giovedì 21 marzo 2019

La vita umana come ascesa verso il vertice della perfezione.



Benedetto XVI     Udienze 2008
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BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 9 aprile 2008


San Benedetto da Norcia

Cari fratelli e sorelle, 

vorrei oggi parlare di san Benedetto, Fondatore del monachesimo occidentale, e anche Patrono del mio pontificato. 

Comincio con una parola di san Gregorio Magno, che scrive di san Benedetto: “L’uomo di Dio che brillò su questa terra con tanti miracoli non rifulse meno per l’eloquenza con cui seppe esporre la sua dottrina” (Dial. II, 36). Queste parole il grande Papa scrisse nell’anno 592; il santo monaco era morto appena 50 anni prima ed era ancora vivo nella memoria della gente e soprattutto nel fiorente Ordine religioso da lui fondato. 

San Benedetto da Norcia con la sua vita e la sua opera ha esercitato un influsso fondamentale sullo sviluppo della civiltà e della cultura europea. La fonte più importante sulla vita di lui è il secondo libro dei Dialoghi di san Gregorio Magno. Non è una biografia nel senso classico. Secondo le idee del suo tempo, egli vuole illustrare mediante l’esempio di un uomo concreto – appunto di san Benedetto – l’ascesa alle vette della contemplazione, che può essere realizzata da chi si abbandona a Dio. 

Quindi ci dà un modello della vita umana come ascesa verso il vertice della perfezione. San Gregorio Magno racconta anche, in questo libro dei Dialoghi, di molti miracoli compiuti dal Santo, ed anche qui non vuole semplicemente raccontare qualche cosa di strano, ma dimostrare come Dio, ammonendo, aiutando e anche punendo, intervenga nelle concrete situazioni della vita dell’uomo. Vuole mostrare che Dio non è un’ipotesi lontana posta all’origine del mondo, ma è presente nella vita dell’uomo, di ogni uomo. 

Questa prospettiva del “biografo” si spiega anche alla luce del contesto generale del suo tempo: a cavallo tra il V e il VI secolo il mondo era sconvolto da una tremenda crisi di valori e di istituzioni, causata dal crollo dell’Impero Romano, dall’invasione dei nuovi popoli e dalla decadenza dei costumi. Con la presentazione di san Benedetto come “astro luminoso”, Gregorio voleva indicare in questa situazione tremenda, proprio qui in questa città di Roma, la via d’uscita dalla “notte oscura della storia” (cfr Giovanni Paolo II, Insegnamenti, II/1, 1979, p. 1158). Di fatto, l’opera del Santo e, in modo particolare, la sua Regola si rivelarono apportatrici di un autentico fermento spirituale, che mutò nel corso dei secoli, ben al di là dei confini della sua Patria e del suo tempo, il volto dell’Europa, suscitando dopo la caduta dell’unità politica creata dall’impero romano una nuova unità spirituale e culturale, quella della fede cristiana condivisa dai popoli del continente. E’ nata proprio così la realtà che noi chiamiamo “Europa”. 

La nascita di san Benedetto viene datata intorno all’anno 480. Proveniva, così dice san Gregorio, “ex provincia Nursiae” – dalla regione della Nursia. I suoi genitori benestanti lo mandarono per la sua formazione negli studi a Roma. Egli però non si fermò a lungo nella Città eterna. Come spiegazione pienamente credibile, Gregorio accenna al fatto che il giovane Benedetto era disgustato dallo stile di vita di molti suoi compagni di studi, che vivevano in modo dissoluto, e non voleva cadere negli stessi loro sbagli. Voleva piacere a Dio solo; “soli Deo placere desiderans” (II Dial., Prol 1). 
Così, ancora prima della conclusione dei suoi studi, Benedetto lasciò Roma e si ritirò nella solitudine dei monti ad est di Roma. Dopo un primo soggiorno nel villaggio di Effide (oggi: Affile), dove per un certo periodo si associò ad una “comunità religiosa” di monaci, si fece eremita nella non lontana Subiaco. 
Lì visse per tre anni completamente solo in una grotta che, a partire dall’Alto Medioevo, costituisce il “cuore” di un monastero benedettino chiamato Sacro Speco. Il periodo in Subiaco, un periodo di solitudine con Dio, fu per Benedetto un tempo di maturazione. Qui doveva sopportare e superare le tre tentazioni fondamentali di ogni essere umano: la tentazione dell’autoaffermazione e del desiderio di porre se stesso al centro, la tentazione della sensualità e, infine, la tentazione dell’ira e della vendetta. Era infatti convinzione di Benedetto che, solo dopo aver vinto queste tentazioni, egli avrebbe potuto dire agli altri una parola utile per le loro situazioni di bisogno. E così, riappacificata la sua anima, era in grado di controllare pienamente le pulsioni dell’io, per essere così un creatore di pace intorno a sé. Solo allora decise di fondare i primi suoi monasteri nella valle dell’Anio, vicino a Subiaco.

Nell’anno 529 Benedetto lasciò Subiaco per stabilirsi a Montecassino. Alcuni hanno spiegato questo trasferimento come una fuga davanti agli intrighi di un invidioso ecclesiastico locale. Ma questo tentativo di spiegazione si è rivelato poco convi ncente, giacché la morte improvvisa di lui non indusse Benedetto a ritornare (II Dial. 8). In realtà, questa decisione gli si impose perché era entrato in una nuova fase della sua maturazione interiore e della sua esperienza monastica. Secondo Gregorio Magno, l’esodo dalla remota valle dell’Anio verso il Monte Cassio – un’altura che, dominando la vasta pianura circostante, è visibile da lontano – riveste un carattere simbolico: la vita monastica nel nascondimento ha una sua ragion d’essere, ma un monastero ha anche una sua finalità pubblica nella vita della Chiesa e della società, deve dare visibilità alla fede come forza di vita. Di fatto, quando, il 21 marzo 547, Benedetto concluse la sua vita terrena, lasciò con la sua Regola e con la famiglia benedettina da lui fondata un patrimonio che ha portato nei secoli trascorsi e porta tuttora frutto in tutto il mondo. 


Nell’intero secondo libro dei Dialoghi Gregorio ci illustra come la vita di san Benedetto fosse immersa in un’atmosfera di preghiera, fondamento portante della sua esistenza. Senza preghiera non c’è esperienza di Dio. Ma la spiritualità di Benedetto non era un’interiorità fuori dalla realtà.

Nell’inquietudine e nella confusione del suo tempo, egli viveva sotto lo sguardo di Dio e proprio così non perse mai di vista i doveri della vita quotidiana e l’uomo con i suoi bisogni concreti. Vedendo Dio capì la realtà dell’uomo e la sua missione. Nella sua Regola egli qualifica la vita monastica “una scuola del servizio del Signore” (Prol. 45) e chiede ai suoi monaci che “all’Opera di Dio [cioè all’Ufficio Divino o alla Liturgia delle Ore] non si anteponga nulla” (43,3). Sottolinea, però, che la preghiera è in primo luogo un atto di ascolto (Prol. 9-11), che deve poi tradursi nell’azione concreta. “Il Signore attende che noi rispondiamo ogni giorno coi fatti ai suoi santi insegnamenti”, egli afferma (Prol. 35). Così la vita del monaco diventa una simbiosi feconda tra azione e contemplazione “affinché in tutto venga glorificato Dio” (57,9). In contrasto con una autorealizzazione facile ed egocentrica, oggi spesso esaltata, l’impegno primo ed irrinunciabile del discepolo di san Benedetto è la sincera ricerca di Dio (58,7) sulla via tracciata dal Cristo umile ed obbediente (5,13), all’amore del quale egli non deve anteporre alcunché (4,21; 72,11) e proprio così, nel servizio dell’altro, diventa uomo del servizio e della pace. Nell’esercizio dell’obbedienza posta in atto con una fede animata dall’amore (5,2), il monaco conquista l’umiltà (5,1), alla quale la Regola dedica un intero capitolo (7). In questo modo l’uomo diventa sempre più conforme a Cristo e raggiunge la vera autorealizzazione come creatura ad immagine e somiglianza di Dio.

All’obbedienza del discepolo deve corrispondere la saggezza dell’Abate, che nel monastero tiene “le veci di Cristo” (2,2; 63,13). La sua figura, delineata soprattutto nel secondo capitolo della Regola, con un profilo di spirituale bellezza e di esigente impegno, può essere considerata come un autoritratto di Benedetto, poiché – come scrive Gregorio Magno – “il Santo non poté in alcun modo insegnare diversamente da come visse” (Dial. II, 36). L’Abate deve essere insieme un tenero padre e anche un severo maestro (2,24), un vero educatore. Inflessibile contro i vizi, è però chiamato soprattutto ad imitare la tenerezza del Buon Pastore (27,8), ad “aiutare piuttosto che a dominare” (64,8), ad “accentuare più con i fatti che con le parole tutto ciò che è buono e santo” e ad “illustrare i divini comandamenti col suo esempio” (2,12). Per essere in grado di decidere responsabilmente, anche l’Abate deve essere uno che ascolta “il consiglio dei fratelli” (3,2), perché “spesso Dio rivela al più giovane la soluzione migliore” (3,3). Questa disposizione rende sorprendentemente moderna una Regola scritta quasi quindici secoli fa! Un uomo di responsabilità pubblica, e anche in piccoli ambiti, deve sempre essere anche un uomo che sa ascoltare e sa imparare da quanto ascolta. 

Benedetto qualifica la Regola come “minima, tracciata solo per l’inizio” (73,8); in realtà però essa offre indicazioni utili non solo ai monaci, ma anche a tutti coloro che cercano una guida nel loro cammino verso Dio. Per la sua misura, la sua umanità e il suo sobrio discernimento tra l’essenziale e il secondario nella vita spirituale, essa ha potuto mantenere la sua forza illuminante fino ad oggi. 

Paolo VI, proclamando nel 24 ottobre 1964 san Benedetto Patrono d’Europa, intese riconoscere l’opera meravigliosa svolta dal Santo mediante la Regola per la formazione della civiltà e della cultura europea. 
Oggi l’Europa – uscita appena da un secolo profondamente ferito da due guerre mondiali e dopo il crollo delle grandi ideologie rivelatesi come tragiche utopie – è alla ricerca della propria identità. Per creare un’unità nuova e duratura, sono certo importanti gli strumenti politici, economici e giuridici, ma occorre anche suscitare un rinnovamento etico e spirituale che attinga alle radici cristiane del Continente, altrimenti non si può ricostruire l’Europa. Senza questa linfa vitale, l’uomo resta esposto al pericolo di soccombere all’antica tentazione di volersi redimere da sé – utopia che, in modi diversi, nell’Europa del Novecento ha causato, come ha rilevato il Papa Giovanni Paolo II, “un regresso senza precedenti nella tormentata storia dell’umanità” (Insegnamenti, XIII/1, 1990, p. 58). 

Cercando il vero progresso, ascoltiamo anche oggi la Regola di san Benedetto come una luce per il nostro cammino. Il grande monaco rimane un vero maestro alla cui scuola possiamo imparare l’arte di vivere l’umanesimo vero.
BENEDETTO XVI
Saluti:

Je suis heureux de vous accueillir chers pèlerins francophones. Je salue en particulier le groupe de la Vallée de l’Andelle dans le diocèse d’Évreux ainsi que les jeunes venus notamment de Neuilly, de Rueil-Malmaison et de Pontivy. A l’exemple de saint Benoît, donnez une place importante à la prière et à la contemplation du visage du Christ ressuscité présent et agissant dans votre vie! Bon temps pascal!

I am happy to greet the English-speaking visitors present at today’s Audience, including the pilgrims from the Archdiocese of Manila, and the many groups from England and the United States. May your lives, after the example of Saint Benedict, be lived in humility, prayer, obedience to God and faithful service to your neighbour. May the Lord bless you and your families!

Von Herzen heiße ich alle deutschsprachigen Audienzteilnehmer willkommen; einen besonderen Gruß richte ich heute an die Alumnen des "Collegium Orientale" in Eichstätt. Und natürlich begrüße ich auch besonders die Leserreise des Traunsteiner Wochenblattes. Folgen wir dem Rat des hl Benedikt: "Der Liebe zu Christus nichts vorziehen". Dann finden wir zu einem erfüllten, zu einem wirklichen Menschenleben; und wir können so zur Erneuerung der Gesellschaft aus dem christlichen Glauben beitragen. Der Herr segne euch alle.

Saludo cordialmente a los fieles de lengua española, en particular, a los miembros del Curso de actualización sacerdotal del Pontificio Colegio Español de Roma, al grupo de Lleida con su Obispo, Monseñor Javier Salinas, a la Institución “Padre Rubinos” de A Coruña, y a los demás peregrinos venidos de España, Argentina, Ecuador y otros países latinoamericanos. Os exhorto a que, siguiendo las huellas de San Benito, no antepongáis nada al amor de Cristo. Muchas gracias.

Saluto in lingua croata:

Srdačnu dobrodošlicu upućujem svim hrvatskim hodočasnicima, a osobito vjernicima župe Gospe od Zdravlja iz Splita te župe Blaženoga Alojzija Stepinca iz Varaždina. Svojim životom budite navjestitelji radosne vijesti Gospodinova uskrsnuća. Hvaljen Isus i Marija!

Traduzione italiana:

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini croati, particolarmente ai fedeli della parrocchia della Madonna della Salute di Split e della parrocchia del Beato Luigi Stepinac di Varaždin. Con la vostra vita siate gli annunciatori del lieto messaggio della risurrezione del Signore. Siano lodati Gesù e Maria!

Saluto in lingua lituana:

Nuoširdžiai sveikinu piligrimus atvykusius iš Lietuvos. Brangūs bičiuliai, raginu Jus būti visuomet dosniais Kristaus mokiniais ir visur liudyti jo išganymo žinią. Širdingai visus laiminu. Garbė Jėzui Kristui!

Traduzione italiana:

Rivolgo un cordiale saluto ai pellegrini provenienti dalla Lituania. Cari amici, vi esorto ad essere sempre generosi discepoli di Cristo e di testimoniare ovunque il suo messaggio di salvezza. Di cuore vi benedico. Sia lodato Gesù Cristo!

Saluto in lingua polacca:

Pozdrawiam serdecznie uczestniczących w audiencji Polaków. Witam wiernych z parafii świętego Jakuba oraz z Sanktuarium Matki Bożej ze Szczyrku na czele z biskupem Tadeuszem Rakoczym. Pozdrawiam pracowników Portu Lotniczego w Warszawie oraz uczestników Światowych Rekolekcji Podhalańskich. Wszystkim tu obecnym życzę obfitych darów paschalnych i z serca błogosławię.

Traduzione italiana:

Saluto cordialmente tutti i Polacchi che partecipano a quest’udienza. Saluto i fedeli dalla Parrocchia di san Giacomo e dal Santuario della Madre di Dio in Szczyrk con il Vescovo Tadeusz Rakoczy. Saluto i rappresentanti dei dipendenti dell’aeroporto di Varsavia e anche i partecipanti agli esercizi spirituali, per le persone provenienti dalla regione di Podhale, venute da diverse parti del mondo. A tutti i qui presenti, auguro abbondanti doni pasquali e vi benedico tutti di cuore.

Saluto in lingua ungherese:

Isten hozta a magyar zarándokokat, különösen is a tusnádfürdői csoport tagjait. A húsvéti idő adja meg nektek a lelki megújulást. A Feltámadott Úr kísérjen útjaitokon Titeket és családjaitokat. Apostoli áldásommal. Dicsértessék a Jézus Krisztus!

Traduzione italiana:

Saluto con affetto i fedeli ungheresi, specialmente il gruppo arrivato da Tusnádfürdő. Il tempo pasquale assicuri per ognuno di voi l’occasione del rinnovamento spirituale. Il Signore Risorto accompagni voi e le vostre famiglie in tutte le vie. Con una speciale Benedizione Apostolica. Sia lodato Gesù Cristo!

* * *

Rivolgo un cordiale benvenuto ai pellegrini di lingua italiana. In particolare saluto le Suore Figlie della Croce e i laici che ne condividono il carisma, qui convenuti nel ricordo di suor Maria Laura Mainetti che, fedele al dono totale di sé, ha sacrificato la sua vita pregando per chi la colpiva. Saluto i fedeli di Trivento, accompagnati dal loro vescovo monsignor Domenico Scotti e li esorto ad una sempre più generosa adesione a Cristo ad imitazione della Vergine Maria da loro tanto venerata con il titolo di "Incoronata". Saluto i Fratelli delle Scuole Cristiane, gli insegnanti e gli alunni dell'Istituto Pio XII di Roma, voluto da questo mio venerato Predecessore cinquant'anni fa in uno dei quartieri più poveri della città. Saluto gli atleti che partecipano ai campionati Europei di Taekwondo, incoraggiandoli a promuovere anche attraverso questa disciplina sportiva il rispetto per il prossimo e la lealtà. Saluto i rappresentanti dell'Istituto per Ispettori della Polizia di Stato, di Nettuno e gli esponenti dell'Aeronautica Militare, di Pratica di Mare.

Saluto infine i giovani, i malati e gli sposi novelli, esortando ciascuno a vivere intensamente questo tempo pasquale, testimoniando la gioia che Cristo morto e risorto dona a quanti a Lui si affidano.



© Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana

DUE CAPITOLI di san Luca


9

1Egli allora chiamò a sé i Dodici e diede loro potere e autorità su tutti i demòni e di curare le malattie. 2E li mandò ad annunziare il regno di Dio e a guarire gli infermi. 3Disse loro: "Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno. 4In qualunque casa entriate, là rimanete e di là poi riprendete il cammino. 5Quanto a coloro che non vi accolgono, nell'uscire dalla loro città, scuotete la polvere dai vostri piedi, a testimonianza contro di essi". 6Allora essi partirono e giravano di villaggio in villaggio, annunziando dovunque la buona novella e operando guarigioni.

7Intanto il tetrarca Erode sentì parlare di tutti questi avvenimenti e non sapeva che cosa pensare, perché alcuni dicevano: "Giovanni è risuscitato dai morti", 8altri: "È apparso Elia", e altri ancora: "È risorto uno degli antichi profeti". 9Ma Erode diceva: "Giovanni l'ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire tali cose?". E cercava di vederlo.

10Al loro ritorno, gli apostoli raccontarono a Gesù tutto quello che avevano fatto. Allora li prese con sé e si ritirò verso una città chiamata Betsàida. 11Ma le folle lo seppero e lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlar loro del regno di Dio e a guarire quanti avevan bisogno di cure. 12Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: "Congeda la folla, perché vada nei villaggi e nelle campagne dintorno per alloggiare e trovar cibo, poiché qui siamo in una zona deserta". 13Gesù disse loro: "Dategli voi stessi da mangiare". Ma essi risposero: "Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente". 14C'erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai discepoli: "Fateli sedere per gruppi di cinquanta". 15Così fecero e li invitarono a sedersi tutti quanti. 16Allora egli prese i cinque pani e i due pesci e, levati gli occhi al cielo, li benedisse, li spezzò e li diede ai discepoli perché lo distribuissero alla folla. 17Tutti mangiarono e si saziarono e delle parti loro avanzate furono portate via dodici ceste.

18Un giorno, mentre Gesù si trovava in un luogo appartato a pregare e i discepoli erano con lui, pose loro questa domanda: "Chi sono io secondo la gente?". 19Essi risposero: "Per alcuni Giovanni il Battista, per altri Elia, per altri uno degli antichi profeti che è risorto". 20Allora domandò: "Ma voi chi dite che io sia?". Pietro, prendendo la parola, rispose: "Il Cristo di Dio". 21Egli allora ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno.

22"Il Figlio dell'uomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno".

23Poi, a tutti, diceva: "Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua.
24Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà. 25Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso?
26Chi si vergognerà di me e delle mie parole, di lui si vergognerà il Figlio dell'uomo, quando verrà nella gloria sua e del Padre e degli angeli santi.

27In verità vi dico: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno prima di aver visto il regno di Dio".

28Circa otto giorni dopo questi discorsi, prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. 29E, mentre pregava, il suo volto cambiò d'aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. 30Ed ecco due uomini parlavano con lui: erano Mosè ed Elia, 31apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a compimento a Gerusalemme. 32Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. 33Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: "Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia". Egli non sapeva quel che diceva. 34Mentre parlava così, venne una nube e li avvolse; all'entrare in quella nube, ebbero paura. 35E dalla nube uscì una voce, che diceva: "Questi è il Figlio mio, l'eletto; ascoltatelo". 36Appena la voce cessò, Gesù restò solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

37Il giorno seguente, quando furon discesi dal monte, una gran folla gli venne incontro. 38A un tratto dalla folla un uomo si mise a gridare: "Maestro, ti prego di volgere lo sguardo a mio figlio, perché è l'unico che ho. 39Ecco, uno spirito lo afferra e subito egli grida, lo scuote ed egli da' schiuma e solo a fatica se ne allontana lasciandolo sfinito. 40Ho pregato i tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti". 41Gesù rispose: "O generazione incredula e perversa, fino a quando sarò con voi e vi sopporterò? Conducimi qui tuo figlio". 42Mentre questi si avvicinava, il demonio lo gettò per terra agitandolo con convulsioni. Gesù minacciò lo spirito immondo, risanò il fanciullo e lo consegnò a suo padre. 43E tutti furono stupiti per la grandezza di Dio.

Mentre tutti erano sbalorditi per tutte le cose che faceva, disse ai suoi discepoli: 44"Mettetevi bene in mente queste parole: Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato in mano degli uomini". 45Ma essi non comprendevano questa frase; per loro restava così misteriosa che non ne comprendevano il senso e avevano paura a rivolgergli domande su tale argomento.

46Frattanto sorse una discussione tra loro, chi di essi fosse il più grande. 47Allora Gesù, conoscendo il pensiero del loro cuore, prese un fanciullo, se lo mise vicino e disse: 48"Chi accoglie questo fanciullo nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Poiché chi è il più piccolo tra tutti voi, questi è grande".

49Giovanni prese la parola dicendo: "Maestro, abbiamo visto un tale che scacciava demòni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non è con noi tra i tuoi seguaci". 50Ma Gesù gli rispose: "Non glielo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi".

51Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme 52e mandò avanti dei messaggeri. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per fare i preparativi per lui. 53Ma essi non vollero riceverlo, perché era diretto verso Gerusalemme. 54Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: "Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?". 55Ma Gesù si voltò e li rimproverò. 56E si avviarono verso un altro villaggio.

57Mentre andavano per la strada, un tale gli disse: "Ti seguirò dovunque tu vada". 58Gesù gli rispose: "Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo". 59A un altro disse: "Seguimi". E costui rispose: "Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre". 60Gesù replicò: "Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va' e annunzia il regno di Dio". 61Un altro disse: "Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che io mi congedi da quelli di casa". 62Ma Gesù gli rispose: "Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio".

10

1Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. 2Diceva loro: "La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe. 3Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi; 4non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada. 5In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. 6Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. 7Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l'operaio è degno della sua mercede. Non passate di casa in casa. 8Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, 9curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio. 10Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle piazze e dite: 11Anche la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino. 12Io vi dico che in quel giorno Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città.
13Guai a te, Corazin, guai a te, Betsàida! Perché se in Tiro e Sidone fossero stati compiuti i miracoli compiuti tra voi, già da tempo si sarebbero convertiti vestendo il sacco e coprendosi di cenere. 14Perciò nel giudizio Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi.
15E tu, Cafàrnao, sarai innalzata fino al cielo?
Fino agli inferi sarai precipitata!

16Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato".

17I settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: "Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome". 18Egli disse: "Io vedevo satana cadere dal cielo come la folgore. 19Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni potenza del nemico; nulla vi potrà danneggiare. 20Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli".

21In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: "Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto. 22Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare".

23E volgendosi ai discepoli, in disparte, disse: "Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. 24Vi dico che molti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, ma non lo videro, e udire ciò che voi udite, ma non l'udirono".

25Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova: "Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?". 26Gesù gli disse: "Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?". 27Costui rispose: "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso". 28E Gesù: "Hai risposto bene; fa' questo e vivrai".

29Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: "E chi è il mio prossimo?". 30Gesù riprese:
"Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. 33Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. 35Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. 36Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?". 37Quegli rispose: "Chi ha avuto compassione di lui". Gesù gli disse: "Va' e anche tu fa' lo stesso".

38Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. 39Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; 40Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: "Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti". 41Ma Gesù le rispose: "Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, 42ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta".

AMDG et DVM

lunedì 18 marzo 2019

San Giuseppe esaudisci la mia preghiera!

 

O CARO SAN GIUSEPPE

O caro San Giuseppe, amico e protettore di tutti, custode di Gesù e di tutti quelli che invocano il tuo aiuto. Tu sei grande perché ottieni da Dio tutto quello che gli uomini ti chiedono.
Ti prego di accogliere la mia preghiera: veglia e custodisci tutte le famiglie perché vivano l’armonia, l’unità, la fede, l’amore che regnava nella Famiglia di Nazareth. Guarda con tenerezza particolare le famiglie dei disoccupati, dona a tutti un lavoro, affinché con la loro opera creino un mondo migliore e diano lode a Dio Creatore.
Ti affido la Chiesa, in particolare il Papa, i Vescovi, i Sacerdoti, e tutti i Missionari perché si sentano sostenuti dalla tua paternità. Chi li può amare più di te, o caro San Giuseppe?
Proteggi tutte le persone consacrate perché trovino nella tua obbedienza e adesione alla volontà di Dio, l'esempio per vivere nel silenzio, nell’umiltà e nella missionarietà la vita di unione con Dio che le rende felici nel compimento della divina volontà.
La gioia di sentirsi di Dio è così grande che non ha paragoni; solo in Dio si trova tutta la felicità. San Giuseppe esaudisci la mia preghiera!
Amen.

Sommo Pontefice B. Giovanni Paolo II
AMDG et DVM

Ammiriamo Dio invisibile attraverso le sue opere visibili

Risultati immagini per moltiplicazione dei pani
Lettura del santo Vangelo secondo Giovanni
Gio. 6:1-15

In quell'occasione: Gesù andò al di là del mare di Galilea, cioè di Tiberiade: e lo seguiva gran folla, perché vedeva i miracoli ch'egli faceva sugli infermi. Eccetera.

Omelia di sant'Agostino Vescovo
Tratt. 24 su Giovanni

I miracoli che ha fatto nostro Signore Gesù Cristo sono certo opere divine, ed eccitano la mente umana ad elevarsi da questi avvenimenti visibili fino a Dio. Egli infatti è di tal natura da non potersi vedere cogli occhi; d'altra parte i miracoli che non cessa di fare governano il mondo intero, e prendendosi cura di tutte le creature colpiscono meno a motivo della loro continuità, così che quasi nessuno si degna fare attenzione alle stupende meraviglie che Dio opera in ciascun grano di semenza: ond'è ch'egli si riservò, nel la sua misericordia, di operare a tempo opportuno certe meraviglie fuori del corso abituale e delle leggi ordinarie della natura ; affinché (gli uomini avvezzi a contemplare i miracoli) quotidiani senza annettervi valore, stupissero nel vederne dei non più grandi, ma meno ordinari.

Infatti è maggior miracolo governare tutto il mondo che satollare cinquemila uomini con cinque pani. Eppure quello nessuno l'ammira: e questo gli uomini lo ammirano, non perché sia più grande, ma perché avviene raramente. Perché chi anche adesso nutre l'intero universo, se non colui che da pochi grani fa uscire le messi? (Cristo) dunque agì da Dio. Per questa stessa potenza onde trasforma in ricche messi pochi chicchi di grano, egli moltiplicò nelle sue mani i cinque pani: perché ogni potere si trovava nelle mani di Cristo. E quei cinque pani erano come dei semi, che non furono, è vero, affidati alla terra, ma furono moltiplicati da colui che ha fatto la terra.

Questo miracolo è dunque offerto ai nostri sensi, per elevare i nostri pensieri: ed è posto sotto i nostri occhi, per esercitare la nostra intelligenza: affinché ammiriamo Dio invisibile attraverso le sue opere visibili, e, incoraggiati dalla fede, purificati dalla fede, desideriamo ancora di vederlo questo Dio invisibile, di cui le cose visibili ci fanno conoscere l'invisibile realtà. Ma non soltanto questo dobbiamo considerare nei miracoli di Cristo. Interroghiamo gli stessi miracoli, essi ci parleranno di Cristo: perché essi hanno il loro linguaggio, se si sanno comprendere. Difatti Cristo essendo il Verbo di Dio, ciò che fa il Verbo, anch'esso è una parola per noi.

V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.
AMDG et DVM

Giuseppe è sui trent'anni. Un bell'uomo dai capelli corti e piuttosto ricci,...

XII. Giuseppe prescelto come sposo della Vergine 

   4 settembre 1944

  1Vedo una ricca sala dal bel pavimento e tende e tappeti e mobili d'intarsio. Deve ancora far parte del Tempio, perché in essa vi sono sacerdoti, fra cui Zaccaria, e molti uomini di ogni età, ossia dai venti ai cinquant'anni, su per giù.

  Parlano fra loro piano ma animatamente. Paiono in ansia per qualche cosa che non so. Sono tutti vestiti a festa con vesti nuove o almeno molto fresche di lavatura, come si fossero parati ad una festa. Molti si sono levati il telo che fa da copricapo, altri lo hanno ancora, specie gli anziani, mentre i giovani mostrano le loro teste nude, quali biondo scure, quali morate, alcune nerissime, una sola rosso-rame. Le capigliature sono per la maggior parte corte, ma ve ne sono di quelle lunghe sino alle spalle. Non devono conoscersi tutti fra di loro, perché si osservano curiosamente. Ma però sembrano affini, perché si capisce li prema un unico pensiero.

  2In un angolo vedo Giuseppe. Parla con un vecchiotto rubizzo. Giuseppe è sui trent'anni. Un bell'uomo dai capelli corti e piuttosto ricci, di un castagno morato come è la barba e i baffi che ombreggiano un bel mento e salgono verso le gote brune rosse, non olivastre come in altri bruni. Ha occhi scuri, buoni e profondi, seri molto, direi quasi un poco tristi. Ma però quando sorride, come fa ora, divengono lieti e giovanili. È tutto vestito di marrone chiaro, molto semplice ma molto ordinato.

  3Entra un gruppo di giovani leviti e si dispone fra la porta e un tavolo lungo e stretto, che è presso la parete dove al centro è la porta, che resta spalancata. Solo una tenda, che pende sino a un venti centimetri da terra, resta tesa a coprire il vano.
  La curiosità si acuisce. E più ancora quando una mano scosta la tenda per dare il passo ad un levita, che porta fra le braccia un fascio di rami secchi, sul quale è posato delicatamente un ramo fiorito. Una leggera spuma di petali bianchi, che appena si ricordano di una sfumatura di roseo che dal centro si irradia sempre più tenue sino al sommo dei petali leggeri. Il levita posa il fascio di rami sul tavolo con delicata cura, per non ledere il miracolo di quel ramo in fiore fra tanto seccume.
  Un brusio va per la sala. I colli si allungano, gli sguardi si fanno più acuti come per vedere. Anche Zaccaria, coi sacerdoti, essendo più vicino al tavolo, cerca vedere. Ma non vede nulla.
  Giuseppe, nel suo angolo, dà appena una occhiata al fascio di rami e, quando il suo interlocutore gli dice qualcosa, fa un cenno di diniego come chi dice: «Impossibile!», e sorride.

  4Uno squillo di tromba oltre la tenda. Tutti si zittiscono e si dispongono in bell'ordine colla faccia verso l'uscio, che ora appare spalancato, perché anche la tenda è fatta scorrere sui suoi anelli. Contornato da altri anziani, entra il Sommo Pontefice. Tutti si inchinano profondamente. Il Pontefice va al tavolo e parla restando in piedi.
  «Uomini della stirpe di Davide, qui convenuti per mio bando, udite. Il Signore ha parlato, sia lode a Lui! Dalla sua Gloria un raggio è sceso e, come sole di primavera, ha dato vita ad un ramo secco, e questo ha fiorito miracolosamente mentre nessun ramo della terra è in fiore oggi, ultimo giorno dell'Encenie, mentre ancor non è sciolta la neve caduta sulle alture di Giuda ed è l'unico candore che sia fra Sion e Betania. Dio ha parlato facendosi padre e tutore della Vergine di Davide, che non ha altro che Lui a sua tutela. Santa fanciulla, gloria del Tempio e della stirpe, ha meritato la parola di Dio per conoscere il nome dello sposo gradito all'Eterno. Ben giusto deve essere costui per esser l'eletto del Signore a tutela della Vergine a Lui cara! Per questo il nostro dolore di perderla si placa, e cessa ogni preoccupazione sul suo destino di sposa. E all'indicato da Dio affidiamo con ogni sicurezza la Vergine, sulla quale è la benedizione di Dio e la nostra. Il nome dello sposo è Giuseppe di Giacobbe betlemita, della tribù di Davide, legnaiolo a Nazareth di Galilea. Giuseppe, vieni avanti. Il Sommo Sacerdote te lo ordina».
  Molto brusio. Teste che si volgono, occhi e mani che accennano, espressioni deluse ed espressioni sollevate. Qualcuno, specie fra i vecchi, deve esser stato lieto di non avere questa sorte.
  Giuseppe, molto rosso e impacciato, si fa avanti. È ora davanti al tavolo, di fronte al Pontefice che ha salutato reverente.
  «Venite tutti e guardate il nome inciso sul ramo. Prenda ognuno la propria verga, per essere sicuro che non vi è frode».
  Gli uomini ubbidiscono. Guardano il ramo tenuto delicatamente dal Sommo Sacerdote, prendono ognuno il proprio, e chi lo spezza e chi lo conserva. Tutti guardano Giuseppe. Vi è chi guarda e tace, e chi si felicita. Il vecchiotto, col quale egli parlava prima, dice: «Te lo avevo detto, Giuseppe? Chi meno si sente sicuro è colui che vince la partita!». Ora tutti sono passati.

  5Il Sommo Sacerdote dà a Giuseppe il ramo in fiore, e poi gli pone la mano sulla spalla e dice: «Non è ricca, e tu lo sai, la sposa che Dio ti dona. Ma ogni virtù è in Lei. Siine sempre più degno. Non vi è fiore in Israele vago e puro al par di Lei. Uscite tutti, ora. Resti Giuseppe. E tu, Zaccaria, parente, conduci la sposa».
  Escono tutti, meno il Sommo Sacerdote e Giuseppe. La tenda viene ricalata sull'uscio.
  Giuseppe sta tutto umile presso il maestoso Sacerdote. Un silenzio, e poi questo gli dice: «Maria ha da dirti un suo voto. Tu aiuta la sua timidezza. Sii buono con la buona».
  «Metterò la mia virilità al suo servizio e nessun sacrificio mi peserà per Lei. Siine certo».
  Entra Maria con Zaccaria e Anna di Fanuel.
  «Vieni, Maria», dice il Pontefice. «Ecco lo sposo che Dio ti destina. È Giuseppe di Nazareth. Tornerai perciò alla tua città. Ora vi lascio. Dio vi dia la sua benedizione. Il Signore vi guardi e benedica, mostri a voi la sua faccia e abbia pietà di voi sempre. Rivolga a voi il suo volto e vi dia pace».
  Zaccaria esce, scortando il Pontefice. Anna si felicita con lo sposo e poi esce essa pure.

  6I due promessi sono uno di fronte all'altra. Maria, tutta rossa, sta a capo chino. Giuseppe, pure colorito, l'osserva e cerca le parole da dire per prime.
  Le trova finalmente e un sorriso lo illumina. Dice: «Ti saluto, Maria. Ti ho vista bambina di pochi giorni… Ero amico del padre tuo ed ho un nipote di mio fratello Alfeo che era tanto amico di tua madre. Il suo piccolo amico, perché ora non ha che diciott'anni, e quando tu non eri ancor nata egli era un affatto piccolo uomo, e pure rallegrava le tristezze della madre tua che l'amava tanto. Tu non ci conosci, perché sei venuta qui piccina. Ma a Nazareth tutti ti vogliono bene, e pensano e parlano della piccola Maria di Gioacchino, la cui nascita fu un miracolo del Signore che fece rifiorire la sterile… Ed io ricordo la sera in cui sei nata… Tutti la ricordiamo per il prodigio di una grande pioggia che salvò la campagna, e di un violento temporale nel quale i fulmini non schiantarono neppure uno stelo d'erica selvaggia, finito con un arcobaleno che più grande e vago mai più si vide. E poi… chi non ricorda la gioia di Gioacchino? Ti palleggiava mostrandoti ai vicini… Come tu fossi un fiore venuto dal Cielo, ti ammirava e voleva tutti ti ammirassero, felice e vecchio padre che morì parlando della sua Maria così bella e buona e dalle parole piene di grazia e sapere… Aveva ragione di ammirarti e di dire che non vi è una di te più bella! E tua madre? Empiva del suo canto l'angolo in cui era la tua casa, e pareva un'allodola a primavera mentre ti portava e dopo, quando ti aveva al seno. Io ti ho fatto la culla. Una cullina tutta a intagli di rose, perché così la volle tua madre. Forse vi è ancora nella chiusa dimora… Sono vecchio io, Maria. Quando sei nata facevo i primi lavori. Lavoravo già… Chi me lo avesse detto che io ti avrei avuta a sposa! Forse sarebbero morti più lieti i tuoi, perché mi erano amici. Ho seppellito il padre tuo piangendolo con cuor sincero, perché mi era maestro buono nella vita».
  Maria alza piano piano il viso, rinfrancandosi sempre più, sentendo che Giuseppe le parla così, e quando accenna alla culla sorride lievemente, e quando Giuseppe dice del padre gli tende una mano e dice: «Grazie, Giuseppe». Un «grazie» timido e soave.
  Giuseppe prende fra le sue corte e forti mani di legnaiolo la manina di gelsomino, e la carezza con un affetto che vuole sempre più rassicurare. Forse attende altre parole. Ma Maria tace di nuovo. Allora riprende lui:  «La casa, tu lo sai, è intatta, meno che nella parte che fu abbattuta per ordine consolare per fare, del viottolo, via ai carriaggi di Roma. Ma la campagna, quella che t'è rimasta, perché tu sai… la malattia del padre ha consumato molto tuo avere, è un poco trascurata. Sono oltre tre primavere che gli alberi e le viti non conoscono cesoia di ortolano, e la terra è incolta e dura. Ma gli alberi che ti hanno visto piccina vi sono ancora e, se me lo permetti, io subito mi occuperò di loro».
  «Grazie, Giuseppe. Ma tu già lavori…».
  «Lavorerò al tuo orto nelle prime e nelle ultime ore del giorno. Ora il tempo di luce si allunga sempre più. Per la primavera voglio sia tutto in ordine per la tua gioia. Guarda, questo è un ramo del mandorlo che sta contro casa. Ho voluto cogliere questo… — si entra per ogni dove dalla siepe rovinata, ma ora la rifarò solida e forte — ho voluto cogliere questo pensando che, se io fossi stato il prescelto — non lo speravo perché sono nazareo e ho ubbidito perché ordine di Sacerdote, non per desiderio di nozze — pensando, dicevo, che tu avresti avuto gioia ad avere un fiore del tuo giardino. Eccotelo, Maria. Con esso ti dono il mio cuore, che come esso è fiorito sino ad ora solo per il Signore, ed ora fiorisce per te, sposa mia».

  7Maria prende il ramo. È commossa e guarda Giuseppe con un viso sempre più sicuro e radioso. Si sente sicura di lui. Quando poi egli dice: «Sono nazareo», il suo volto si fa tutto luminoso, ed Ella si fa coraggio. «Io pure sono tutta di Dio, Giuseppe. Non so se il Sommo Sacerdote te l'ha detto…».
  «Mi ha detto solo che tu sei buona e pura, e che hai da dirmi un tuo voto, e d'esser buono con te. Parla, Maria. Il tuo Giuseppe vuole farti felice in ogni tuo desiderio. Non t'amo con la carne. Ti amo con lo spirito mio, santa fanciulla che Dio mi dona! Vedi in me un padre e un fratello, oltre che uno sposo. E come a padre confidati, come a fratello affidati».
  «Fin dall'infanzia mi son consacrata al Signore. So che questo non si fa in Israele. Ma io sentivo una Voce chiedermi la mia verginità in sacrificio d'amore per l'avvento del Messia. Da tanto l'attende Israele!… Non è troppo rinunciare per questo alla gioia d'esser madre!».
  Giuseppe la guarda fissamente come volesse leggerle nel cuore, e poi prende le due manine, che ancora hanno fra le dita il ramoscello fiorito, e dice: «Ed io unirò il mio sacrificio al tuo, e ameremo tanto con la nostra castità l'Eterno che Egli darà più presto alla Terra il Salvatore, permettendoci di vedere la sua Luce splendere nel mondo. Vieni, Maria. Andiamo davanti alla sua Casa e giuriamo di amarci come gli angeli fra loro. 

  8Poi io andrò a Nazareth a preparare tutto per te, nella tua casa se ami andare in quella, altrove se vuoi altrove».
  «Nella mia casa… Vi era una grotta là in fondo… Vi è ancora?».
  «Vi è, ma non è più tua… Ma te ne farò una ove starai fresca e quieta nelle ore più calde. La farò quanto possibile uguale. E, dimmi, chi vuoi con te?».
  «Nessuno. Non ho paura. La madre d'Alfeo, che sempre viene a trovarmi, mi farà compagnia un poco nel giorno, e la notte preferisco esser sola. Nulla mi può accadere di male».
  «E poi ora ci sono io… Quando devo venire a prenderti?».
  «Quando tu vuoi, Giuseppe».
  «Allora verrò non appena la casa è ordinata. Non toccherò nulla. Voglio tu trovi come tua madre ha lasciato. Ma voglio sia piena di sole e ben monda, per accoglierti senza tristezza. Vieni, Maria. Andiamo a dire all'Altissimo che lo benediciamo».
  Non vedo altro. Ma mi resta in cuore il senso di sicurezza che prova Maria…



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