanto perché in quell’assemblea ci fosse almeno uno che fosse in tuo favore. Ma Giuseppe, che mi era venuto vicino, mi ha sussurrato: ‘Taci. Teniamo occulto il nostro pensiero. Ti dirò poi’. E uscito di là ha detto; sì, ha detto: ‘Giova di più così. Se ci sanno discepoli, ci tengono all’oscuro di quanto pensano e decidono, e possono nuocergli e nuocerci. Come semplici studiosi di Lui, non ci faranno sotterfugi’. Ho capito che aveva ragione. Sono tanto... cattivi! Anche io ho i miei interessi e i miei doveri... e così Giuseppe... Capisci, Maestro.”
   “Non vi dico nessuna rampogna. Prima che tu venissi, dicevo questo a Simone.
 6 E ho deciso anche di allontanarmi da Gerusalemme.”
   “Ci odi perché non ti amiamo!”
   “No. Non odio neppure i nemici.”
   “Tu lo dici. Ma così è. Hai ragione. Ma che dolore per me e Giuseppe! E Lazzaro? Che dirà Lazzaro, che proprio oggi ha deciso di farti dire di lasciare questo luogo per andare in una delle sue proprietà di Sionne. Tu sai? Lazzaro è potente in ricchezza. Buona parte della città è sua e così molte terre di Palestina. Il padre, al suo censo ed a quello di Eucheria della sua tribù e famiglia, aveva unito quanto era ricompensa dei romani al servitore fedele, ed ai figli ha lasciato ben grande eredità. E, quel che più conta, una velata ma potente amicizia con Roma. Senza quella, chi avrebbe salvato dall’improperio tutta la casa dopo l’infamante condotta di Maria, il suo divorzio, solo avuto perché era ‘lei’, la sua vita di licenza in quella città che è suo feudo e in Tiberiade che è l’elegante lupanare dove Roma e Atene hanno fatto letto di prostituzione per tanti del popolo eletto? Veramente, se Teofilo siro fosse stato un proselite più convinto, non avrebbe dato ai figli quella educazione ellenicizzante che uccide tanta virtù e semina tanta voluttà e che, bevuta ed espulsa senza conseguenze da Lazzaro, e specie da Marta, ha contagiato e proliferato nella sfrenata Maria, ed ha fatto di lei il fango della famiglia e della Palestina. No, senza la potente ombra del favore di Roma, più che ai lebbrosi, sarebbe stato mandato il loro anatema. Ma posto che così è, approfittane.”
   “No. Mi ritiro. Chi mi vuole verrà con Me.”
   “Ho fatto male a parlare!” Nicodemo è accasciato.
   “No. Attendi e persuaditi.” e Gesù apre una porta e chiama: “Simone! Giovanni! Venite da Me.”
   Accorrono i due.
   “Simone, di’ a Nicodemo quanto ti dicevo quando entrò lui.”
   “Che per gli umili bastano i pastori, per i potenti Lazzaro, Nicodemo e Giuseppe con Cusa, e che Tu ti ritiri lontano da Gerusalemme pur senza lasciare la Giudea. Questo dicevi. Perché me lo fai ripetere? Che è avvenuto?”
   “Nulla. Nicodemo temeva che Io me ne andassi per le sue parole.”
   “Ho detto al Maestro che il Sinedrio è sempre più nemico, e che era bene si mettesse sotto la protezione di Lazzaro. Ha protetto i tuoi beni perché ha dalla sua Roma. Proteggerebbe anche Gesù.”
   “E’ vero. E’ un buon consiglio. Per quanto la mia casta sia invisa anche a Roma, pure una parola di Teofilo mi ha conservato l’avere durante la proscrizione e la lebbra. E Lazzaro ti è molto amico, Maestro.”
   “Lo so. Ma ho detto. E quello che ho detto, faccio.”
   “Noi ti perdiamo, allora!”
   “No, Nicodemo. Dal Batttista vanno uomini di tutte le sètte. Da Me potranno venire uomini di tutte le sètte e di tutte le cariche.”
   “Noi venivamo da Te sapendoti da più di Giovanni.”
   “Potete venirci ancora. Sarò un rabbi solitario Io pure come Giovanni, e parlerò alle turbe vogliose di sentire la voce di Dio e capaci di credere che Io sono quella Voce. E gli altri mi dimenticheranno. Se almeno saranno capaci di tanto.”
 7 “Maestro, Tu sei triste e deluso. Ne hai ragione. Tutti ti ascoltano. E credono in Te tanto da ottenere dei miracoli. Persino uno di Erode, uno che deve per forza avere corrotta la bontà naturale in quella corte incestuosa.    Persino dei soldati romani. Solo noi di Sionne siamo così duri... Ma non tutti. Lo vedi... Maestro, noi sappiamo che sei venuto da parte di Dio, suo dottore che più alto non c’è. Lo dice anche Gamaliele. Nessuno può fare i miracoli che Tu fai se non ha seco Iddio. Questo credono anche i dotti come Gamaliele. Come allora avviene che non possiamo avere la fede che hanno i piccoli d’Israele? Oh! dimmelo proprio. Io non ti tradirò anche se mi dicessi: ‘Ho mentito per avvalorare le mie sapienti parole sotto un sigillo che nessuno può deridere’. Sei Tu il Messia del Signore? l’Atteso? la Parola del Padre, incarnata per istruire e redimere Israele secondo il Patto?”
   “Da te lo domandi, o altri ti mandano a chiederlo?”
   “Da me, da me, Signore. Ho un tormento qui. Ho una burrasca. Venti contrari e contrarie voci. Perché non in me, uomo maturo, quella pacifica certezza che ha costui, quasi analfabeta e fanciullo, e che gli mette quel sorriso beato sul volto, quella luce negli occhi, quel sole nel cuore? Come credi tu, Giovanni, per essere così sicuro? Insegnami o figlio, il tuo segreto, il segreto per cui sapesti vedere e capire il Messia in Gesù Nazareno!”
Giovanni si fa rosso come una fragola e poi china il capo come si scusasse di dire una cosa così grande, e risponde semplicemente: “Amando.”
   “Amando! E tu, Simone, uomo probo e sulle soglie della vecchiezza, tu dotto e tanto provato da essere indotto a temere inganno dovunque?”
   “Meditando.”
   “Amando! Meditando! Io pure amo e medito, e non sono certo ancora!”

 8 Interloquisce Gesù dicendo: “Io te lo dico il segreto vero. Costoro seppero nascere nuovamente, con uno spirito nuovo, libero da ogni catena, vergine da ogni idea. E compresero perciò Dio. Se uno non nasce di nuovo, non può vedere il Regno di Dio, né credere nel suo Re.”
   “Come può un uomo rinascere essendo già adulto? Espulso dal seno materno, l’uomo non può mai più rientrarvi. Alludi forse alla reincarnazione come la credono tanti pagani? Ma no, non è possibile in Te questo. E poi non sarebbe un rientrare nel seno, ma un rincarnare oltre il tempo. Perciò non più ora. Come? Come?”
   “Non vi è che una esistenza della carne sulla terra e una eterna vita dello spirito oltre la terra. Ora Io non parlo della carne e del sangue. Ma dello spirito immortale, il quale per due cose rinasce a nuova vita. Per l’acqua e per lo Spirito. Ma il più grande è lo Spirito, senza il quale l’acqua non è che un simbolo. Chi si è mondato con l’acqua deve purificarsi poi con lo Spirito e con Esso accendersi e splendere, se vuole vivere in seno a Dio qui e nell’eterno Regno. Perché ciò che è generato dalla carne è e resta carne, e con essa muore dopo averla servita nei suoi appetiti e peccati. Ma ciò che è generato dallo Spirito è spirito, e vive tornando allo Spirito Generatore dopo aver allevato sino all’età perfetta il proprio spirito. Il Regno dei Cieli non sarà abitato che da esseri giunti all’età spirituale perfetta. Non meravigliarti dunque se dico: ‘Bisogna che voi nasciate di nuovo’. Costoro hanno saputo rinascere. Il giovane ha ucciso la carne e fatto rinascere lo spirito mettendo il suo io sul rogo dell’amore. Tutto fu arso di ciò che era la materia. Dalle ceneri ecco sorgere il nuovo fiore spirituale, meraviglioso elianto che sa volgersi al Sole eterno. Il vecchio ha messo la scure della meditazione onesta ai piedi del suo vecchio pensiero ed ha sradicato la vecchia pianta lasciando solo il pollone della buona volontà, dal quale ha fatto nascere il suo nuovo pensiero. Ora ama Dio con spirito nuovo e lo vede.
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 9 Ognuno ha il suo metodo per giungere al suo porto. Ogni vento è buono purché si sappia usare la vela. Voi sentite soffiare il vento e dalla sua corrente potete regolarvi e dirigere la manovra. Ma non potete dire da dove esso viene né chiamare quello che vi occorre. Anche lo Spirito chiama e viene chiamato e passa. Ma solo chi è attento lo può seguire. Conosce la voce del padre il figlio, conosce la voce dello Spirito lo spirito da Lui generato.”
   “Come può avvenire questo?”
   “Tu maestro in Israele me lo chiedi? Tu ignori queste cose? Si parla e si testifica di ciò che sappiamo e abbiamo visto. Or dunque Io parlo e testifico di ciò che so. Come potrai mai accettare le cose non viste se non accetti la testimonianza che Io ti porto? Come potrai credere allo Spirito se non credi all’incarnata Parola? Io sono disceso per risalire e meco trarre coloro che sono quaggiù. Uno solo è disceso dal Cielo: il Figlio dell’uomo. E uno solo salirà col potere di aprire il Cielo: Io, Figlio dell’uomo. Ricorda Mosè. Egli alzò un serpente nel deserto per guarire i morbi d’Israele. Quando Io sarò innalzato, coloro che la febbre della colpa fa ciechi, sordi, muti, folli, lebbrosi, malati, saranno guariti e chiunque crederà in Me avrà vita eterna. Anche coloro che in Me avranno creduto, avranno questa beata vita. Non chinare la fronte, Nicodemo. Io sono venuto a salvare, non a perdere. Dio non ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo perché chi è nel mondo sia condannato, ma perché il mondo sia salvo per mezzo di Lui. Nel mondo Io ho trovato tutte le colpe, tutte le eresie, tutte le idolatrie. Ma può la rondine che vola ratta sulla polvere sporcarsene la piuma? No. Porta solo per le tristi vie della terra una virgola d’azzurro, un odore di cielo, getta un richiamo per scuotere gli uomini e far loro alzare lo sguardo dal fango e seguire il suo volo che al cielo ritorna. Così Io. Vengo per portarvi meco. Venite!... Chi crede nel Figlio Unigenito non è giudicato. E’ già salvo, perché questo Figlio perora al Padre e dice ‘Costui mi amò’. Ma chi non crede è inutile faccia opere sante. E’ già giudicato perché non ha creduto nel nome del Figlio Unico di Dio. 
10 Quale è il mio Nome, Nicodemo?”
   “Gesù.”
   “No. Salvatore. Io sono la Salvazione. Chi non mi crede, rifiuta la sua salute ed è giudicato dalla Giustizia eterna. E il giudizio è questo: ‘La Luce ti era stata mandata, a te e al mondo, per esservi di salvezza, e tu e gli uomini avete preferito le tenebre alla Luce perché preferivate le opere malvagie, che ormai erano la consuetudine vostra, alle opere buone che Egli vi additava da seguire per essere santi’. Voi avete odiato la Luce perché i malfattori amano le tenebre per i loro delitti, e avete sfuggito la Luce perché non vi illuminasse nelle vostre piaghe nascoste. Non per te, Nicodemo. Ma la verità è questa. E la punizione sarà in rapporto alla condanna, nel singolo e nella collettività. Riguardo a coloro che mi amano e mettono in pratica la verità che insegno, nascendo perciò nello spirito per una seconda volta, che è la più vera, ecco Io dico che essi non temono la Luce, ma anzi ad essa si accostano, perché la loro luce aumenta quella da cui furono illuminati, reciproca gloria che fa beato Dio nei suoi figli e i figli nel Padre. No, che i figli della Luce non temono d’essere illuminati. Ma anzi col cuore e con le opere dicono: ‘Non io; Egli il Padre, Egli il Figlio, Egli lo Spirito hanno compiuto in me il Bene. Ad essi gloria in eterno’. E dal Cielo risponde l’eterno canto dei Tre che si amano nella loro perfetta Unità: ‘A te benedizione in eterno, figlio vero del nostro volere’. Giovanni, ricorda queste parole per quando sarà l’ora di scriverle. Nicodemo, sei persuaso?”
   “Maestro... sì.
11 Quando potrò parlarti ancora?”
   “Lazzaro saprà dove condurti. Andrò da lui prima di allontanarmi da qui.”
   “Io vado, Maestro. Benedici il tuo servo.”
   “La mia pace sia teco.”
   Nicodemo esce con Giovanni.
   Gesù si volge a Simone: “Vedi l’opera della potestà delle tenebre? Come un ragno, tende la sua insidia e invischia e imprigiona chi non sa morire per rinascere farfalla, tanto forte da lacerare la tela tenebrosa e passare oltre, portando a ricordo della sua vittoria brandelli di lucente rete sulle ali d’oro, come orifiamme e labari vinti al nemico. Morire per vivere. Morire per darvi la forza di morire. Vieni, Simone, al riposo. E Dio sia con te.”
   Tutto ha fine.
AMDG et DVM

domenica 20 ottobre 2019

Neil Armstrong

Neil Armstrong


Da Quel giorno sulla Luna, 1970

È il trentanovenne Neil Armstrong, che in italiano vuol dire Braccioforte. Ma il nome non gli si addice, soprattutto per via della faccia che è dominata da un nasino all’insù, dispettoso, e da una bocca a salvadanaio, maligna, dove il labbro superiore è invisibile perché troppo sottile. Le guance sono infantili, rotonde. Gli occhi sono piccoli, azzurri, e di rado si piantano con decisione nei tuoi. La pelle è rosea, lentigginosa. I capelli, color biondo carota, cortissimi. E anche se scendi al corpo che è lungo, irrobustito da faticosi esercizi in palestra, concludi che il tutto è decisamente antipatico. Io, quando lo conobbi cinque anni fa, me ne sentii respinta e molta gente m’ha detto d’aver provato la medesima cosa. Anche a causa della sua timidezza che è enorme e che egli combatte con l’arroganza. Per un nulla arrossisce, vampate di calore gli salgono dal collo alle tempie dove le vene si gonfiano in cordoncini paonazzi, e ogni volta che questo avviene Neil Armstrong si arrabbia e più si arrabbia più diventa sgarbato. Allora, per rimediare, sorride. Ma è un sorriso così smarrito, così sforzato, che riesce solo a complicare le cose, ad aumentare il suo imbarazzo che si traduce in una voce stridula come la voce di una donna bizzosa. V’è un che di femmineo, in Neil Armstrong. Di indifeso, di debole. Dichiara un suo amico: «Certo che gli piacciono le donne. Ma la sua unica donna è sua moglie. Dove trovò il coraggio di averla? Non lo trovò, fu Janet a conquistarlo. Janet ha un temperamento virile».
Tale premessa non deve trarti in inganno, indurti a credere che Neil Armstrong nasconda una qualsiasi dolcezza. Chiunque te lo descriverà come «a cold, calculating guy. Un tipo freddo, calcolatore». Il suo modo di pensare e di vivere è rigido quanto una operazione aritmetica, tutto in lui è calcolato come dentro un computer e fra i cinquantadue astronauti americani è colui che più di ogni altro possiede le virtù del robot. Vale a dire assenza di passioni, ordine e legge, controllo, nessuna fantasia. Se l’umanità del futuro sarà un esercito disciplinato di creature asettiche, cervelli elettronici, Neil Armstrong è già il futuro. Niente lo interessa fuorché volare, conoscere le macchine che servono a volare. Niente lo seduce fuorché la tecnica necessaria ad andare sulla Luna, e la Luna stessa per lui non è che uno strumento per applicare quella tecnica. Apprenderai dalla sua biografia che imparò a guidare l’aereo prima dell’automobile, che si laureò molto presto in ingegneria aeronautica, che divenne subito pilota collaudatore e che all’infuori di ciò non fece mai altro. Non lesse mai un romanzo o una poesia, non ammirò mai un quadro, non andò mai a un concerto, non si formò mai un’idea politica, non trasse mai piacere da qualcosa che non fosse un’elica o un reattore. Il suo unico hobby, quello cui dedica ogni domenica, ogni vacanza, sai qual è? Il volo planato. Sicché parlare con lui è una sofferenza che sfiora l’incubo. Io, che l’ho visto più volte in questi anni, non sono mai riuscita a stabilire con lui un contatto che assomigliasse a un contatto umano, a farlo mai indulgere a un attimo di cordialità, di curiosità, di calore, ammenoché non pronunciassi le parole Mercury, Gemini’, Apollo, LM. Credo che metta conto riportare qui l’intervista che ebbi con lui nel 1964, e che incominciò con la mia esclamazione: «Che bella cosa, signor Armstrong, lei non è un militare!», perché mi avevano detto che non è un militare.
«Vengo dalla NASA dov’ero ingegnere elettronico e collaudatore di jet. Non fa poi gran differenza. Voglio dire che di disciplina ne ho quanto gli altri e per andare nello spazio serve la disciplina anzitutto. Del resto non è che scelgano i militari perché sono più adatti di noi borghesi: li scelgono perché sono impacchettati e quindi è più facile pescare quello giusto. Dei militari si sa tutto, anche in quale misura ci si può fidare. Ma sapevano tutto anche di me: sono da un mucchio di anni nella NASA.»

ORIANA FALLACI. Dev’essere stata una bella gioia, comunque, diventare astronauta.
NEIL ARMSTRONG. «Non saprei. Mi ci faccia pensare...»

Non ci ha ancora pensato?!
«Per me è stato il semplice trasferimento da un ufficio all’altro. Ero in un ufficio e m’hanno messo in quest’altro. Be’, sì, penso che m’abbia fatto piacere. Fa sempre piacere salire di grado. Ma un ufficio o l’altro è lo stesso: io non ho ambizioni personali. La mia sola ambizione è contribuire alla riuscita di questo programma. Non sono un romantico.»

Niente gusto dell’avventura, perciò.
«Per carità. Io odio il pericolo, specialmente se inutile, e il pericolo è il lato più irritante del nostro mestiere. Il più stupido. Come si può trasformare in avventura un normalissimo fatto di tecnologia? E perché rischiare la vita guidando un’astronave? Illogico quanto rischiare la vita usando un frullatore elettrico per fare un frappé. Non dev’esserci nulla di pericoloso a fare un frappé e non dev’esserci nulla di pericoloso a guidare un’astronave. Una volta applicato questo concetto, cade il discorso sull’avventura. Il gusto di andare su tanto per andare su...»

Io, signor Armstrong, conosco qualcuno che andrebbe su anche sapendo di non tornare giù, solo per il gusto di andare su.
«Tra noi astronauti?»

Anche tra voi astronauti.
«Lo escludo. Se lo conoscesse, sarebbe un ragazzo. Non un adulto. Io sono un adulto.»

Signor Armstrong, a parte il frappé, le dispiacerebbe non andare sulla Luna?
«Sì, ma non ci farei una malattia, non la prenderei come un’offesa. Io non capisco, vede, quelli che sperano tanto di andarci per primi. Sono sciocchezze, bambinate, residui romantici: indegni dell’epoca razionale nella quale viviamo. Ed escludo che accetterei di andare sulla Luna sospettando di non tornare giù: ammenoché non fosse tecnicamente indispensabile. Voglio dire: collaudare un jet è rischioso ma tecnicamente indispensabile. Morire nello spazio o sulla Luna non è tecnicamente indispensabile e, di conseguenza, fra morire collaudando un jet e morire sulla Luna, io scelgo di morire collaudando un jet. Lei no?»

Io no. Dinanzi a un simile dilemma, scelgo subito di morire sulla Luna. Almeno mi vedo la Luna.
«Bambinate, sciocchezze! Morire sulla Luna per vedere la Luna! Si trattasse di restarci un anno o due, forse... Non so. No, no, sarebbe un prezzo troppo alto lo stesso: perché irrazionale. Oh, se riuscissimo a sgombrare il campo dalle fanfare su questa Luna! Basta con questi sogni, con queste fanfare!»

Signor Armstrong, lei è stato alla guerra?
«Certo. In Corea. Settantotto missioni di combattimento.»

Signor Armstrong, lei ha figli?
«Certo che ho figli. Due. Dovrei non aver figli alla mia età?»

Signor Armstrong...
«È scaduto il tempo, la saluto. Devo tornare nella centrifuga per allenarmi alle alte forze di gravità.»

Non la invidio, signor Armstrong.
«Sì, è irritante. Forse ciò che odio di più. Ma è tecnicamente indispensabile. Mi spiego?»

Sì. Tecnicamente indispensabile.
«Buongiorno, allora.»

Buongiorno.


sabato 19 ottobre 2019

Maria Valtorta: 20ma Domenica dopo Pentecoste


151 A Cana in casa di Susanna, che diventerà discepola. L’ufficiale regio.
      Gesù è a Cana e il padrone di casa è in pena per la malattia della moglie.
      Entra un uomo – ufficiale del Tetrarca di Galilea – che si prosterna ai piedi del Maestro e Lo supplica di accorrere a Cafarnao poiché suo figlio è gravemente malato e ha le ore contate.
      Quantunque sia un servo del persecutore del Battista, crede nella capacità di Gesù di fare miracoli, avendo visto Giovanna prima e dopo il miracolo e pertanto crede in Lui.
      Il Maestro gli risponde che per ora non può andare a Cafarnao, ma lui torni pure a casa, poiché suo figlio da questo momento è guarito.

      Il padrone di casa si domanda se possa essere stato guarito quel ragazzo da lontano e per conferma chiede a Gesù di guarirGli la consorte.
      Gesù gli domanda cosa offre lui in cambio, ma non denaro, bensì qualcosa di spirituale, ad esempio che la moglie diventi una Sua discepola, visto che gli impediscono di predicare in molte parti.
      Lo sposo accetta, anche perché se la moglie morisse la perderebbe completamente. Invece così l’avrà ancora sia pure per un amore spirituale e che lo aiuti a guarire dal senso.


CAPITOLO 151



CLI. A Cana in casa di Susanna, che diventerà discepola. L'ufficiale regio.

1 maggio 1945
 1 Gesù è diretto forse verso il lago. Certo è che giunge a Cana dirigendosi alla casa di Susanna. Sono con Lui i cugini. Mentre sostano nella casa e prendono riposo e vitto, e mentre, ascoltato come dovrebbe sempre esserlo dai parenti o amici di Cana, Gesù ammaestra semplicemente queste buone persone e consola la pena dello sposo di Susanna che sembra ammalata perché non è presente e sento che insistentemente si parla del suo soffrire - entra un uomo ben vestito che si prosterna ai piedi di Gesù. 
   «Chi sei? Che vuoi?» 
   Mentre questo ancora sospira e piange, il padrone di casa tira Gesù per un lembo della veste e sussurra: 
   «E’ un ufficiale del Tetrarca. Non ti fidare troppo». 
   «Parla dunque. Che vuoi da Me?». 
   «Maestro, ho saputo che sei tornato. Ti attendevo come si attende Iddio. Vieni subito a Cafarnao. Il mio maschio giace tanto ammalato che le sue ore sono contate. Ho visto Giovanni tuo discepolo. Da lui ho saputo che Tu eri diretto qui. Vieni, vieni subito, prima che sia troppo tardi». 
   «Come? Tu che sei servo del persecutore del santo d'Israele puoi credere in Me? Non credete al Precursore del Messia. Come potete credere nel Messia, allora?». 
   «È vero. Siamo in peccato di incredulità e di crudeltà. Ma abbi pietà di un padre! Io conosco Cusa. E ho visto Giovanna. Prima e dopo il miracolo l'ho vista. E ho creduto in Te». 
   «Già! Siete una generazione tanto incredula e perversa che senza segni e prodigi non credete. Vi manca la prima qualità necessaria ad ottenere il miracolo». 
   «È vero! È tutto vero! Ma lo vedi... Io credo in Te ora e ti prego: vieni, vieni subito a Cafarnao. Ti farò trovare una barca a Tiberiade perché Tu venga più veloce. Ma vieni, prima che il mio bambino muoia!», e piange desolatamente. 
   «Io non vengo per ora. Ma va' a Cafarnao. Tuo figlio da questo momento è guarito e vive». 
   «Dio ti benedica, mio Signore. Io credo. Ma, poiché voglio che tutta la casa mia ti festeggi, vieni poi a Cafarnao, nella mia casa».
   «Verrò. Addio. La pace sia con te». L'uomo esce con fretta e si sente subito dopo il trotto di un cavallo. 
 2 «Ma è proprio guarito quel ragazzo?», chiede lo sposo di Susanna. 
   «E tu puoi credere che Io menta?». 
   «No, Signore. Ma Tu sei qui e il ragazzo è là». 
   «Non vi sono barriere per lo spirito mio e non distanze». 
   «Oh! mio Signore, che hai cambiato l'acqua in vino per le mie nozze, cambia il mio pianto in sorriso, allora.    Guariscimi Susanna».
   «Che mi darai in cambio di questo?». 
   «La somma che vuoi». 
   «Non sporco ciò che è santo col sangue di Mammona. Chiedo al tuo spirito che mi darà». 
   «Ma me stesso, se vuoi». 
   «E se ti chiedessi, senza parole, un grande sacrificio?». 
   «Mio Signore, io ti chiedo la salute corporale della mia sposa e la santificazione di tutti noi. Credo che io, per avere questo, non possa chiamare nulla troppo grande...». 
   «Tu spasimi per la donna tua. Ma se Io te la rendessi alla vita conquistandola per sempre come discepola, che diresti tu?». 
   «Che... che Tu ne hai diritto... e che... e che imiterò Abramo nella prontezza al sacrificio». 
   «Bene hai detto.
 3 Udite tutti: il tempo si avvicina del mio Sacrificio. Come un'acqua esso scorre veloce e senza sosta alla foce. Io devo compiere tutto ciò che devo. E la durezza umana mi preclude tanto campo di missione. Mia Madre e Maria d'Alfeo verranno con Me quando mi allontanerò per andare fra popolazioni che non mi amano ancora o non mi ameranno mai. La mia sapienza sa che le donne potranno aiutare il Maestro in questo campo precluso. Io sono venuto a redimere anche la donna e nel secolo futuro, nel mio tempo, si vedranno le donne simili a sacerdotesse servire il Signore e i servi di Dio. 
   Io ho scelto i miei discepoli. Ma per eleggere le donne, che libere non sono, devo chiederlo ai padri e ai mariti. Lo vuoi tu?». 
   «Signore... io amo Susanna. E per ora l'ho amata come carne più che come spirito. Ma sotto il tuo ammaestramento già qualcosa è mutato in me e guardo la mia donna come anima oltre che corpo. L'anima è di Dio e Tu sei il Messia Figlio di Dio. Non ti posso contendere il tuo diritto su ciò che è di Dio. 
   Se Susanna vorrà seguirti io non le sarò ostile. Solo, ti prego, opera il miracolo di sanare lei nella carne e me nel senso...». 
«Susanna è guarita. Ella verrà entro poche ore a dirti la sua gioia. Lascia che la sua anima segua il suo impulso senza parlare di quanto ora ho detto. Vedrai che l'anima sua verrà a Me spontaneamente come la fiamma tende a salire. Né per questo morrà il suo amore di sposa. Ma salirà al grado più alto, che è quello di amarsi con la parte migliore: con lo spirito». 
«Susanna ti appartiene, Signore. Ella doveva morire, e lentamente, con spasimi forti. E’ morta che fosse l'avrei davvero perduta sulla Terra. Essendo così come Tu dici, io l'avrò ancora al fianco per condurmi con sé sulle tue vie. Dio me l'ha data e Dio me la leva. Sia benedetto nel dare e nell'avere l'Altissimo».

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