mercoledì 8 maggio 2019

Gli amici uomini.

AUTOBIOGRAFIA CAPITOLO 5


Gli amici uomini.

   Figlia unica come ero, non avevo nessuno con cui giocare in famiglia e mamma non permise mai che andassi presso altre famiglie a giocare. Crebbi perciò senza amicizie della mia età. Le mie compagne restavano solo compagne di scuola. Passata la porta dell'Istituto io le perdevo fino al giorno di poi.

   Ma avevo degli amici «grandi», dicevo io, per dire adulti. Ed erano gli amici di papà, quasi tutti scapoli, che frequentavano la nostra casa per trovare in essa un riflesso di famiglia intorno alla loro solitudine di celibi.

   Tutti militari, naturalmente. Erano molto buoni e mi volevano molto bene ed io a loro benché, quando ero a spasso con papà e li incontravo, mi dolessi in fondo al cuore per la passeggiata sciupata. Perché per me era sciupata, dato che dovevo camminare gravemente in mezzo a loro, facendo bene attenzione a non inciampare nelle lunghe sciabole di cavalleria o di non graffiarmi le gambette contro i loro speroni, e dovevo ascoltare i loro discorsi seri di armi, tattiche, decreti ministeriali, l'ultima seduta alla Camera, i preparativi per la visita al Sovrano di… mettiamo per caso: del Presidente della Repubblica di Andorra. Tutte cose per me noiose come la nebbia. Ma però volevo loro bene perché sentivo che me ne volevano e ne volevano tanto al mio babbo adorato. Ora io amavo più di me stessa quelli che volevano bene a papà. Poi vi erano i superiori di papà. I capitani, i maggiori, i colonnelli.

   Il Reggimento di babbo, il 19° Cavalleggeri Guide, era, come tutti i Reggimenti di cavalleria, pieno di titolati e di ricchi i quali, per esser ricchi o titolati o tutte e due le cose insieme, avevano bellissimi cavalli di razza, cani pure di razza, caprette, perfino una scimmia eritrea. Una vera arca di Noè nella quale io mi trovavo molto a mio agio perché fra me e le bestie, tutte le bestie meno i gatti che mi saltano agli occhi appena mi vedono, vi è sempre stata una grande comprensiva amicizia.

   Orbene, quando alla domenica mattina papà mi portava con sé alla Messa — dopo la morte di nonna ci pensava lui — e dopo in caserma per il rapporto, io ero felice e tutti quegli omoni gallonati erano dei papà per me. Chi mi faceva portare da un soldato l'ultima cucciolata da carezzare, chi mi conduceva a vedere il puledrino nato nella notte e che cercava, dando zuccate maldestre, con avidità il capezzolo materno, chi fischiava ai suoi magnifici veltri spagnoli che accorrevano a balzi e mi si sdraiavano ai piedi perché potessi carezzarne il pelo di seta, chi mi issava sul dorso del ciuchino minuscolo come un cane danese, chi mi metteva in mano lo zucchero per darlo al proprio cavallo preferito; e poi c'erano due caprette del Tibet tutte bianche, dal vello fino a terra, intelligentissime, che appena mi vedevano o sentivano correvano belando a mettermi il musetto roseo nella mano in cerca di sale. Erano la mia passione.

   Perfino quel campione di originalità del tenente colonnello — un piemontese tutto d'un pezzo, della più antica nobiltà cisalpina, il quale pretendeva imporre il piemontese, e che fosse capito a volo anche, pure ai napoletani, uno di quegli esseri messi al mondo per santificazione o per dannazione del loro prossimo, uno di quegli ufficiali ai quali è destinata la prima pallottola dei loro gregari non appena una guerra giustifichi la morte per arma da fuoco — mi voleva bene. Bellissimo uomo e ricchissimo, non si era sposato per legge di maggiorasco. E aveva, di tutti gli scapoli per forza, tutti i difetti. Pure con me era buono e di una riservatezza di modi da prefetto di un seminario. Per me subito pronti i wafer di Talmone: unico dolce da darsi ai bambini, diceva lui, e si doveva ubbidire e mangiare i sigari, le noci, le tartine di cioccolato squisito avvolte nel cialdone croccante. Per me subito pronto il suo grammofono, uno dei primi, allora, e coi dischi più belli. Anzi, quando ero malatina, me lo mandava a casa. Per me subito aperta la sua splendida scuderia coi tre cavalli frementi, un capitale vivo, e la vecchia Gina, un'araba tutta di neve, la sua prediletta in gioventù, ormai cieca e che egli aveva pensionata e si tirava dietro per l'Italia col suo box imbottito perché non s'avesse a far male urtando contro il legno nudo. Sì, perché quest'uomo, che tormentava gli uomini suoi pari, era pietosissimo verso le bestie… Aveva anche una volpe zoppa, catturata da lui nell'Agro Romano, durante una caccia. Una bestiaccia selvaggia, mordace, che non amava altro che il suo padrone e un pochino me.

   Il colonnello, poi, era un santo. Pure egli piemontese e nobile, molto nobile, era l'opposto del tenente colonnello. Uno era la burrasca, l'altro il sereno. Uno il padre dei suoi soldati e l'altro il domatore. Ma con me erano buoni ugualmente tutti e due.
   Poi vi erano i soldati. Ecco: certuni, a sentire dire soldati, pensano che siano tutti dei mezzo delinquenti e dei viziosi senza altro. E non riflettono che l'esercito è fatto dei figli degli italiani. Io non discuto sulle virtù dei militari e specie su certe virtù. Ma devo, per la verità, dire che in tanti anni che ebbi contatto con essi non udii mai dalle loro labbra parole o discorsi sconci né vidi atti triviali. Molto più ho da rammaricarmi delle donne. Ma dirò di esse più qua.

   I soldati erano con me dei grandi e buoni ragazzoni, tutti felici di portarmi a vedere il loro cavallo, di mostrarmi la… orripilante cartolina illustrata, ricevuta al mattino dalla loro bella lontana, e chiedermi che io la leggessi e rispondessi. Capirà che confidenza e che onore per me! Io ero «il genio, l'aiuto»!…

   Come erano contenti quando potevano offrirmi un frutto venuto dal loro lontano paese! Come si studiavano per fabbricarmi giocattoli semplici, ingegnosi, statuine per il presepio, piccole seggioline e un tavolinetto, che è ora a fianco del mio letto e che mi è caro perché mi ricorda uno fra i miei prediletti soldatoni. Ogni tanto venivano col passerotto caduto dal nido. Sapevano che ci tenevo agli uccellini. Poi in dicembre mi portavano il fieno più bello, fino come capelli di donna e profumato, per l'asino di S. Lucia. Mi assicuravano che era il fieno del Colonnello… e sulla loro parola mi mettevo quieta pensando che il ciuchino di una santa poteva mangiare il fieno della scuderia del Colonnello, del nostro Colonnello, perché il nostro era per me un colonnello speciale, dato che comandava il Reggimento dai colori di Maria Ss.: bianco e celeste.

   Certo mi divertivo più fra i soldati che non nelle noiose visite di società in cui le signore parlano di nascite, di malanni, ecc. ecc., non pensando che i bimbi hanno sempre le orecchie ben aperte, anche se non sembra, e che sarebbe doveroso risparmiare all'innocenza certe precoci rivelazioni. Come sarebbe utile risparmiare al cuore e alla mente in formazione certe… scuole di mormorazioni e di vacuità che pure informano di sé le conversazioni dei salotti nelle ore delle «visite».

   Come le ho sempre odiate! Divenuta col crescere timidissima, era per me un supplizio esser portata qua e là e messa in mostra come una bambola, sotto gli occhi severi di mamma che si inquietava perché io parevo una scema e non capiva che il filtro magico di quella mia scemenza era nel suo sguardo che mi impauriva.
   Anche le corse per i negozi con mamma non mi andavano a genio. Mi annoiavo a morte a correre da una sartoria a un negozio di cappellini, con lunghe stazioni (non precisamente sacre) davanti a vetrine di stoffe ecc. ecc. Preferivo le passeggiate al Parco, al Giardino Pubblico, meglio ancora ad Affori (allora campagna assoluta). Ma mamma non ci veniva quasi mai. Aveva sempre qualche malanno… molto più che ella ai suoi «bibi» ci fa, ci ha fatto sempre una immensa attenzione.

   E così uscivo io e papà. Ma che belle passeggiate! Nei giorni di sole all'aperto. Nei mesi d'inverno nei musei. Quante cose sapeva il mio babbo! E poi c'erano i viaggi premio: sui laghi, a Cremona, Mantova, Verona, Venezia durante le feste di primavera, e in Toscana nei mesi estivi. Allora veniva anche mamma. Ero felice fra loro due… Ma erano rare oasi… Dirò più avanti.

   Altri amici non ne avevo da piccina, fuorché una vecchietta abitante nello stesso palazzo. Si chiamava Pace e suo marito Romeo. La loro casa era una vera pace. Come si amavano! Al terreno avevano un negozio di cartoleria, ormai gestito dal nipote perché non avevano mai avuto figli: la loro unica croce. Le più belle decalcomanie erano per me, e così le più belle immagini e le più lucide copertine per i libri di scuola.

   Quando vi fu l'Esposizione a Milano la signora Pace, che non usciva mai perché diceva che il movimento le dava le vertigini — «mi fa balorda», diceva — spinse il suo affetto per me a uscire per condurmi all'Esposizione, e là era quel minuscolo sapiente che ero io che erudiva la buona, semplice vecchietta. Cara anima che assomigliavi a quella di mia nonna, ti amo ancora.

   Ho detto: non avevo altri amici. Ma ho sbagliato. Avevo una povera vecchierella che abitava nelle soffitte e che fra un… interregno ancillare e l'altro veniva a fare un mezzo servizio. Mia madre la aiutava molto, la curò quando fu malata gravemente, perché mi è dolce dire che anche mia mamma ha dei lati buoni. Povera Santina! Il marito era un vecchio ubriacone… la figlia, unica rimastale e ormai sposata e con diversi figli, si consumava facendo la stiratrice nella casa di fronte. Voleva bene alla mamma ma era povera lei pure. Io andavo spesso nella misera ma pulitissima soffitta di Santa. Di giorno l'ubriacone non c'era mai. E là mi sentivo felice perché quella linda vecchierella mi pareva la mia nonna. Le andavo in braccio… Poi giocavo con la sua nipotina.

   Se avevo la superbia di non chiedere scusa ero, viceversa, molto portata verso gli umili. Non ho mai sprezzato il povero, il popolano, l'ignorante. Se mai mi hanno dato sempre noia i miei pari o i miei superiori per censo e condizione, se sono dei «muf­foni e dei posatori».

   Volevo bene alla povera Santa e alla sua nipotina e ero contenta se le potevo portare delle buone cosine. Si giocava alla bambola coi miei giocattoli e Santina-nipote voleva sempre fare la cucina, certa che poi… i pasti luculliani a base di frutta fresche e secche, dolci, cioccolato, li mangiava lei. Io avrei preferito giocare alle mamme. Ho sempre avuto l'istinto della maternità e il desiderio dei figli… Oppure ai feriti. Ho anche sempre avuto la vocazione dell'infermiera. Il dottore di famiglia rideva ammirato davanti alle perfette fasciature di teste, gambe, occhi che io applicavo alle mie numerose pupe che erano «tutti feriti di guerra perché la guerra era venuta», dicevo. Triste e vero presagio del cuore! Ma cedevo al desiderio di Santa-bimba e facevo la cucina.

   Poi volevo bene alle donne di servizio. Col mio carattere affettuoso sempre mendicante carezze, più necessarie a me del cibo stesso e — devo dirlo perché Lei si è raccomandato che io dica di me il male ma anche il bene — e col mio temperamento quieto, senza capricci, umile, ero molto amata dal personale di servizio e lo amavo molto.

   Veramente mamma, che per sé stessa mi teneva abbassata come un filo d'erba sotto il piede di un uomo, avrebbe voluto che io, per quanto fossi un cosino alto da terra ben pochi centimetri, mi dessi delle arie di padronanza e, naturalmente, di alterigia. Ma io non potevo fare questo, sia per natura e sia perché, osservatrice come ero, avevo notato che mentre con la mamma i dipendenti filavano, è vero — e sfido a poter fare diverso — ma anche, appena potevano, se la svignavano alla prima occasione, con papà, sempre paziente, gioviale, senza boria, un vero padre degli umili, le cose andavano ben diverse, e il mio buon papà doveva destreggiarsi per liberarsi dai troppi soldati che volevano tutti essere alle sue dipendenze e che, finito il loro tempo militare, si riaffermavano per non perdere il loro superiore. Io notavo gli sguardi di affetto e gli atti di affetto spontanei che sgorgavano da quei cuori semplici che si sentivano amati e ubbidivano ai desideri, non ai comandi perché papà era così buono che non comandava mai, ma era anche così amato che il suo minimo desiderio era non solo subito tradotto in opera appena lo esprimeva ma anche indovinato con quella prescienza che dà l'amore. Io volevo essere come papà. Per spirito imitativo di figlia, per cui pare tutto bello quanto fa il prediletto fra i genitori, e perché mi era facile essere come papà, avendo il suo stesso cuore, mentre… non avrei assolutamente potuto divenire come mamma.

   Ero perciò buona e affettuosa con la domestica, coll'attendente, con tutti. Mi rifugiavo presso loro per avere carezze e giuochi… Spesso mamma andava fuori per le odiose visite di società alle quali spesso non mi portava, con mia immensa gioia, perché le ho già detto quale supplizio fossero per me. Io restavo a casa con la donna e col soldato. Che belle ore serene! Ho avuto delle care ragazze che, pur nella loro semplicità campagnola, hanno avuto per me tesori di affetto. Le belle storie delle fate, le leggende dei loro paesi, i giuochetti che rallegravano i loro fratellini al paese venivano tutti messi in moto per rallegrare anche me.

   I soldati poi erano i miei… chirurghi preziosi per tutti i balocchi rotti, erano i costruttori di nuovi balocchi, erano i raccoglitori di frasche e di borraccina per il presepio, erano gli allevatori delle mie bestioline.
  Ma, come ho detto sopra, se dei soldati non ho nulla a dire fuorché del bene, circa le domestiche devo dire che, nella lunga teoria che ne vidi sfilare, qualcuna lasciò a ridire e avrebbe potuto nuocermi molto se Gesù lo avesse permesso.

   Una mi insegnò a rubare. Proprio. Aspettava che mamma uscisse e poi mi diceva: «Prendi questo, prendi quello e dammelo. Ma non lo dire». Non era cosa di valore perché mamma teneva e tiene tutto sotto chiave: qualche matassina di filo, dei dolci, delle frutta secche, dei liquori. Cosa ne facesse non so. Il certo è che mi insegnava a rubare.
   Un'altra, per pura ignoranza, mi teneva discorsi di cose non adatte a me e che solo la mia assoluta innocenza mi impedì di capire a fondo. Li capii più tardi, fatta ormai donna e ricordando quei discorsi.

   Ho detto «assoluta innocenza». Sì, ero una innocente pur non essendo un'oca. Avevo uno spirito d'osservazione acutissimo fin da piccola, una memoria tenace. Perciò può ben pensare che notavo tutto, catalogavo tutto, mi rendevo conto di tutto.
   Molto avanti a scuola rispetto all'età — pensi che a tredici anni e pochi mesi finii le complementari e le tecniche insieme, le dirò poi il perché — non potevo fare a meno di avere familiarità col Dizionario… e le assicuro che non lo lasciai in pace e che questo e la «Divina Commedia» mi servirono di scuola sul vero animale della vita. Ma però, e Dio ne sia benedetto, non ne ebbi nessun turbamento. La natura della nostra animalità spiegò tutti i suoi lati davanti a me senza che io ne venissi scossa. Scoprire il perché di una legge fisica o di un organo mi lasciava nella stessa calma che veder sbocciare un fiore.

   Ho letto di recente nella Vita di Maria Ss.1, che Lei mi ha dato da leggere, come l'Eterno compì sempre verso la Vergine il miracolo di velarle quanto avrebbe potuto urtare la sua verecondia verginale. Con me pure la bontà di Colui, che «per avermi amata di un amore eterno» veglia continuamente su me, ha operato il miracolo di stendere sulle parti oscure della nostra esistenza d'uomini un velo di splendore, che le rese pure anche se impure, gradevoli anche se sgradevoli, accettabili senza scosse anche se, per la loro rivelazione brutale, avrebbero potuto scuotere la mia casta ignoranza di bimba cresciuta senza fratellini, senza piccoli amici, sola in una famiglia dove l'innocenza mia era molto tutelata.
   Mi ricordo un episodio. Avvenuto quando ero in collegio e già dodicenne. Quell'anno, nel mio quieto collegio per poco avvenne una… mezza rivoluzione e causata proprio dal turbamento di una ormai di diciassette anni e sorella maggiore di una vera tribù di fratellini.

   Leggevamo i «Promessi Sposi» ed eravamo una ventina di allieve in quel corso. A nessuna accadde nulla. Ma a quella poverina, per me un po' tocca di cervello, il capitolo della monaca di Monza fu un fiammifero gettato in una polveriera. Pareva una spiritata! Chiedeva a tutte se poteva esser vero che i bimbi nascano da noi donne e come poteva avvenire. Delle mie compagne non so cosa risposero. Io, interrogata come l'oracolo della classe, risposi testualmente: «Ma certo! Non lo dice anche l'Ave Maria? Cosa c'è di speciale? Se Gesù è nato da Maria è segno che noi si nasce dalla mamma!…». E buona notte.

   Altro non pensavo. Consideri che ho dovuto aver passato di molto l'epoca degli studi per poter dire di aver conosciuto certi particolari e anzi solo mi divennero noti durante questa malattia. Merito mio? No. Grazia data gratis dal buon Dio e di cui non ho a vantarmi ma solo a ringraziarlo.

   Però, per tornare al capitolo delle domestiche, ho sempre pensato che io mamma mi sarei tenuta più vicino mia figlia, vicina con amore,per impedire che essa cercasse conversazioni e scuole presso povere creature che non sempre sono quali dovrebbero essere di prudenza, di moralità, per avvicinare una vita in formazione.
   Quanto tatto ci vuole coi piccoli! E come sarebbe bene ricordare sempre «che i loro angeli vedono Dio»2! Invece ho notato negli adulti poco riguardo, specie fra le donne. Conversazioni, giornali e libri lasciati a portata di mano dei piccoli, mentre sarebbe bene non lo fossero; spettacoli, mode, poco riguardo nel vestirsi in presenza dei bimbi. I quali vedono, odono, riflettono meglio degli adulti! Lo torno a dire.

   Io, pensando a come ero attenta io, ho sempre avuto una scrupolosa cura della innocenza dei piccini che il caso ha messo vicino a me. Anche recentemente ebbi a impormi al medico che, in presenza del suo bimbo di tre anni, mi voleva visitare. «Ma tanto non capisce niente», disse il medico alludendo al suo piccolo che giocava con delle figurine. «Ma io non voglio lo stesso», ho risposto.
   No. Molte cose potrà rimproverarmi Iddio ma, scrutandomi bene, mi pare proprio che non potrà chiedermi conto del perché ho fatto questo o quello a danno di un innocente. E questa certezza di non avere leso nessun candore è pur dolce e riposante al mio cuore. No. Ora che credo d'esser prossima a giungere nel porto eterno o in cima alla vetta della mia vita, guardando il cammino compiuto mi pare proprio di poter dire: «Non sono stata causa di corruzione a nessuno». Se del male ne ho fatto, a me sola l'ho fatto, e in modo che di esso neppur l'ombra ne apparisse, e questo non per ansia di stima umana ma per rispetto della altrui anima che, di adulto o di bimbo, di giusto o di peccatore, ho sempre rispettata come opera di Dio, pensando che come nessun mortale è completamente santo — la santità assoluta è sola di Dio — così nessun mortale è completamente peccatore. Perciò ho sempre curato di non portare altre briciole di malvagità nei cuori o di gettare in essi la prima briciola, se erano cuori innocenti.

   Io fui urtata, ferita, infangata dall'imprudenza altrui e dovetti rialzarmi, guarirmi, mondarmi da me sola. Sì, da me sola perché aiuto umano non ne ho avuto e, come vedrà da sé, l'opera di Dio in me fu opera di assecondamento più che di imposizione. Opera lentissima, penetrazione più impercettibile di quella del microbo in un corpo. E non progredì altro perché io risposi al primo appello.
   Penso alla valanga che non si forma se il primo fiocco di neve non inizia il moto vorticoso e se tutto il fianco montano non vi si presta. Io e Dio abbiamo formato la valanga. Egli il  primo fiocco al quale io ho dato la prima spinta… e poi, sempre più grande e veloce, si formò la valanga, l'unione, la discesa che è ascesa nel­l'abisso della Divinità, attraverso l'annichilimento della creatura che si riforma, nascendo a Dio per la vita eterna con l'amore e col dolore.


   Vita di Maria Ss.: potrebbe trattarsi del volumetto "Maria di Nazareth" di Igino Giordani, Firenze 1942, Casa 
Editrice Adriano Salani.
   2 i loro angeli vedono Dio è citazione da: Matteo 18, 10.
MV a 4 anni
Padre con colleghi 1°dex

VETERUM SAPIENTIA


Il latino, una porta che ci mette in contatto con la Tradizione


MOLTO PIU' DI Quarant’anni fa papa Roncalli firmava la Veterum sapientia, la costituzione apostolica sul latino. Un documento scritto perché questa lingua fosse sempre più promossa e conservata nella Chiesa. Le cose, però, andarono in maniera ben diversa...


di Lorenzo Cappelletti

Giovanni XXIII

Giovanni XXIII
«Presenti nel tempio massimo della cristianità il Sacro Collegio, la Curia romana, la Commissione centrale per la preparazione del Concilio Vaticano II, i corpi accademici e l’alunnato degli Atenei ecclesiastici e tutto il clero dell’Urbe, nonché il numeroso popolo di ogni stirpe e lingua, il Sommo Pontefice, che sedeva al cospetto della sua Cattedra, metteva il suggello alla costituzione apostolica sulla lingua latina, nella quale viene espressa la ferma volontà della Santa Sede “che lo studio e l’uso di questa lingua, restituita alla sua dignità, venga sempre più promosso e attuato”». 
    Così scriveva sull’Osservatore Romano del 1° marzo 1962 il cardinal Pizzardo, rievocando il momento in cui una settimana prima, 22 febbraio, festività della Cattedra di san Pietro, gli era stata solennemente consegnata, a suo onore e onere, in quanto prefetto della Sacra Congregazione dei Seminari e delle Università degli studi, la Veterum sapientia da papa Giovanni XXIII. 

In effetti nessun altro documento del “Papa buono” fu presentato entro una cornice così fastosa. Non fu un caso: «L’abbiamo voluto firmare in questo solenne convegno preludente al Concilio» diceva il Papa nel discorso tenuto in quell’occasione «a titolo di particolare apprezzamento e onore». 
    Ma non bisogna lasciarsi trarre in inganno dalle apparenze. Lo scopo di esse, come spesso accade in natura, era essenzialmente difensivo, e forse non solo ad extra: c’è chi pensa sia stato anche il modo di carpire la benevolenza dei conservatori per spianare la strada alla riforma conciliare e magari proprio all’affossamento del latino. 
    Si voleva opporre, e ancor più dare l’impressione di opporre, un argine imponente al degrado altrettanto imponente dello studio e dell’uso del latino nell’ambito ecclesiastico e civile. Si intuiva infatti la forza prevalente dei fatti che, più degli argomenti, giocavano per la sua progressiva emarginazione. Non si intuiva o non si voleva intuire che in questi casi, facendo la voce troppo grossa, si rischia di non difendere nemmeno l’essenziale che era piuttosto il latino nella liturgia, da cui dipendeva anche la permanenza del suo uso e del suo studio. Ma quello si dava per scontato e la Veterum sapientia non se ne occupava.

La questione dell’uso 
e dello studio del latino

Era all’incirca dalla metà del XIX secolo, dal tempo di Pio IX, che si veniva ponendo in modo sempre più urgente la questione del latino, e da allora sinodi diocesani, concili provinciali, le Sacre Congregazioni romane e gli stessi pontefici avevano fatto intendere più volte la loro voce a difesa. Ma con scarsi risultati. 

Il primo documento dedicato specificamente al problema era stato una lettera ai vescovi inviata nel 1908 dalla Sacra Congregazione degli Studi a nome di papa Pio X. Ma chi prese davvero a cuore la questione, tanto che suoi sono i documenti cui maggiormente attinge la Veterum sapientia, fu Pio XI. Riprendendo una analogia già sostenuta da Leone XIII e da Benedetto XV, egli estende la custodia del deposito della fede alla custodia della sua forma latina, con l’esplicita citazione della Prima Lettera a Timoteo (6,20). 
Infatti dice che il latino è connesso a tal punto con la vita della Chiesa da riguardare non tanto la cultura e lettere ma la religione. E più volte negli atti del suo pontificato ricorre accorata l’affermazione tradizionale che il latino è come la madre lingua per la Chiesa e che pertanto l’ignoranza di questa lingua segnala una certa quale mancanza di amore alla Chiesa (cfr. le epistole Officiorum omnium del 1922 e The Sacred Congregation, della Sacra Congregazione dei Seminari, del 1928). 

Con tutto ciò l’abbandono del latino cresce con la guerra, ma con la guerra viene anche inevitabilmente dilazionato a tempi più adatti qualunque provvedimento. I tempi maturano durante il pontificato Giovanni XXIII, cultore egli stesso dei Padri latini, come si può leggere in più pagine del suo Giornale dell’anima: «Voglio rileggere il De civitate Dei di sant’Agostino» scriveva quando era delegato apostolico proprio nei giorni della guerra (25-31 ottobre 1942) «e farmi di quella dottrina succo e sangue per giudicare tutto solo e in faccia a chi si accosta al mio ministero con sapienza che illumina e conforta». 

E poi ormai da papa, nel 1961: 
«L’esercizio della parola che vuole essere sostanziosa e non vana mi fa desiderare un accostamento maggiore a quanto scrissero i grandi pontefici dell’antichità. In questi mesi mi tornano familiari san Leone Magno e Innocenzo III. Purtroppo pochi ecclesiastici si curano di loro che sono ricchi di tanta dottrina teologica e pastorale. Non mi stancherò di attingere a queste sorgenti così preziose di scienza sacra e di alta e deliziosa poesia».

L’avvicinarsi di speranze di pace e, insieme, del Concilio, convocato col desiderio di un ritorno anche della Chiesa alla sua piena pace e unità, non senza timore, peraltro, per un’assemblea così composita, faceva sentire con più forza a papa Giovanni in particolare il valore universale e unificante della lingua latina (tema anche questo esplicitato per primo da Pio XI). 

Papa Giovanni espresse questa sua sollecitudine fin dall’inizio del suo pontificato e la ripeté nel discorso dell’udienza di presentazione della Veterum sapientia: «Piace qui ricordare l’importanza e il prestigio di questa lingua nel presente momento storico, in cui insieme con una più sentita esigenza di unità e di intesa fra tutti i popoli, non mancano tuttavia espressioni di individualismo. La lingua di Roma usata nella Chiesa di rito latino, particolarmente fra i suoi sacerdoti di diversa origine, può ancora oggi rendere nobile servizio all’opera di pacificazione e unificazione. Lo può rendere anche ai nuovi popoli che si affacciano fiduciosi alla vita internazionale. Essa infatti non è legata agli interessi di alcuna nazione, è fonte di chiarezza e di sicurezza dottrinale, è accessibile a quanti abbiano compiuto studi medi e superiori; e soprattutto è veicolo di comprensione».

Ma forse la causa prossima della Veterum sapientia va rintracciata anche in una contingenza del tutto marginale, diremmo oggi a quarant’anni di distanza: la riforma della scuola media inferiore che in Italia di lì a poco avrebbe relegato il latino a materia facoltativa. S
ignificativo per non dire rivelativo, è quanto scriveva Ezio Franceschini nella Rivista del clero italiano di quel fatidico 1962: «Del tutto particolare è stato l’interesse con cui la costituzione è stata accolta in Italia: essa infatti è venuta ad inserirsi, con il peso di un’autorità immensa, sulla polemica che infuria circa l’utilità del latino da quando il suo insegnamento si prospetta come facoltativo e opzionale nella nuova “scuola media unificata” che accoglierà i giovanetti italiani dagli 11 ai 14 anni. Sua santità Giovanni XXIII si rivolge naturalmente e dà disposizioni soltanto alle scuole ecclesiastiche e religiose di ogni ordine e grado: ma le osservazioni che fa sul valore della lingua latina, sia come strumento di formazione intellettuale, sia come mezzo di comunicazione universale, hanno un significato che va ben al di là del territorio cui il discorso è rivolto». 

Si pensò probabilmente che magnificare le doti del latino sul piano della storia e della cultura e prescriverne l’uso e lo studio con un documento vergato con solennità avrebbe potuto manifestare quale fosse la determinazione con cui la Chiesa intendeva difendere il latino a tutto campo, quale «tesoro di incomparabile valore», e magari scongiurare quella riforma. 

Numerosi commenti, specialistici e non, venivano a confermare l’opportunità della Veterum sapientia e il suo sicuro successo. Benedetto Riposati, con più enfasi che lungimiranza, scriveva su Vita e pensiero: «La Chiesa offre un mirabile esempio di rispetto delle tradizioni culturali e umanistiche, che richiama a base della formazione intellettuale e spirituale delle giovani generazioni, e predice, consiglia, impone la lingua latina quale efficacissimo, insostituibile mezzo di codesta saggia finalità. Né fallirà al fine». Fiorenzo Romita su Monitor ecclesiasticus di quello stesso 1962 affermava soddisfatto che, a norma dell’articolo 2 della Veterum sapientia, ormai non si poteva che parlare in favore (pro) di quanto prescritto dalla nuova costituzione, nessuno avrebbe più potuto parlare, neanche per i più nobili motivi, contro (contra). Ma poi l’ultimo rigo del suo commento, che in lungo e in largo aveva legittimato principi e norme della Veterum sapientia, riconosceva lapidariamente che il problema andava ben oltre il parlare. All’attuazione della costituzione e delle Ordinationes infatti «obiectivae difficultates eaeque gravissimae obstabunt» (per chi non sa il latino: faranno ostacolo difficoltà obiettive e per di più estremamente serie). 
Giusto La Civiltà Cattolica si distingueva, riportando in italiano la sola parte precettiva della Veterum sapientia accompagnata dalle parole del Papa, e senza alcun commento: un modo come un altro per commentare.

In realtà di lì a poco la Chiesa non riuscì a conservare il latino nemmeno entro i suoi confini. Tutti oggi, a quarant’anni di distanza, sanno che fine ha fatto il latino, non nella scuola media italiana o nei ginnasi tedeschi, ma nel cuore della liturgia e della fede della Chiesa, e proprio lo scarto fra le disposizioni indiscutibili della Veterum sapientia e il risultato discutibilissimo fa scintille. 
    Cosa mai pretendeva quella costituzione per avere ottenuto un risultato così difforme dai suoi dichiarati intenti? In realtà non pretendeva niente altro che l’osservanza di ciò che già era prescritto. Ma quell’osservanza già da tempo era impraticabile. Il problema non sta nel documento, ma nei tempi cambiati. Anche giudicare il tempo fa parte dei consigli evangelici.
Giovanni XXIII impartisce la benedizione “Urbi et orbi”

Giovanni XXIII impartisce la benedizione “Urbi et orbi”

Le due parti 
della Veterum sapientia

Il documento, assai breve, si compone di due parti ben distinte. Una prima in cui si tessono le lodi della lingua latina. Tanto per la sua storia che per la sua struttura, si dice, essa è stata sempre esaltata e raccomandata allo studio e all’uso dai pontefici e dai sinodi precedenti.          La lingua latina infatti ha provvidenzialmente accompagnato la propagazione del cristianesimo nell’Occidente; è universale, immutabile, piena di maestà; è la porta d’accesso alle verità trasmesse dalla Tradizione; ha grande efficacia formativa. 

Rispetto a questa prima parte espositiva si può forse dire, col senno del poi (ma padre Urbano Navarrete scriveva a caldo nel 1962 più o meno le stesse cose su Periodica de re canonica), che non giovò mettere insieme senza alcun ordine gerarchico motivazioni di diversa importanza e fondatezza. 
     Non teme smentite infatti l’affermazione che la lingua latina è «quasi una porta che mette tutti a diretto contatto con le cristiane verità tramandate dalla Tradizione [oggi che non si passa più da quella porta “le cristiane verità tramandate dalla Tradizione” sono diventate “la verità”] e con i documenti dell’insegnamento della Chiesa; e un vincolo efficacissimo che ricollega con mirabile continuità la Chiesa di oggi con quella di ieri e di domani». 
     Mentre molto più opinabile e secondaria è la perfetta congruità della lingua latina a «promuovere ogni forma di cultura presso qualsiasi popolo» o l’«efficacia tutta speciale che hanno sia la lingua latina sia in generale la cultura umanistica nello sviluppare e formare le tenere menti dei giovani». 



Al termine della prima parte si trova introdotta la seconda: infatti, proprio perché «l’uso del latino viene ai nostri giorni messo in più luoghi in discussione», la seconda parte viene deputata a contenere provvedimenti per la rinascita dello studio e dell’uso del latino. In otto punti vengono emanate norme di cui alcune immediatamente efficaci (si fa per dire), altre che attendevano di essere seguite da specifici atti esecutivi a carico della Sacra Congregazione dei Seminari: le norme 8 e 6. 

Il documento in effetti fu seguito, in data 22 aprile 1962, da Ordinationes (Ordinamento degli studi) che nel giugno successivo furono inviate ai vescovi e ai rettori delle università e facoltà ecclesiastiche: sarebbero dovute entrare in vigore col primo giorno dell’anno accademico 1963-64. 

Estremamente dettagliate (forniscono in appendice finanche un elenco di testi patristici dai quali attingere brani in latino e greco e la traccia della relazione che si sarebbe dovuta inviare annualmente per i primi cinque anni alla Congregazione) tali Ordinationes si aprono però colla constatazione di «quanto difficile e faticoso sia attuare questa importantissima e necessaria disposizione, sia per la presente infelice condizione dello studio e dell’uso della lingua latina, sia per concomitanti circostanze di luoghi, tempi e persone». Tanto che è prevista al cap. VIII § 2 una serie di norme transitorie per facilitare un’applicazione graduale. In effetti, mentre ufficialmente il terzo fascicolo del 1962 di Seminarium, la rivista della Congregazione, riporta l’elenco delle adesioni di eminenti ecclesiastici e delle maggiori università e facoltà ecclesiastiche, ufficiosamente si sa che fioccarono proteste di moltissimi vescovi e minacce di dimissioni così numerose da parte dei professori che anche le maggiori università si sarebbero trovate nell’impossibilità di offrire i corsi se si fosse applicato il nuovo Ordinamento degli studi. Così la Congregazione fu costretta a soprassedere, chiudendo non un occhio ma tutti e due. 

A due anni di distanza dalla Veterum sapientia poi, in ottemperanza all’articolo 6 che prevedeva la creazione di un Istituto accademico di lingua latina, Paolo VI, succeduto nel frattempo a Giovanni XXIII, col motu proprio Studia latinitatis del 22 febbraio 1964 erigeva presso il Pontificio Ateneo Salesiano il Pontificium Institutum Altioris Latinitatis. Pur essendo nato già macilento per mancanza di materia prima, pur essendosi illanguidito fino al punto quasi da estinguersi negli anni Settanta, pur avendo formalmente e sostanzialmente cambiato nome e finalità, di tutti i propositi della Veterum sapientia è questo l’unico a essere ancora in piedi. 
Affidato alla Società Salesiana è oggi guidato da un preside umile, un siciliano autoironico e cordiale che affronta con passione e allo stesso tempo con il sorriso sulle labbra l’impresa impossibile di far studiare e amare una lingua che non importa nemmeno a chi di dovere sia studiata e amata. Un’armatura leggera è l’unica difesa, a volte. 

LAUDETUR JESUS CHRISTUS

PREGHIERA DEL ROSARIO PRESIEDUTA DAL SANTO PADRE


DISCORSO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
Basilica di Santa Maria Maggiore
Sabato, 3 maggio 2008

Cari fratelli e sorelle,

al termine di questo momento di preghiera mariana, desidero rivolgere a tutti voi il mio cordiale saluto e ringraziarvi per la vostra partecipazione. Saluto in particolare il Cardinale Bernard Francis Law, Arciprete di questa stupenda Basilica di Santa Maria Maggiore. Questo è, in Roma, il tempio mariano per eccellenza, in cui il popolo della Città venera con grande affetto l’icona di Maria Salus Populi Romani. Ho accolto volentieri l’invito che mi è stato rivolto nel primo sabato del mese di maggio, a guidare il santo Rosario, secondo la bella tradizione che ho vissuto fin dalla mia infanzia. 

Nell’esperienza della mia generazione, infatti, le sere di maggio rievocano dolci ricordi legati agli appuntamenti vespertini per rendere omaggio alla Madonna. Come, infatti, dimenticare la preghiera del Rosario in parrocchia oppure nei cortili delle case e nelle contrade dei paesi?

Oggi insieme confermiamo che il santo Rosario non è una pia pratica relegata al passato, come preghiera di altri tempi a cui pensare con nostalgia. 

Il Rosario sta invece conoscendo quasi una nuova primavera. 

Questo è senz’altro uno dei segni più eloquenti dell’amore che le giovani generazioni nutrono per Gesù e per la Madre sua Maria. Nel mondo attuale così dispersivo, questa preghiera aiuta a porre Cristo al centro, come faceva la Vergine, che meditava interiormente tutto ciò che si diceva del suo Figlio, e poi quello che Egli faceva e diceva. 

Quando si recita il Rosario si rivivono i momenti importanti e significativi della storia della salvezza; si ripercorrono le varie tappe della missione di Cristo. Con Maria si orienta il cuore al mistero di Gesù. 
Si mette Cristo al centro della nostra vita, del nostro tempo, delle nostre città, mediante la contemplazione e la meditazione dei suoi santi misteri di gioia, di luce, di dolore e di gloria. 

Ci aiuti Maria ad accogliere in noi la grazia che promana da questi misteri, affinché attraverso di noi possa “irrigare” la società, a partire dalle relazioni quotidiane, e purificarla da tante forze negative aprendola alla novità di Dio. 

Il Rosario, quando è pregato in modo autentico, non meccanico e superficiale ma profondo, reca infatti pace e riconciliazione. 

Contiene in sé la potenza risanatrice del Nome santissimo di Gesù, invocato con fede e con amore al centro di ogni Ave Maria.

Cari fratelli e sorelle, ringraziamo Dio che ci ha concesso di vivere questa sera un’ora così bella di grazia, e nelle prossime sere di questo mese mariano, anche se saremo distanti, ciascuno nelle proprie famiglie e comunità, sentiamoci ugualmente vicini e uniti nella preghiera. 
Specialmente in questi giorni che ci preparano alla solennità della Pentecoste restiamo uniti con Maria invocando per la Chiesa una rinnovata effusione dello Spirito Santo. 


Come alle origini, Maria Santissima aiuti i fedeli di ogni comunità cristiana a formare un cuore solo e un’anima sola. 
Vi affido le intenzioni più urgenti del mio ministero, le necessità della Chiesa, i grandi problemi dell’umanità: la pace nel mondo, l’unità dei cristiani, il dialogo fra tutte le culture. 
E pensando a Roma e all’Italia vi invito a pregare per gli obiettivi pastorali della Diocesi, e per lo sviluppo solidale di questo amato Paese. 
Al nuovo Sindaco di Roma, Onorevole Gianni Alemanno, che vedo qui presente, rivolgo l’augurio di un proficuo servizio per il bene dell’intera comunità cittadina. 

A tutti voi qui convenuti e a quanti si sono uniti a noi mediante la radio e la televisione, in particolare ai malati e agli infermi, imparto di cuore la Benedizione Apostolica.


© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana

Beati coloro che portano sempre con sé la Corona del Santo Rosatio - Quante! Quante grazie piovono per le Ave del Rosario! Rose bianche, rosse, oro.


"In qualsiasi necessità invocate la Madonna! e vi assicuro che sarete esauditi!"
S. Giovanni Bosco

PROMESSE DELLA VERGINE MARIA A COLORO CHE PORTANO SEMPRE CON SE'
LA CORONA DEL SANTO ROSARIO

come recitare il rosario
1)      Tutti coloro che portano fedelmente la corona del Santo Rosario, saranno da me condotti a mio Figlio.
2)    Tutti coloro che portano fedelmente la corona del Santo Rosario, saranno da me aiutati nelle loro imprese.
3)     Tutti coloro che portano fedelmente la corona del Santo Rosario, impareranno ad amare la Parola e la Parola li farà liberi. Non saranno più schiavi.
4)     Tutti coloro che portano fedelmente la corona del Santo Rosario, ameranno sempre di più mio Figlio.
5)     Tutti coloro che portano fedelmente la corona del Santo Rosario, avranno una conoscenza più profonda di mio Figlio nella loro vita quotidiana.
6)    Tutti coloro che portano fedelmente la corona del Santo Rosario, avranno un desiderio profondo di vestire con decenza per non perdere la virtù della modestia.
7)     Tutti coloro che portano fedelmente la corona del Santo Rosario, cresceranno nella virtù della castità.
8)      Tutti coloro che portano fedelmente la corona del Santo Rosario, avranno una coscienza più profonda dei loro peccati e cercheranno sinceramente di correggere la propria vita.
9)      Tutti coloro che portano fedelmente la corona del Santo Rosario, avranno un profondo desiderio di diffondere il messaggio di Fatima.
10)   Tutti coloro che portano fedelmente la corona del Santo Rosario, sperimenteranno la grazia della mia intercessione.
11)    Tutti coloro che portano fedelmente la corona del Santo Rosario, avranno pace nella loro vita giornaliera.
12)   Tutti coloro che portano fedelmente la corona del Santo Rosario, saranno ripieni di un profondo desiderio di recitare il S. Rosario e meditare i Misteri.
13)    Tutti coloro che portano fedelmente la corona del Santo Rosario, saranno confortati nei momenti di tristezza.
14)     Tutti coloro che portano fedelmente la corona del Santo Rosario, riceveranno il potere di prendere decisioni sagge illuminati dallo Spirito Santo.
15)    Tutti coloro che portano fedelmente la corona del Santo Rosario, saranno invasi da un profondo desiderio di portare oggetti benedetti.
16)     Tutti coloro che portano fedelmente la corona del Santo Rosario, venereranno il mio Cuore immacolato e il Sacro Cuore di mio Figlio.
17)      Tutti coloro che portano fedelmente la corona del Santo Rosario, non useranno il nome di Dio invano.
18)     Tutti coloro che portano fedelmente la corona del Santo Rosario, avranno una profonda compassione per Cristo crocifisso e aumenterà il loro amore per Lui.
19)    Tutti coloro che portano fedelmente la corona del Santo Rosario, saranno guariti da malattie fisiche, mentali ed emozionali.
20)    Tutti coloro che portano fedelmente la corona del Santo Rosario, avranno pace nelle proprie famiglie.
(Promesse fatte dalla Vergine durante varie apparizioni)

Pregare con il Rosario
(da "I Quaderni del 1945-50", 8 maggio 1947, di Maria Valtorta)

Dice Maria Ss. di Fatima

«Ti ho dato la vista intellettiva di ciò che è un Rosario ben detto: pioggia di rose sul mondo.Ad ogni Ave che un'anima amante dice con amore e con fede io lascio cadere una grazia. Dove? Da per tutto: sui giusti a farli più giusti, sui peccatori per ravvederli. Quante! Quante grazie piovono per le Ave del Rosario! Rose bianche, rosse, oro.

Rose bianche dei misteri gaudiosi, rosse dei dolorosi, d'oro dei gloriosi. Tutte rose potenti di grazie per i meriti del mio Gesù. Perché sono i suoi meriti infiniti che dànno valore a ogni orazione. Tutto è e avviene, di ciò che è buono e santo, per Lui. Io spargo, ma Egli avvalora. Oh! Benedetto mio Bambino e Signore!

Vi do le rose candide dei meriti grandissimi della perfetta, perché divina - e perfetta perché volontariamente voluta conservare tale dall'Uomo - Innocenza di mio Figlio. Vi do le rose porpuree degli infiniti meriti della Sofferenza di mio Figlio, così volonterosamente consumata per voi. Vi do le rose d'oro della sua perfettissima Carità. Tutto di mio Figlio vi do, e tutto di mio Figlio vi santifica e salva. Oh! io sono nulla, io scompaio nel suo fulgore, io compio solo il gesto di dare, ma Egli, Egli solo è l'inesauribile fonte di tutte le grazie!».

La potenza del Rosario

Ciò che il Cielo ci ha rivelato sul valore del S. Rosario
Vi esorto a rileggere e a meditare il messaggio che la Madonna rivolse parlando a noi della potenza ed efficacia che il Santo Rosario ha sempre sul Cuore di Dio e su quello Figlio suo. Ecco perché la Madonna stessa nelle sue apparizioni prende parte alla recita del Rosario, come nella grotta di Lourdes con S. Bernardetta e a Fatima con me, Francesco e Giacinta. E quando il rosario scorre nelle vostre mani gli angeli e i santi si uniscono a voi. Mai come oggi, il mondo ha bisogno del vostro rosario. Ricordate che sulla terra vi sono coscienze prive della luce della fede, peccatori da convertire, atei da strappare a satana, infelici da soccorrere, giovani disoccupati, famiglie nel bivio morale, anime da strappare all’inferno. E’ stato tante volte, la recita di un solo Rosario a placare lo sdegno della divina giustizia, ottenendo sul mondo la Misericordia divina e la salvezza di tante anime. Solo così affretterete l’ora del trionfo del Cuore Immacolato della Madonna sul mondo.
Da quando la Vergine SS. ha dato grande efficacia al rosario, non c’è problema materiale, ne spirituale, nazionale o internazionale che non si possa risolvere con il S. Rosario e con i nostri sacrifici.”

Suor Lucia di Fatima “Bisogna dare più spazio al Rosario. Col Rosario è possibile vincere tutti gli ostacoli che Satana in questo momento vuole creare alla Chiesa cattolica. Tutti i sacerdoti in particolare devono recitare il Rosario. Il Rosario deve essere recitato col cuore e con gioia; non deve essere solo un dovere da sbrigare frettolosamente.”

25 giugno 1985 e 12 giugno 1986, messaggi della Madonna a Medjugorje “Recitate il Rosario. Figlia mia eccoti il Rosario. Tutti coloro che lo reciteranno avranno da Me molte grazie. Esso è un forte legame che vi unisce al mio Cuore. Esso glorifica il Signore, Re del cielo e della terra. Un rosario detto con devozione è un richiamo per qualsiasi intercessione, è la contemplazione dei misteri della fede.. il Padre nostro.. è la preghiera di unione.. la preghiera del Signore.. la preghiera di glorificazione dalla SS. Trinità con la recita del Gloria al Padre.. dì ai miei figli di recitare il S. Rosario anello di fede e di luce e legame di unione, di gloria, di beatitudine.. ecco o figli al corona del Rosario! Chi la reciterà avrà da me tante grazie!.. è una grande unione con il mio Cuore di Madre celeste che glorifica il signore Re del cielo e dell’universo! Riferisci a tutti che mi amino per riparare la moltitudine delle offese fatte al mio Divin Figlio Gesù Cristo.”

Papa PioIX"Datemi un milione di famiglie che recitano il Rosario ed il mondo sarà salvo”

Papa Pio XII :Non esiste un mezzo più sicuro per attirare le benedizioni del Signore sulla nostra famiglia… che la recita quotidiana del Rosario.

Apparizioni di Maria Rosa Mistica a Montichiari “Recitate ogni giorno il Rosario e con esso pregate per il vescovo e i sacerdoti.. recitate molti Rosari. Io sola posso salvarvi dalle disgrazie che si annunciano. Chiunque avrà fiducia in Me sarà salvo.”

Apparizioni della Vergine ad Akita “Gesù e Io vogliamo salvare il mondo; ma occorre che i cristiani preghino molto, particolar-mente recitando il Rosario e la Coroncina alla Divina Misericordia. In ogni chiesa si deve recitare il Rosario insieme col sacerdote dopo la Messa. Con la re cita del Rosario, Satana sarà sconfitto. Recitate ogni giorno il Rosario per la conversione dei peccatori.”

Apparizioni della Vergine ad Ottawa La Madonna a Conyers a proposito del Rosario ha detto“Per favore, pregate il Rosario per la pace, vi prego. Pregate il Rosario per ottenere forza interiore. Pregate contro i mali di questo tempo. Tenete viva la preghiera nelle vostre case e dovunque andate”.

13 ottobre 1998, messaggio della Madonna a Nancy Fowler a Conyer“ Le Ave Maria dette con fede e amore sono come frecce d’oro,che partono dalla bocca dei credenti e penetrano nel Cuore di Gesù.”

La SS. Vergine alle Tre Fontane “Desidero che si continui a recitare il Rosario… Pregate, pregate tanto, almeno 3 ore al giorno, recitate molti Rosari.. recitate il Rosario , pregate con il cuore fervoroso. Il Signore ha toccato molti cuori e li ha infiammati con l’amore del suo Cuore, ha confortato molti sconsolati, ha portato la pace in molte famiglie, in molti cuori. Ha fatto capire a tanti quanto sia stupenda e meravigliosa la preghiera, quanto è efficace la recita del Rosario.”

La Madonna a Belpasso “Figliolini miei, vi consegno il mio Rosario, Catena d’oro che vi tiene stretti al mio Cuore: pregate, pregate col Rosario, tenetelo stretto, recitatelo con fede, col cuore. Sarà la salvezza dell’umanità! Questa sarà il segno che voi siete miei! Egli satana lo teme tanto, e fa di tutto per perdere le anime. Però, io, la vostra Mamma faccio di tutto per salvarle, perché questa è la volontà del Signore. Ma Io ho bisogno del vostro aiuto. Pregate, fate sacrifici e penitenza. Amatevi, amatevi come Io vi amo, solo così le anime si salveranno.”

La Madonna a Suor Chiara Scarabelli - apparizione della Medaglia dei Consacrati “Prometto a tutti i bambini che reciteranno il Rosario con grande devozione che al quinto mistero, gli arcangeli Michele , Raffaele , e Gabriele disegneranno una croce sulla loro fronte.”

Patricia Talbot “Il Rosario è la preghiera del cielo, Io stessa sono venuta a domandarvi. Con essa riuscirete a scoprire le insidie del mio avversario, vi sottrarrete a tanti suoi inganni, vi difende da molti pericoli che vi tende, esso vi preserva dal male e vi avvicina sempre più a me perché io possa ente la vostra guida e la vostra protezione.”

La Madonna a Don Stefano Gobbi “..Invece di inveire, prendete in mano, impugnate il Rosario, l’arma che vincerà il mondo della tenebra. Fatevi apostoli del mio Rosario. Ogni anima orante è una macchina che lega ogni Ave a me rivolta.
Nelle avversità e nelle tentazioni non cedere allo scoraggiamento. La pratica della confessione e la recita de S. Rosario sono le armi più efficaci contro il maligno.”

La Madonna a Luigina Sinapi - Mistica romana “Meditate sulle sofferenze di Nostro Signore Gesù e sul profondo dolore di Sua Madre. Pregate il Rosario, specialmente i Misteri Dolorosi per ricevere la grazia di pentirvi.”

La Madonna a Marie-Claire Mukangango - apparizioni di Kibeho “Il Rosario è un dono meraviglioso della Madonna all’umanità, questa preghiera è la sintesi della nostra fede, il sostegno della nostra speranza, l’esplosione della nostra carità.. è un Arma potente per mettere in fuga il demonio, per superare le tentazioni, per vincere il Cuore di Dio, per ottenere grazie dalla Madonna. Amate e fate amare la Madonna. Pregate e fate pregare il Rosario. Questo è il mio testamento spirituale”.

Padre Pio “Parla del Rosario di mia Madre Benedetta, parla alle anime dei grandi mezzi di salvezza Eucaristia e Rosario.
Figlia mia io sono la Vergine del Rosario: gioisco quando vedo che tu ne consigli la recita , almeno di una terza parte per onorarmi. Continua a farlo è devozione di salvezza.. avvolgi in questo mio Rosario, coloro che ami e che sono tuoi.. parla alle anime dell’Eucarestia, parla loro del Rosario, di’ che in grazia si cibino del Corpo di Cristo e dell’alimento della preghiera del Rosario… se verranno al Tabernacolo con le dovute disposizioni, cuore puro ed assetato d’amore e reciteranno il Rosario, o la terza parte, tutti i giorni, non occorrerà altro per allontanare la giustizia di Dio.. il Rosario, il Tabernacolo, e le mie vittime sono sufficienti perché al mondo siano dati il perdono e la pace.”

Gesù e Maria ad Alexandrina M. da Costa Don Bosco nei suoi sogni rivelatori vide : “ Una regione selvaggia e sconosciuta, degli uomini alti, di aspetto feroce, che combattevano fra di loro. Andavano incontro ad essi per convertirli, missionari di vari ordini con il crocifisso in mano, ma tutti venivano uccisi. Poi vide avanzare missionari, preceduti da gruppi di giovani. Don Bosco riconobbe i suoi salesiani, e cominciò a temere per la loro sorte. E intanto, noto, che i selvaggi davanti ad essi si fermarono, diventavano pacifici, deponevano le armi e li accoglievano con molta amicizia. Don Bosco vide che i suoi missionari avanzavano con l Rosario in mano.
Tratto dai sogni di Don Bosco

Il Santo Rosario e la bomba atomica di Hiroshima


AVE MARIA PURISSIMA!

Esta tierra ya no será la misma


YA LLEGA EL AVISO DE MI HIJO AL MUNDO

9-9-2016 - 4 a.m.
Madre Nuestra atendiendo tu llamado de angustia en medio de esta noche, aquí
estoy para recibir Tus consejos Maternales y servirte Madre mía. Sea yo solamente un
instrumento del amor de mi Dios y Señor para Gloria suya en cumplimiento de su Santa y
Divina Voluntad. Amen
 ----

Pequeños hijos Míos de Mi Corazón Inmaculado, les hago este llamado para
bien de vuestras almas, pues ya se acerca el día y la hora del Aviso de Mi Hijo a
los hombres de esta tierra, que muy pronto dejará ya de ser lo que es ahora, porque
después del Aviso de Mi Hijo esta tierra ya no será la misma: desolación y
devastación terrenal y espiritual vendrá sobre vuestra generación.

Muchos son los soberbios y los orgullosos que creen que todos estos
acontecimientos, ya anunciados y descritos en el libro del Apocalipsis, y por medio
de Mis Profecías en los últimos años de tantas Apariciones Marianas, no serían para
esta generación; y esos hombres, incrédulos de los Avisos y Mensajes del Cielo,
serán sorprendidos por Dios y mucho se lamentarán no haber creído y no haberse
preparado.

Vosotros, Mis hijitos, que sois unos cuantos los consagrados a Mi Corazón
Inmaculado, y habéis prestado oído a los Anuncios de
generación, que empezará ya en breves instantes a ser verdaderamente purificada.
Y el primer acto de esta purificación, como ya os lo hemos anunciado, será EL
AVISO DE MI HIJO a este mundo.

Estad preparados espiritualmente, con verdaderos actos de arrepentimiento,
de todas las ofensas que a lo largo de vuestras vidas habéis hecho contra la
SANTISIMA TRINIDAD DE AMOR. Preparaos con penitencias y verdaderos actos
de contrición en vuestros corazones, por vuestros numerosos pecados, y pedid
perdón a Dios.

También debéis estad preparados con lo necesario para unos días, ya que
os encontraréis tan perturbados -por lo que viviréis en esos días posteriores al
Aviso-, que no os será posible ir en busca de los sustentos materiales para vuestras
necesidades.

La purificación empieza ya en el mismo éxtasis al encuentro con Dios. Este
acto provocará muchos acontecimientos más, que en todos los niveles se darán y
en el mundo entero. Vosotros, los que estáis conociendo estas revelaciones y las
guardáis en vuestros corazones, debéis estar listos para ser ayuda para los más
necesitados: todos vuestros hermanos, que se dolerán en arrepentimiento al quedar
al descubierto todas y cada una de las obras de vuestras vidas, lo bueno y lo malo
que habéis hecho hasta el instante del encuentro con Dios.

Lo que provocará este primer acontecimiento de purificación, hará que se
levante Mi Predilecto, EL VICARIO DE MI HIJO, BENEDICTO XVI, y proclame al
mundo lo que tanto espera la Iglesia: MI QUINTO DOGMA, LA CORREDENCIÓN
DE MARIA. Porque Yo tomo un papel fundamental en estos tiempos en la Iglesia,
SER COREDENTORA como el mismo Cielo lo ha dispuesto en la Divina Voluntad
del Altísimo. Os es necesario vivir consagrados a MI INMACULADO CORAZON,
no sólo de palabra, sino de corazón y con hechos, comportándoos como verdaderos
Hijos Míos, Hijos de la Luz y no de las tinieblas. Vuestras obras son las que hablan
y dan un verdadero testimonio de Mi Hijo en vosotros.

Entonces se dará EL TRIUNFO DE MI INMACULADO CORAZÓN, porque
los hijos de Dios volverán a Mí, su Madre del Cielo, la Puerta del Cielo, porque
sabrán entonces ya en sus corazones QUE YO SOY LA MUJER VESTIDA DE SOL,
LA MUJER DEL APOCALIPSIS, LA QUE HA DE APLASTAR LA CABEZA DE LA
SERPIENTE.

Entonces se dará ante el mundo EL TRIUNFO DE NUESTROS DOS
CORAZONES DE HIJO Y MADRE, PARA COMENZAR YA, DESDE ESE MISMO
INSTANTE, A REINAR EN LOS CORAZONES DE LOS QUE SE ABRAN A
RECIBIR LA GRACIA DIVINA Y BUSQUEN SER VERDADEROS HIJOS DE DIOS.
ORAD, MIS HIJITOS, ORAD CON EL SANTO ROSARIO PARA
FORTALECER EL ESPIRITU.

ORAD Y CONFIAD EN MÍ Y EN MI HIJO JESUS, EL SEÑOR DE LA
MISERICORDIA, QUE YA LLEGA CON SUS RAYOS A ILUMINAR LOS
CORAZONES CON UN ACTO DE SU AMOR Y SU MISERICORDIA.
ES TIEMPO DE QUE TODAS LAS FAMILIAS ESTÉIS REUNIDAS. ES
TIEMPO DE PERDON, DE LIMPIAR VUESTRAS CONCIENCIAS PARA
SOBREVIVIR A TODOS ESTOS ACONTECIMIENTOS, PUES LA HORA HA
LLEGADO.

ES TAMBIEN TIEMPO DE VIVIR EN LAS TRES VIRTUDES DE TODO
VERDADERO CRISTIANO: LA FE, LA ESPERANZA Y LA CARIDAD.
No temáis, Mis hijitos, Yo nunca os abandono.
MARÍA MADRE DEL SALVADOR Y MADRE VUESTRA.

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Gracias Madre Mía, gracias por hacernos sentir que Tu estas con nosotros Tus hijos
y no nos abandonas. Gracias por advertirnos lo que está por llegar y muy pocos están
preparados para estos acontecimientos de purificación. Contigo nuestra Madre celestial
estaremos siempre seguros y fortalecidos para vivir en la Voluntad de Dios. Amen.



AVE MARIA PURISIMA!