giovedì 7 febbraio 2019

I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Passione di Cristo (III)




 Passione di Gesù Cristo (III)

 14. La flagellazione.
 15. Ecce Homo.
 16. Gesù in balia dei soldati.
 17. Gesù è caricato della croce.
 18. Il Calvario.
 19. Crocifissione.
 20. Dolcezza e pazienza di Gesù Cristo.
 21. Gesù dichiarato re su la croce.
 22. Bestemmie contro Gesù Cristo.
 23. Il buon ladrone.
 24. Maria presso la croce.
 25. Sitio.
 26. Le sette parole di Gesù Cristo su la croce.


14. LA FLAGELLAZIONE. – Continuando la sanguinosa storia della Passione del Salvatore, noi troviamo questo gran Dio legato ad una colonna per essere flagellato; siccome la flagellazione era presso i Romani il castigo degli schiavi, ecco un nuovo supplizio ed una nuova umiliazione inflitti a Gesù Cristo; era un mettere al pari di uno schiavo, e di uno schiavo rivoltoso, colui che è il re del cielo e della terra! I manigoldi battono il suo corpo con funi a nodi, con colpi raddoppiati e accanitamente. Il sangue cola da tutte le parti. Isaia, che lo aveva contemplato in quel misero stato, esclama: « Non vi è più in lui né bellezza, né figura d'uomo. Lo abbiamo veduto disprezzato come la più vile feccia degli uomini, pieno di dolori e di acciacchi. Il suo volto era quasi scomparso sotto i segni del disprezzo, e non l'abbiamo più riconosciuto» (ISAI. LIII, 2-3). E il re Profeta dice di averlo veduto ridotto a tale estremo, che i carnefici gli poterono contare tutte le ossa (Psalm. XXI, 17). In mezzo a tanti strazi, l'Agnello immacolato non diede un lamento…

15. ECCE HOMO. – Quando Gesù per le battiture fu ridotto a non avere più parte del corpo sana, Pilato tentò un ultimo sforzo presso il popolo, e glielo presentò dicendo: – Ecce Homo. – Ecco l'uomo (IOANN. XIX, 5). Giudei, crudeli, ecco lo stato a cui avete ridotto il Verbo fatto carne: ecco l'opera vostra: – Ecce homo. – Bestemmiatori, dissoluti, avari, peccatori di ogni genere, ecco il frutto della vostra condotta: – Ecce homo…
Riuscito vano anche questo tentativo, Pilato finì per condannare Gesù Cristo alla morte e in ciò commise tre ingiustizie: 1° usurpava su Gesù Cristo un potere, una giurisdizione che in nessun modo gli apparteneva; 2° sconvolgeva le regole tutte di giustizia, come cedendo al tumulto dei Giudei, e condannava Gesù non perché colpevole, ma perché odiato e perseguitato dai suoi nemici; 3° violava il diritto e la legge, perché condannava un innocente, per timore di essere tenuto per nemico di Cesare.

16. GESÙ IN BALIA DEI SOLDATI. – Quando Gesù fu condannato, i soldati del Preside lo condussero nel Pretorio, raccolsero intorno a lui tutta la coorte, lo spogliarono dei suoi abiti, lo vestirono di una clamide o mantello militare, di colore scarlatto, e intrecciati rami di lunghe e dure spine, ne formarono una corona che gli calcarono sul capo e gli misero in mano una canna. Poi, piegando innanzi a lui il ginocchio, lo schernivano dicendo: Ave, o re dei Giudei. E alcuni, togliendogli di tratto in tratto la canna di mano, gli percotevano la testa (MATTH. XXVII, 29-30). Tutta la coorte si radunò per fare del Salvatore un finto re da teatro e argomento di derisione…

Quantunque i soldati romani avessero coronato Gesù Cristo per beffa, questo fu tuttavia un confessarne la sovranità. Lo proclamarono re, senza pensare che egli era tale infatti, dice S. Bernardo, il quale prende occasione da ciò per osservare che sarebbe cosa indegna che avesse membra delicate quel corpo il cui capo è coronato di spine (Serm. de Passione)… Pensiamo che Gesù Cristo fu coronato di spine, per meritare a noi la corona del cielo e che quella corona era figura dei nostri peccati.

S. Agapito, martire all'età di quindici anni, fra i molti tormenti cui lo sottopose la ferocia dei carnefici, si vide anche caricare la testa di carboni ardenti. Allora il santo giovine, ricordando la corona di spine del Salvatore, esclamò: È poca cosa che una testa la quale ha da essere coronata in cielo, sia coronata di fuoco e bruciata su la terra. Oh! che bella e ricca corona di gloria cingerà il capo che mostrerà trafitture di patimenti sofferti per Gesù Cristo! (SURIO, In Vita). Goffredo di Buglione, eletto re di Gerusalemme, ricusò di cingersi della corona reale, dicendo che non era cosa conveniente ché un re cristiano portasse corona d'oro nella città in cui Gesù Cristo era stato coronato di spine (Storia delle Crociate).

Piegando il ginocchio innanzi a lui, i soldati lo motteggiavano dicendo: Ave re dei Giudei – Ave rex Iudaeorum: – «Ogni lingua, dice S. Paolo, confessa che il Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre» (Philipp. II, 11); «e nel nome di Gesù deve piegarsi ogni ginocchio in cielo, su la terra, negli inferni» (Id. 10): – Gesù è veramente re; egli regna in cielo con la sua gloria, su la terra con la sua croce e la sua grazia, nell'inferno con la sua giustizia. «Egli è il Re dei re, il Signore dei dominanti» (Apoc. XIX, 16).

Gesù ha sofferto gli scherni del pretorio:
1° perché conoscessimo la vanità del mondo e dei suoi onori;
2° perché imparassimo che regna con lui, chi disprezza gli onori e i piaceri e se medesimo;
3° perché le umiliazioni dovevano essere le armi della sua vittoria contro Lucifero…

E' impossibile non dico comprendere e descrivere, ma anche solo immaginarsi gli strapazzi e i tormenti con cui i soldati romani, eccitati dai demoni, malmenarono Gesù Cristo dal punto in cui Pilato lo mise nelle loro mani, fino a che lo caricarono della croce. In questo frattempo l'inferno fu scatenato tutto intero, e gli uomini che ne divennero gli strumenti, compirono alla lettera quelle profezie della Sapienza. «Mettiamoci sotto i piedi il giusto…, circondiamolo di tranelli perché a noi è inutile e contrario alle nostre opere, ci rimprovera le nostre colpe contro la legge, e volge a nostro scorno e danno i cattivi effetti delle nostre dottrine. Si vanta di avere la scienza di Dio e si chiama Figlio dell'Altissimo. Ha svelato le nostre intenzioni. Ci ripugna il vederlo, perché la sua vita è differente da quella degli altri, e i suoi costumi sono il rovescio dei nostri. Egli ci guarda come gente leggera e frivola, e si allontana da noi come da un immondezzaio; preferisce la morte dei giusti, e si vanta di avere Dio per padre. Vediamo se dice il vero, proviamo quello che gli accadrà, e sapremo quale sarà la sua fine; perché se egli è veramente Figlio di Dio, questi lo libererà dalle mani dei suoi nemici. Proviamolo con lo scherno e col supplizio, affinché conosciamo la sua dolcezza e mettiamo in opera la sua pazienza. Condanniamolo alla morte più infame» (Sap. II, 10-12).
Osserviamo qui le ragioni che dànno gli empi, del loro odio e delle persecuzioni loro contro Gesù Cristo:
1° Egli non va loro a genio, anzi li contraria;
2° combatte le loro opere;
3° rimprovera loro la violazione della legge;
4° si annunzia figlio di Dio, e sostiene ch'egli insegna la scienza e la dottrina;
5° penetra i loro perversi disegni, li palesa e condanna;
6° con la sua modestia e religione riesce a loro odioso;
7° la sua vita; non è come la loro;
8° le sue opere, i suoi portamenti sono perfetti;
9° egli li considera come persone vane, leggere e dissipate;
10° si allontana da loro come da uomini corrotti;
11° preferisce la fine del giusto alla loro;
12° si vanta di aver Dio per padre…

17. GESÙ È CARICATO DELLA CROCE. – I manigoldi finalmente caricarono su le spalle di Gesù una pesante croce… Ognuno può facilmente immaginarsi in quale stato di stanchezza e di debolezza dovesse trovarsi l'umanità del Redentore, dopo le angosce di una notte quale fu quella da lui passata nell'orto di Getsemani e nei tribunali giudaici, dopo i mille strapazzi di quel mattino, e in casa di Erode e nel Pretori o di Pilato. Or bene, dopo tutto questo tempestare di insulti, di schiaffi, di percosse, di battiture, senza dargli un momento di tregua, lo caricano della croce, obbligandolo a portarla fino al luogo del supplizio.

Secondo la tradizione, il tronco della croce misurava cinque metri di lunghezza, e le braccia tre metri, con una grossezza proporzionata; e Gesù, secondo l'uso di all'ora, per cui il condannato doveva portare egli medesimo lo strumento del suo supplizio, fu costretto a caricarsela su le lacere sue spalle. 

Estenuato di forze, il divin Redentore non poté reggere a tanto peso, e tre volte stramazzò al suolo, nel viaggio da Gerusalemme al Calvario, e altrettante ne fu rialzato a colpi di bastone e di sferza: camminava a piedi nudi, lasciando lungo il cammino larga traccia di sangue… Vedendo però i manigoldi, che l'estrema debolezza di Gesù avrebbe certamente ceduto al carico, e temendo i crudeli ch'egli mancasse per via prima di toccare la vetta del Calvario, non per pietà che ne sentissero, costrinsero un abitante di Cirene, per nome Simone, capitato in quel punto su la strada, a dare. di mano alla croce del Salvatore e aiutarlo nel portarla fino sul monte.

Simone è chiamato a portare la croce, affinché noi intendiamo che non a Gesù, ma all'uomo colpevole essa era dovuta e impariamo a portarla su le orme del Salvatore, secondo le parole di Gesù Cristo medesimo: « Chi non si carica della sua croce e non mi viene dietro, non è degno di me» (MATTH. X, 38). Questo ancora ci volle insegnare il divin Salvatore con quelle altre parole indirizzate a uno stuolo di pie donne che, incontratolo per fa strada dei Golgota, ruppero in pianto al vederne il miserando stato: «Non piangete sopra di me, ma sopra di voi e dei figli vostri, o figlie di Gerusalemme» (Luc. XXIII, 28). Ah! miseri peccatori che siamo, piangiamo le nostre colpe, cagione dei patimenti e della morte del Figlio di Dio.


18. IL CALVARIO. – Finalmente Gesù arriva sul Calvario… Tertulliano, Origene, S. Cipriano, S. Atanasio, S. Cirillo, S. Ambrogio, S. Agostino, con parecchi altri Padri, dicono che Adamo fosse sepolto sul Calvario e che questo nome era derivato al monte della crocifissione, perché vi si trovasse il teschio del primo uomo; ed è certamente frutto di questa tradizione, l'uso generale di mettere in fondo alla croce un teschio di morto. Il sangue di Gesù Cristo sarebbe così stillato su gli ultimi avanzi del padre della stirpe umana. O tu che dormi da secoli nel tuo pentimento, sorgi, o Adamo, togliti di mezzo ai morti: il tuo Dio muore per risuscitarti.
I santi Gerolamo ed Agostino, seguiti dal Venerabile Beda, insegnano che il Calvario è la montagna su la quale Dio aveva ordinato ad Abramo di immolargli Isacco. Perciò Gesù Cristo, l'Agnello immacolato, sarebbe stato sacrificato nel luogo medesimo in cui Abramo vide un capretto con le corna impigliate ed egli lo offerse vittima a Dio, invece di suo figlio. Figura mirabile e sorprendente di Gesù Cristo coronato di spine ed immolato sul Calvario… Anche Davide che sale il Calvario a piedi nudi e piangendo, per sottrarsi all'ira dei suoi nemici, raffigura il Cristo.

Il Calvario era il luogo dove si giustiziarono i più famosi malfattori; Gesù Cristo, spirando in quel luogo, espiava con una delle più profonde umiliazioni le abominevoli iniquità del mondo. Sul Golgota il Salvatore ha reso i patimenti onorevoli e meritori, ne ha fatto mezzo di santificazione, argomento di merito. Parlando del Salvatore che carico della croce ascende il Calvario, così esclama S. Agostino: « Sublime spettacolo! sul quale se getta l'occhio l'empietà, vi scorge un'immensa e crudele derisione, se vi fissa lo sguardo la pietà ci vede un profondo, ineffabile mistero. Grande spettacolo! che guardato con l’occhio dell'empio, mostra urna grande lezione d'ignominia; contemplato con la pupilla del pio, presenta un insigne monumento della fede. Grande spettacolo! se lo guarda l'empietà, si ride del re che impugna per scettro il legno del suo supplizio; se lo contempla la pietà, vi ravvisa il suo re che porta il legno sul quale ha da essere appeso, legno che farà più tardi l'ornamento dei diademi reali, la croce che gli empi disprezzano, e i santi reputano gloria» (Tract. in Ioann. CXVII).

19. CROCIFISSIONE. – Giunti su la cima del monte, gli sgherri spogliarono Gesù Cristo della sua tunica, e la giuocarono a sorte. E' facile immaginare che, strappandogli senza riguardo la veste, gli si riaprirono tutte le piaghe, e il sangue riprese a sgorgare da quel lacero corpo. Poi lo distesero sulla croce e s'accinsero ad immolarlo. O Dio onnipotente, che tratteneste il braccio di Abramo pronto ad uccidere Isacco, lascerete voi mettere a morte il vostro Unigenito, Dio uguale a voi? Fermate, Padre celeste, fermate il braccio dei carnefici! Ma no; infinitamente oltraggiato dagli uomini, che non possono espiare i loro misfatti, Dio vuole per vittima un Dio che cancelli i delitti degli uomini. Il sangue d'Isacco non avrebbe lavato la terra, il diluvio medesimo non l'ha potuta mondare; solo il sangue di Gesù la renderà monda e pura.

Agnello divino, lasciatevi dunque alzare in croce; morite, Gesù, morite per redimere l'universo colpevole. Poiché in questo modo dovete placare la collera del Padre, soddisfare alla sua giustizia, lacerare il decreto di morte promulgato contro l'uomo, aprire il cielo, chiudere l'inferno, abbattere la morte, vincere e legare Satana, morite! Vedete come i manigoldi, mostri senza viscere, stendono il Salvatore su la croce! Osservateli all'opera, mentre con grossi chiodi ne forano e affiggono al legno le mani e i piedi! Considerate con quale rabbia si affannano, e sudano e trafelano per sospenderlo tra cielo e terra!

Dieci tormenti principalmente sofferse Gesù Cristo in croce:

1° le mani e i piedi trapassati dai chiodi…;
2° tutto il peso del corpo gravitante sui piedi e su le mani inchiodate…;
3° stette sospeso in croce tre ore…;
4° le sue membra erano talmente slogate che potevano contarsi tutte le ossa…;
5° si vide collocato in mezzo a due ladroni…;
6° era spogliato di ogni suo vesti mento… ;
7° fu divorato da una sete ardente…;
8° non ebbe che fiele per attutirla…;
9° udiva scagliarglisi contro da ogni lato, orrende bestemmie…;
10° i suoi sguardi cadevano su la sua santa madre che soffriva ai suoi piedi… « O voi tutti che passate per la strada, guardate e vedete se vi è dolore uguale al mio» – (Lament. I, 12).

20. DOLCEZZA E PAZIENZA DI GESÙ CRISTO. – «Egli è stato sacrificato perché ha voluto, dice Isaia parlando del Messia, e non ha aperto bocca; sarà condotto a morte come una pecora, starà muto come agnello dinanzi al tosatore» (ISAI. LIII, 7). Non un po' di lana si toglie a questo agnello divino, ma gli si lacera il corpo, gli si cava il sangue, gli si toglie la vita; egli non fa resistenza, non dà un belato, a tutto si adatta e sopporta tutto con intera, dolcissima pazienza, secondo quello che aveva predetto di se stesso, per bocca di Isaia: «Io sono come agnello mansueto che è portato all'ara» (IEREM. XI, 19).

Alle citate parole d'Isaia alludeva S. Giovanni Battista, quando diceva ai Giudei, mostrando loro a dito il Salvatore: «Ecco l'Agnello di Dio» – Ecce Agnus Dei (IOANN. I, 36); come per dire: Ecco l'Agnello predetto da Isaia, figurato nell'agnello pasquale e nel capretto impigliato con le corna tra le spine e immolato da Abramo… Come l'agnello che si tosa perde la lana, ma conserva la vita; così, dice S. Gerolamo, Gesù Cristo ha dato il suo corpo ed ha conservato la sua divinità (De Iudaeis).

Ai tempi di Noè, Dio si è mostrato come un leone, ed ha preso vendetta dei peccati che coprivano la terra, seppellendo il genere umano sotto le onde del diluvio; ma Gesù venne ad espiarli con la dolcezza di un agnello; le acque del diluvio uccisero gli uomini, non i peccati; il sangue dell'agnello uccide i peccati e risuscita gli uomini.

21. GESÙ DICHIARATO RE SU LA CROCE. – Pilato dettò un'iscrizione, in ebraico, in greco ed in latino, da mettersi in alto su la croce, la quale diceva così: «Questi è Gesù re dei Giudei» (MATTH. XXVII, 37). Avendola letta, i principi dei sacerdoti ne fecero le rimostranze a Pilato, e volevano che cambiasse la formola, scrivendo: Questi è Gesù che ha detto: Io sono il re dei Giudei; ma Pilato non ne volle sapere di correzione e rispose asciutto e reciso: Quello che ho scritto, ho scritto (IOANN. XIX, 20-22). Giudei deicidi, voi non volete Gesù Cristo per vostro re, sarà re delle nazioni.

Gesù Cristo è il re e il principe dei dolori; egli trionfa realmente di tutti con la sua pazienza e con la sua carità divina. Regnate dunque, o Gesù, nel palazzo del Calvario, sul trono della croce, sotto la porpora del vostro sangue, con lo scettro dei vostri chiodi e col diadema di spine. Voi portate per titolo: – Re dei Giudei – cioè degli uomini più ingiusti, dei nemici più crudeli. Per cortigiani avete accusatori, per guardie d'onore, ladroni; invece di un esercite pronto a difendervi, carnefici accaniti nel tormentarvi. Sul Calvario voi siete nel vostro impero, in tutta la pompa e la magnificenza della sovranità, voi trionfate. O re dei dolori, la vostra mensa è servita di fiele e di aceto; avete per profumi il fetore dei delitti; per fuochi di gioia, tenebre caliginose; per sinfonia, bestemmie e terremoto; per tappeto, ossa di giustiziati; per monile d'oro e braccialetti, la piaga del cuore. Faccia Dio che da noi si comprenda che cosa dobbiamo essere sotto un tale re, e in un tale regno!… Ma non senza motivo Gesù è dichiarato re su la croce; in virtù della sovranità della croce, diventa re di tutti i cuori; trionfa del peccato, della morte, dell'inferno.


22. BESTEMMIE CONTRO GESÙ CRISTO. – I circostanti, vedendo Gesù su la croce, lo maledivano e crollando il capo dicevano in tono di scherno: O tu che distruggi il tempio di Dio e in tre giorni lo rifabbrichi, perché non salvi te stesso? Se veramente sei il Figlia di Dio, discendi dalla croce. Anche i Principi dei sacerdoti, gli scribi e i farisei lo schernivano dicendo: Ha salvato gli altri e non può fare nulla per se stesso; s'egli è il re d'Israele, discenda ora dalla croce, e noi siamo pronti a credergli. Egli confida in Dio; ora Dio lo liberi, se veramente lo ama, perché ha detto: Io sono il figlio di Dio. Perfino uno dei ladri che stava crocefisso accanto a lui, lo vituperava e scherniva (MATTH. XXVII, 39-44).

O bestemmiatori! egli discenderebbe se volesse, ma il mondo non sarebbe salvo; egli non lascerà il trono sul quale l'avete collocato, se non quando avrà compiuto l'opera sua… E come indizio del desiderio che lo arde di compierla, ecco che, confitto in croce, dice che ha sete ­ Sitio; – ma, figura della corrispondenza degli uomini a questo desiderio ch'egli ha della loro salute, è il fiele e l'aceto che gli venne offerto dai soldati (IOANN. XIX, 29).

23. IL BUON LADRONE. – Uno dei malfattori sospesi in croce, bestemmiava Gesù, dicendo: Se tu sei il Cristo, salva te stesso e noi. Ma l'altro lo rimproverava: E come? nemmeno tu temi Dio, nemmeno tu che sei nella stessa sorte disgraziata? In quanto a noi, con tutta giustizia riceviamo questo trattamento, ma costui non ha fatto nulla di male (Luc. XXIII, 39-41). Tra la folla degl'ignoranti, dei ciechi, dei bestemmiatori che coprivano la vetta del Calvario, questo ladro si sente preso ad un tratto dal pentimento dei suoi delitti; confessa la innocenza e la divinità di Gesù Cristo, volge gli occhi verso di lui, molli di pianto, e così prega: Ricordatevi di me, o Signore, giunto che sarete nel vostro regno. E Gesù a lui: Ti dò mia parola, che oggi sarai con me in paradiso (Id. 42-43).

Riflettete, dice S. Ambrogio, e vedrete che la croce è un tribunale. Sospeso alle sue braccia sta il giudice; il ladro che crede, è salvo; quello che lo insulta, è condannato. Già in quel punto mostrava Gesù quello che farà nel giorno dei vivi e dei morti, quando metterà gli uni alla sua destra, e gli altri a sinistra (Com. in Luc. XXIII). «Che dite mai, o Gesù, esclama il Crisostomo. Voi siete appeso alla croce con chiodi, e promettete il paradiso! Sì, io lo prometto, affinché tu possa conoscere la virtù della mia croce» (Homil. de Cruce).

24. MARIA PRESSO LA CROCE. – Mentre Gesù Cristo versava il suo sangue per la salute del mondo, Maria stava presso la croce (IOANN. XIX, 25); e là si compiva in tutta la sua crudele espressione la profezia del vecchio Simeone che, prendendo nel tempio dalle braccia di Maria il bambino Gesù, a lei predisse che «una spada di dolore le avrebbe trapassato l'anima» (Luc. II, 35).

 La Vergine Santissima sofferse:

1° dei dolori acerbissimi, degli spasimi orribili patiti dall'adorabile suo Figlio. L'amore di Maria ci dà la misura del suo dolore; siccome non vi fu mai madre che abbia tanto amato il figlia, così nessuna madre sofferse mai ambascia simile all'ambascia di Maria. Nei martiri e nei santi, l'amore dava un sollievo ai loro patimenti, un balsamo divino; più amano e meno sentono il dolore dei supplizi che loro si fanno provare. In Maria avviene il contrario; più ama, e più soffre… Inoltre le pene di Maria aumentano quelle dell'adorabile suo Figlio… O cielo! che spettacolo per la più tenera delle madri, vedere il suo unigenito, il suo diletto, il suo Dio lordo di sangue, coperto di piaghe, le carni lacere, le ossa slogate, le membra peste, i piedi e le mani forate, sospeso ad una croce, rattristato da bestemmie, abbandonato da Dio e dagli uomini, sul punto di spirare! Che spettacolo per Gesù, mirare ai suoi piedi, bagnata del suo sangue, la madre sua santissima ch'egli amava di amore divino, e infinitamente al di sopra di tutti gli angeli!…

2° Maria patì per compassione; tutti i dolori di suo Figlio si riflettevano e ripercuotevano nell'intima dell'anima sua…
3° Patì in proporzione della dignità di suo Figlio e della sua propria…
4° Patì in ragione della lunghezza e acerbità dei tormenti del Figlio…
5° Patì per sollecitudine; essa vedeva Gesù soffrire da solo, abbandonato dagli apostoli, da quelli che aveva o guarito, o confortato, o beneficato, dagli uomini, dagli angeli, dal Padre medesimo; avrebbe voluto portargli aiuto e non poteva!…
6° Patì delle orrende calunnie, delle bestemmie, delle imprecazioni, delle maledizioni con cui si insultava suo Figlio…
7° Patì dell’averlo continuamente sotto gli occhi, e di essere testimone di ciascuno dei suoi dolori… Non fa meraviglia se i Santi Padri e i Dottori insegnano che la Beata Vergine madre di Dio, fu martire e più che martire, perché la spada del dolore che nei martiri ha solamente straziato il corpo, in Gesù ed in Maria ha straziato l'anima. – Come Gesù ha sofferto infinitamente di più che non tutti i martiri insieme, così anche Maria, la quale ha conosciuto tutti i dolori del crocefisso, provò tutte le torture alle quali soggiacque il Salvatore… Indicibili furono le sue pene, come indicibile è il suo amore; essa ha fatto della morte di Gesù la sua propria morte.

«Ah non si provi, dice S. Bernardo, né penna a scrivere, né mente ad immaginare i dolori che straziarono le pie viscere di Maria (Serm. XIX in Cantic.) », Essa pagò allora con sovrabbondanza il tributo dei patimenti che le aveva risparmiato la natura il giorno del suo parto. E come mai creatura del mondo potrebbe farsi una giusta idea dei patimenti di Maria, se è vera la sentenza di S. Bernardino da Siena, che «tanto grande fu il dolore della Vergine, che diviso tra gli uomini, basterebbe a dare loro la morte su l'istante (Serm. LXI)»? Immersa in un oceano di pene, secondo l'espressione del Crisostomo (De Cruce), poteva la Santissima Vergine appropriarsi quelle parole di Geremia: «O voi tutti che passate per la strada, guardate, e dite se vedeste mai dolore come il mio» (I, 12)

In mezzo a tanto crudele prova e barbaro scempio, la Beata Vergine non fa un lamento; divide con le pene anche la dolcezza, la pazienza, l'intera rassegnazione alla volontà di Dio, che si ammira nel suo Figliuolo crocefisso.

Quanto crebbe il dolore di Maria, quando Gesù le lasciò, in vece sua, S. Giovanni per figlio! (IOANN. XIX, 26). O Figliuol mio, che cambio! avrebbe potuto dire: forse che un figliuolo degli uomini può risarcirmi della perdita che io faccio?

25. SITIO. – Dal sommo della croce, Gesù disse: «Io ho sete» ­ Sitio (IOANN. XIX, 28). I lunghi e crudeli dolori del Redentore avevano in lui acceso una tale sete, che poteva dire col Salmista: «La lingua mia mi si è attaccata al palato» (Psalm. XXI, 15). Ma con questa parola Sitio, voleva intendere altra sete ben più pungente di quella che tormenta il corpo; egli accennava alla sete della salute degli uomini, alla brama di essere amato dagli uomini… E il suo amore verso di noi, è il desiderio del nostro amore verso di lui che lo divorava, come appunto rileviamo da S. Paolo in quelle sue parole ai Romani: «Dio ci ha dimostrato l'amore che ci porta, perché in quel tempo medesimo in cui eravamo peccatori, il Cristo è morto per noi» (Rom. V, 8-9): e in quelle altre ai Galati: «Per testimoniare a Dio il mio amore e la mia riconoscenza, io mi sono inchiodato alla croce di Cristo; talmente che io non vivo, ma vive in me quel Cristo il quale mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal. II, 19-20). Poi queste due cose unisce insieme scrivendo agli Efesini: «Camminate nell’amore imitando Gesù Cristo il quale ci ha amati, e si è sacrificato egli medesimo in oblazione a Dio ed in ostia di soave profumo» (Epist. V, 2).

Sitio; Gesù Cristo ci ha amati teneramente ed efficacemente, non a parole ma a fatti; poiché per amor nostro, ha volontariamente e liberissimamente dato, non i suoi tesori, non i fratelli e gli amici, non i suoi angeli, ma se stesso tutto quanto. Per noi peccatori e suoi nemici, per l'espiazione delle nostre colpe, egli si è dato non in offerta verbale e poco costosa, ma in oblazione sanguinosa e vivificante… «Egli ha veramente portato, come si esprime Isaia, le nostre infermità, si è caricato dei nostri dolori» (LIII, 4). Il profeta dice le nostre infermità e i nostri dolori, perché la macchia del peccato era opera nostra e la pena ne doveva per conseguenza ricadere in noi.
Gravi castighi ci erano riserbati; 1'obbligo di soffrire pesava su di noi; noi avevamo meritato i dolori del tempo e dell'eternità. Nella sete ardente del suo amore per noi, Gesù ha preso sopra di sé tutti i nostri debiti. «Egli ha portato, dice S. Pietro, i nostri peccati nel suo corpo, sul legno, affinché morti al peccato, viviamo alla, giustizia: è lui che con le sue piaghe ci ha guariti» (I Petr. II, 24). E S. Paolo ai Colossesi assicura «che Gesù cancellando la scrittura da noi sottoscritta e che era contro di noi, l'ha presa e inchiodata alla croce» (Coloss. II, 14).

26. LE SETTE PAROLE DI GESÙ CRISTO SULLA CROCE. – Gesù su la croce disse sette parole, piene di sapienza, di bontà, di amore, di misericordia e di potenza.

1.a «Padre mio, perdona loro, perché non sanno quello che fanno» (Luc. XXIII, 34). Dice S. Bernardo: «Gesù è stato flagellato, forato da chiodi, coronato di spine, abbeverato di obbrobri, appeso al patibolo; perdonando tanti oltraggi e tanti dolori: Perdonate loro, dice al Padre, perché non sanno quello che si fanno. O quanto siete ricco in misericordia, o Signore! Come abbonda la dolcezza vostra! Come superiori ai nostri sono i pensieri vostri! Come si spinge lontano la clemenza vostra riguardo ai peccatori e agli empi! Che meraviglia! questo Dio di amore esclama: Padre mio, perdonate loro; e i Giudei: Crocifiggilo. Di qual torrente di delizie non inebriate voi coloro che vi desiderano, se con tanta profusione versate l'olio della misericordia su quelli che vi crocifiggono!» (Serm. de Passione). Chi si sente tentato di odio e di vendetta, deve ricordare questa preghiera e l'amore che il Salvatore ha dimostrato ai suoi nemici.

La 2.a parola fu rivolta al buon ladrone, che implorava perdono da Gesù Cristo: «Oggi sarai con me in paradiso» (Luc. XXIII, 45). Egli parlò, e fu per promettere la gloria. Non moriva egli infatti, per aprire il cielo ai peccatori?

La 3.a parola venne indirizzata a sua madre, quando indicandole Giovanni, le disse: «Donna, ecco tuo figlio; e al discepolo: Ecco tua madre» (IOANN. XIX, 26-27). Nuova testimonianza di amore: il Salvatore dava sua madre per madre a tutti gli uomini, nella persona di S. Giovanni.

La 4.a parola fu un appello di Gesù Cristo al Padre: "Dio, Dio mio, perché mi hai tu abbandonato?" (MATTH. XXVII, 46). Preso nel senso della croce e della morte, questo lamento non significa punto che Gesù fosse abbandonato, ma che suo Padre voleva che egli morisse. A più forte ragione esclude ogni moto di disperazione in Gesù Cristo, come pretende l'infame bestemmiatore Calvino…

La 5.a parola fu: – Sitio – «Ho sete» (IOANN. XIX, 28).

La 6.a dichiara che tutto è finito, chiuso, consumato: – Consummatum est (Id. 30).

La 7.a fu la parola suprema del morente: «Padre, nelle tue mani raccomando l’anima mia» (LUC. XXIII, 46). «E chinato il capo, rese lo spirito» (IOANN. XIX, 5O). Tutto è compiuto; il nostro Dio è morto, immolato dai nostri peccati.

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Passione di Gesù Cristo (I) (II)


I TESORI DI CORNELIO A LAPIDE: Passione di Gesù Cristo (II)

5 Maggio 2013Vita cattolica: Matrimonio, laicato...

  8. Pietro rinnega Gesù Cristo.
  9. Gesù Cristo innanzi a Pilato.
 10. Gesù al1a presenza di Erode.
 11. Gesù per la seconda volta innanzi a Pilato.
 12. Disperazione di Giuda.
 13. Castighi dei Giudei deicidi.

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I Tesori di Cornelio a Lapide: Passione di Gesù Cristo (I)

28 Aprile 2013Vita cattolica: Matrimonio, laicato...

1. Noi dobbiamo tutto a Gesù Cristo.
2. Abissi della Passione.
3. La Cena.
4. Giuda vende il divin Maestro.
5. Gesù Cristo nel giardino degli ulivi.
6. Quello che Gesù Cristo soffri nell'Oliveto era predetto dai Profeti.
7. Strapazzi sofferti da Gesù in casa di Anna e di Caifa.

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AMDG et DVM

mercoledì 6 febbraio 2019

SAN BENEDETTO Abate

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LA VITA DI SAN BENEDETTO
Testo integrale

tratto dal Libro II° dei "Dialoghi" di San Gregorio Magno
Traduzione del testo latino in Patrologia Latina, LXVI, 125 ss. a cura dei PP.
Benedettini di Subiaco.
Pubblicato nella collana "Spiritualità nei secoli" di Città Nuova Editrice - 2000.

Indice

- Inizio del libro

1. Il primo miracolo
2. Tentazione e vittoria
3. Il segno della croce
4. Correzione del monaco dissipato
5. L'acqua dalla pietra
6. Il ferro che torna nel manico
7. Mauro cammina sull'acqua
8. Il pane avvelenato
9. La pietra che diventa leggera
10. L'incendio della cucina
11. Il piccolo monaco schiacciato
12. Il cibo preso trasgredendo la Regola
13. Il fratello del monaco Valentiniano
14. La simulazione del re Totila
15. La profezia per Totila
16. Il chierico liberato dal demonio
17. Predice la distruzione del suo monastero
18. Il furto del bariletto di vino
19. I fazzoletti delle monache
20. Il pensiero superbo del piccolo monaco
21. La farina alle porte del monastero
22. Una fabbrica regolata in visione
23. Le monache riconciliate per mezzo del Sacrificio
24. Il piccolo monaco fuggitivo
25. Il monaco e il dragone
26. L'elefantiaco risanato
27. Il debitore pagato
28. La bottiglia che non si rompe
29. L'anfora vuota riempita d'olio
30. Il monaco liberato dal demonio
31. Uno sguardo liberatore
32. Il fanciullo risuscitato
33. Il miracolo di sua sorella Scolastica
34. L'anima di sua sorella vola al cielo
35. La visione del mondo e dell'anima di Germano
36. La regola monastica
37. Il passaggio all'eternità
38. La pazza risanata nello Speco


AMDG et DVM

Squarci dell'Ultima Cena descritti da Maria Valtorta




 ....
Giovanni, vai con Giuda e qualche altro a prendere le coppe per la purificazione. E poi sediamo alla mensa». Gesù è di una dolcezza straziante.
   Giovanni con Andrea, Giuda Taddeo con Giacomo, portano l'ampia coppa, vi mescono acqua e offrono l'asciugamani a Gesù e ai compagni, i quali poi fanno lo stesso con loro. La coppa (che è un bacile di metallo) viene messa in un angolo.
   
«Ed ora ai propri posti. Io qui, e qui (alla destra) Giovanni, e dall'altro lato il mio fedele Giacomo. I due primi discepoli.
   Dopo Giovanni la mia Pietra forte, e dopo Giacomo colui che è come l'aria. Non si avverte. Ma è sempre presente e dà conforto: Andrea. Vicino a lui, mio cugino Giacomo. Tu non ti rammarichi, dolce fratello, se do il primo posto ai primi? Sei il nipote del Giusto [san Giuseppe], il cui spirito palpita e aleggia su Me, in questa sera, più che mai. Abbi pace, padre della mia debolezza di fanciullino, quercia alla cui ombra ebbero ristoro la Madre e il Figlio! Abbi pace!... Dopo Pietro, Simone... Simone, vieni un momento qui. Voglio fissare il tuo volto leale. Dopo non ti vedrò che male, perché altri mi copriranno la tua onesta faccia. Grazie, Simone. Di tutto», e lo bacia.
   Simone, quando è lasciato, va al suo posto portandosi per un attimo le mani al volto con atto di afflizione.
   «Di fronte a Simone, il mio Bartolmai. Due onestà e due sapienze che si rispecchiano. Stanno bene insieme. E vicino, tu, Giuda, fratello mio. Così ti vedo,... e mi sembra di essere a Nazaret... quando qualche festa ci riuniva tutti ad una mensa... Anche a Cana... Ricordi? Eravamo insieme. Una festa... una festa di nozze... il primo miracolo... l'acqua mutata in vino... Anche oggi una festa... e anche oggi vi sarà un miracolo... il vino cambierà natura... e sarà... ». Gesù si immerge nel suo pensiero. A capo chino, è come isolato nel suo mondo segreto. Gli altri lo guardano e non parlano.

   Rialza il capo e fissa Giuda Iscariota, al quale dice: «Tu mi starai di fronte».
   «Tanto mi ami? Più di Simone, che mi vuoi avere sempre di fronte?».
   «Tanto. Lo hai detto».
   «Perché, Maestro?».
   «Perché tu sei quello che hai fatto più di tutti per quest'ora».
   Giuda guarda con un mutevolissimo sguardo il Maestro e i compagni. Il primo con un che di ironica compassione, gli altri con aria di trionfo.
   «E vicino a te, da una parte Matteo, dall'altra Tommaso». 
   «Allora Matteo alla mia sinistra e Toma a destra».
   «Come vuoi, come vuoi», dice Matteo. «Mi basta aver bene di fronte il mio Salvatore».
   «Ultimo, Filippo. Ecco, vedete? Chi non è al mio fianco nel lato d'onore, ha l'onore di essermi di fronte».

 Gesù, ritto al suo posto, mesce nell'ampio calice collocato a Lui davanti (tutti hanno alti calici, ma Lui ne ha uno molto più ampio, oltre quello che hanno tutti. Deve essere il calice di rito). Mesce in esso il vino. Lo alza, lo offre. Lo posa.
   Poi tutti insieme chiedono con tono di salmo: «Perché questa cerimonia?». Domanda formale, si capisce. Di rito.
   Alla quale Gesù, come capo famiglia, risponde: «Questo giorno ricorda la nostra liberazione dall'Egitto. Sia benedetto Geové che ha creato il frutto della vigna».
   Beve un sorso di questo vino offerto e passa il calice agli altri. Poi offre il pane, lo spezza, lo distribuisce, indi le erbe intinte nella salsa rossastra che è in quattro salsiere.
   Finita questa parte di pasto, cantano dei salmi, tutti in coro.
   Viene portato dalla credenza sulla mensa, e posto di fronte a Gesù, il capace vassoio dell'agnello arrostito.
   Pietro, che ha il ruolo di... prima parte, di coro, se più le piace, chiede: «Perché quest'agnello, così?».
   «A ricordo di quando Israele fu salvo per l'agnello immolato. Non morì primogenito dove il sangue splendeva sugli stipiti e l'architrave. E dopo, mentre tutto l'Egitto piangeva sui primogeniti maschi morti, dalla reggia ai tuguri, gli ebrei, capitanati da Mosè, si mossero verso la terra della liberazione e della promessa. Coi fianchi già cinti, i calzari al piede, in mano il bordone, fu sollecito il popolo di Abramo a porsi in marcia cantando gli inni della gioia».
   Tutti si alzano in piedi e intonano: «Quando Israele uscì dall'Egitto e la casa di Giacobbe di mezzo ad un popolo barbaro, la Giudea divenne il suo santuario», ecc. ecc. (se trovo giusto, è il salmo 114. Quello che viene detto subito dopo è il Salmo 113).
   Ora Gesù taglia l'agnello, mesce un nuovo calice, lo passa dopo averne bevuto. Poi cantano ancora: «Fanciulli, lodate il Signore, sia benedetto il nome dell'Eterno ora e sempre nei secoli. Dall'oriente all'occidente deve essere lodato», ecc.
   Gesù dà le parti, badando che ognuno sia bon servito, proprio come un padre di famiglia fra figli a lui tutti cari. È solenne, un po' triste, mentre dice: «Ho ardentemente desiderato di mangiare con voi questa Pasqua. È stato il mio desiderio dei desideri da quando, in eterno, Io fui "il Salvatore". Sapevo che quest'ora precede quella. E la gioia di darmi metteva in anticipo questo sollievo al mio patire... Ho ardentemente desiderato di mangiare con voi questa Pasqua, perché mai più gusterò del frutto della vite finché sia venuto il Regno di Dio. Allora mi assiderò nuovamente cogli eletti al Banchetto dell'Agnello, per le nozze dei viventi col Vivente. Ma ad esso verranno soltanto coloro che sono stati umili e mondi di cuore come Io sono».


8 «Maestro, poco fa Tu hai detto che chi non ha l'onore del posto ha quello d'esserti di fronte. Come allora possiamo sapere chi è il primo fra noi?», chiede Bartolomeo.
   «Tutti e nessuno. Una volta... tornavamo stanchi... nauseati per l'astio farisaico. (Vol 5 Cap 352). Ma stanchi non eravate per disputare fra di voi chi fosse il più grande... Un bambino mi corse vicino... un mio piccolo amico... E la sua innocenza temperò il mio disgusto di tante cose. Non ultima la vostra umanità pervicace. Dove sei ora, piccolo Beniamino dalla sapiente risposta, a te venuta dal Cielo perché, angelo come eri, lo Spirito ti parlava? Io vi ho detto allora: "Se uno vuole essere il primo sia l'ultimo e servo di tutti". E vi ho dato ad esempio il fanciullo saggio. Ora vi dico: "I re delle nazioni le signoreggiano. E i popoli oppressi, pur odiandoli, li acclamano e i re vengono detti ‘Benefattori’, ‘Padri della Patria’. Ma l'odio cova sotto il bugiardo ossequio". Ma fra voi così non sia. Il maggiore sia come il minore, il capo come colui che serve. Chi infatti è più grande? Chi sta a mensa, o chi serve? È colui che sta a mensa. Eppure Io vi servo. E fra poco più vi servirò. Voi siete quelli che siete stati con Me nelle prove. Ed Io dispongo per voi un posto nel mio Regno, così come Io sarò in esso Re secondo il volere del Padre, acciocché mangiate e beviate alla mia mensa eterna e siate assisi sui troni giudicando le dodici tribù di Israele. Siete rimasti con Me nelle mie prove... Solo questo è quello che vi dà grandezza agli occhi del Padre».
   «E quelli che verranno? Non avranno posto nel Regno? Noi soli?».
   «Oh! quanti principi nella mia Casa! Tutti coloro che saranno stati fedeli al Cristo nelle prove della vita saranno principi nel Regno mio. Perché coloro che avranno perseverato sino alla fine nel martirio dell'esistenza saranno pari a voi, che con Me siete rimasti nelle mie prove. Io mi identifico nei miei credenti. Il Dolore che Io abbraccio per voi e per tutti gli uomini Io lo do come insegna ai più eletti. Chi nel Dolore mi sarà fedele sarà un mio beato pari a voi, o miei diletti».

 9 «Noi abbiamo perseverato fino alla fine».
   «Lo credi, Pietro? Ed Io ti dico che l'ora della prova ha ancora da venire. Simone, Simone di Giona, ecco che Satana ha chiesto di vagliarvi come il grano. Io ho pregato per te, perché la tua fede non vacilli. Tu, quando sarai ravveduto, conferma i tuoi fratelli».
   «Lo so di essere un peccatore. Ma fedele a Te lo sarò fino alla morte. Non ho questo peccato. Mai l'avrò».
   «Non essere superbo, Pietro mio. Quest'ora muterà infinite cose, che prima erano così ed ora saranno diverse. Quante! ... Esse portano e importano necessità nuove. Voi lo sapete. Io vi ho sempre detto, anche quando andavamo per luoghi remoti percorsi dai banditi: "Non temete. Nulla ci accadrà di male perché gli angeli del Signore sono con noi. Non preoccupatevi di nulla". Vi ricordate quando vi dicevo: "Non abbiate sollecitudini per ciò che dovete mangiare e per le vesti. Il Padre sa di che abbiamo bisogno"? Vi dicevo anche: "L'uomo è molto più di un passero e del fiore che oggi è erba e domani è fieno. Eppure il Padre ha cura anche del fiore e dell'uccellino. Potete allora dubitare che non abbia cura di voi?". Vi dicevo ancora: "Date a chiunque vi chiede, a chi vi offende presentate l'altra guancia". Vi dicevo: "Non abbiate borsa né bastone". Perché Io ho insegnato amore e fiducia. Ma ora... Ora non è più quel tempo. Ora Io vi dico: "Vi è mai mancato nulla fino ad ora? Foste mai offesi?"».
   «Nulla, Maestro. E solo Tu fosti offeso».
   «Vedete dunque che la mia parola era verità. Ma ora gli angeli sono tutti richiamati dal loro Signore. È ora di demoni... Con le ali d'oro essi, gli angeli del Signore, si coprono gli occhi, si fasciano e si dolgono che non siano ali di colore cruccioso, perché è ora di lutto, e lutto crudele, sacrilego... Non ci sono angeli sulla Terra questa sera. Sono presso il trono di Dio per coprire col loro canto le bestemmie del mondo deicida e il pianto dell'Innocente. E noi siamo soli... Io e voi: soli. E i demoni sono i padroni dell'ora. Perciò ora prenderemo le apparenze e le misure dei poveri uomini che diffidano e non amano. Ora, chi ha una borsa prenda anche una bisaccia, chi non ha spada venda il suo mantello e ne comperi una. Perché anche questo è detto di Me nella Scrittura e si deve compiere: (Isaia 53, 12) "Egli è stato annoverato fra i malfattori". In verità tutto ciò che mi riguarda ha il suo fine».

10 Simone, che si è alzato andando alla cassapanca dove ha deposto il suo ricco mantello - perché questa sera
sono tutti con gli abiti migliori e perciò hanno pugnali, damaschinati ma molto corti, più coltelli che pugnali, alle ricche cinture - prende due spade, due vere spade, lunghe, lievemente ricurve, e le porta a Gesù: «Io e Pietro ci siamo armati questa sera. Queste abbiamo. Ma gli altri non hanno che il corto pugnale».
   Gesù prende le spade, le osserva, ne snuda una e ne prova il taglio sull'unghia. È una strana vista e fa una ancora più strana impressione vedere quell'arnese feroce nelle mani di Gesù.
   «Chi ve le ha date?», chiede l'Iscariota mentre Gesù osserva e tace. E pare sulle spine Giuda...
   «Chi? Ti ricordo che mio padre era nobile e potente». 
   «Ma Pietro...».
   «Ebbene? Da quando devo rendere conto dei doni che voglio fare ai miei amici?».
   Gesù alza il capo dopo avere ringuainato l'arma. Le rende allo Zelote.
   «Va bene. Bastano. Hai fatto bene a prenderle.


11 "Ma ora, avanti la bevuta al terzo calice, attendete un momento. Vi ho detto che il più grande è pari al più piccolo e che Io ho veste di servo a questa tavola, e più vi servirò. Finora vi ho dato cibo. Servizio per il corpo. Ora vi voglio dare un cibo per lo spirito. Non è un piatto del rito antico. È del nuovo rito. Io mi sono voluto battezzare prima di essere il "Maestro". Per spargere la Parola bastava quel battesimo. Ora verrà sparso il Sangue. Ci vuole un altro lavacro anche su voi, che pure vi siete purificati dal Battista, a suo tempo, e anche oggi nel Tempio. Ma non basta ancora. Venite, che Io vi purifichi. Sospendete il pasto. Vi è qualcosa di più alto e necessario del cibo dato al ventre perché si empia, anche se è cibo santo come questo del rito pasquale. Ed è uno spirito puro, pronto a ricevere il dono del Cielo, che già scende per farsi trono in voi e darvi la Vita. Dare la Vita a chi è mondo».
   Gesù si alza in piedi, fa alzare Giovanni per uscire meglio dal suo posto, va ad una cassapanca e si leva la veste rossa deponendola piegata sul già piegato mantello, si cinge alla vita un ampio asciugamani, poi va ad un altro bacile, ancora vuoto e mondo. Vi versa dell'acqua, lo porta in mezzo alla stanza, presso la tavola, e lo mette su uno sgabello. Gli apostoli lo guardano stupefatti.
   «Non mi chiedete che faccio?».
   «Non sappiamo. Ti dico che siamo già purificati», risponde Pietro.
   «Ed Io ti ripeto che non importa. La mia purificazione servirà a chi è già puro ad essere più puro».
   Si inginocchia. Slaccia i sandali all'Iscariota ed uno per volta gli lava i piedi. È facile farlo, perché i letti-sedili sono fatti in modo che i piedi sono verso l'esterno. Giuda è sbalordito e non dice niente. Solo quando Gesù, prima di calzare il piede sinistro e alzarsi, fa l'atto di baciargli il piede destro già calzato, Giuda ritrae violentemente il piede e colpisce con la suola la bocca divina. Lo fa senza volere. Non è un colpo forte. Ma mi dà tanto dolore. Gesù sorride, e all'apostolo che gli chiede: «Ti ho fatto male? Non volevo... Perdona», dice: «No, amico. L'hai fatto senza malizia e non fa male». Giuda lo guarda... Uno sguardo turbato, sfuggente...
   Gesù passa a Tommaso, poi a Filippo... Gira il lato stretto della tavola e viene al cugino Giacomo. Lo lava e lo bacia, nell'alzarsi, in fronte. Passa ad Andrea, che è rosso di vergogna e fa sforzi per non piangere, lo lava, lo carezza come un bambino. Poi c'è Giacomo di Zebedeo, che non fa che mormorare: «Oh! Maestro! Maestro! Maestro! Annichilito, sublime Maestro mio!». Giovanni si è già slacciato i sandali e, mentre Gesù sta curvo ad asciugargli i piedi, si china e lo bacia sui capelli.
   Ma Pietro!... Non è facile persuaderlo a quel rito! «Tu lavare i piedi a me? Non te lo pensare! Sinché sono vivo, non te lo permetterò. Io sono il verme, Tu sei Dio. Ognuno a suo posto». 
   «Ciò che Io faccio tu non lo puoi comprendere per ora. Ma poi lo comprenderai. Lasciami fare».
   «Tutto quello che vuoi, Maestro. Vuoi tagliarmi il collo? Fàllo. Ma lavarmi i piedi non lo farai».
   «Oh! mio Simone! Tu non sai che, se non ti lavo, non avrai parte nel mio Regno? Simone, Simone! Tu hai bisogno di quest'acqua per la tua anima e per il tanto cammino che devi fare. Non vuoi venire con Me? Se non ti lavo, non vieni nel mio Regno».
   «Oh! Signor mio benedetto! Ma allora lavami tutto! Piedi, mani e capo!».
   «Chi ha fatto come voi un bagno non ha bisogno che di lavarsi i piedi, giacché è interamente puro. I piedi... L'uomo coi piedi va nelle lordure. E poco ancora sarebbe perché, ve l'ho detto, non è ciò che entra ed esce col cibo quello che sporca, e non è quello che si posa sui piedi per via ciò che contamina l'uomo. (Vedi Vol 5 Capp 300 e 301, e il capitolo 567). Ma è quanto incuba e matura nel suo cuore e di lì esce a contaminare le sue azioni e le sue membra. E i piedi dell'uomo dall'animo impuro vanno alle crapule, alle lussurie, agli illeciti commerci, ai delitti... Perciò sono, fra le membra del corpo, quelle che hanno molta parte da purificare... con gli occhi, con la bocca... Oh! uomo! uomo! Perfetta creatura un giorno: il primo! E poi così corrotto dal Seduttore! E non c'era in te malizia, o uomo, e non peccato!... Ed ora? Sei tutto malizia e peccato, e non c'è parte di te che non pecchi!».
   Gesù ha lavato i piedi a Pietro, li bacia, e Pietro piange e prende con le sue grosse mani le due mani di Gesù, se le passa sugli occhi e le bacia poi.
   Anche Simone si è levato i sandali e senza parola si lascia lavare. Ma poi, quando Gesù sta per passare da Bartolomeo, Simone si inginocchia e gli bacia i piedi dicendo: «Mondami dalla lebbra del peccato come mi mondasti dalla lebbra del corpo, acciocché io non sia confuso nell'ora del giudizio, mio Salvatore! ».
   «Non temere, Simone. Verrai nella Città celeste bianco come neve alpina».
   «Ed io, Signore? Al tuo vecchio Bartolmai che dici? Tu mi hai visto sotto l'ombra del fico e mi hai letto nel cuore.    Ed ora che vedi, e dove mi vedi? Rassicura un povero vecchio, che teme non avere forza e tempo per giungere a come Tu vuoi che si sia». Bartolomeo è molto commosso.
   «Anche tu non temere. Ho detto allora: "Ecco un vero israelita in cui non è frode". Ora dico: "Ecco un vero cristiano degno del Cristo". Dove ti vedo? Su un trono eterno, vestito di porpora. Io sarò sempre con te».
   È la volta di Giuda Taddeo. Questo, quando si vede ai piedi Gesù, non sa trattenersi, curva il capo sul braccio appoggiato sulla tavola e piange.
   «Non piangere, dolce fratello. Ora sei come uno che deve sopportare lo strappo di un nervo e ti pare di non poterlo sopportare. Ma sarà un breve dolore. Poi... oh! tu sarai felice, perché mi ami, tu. Ti chiami Giuda. E sei come il nostro grande Giuda: (cioè Giuda Maccabeo, celebrato in 1 Maccabei 3, 1-9) come un gigante. Sei colui che protegge. Le tue azioni sono da leone e lioncello che rugge. Tu scoverai gli empi che davanti a te indietreggeranno, e saranno atterriti gli iniqui. Io so. Sii forte. Un'eterna unione stringerà e renderà perfetta la nostra parentela in Cielo». Bacia anche lui sulla fronte come l'altro cugino.
   «Io sono peccatore, Maestro. Non a me...».
   «Tu eri peccatore, Matteo. Ora sei l'Apostolo. Sei una mia "voce". Ti benedico. Questi piedi quanta strada hanno fatto per venire sempre avanti, verso Dio... L'anima li spronava ed essi hanno lasciato ogni via che non fosse la mia via. Procedi. Sai dove finisce il sentiero? Sul seno del Padre mio e tuo».
   Gesù ha finito. Si leva il telo, si lava in acqua pulita le mani, si riveste, torna al suo posto e dice, mentre si siede al suo posto: «Ora siete puri, ma non tutti. Solo coloro che ebbero volontà di esserlo».
   Fissa Giuda di Keriot che mostra di non udire, intento a spiegare al compagno Matteo come suo padre si decise a mandarlo a Gerusalemme. Un discorso inutile, che ha l'unico scopo di dare un contegno a Giuda che, per quanto audace, si deve sentire a disagio.



12  Gesù mesce per la terza volta nel calice comune. Beve, fa bere. Poi intona, e gli altri fanno coro: «Amo perché il Signore ascolta la voce della mia preghiera, perché piega il suo orecchio verso di me. Io lo invocherò per tutta la vita. Mi avevano circondato dolori di morte», ecc. (Vengono recitati, nell'ordine: Salmo 116, Salmo 117, Salmo 118 [lungo inno], Salmo 119 [quello che non finisce mai]).
   Un attimo di sosta. Poi riprende a cantare: «Ebbi fede, per questo ho parlato. Ma ero fortemente umiliato. E dicevo nel mio smarrimento: "Ogni uomo è menzognero"». Guarda fisso Giuda.
   La voce, stanca questa sera, del mio Gesù riprende lena quando esclama: «È preziosa al cospetto di Dio la morte dei santi», e «Tu hai spezzato le mie catene. A Te sacrificherò ostia di lode invocando il nome del Signore», ecc. ecc.
   Un'altra breve sosta nel canto e poi riprende: «Lodate tutte il Signore, o nazioni, tutti i popoli lodatelo. Perché si è affermata su noi la sua misericordia e la verità del Signore dura in eterno».
   Altra breve sosta e poi un lungo inno: «Celebrate il Signore, perché Egli è buono, perché la sua misericordia dura in eterno...».
   Giuda di Keriot canta stonato tanto che per due volte Tommaso lo rimette in tono col suo potente vocione baritonale e lo guarda fisso. Anche altri lo guardano, perché generalmente è sempre ben intonato, e della sua voce ho capito che se ne tiene come del resto. Ma questa sera! Certe frasi lo turbano al punto che stecca, e così certi sguardi di Gesù che sottolineano le frasi. Una è: «Meglio confidare nel Signore che confidare nell'uomo». Un'altra è:    «Urtato, vacillavo e stavo per cadere. Ma il Signore mi ha sorretto». Un'altra è: «Io non morrò ma vivrò e narrerò le opere del Signore». E infine queste due, che dico ora, fanno strozzare la voce in gola al Traditore: «La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra angolare», e «Benedetto colui che viene nel nome del Signore! ».
   Finito il salmo, mentre Gesù taglia e porge di nuovo dell'agnello, Matteo chiede a Giuda di Keriot: «Ma ti senti male?».
   «No. Lasciami stare. Non ti occupare di me».
   Matteo si stringe nelle spalle.
   Giovanni, che ha udito, dice: «Anche il Maestro non sta bene. Che hai, Gesù mio? La tua voce è fioca. Come di malato o di chi ha molto pianto», e lo abbraccia stando col capo sul petto di Gesù.
   «Non ha che molto parlato, come io non ho che molto camminato e preso fresco», dice Giuda nervoso.
   E Gesù, senza rispondere a lui, dice a Giovanni: «Tu mi conosci ormai... e sai cosa è che mi stanca...».



13 L'agnello è quasi consumato.
   Gesù, che ha mangiato pochissimo, bevendo solo un sorso di vino ad ogni calice e bevendo in compenso
molt'acqua come fosse febbrile, riprende a parlare: «Voglio che voi comprendiate il mio gesto di dianzi. Vi ho detto che il primo è come l'ultimo e che vi darò un cibo non corporale. Un cibo di umiltà vi ho dato. Per lo spirito vostro.    Voi chiamate Me: Maestro e Signore. Dite bene, perché tale Io sono. Se dunque Io ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete farvelo l'un l'altro. Io vi ho dato l'esempio affinché, come Io ho fatto, voi facciate. In verità vi dico: il servo non è da più del padrone, né l'apostolo è più di Colui che tale lo ha fatto. Cercate di comprendere queste cose. Se poi, comprendendole, le metterete in pratica, sarete beati. Ma non sarete tutti beati. Io vi conosco. So chi ho scelto. Non parlo di tutti ad un modo. Ma dico ciò che è vero. D'altra parte, deve compiersi ciò che è scritto a mio riguardo: (Salmo 41, 10) "Colui che mangia il pane con Me ha levato il suo calcagno su Me". Tutto Io vi dico prima che avvenga, perché non abbiate dubbi su Me. Quando tutto sarà compiuto, voi crederete ancor più che Io sono Io. Chi accoglie Me accoglie Colui che mi ha mandato: il Padre santo che è nei Cieli; e chi accoglierà coloro che Io manderò, accoglierà Me stesso. Perché Io sono col Padre e voi siete con Me... Ma ora compiamo il rito».

   Versa di nuovo vino nel calice comune e, prima di berne e di farne bere, si alza, e con Lui si alzano tutti, e canta di nuovo uno dei salmi di prima: «Ebbi fede e per questo parlai...», e poi uno che non finisce mai. Bello... ma eterno!    Credo di ritrovarlo per l'inizio e la lunghezza, nel salmo 119. Lo cantano così. Un pezzo tutti insieme. Poi, a turno, uno ne dice un distico e gli altri insieme un pezzo, e così via sino alla fine. Lo credo che alla fine abbiano sete!



14 Gesù si siede. Non si mette sdraiato. Resta seduto, come noi. E parla: «Ora che l'antico rito è compiuto, Io celebro il nuovo rito. Vi ho promesso un miracolo d'amore. È l'ora di farlo. Per questo ho desiderato questa Pasqua.    Da ora in poi questo è l'ostia che sarà consumata in perpetuo rito d'amore. Vi ho amato per tutta la vita della Terra, amici diletti. Vi ho amato per tutta l'eternità, figli miei. E amare vi voglio sino alla fine. Non vi è cosa più grande di questa. Ricordatevelo. Io me ne vado. Ma resteremo per sempre uniti mediante il miracolo che ora Io compio».

   Gesù prende un pane ancora intiero, lo pone sul calice colmo. Benedice e offre questo e quello, poi spezza il pane e ne prende tredici pezzi e ne dà uno per uno agli apostoli dicendo: «Prendete e mangiate. Questo è il mio Corpo.    Fate questo in memoria di Me che me ne vado». Dà il calice e dice: «Prendete e bevete. Questo è il mio Sangue.    Questo è il calice del nuovo patto nel Sangue e per il Sangue mio, che sarà sparso per voi per la remissione dei vostri peccati e per darvi la Vita. Fate questo in memoria di Me».

   Gesù è tristissimo. Ogni sorriso, ogni traccia di luce, di colore lo hanno abbandonato. Ha già un volto d'agonia. Gli apostoli lo guardano angosciati.

15 Gesù si alza dicendo: «Non vi muovete. Torno subito». Prende il tredicesimo pezzetto di pane, prende il calice ed esce dal Cenacolo.
   «Va dalla Madre», sussurra Giovanni.
   E Giuda Taddeo sospira: «Misera donna! ». 
   Pietro chiede in un soffio: «Credi che sappia?». 
   «Tutto sa. Tutto ha sempre saputo».

   Parlano tutti a voce bassissima, come davanti ad un morto. 
   «Ma credete che proprio...», chiede Tommaso che non vuole ancora credere.
   «E ne hai dubbi? È la sua ora», risponde Giacomo di Zebedeo.
   «Dio ci dia la forza di essere fedeli», dice lo Zelote.
   «Oh! io...» , sta per parlare Pietro.   
   Ma Giovanni, che è all'erta, dice: «Sss. È qui».
   Gesù rientra. Ha in mano il calice vuoto. Appena sul fondo vi è un'ombra di vino, e sotto la luce del lampadario pare proprio sangue.
   Giuda Iscariota, che ha davanti il calice, lo guarda come affascinato e poi ne torce lo sguardo.
   Gesù l'osserva ed ha un brivido che Giovanni, appoggiato come è al suo petto, sente. «Ma dillo! Tu tremi...», esclama.
   «No. Non tremo per febbre...

16 Io tutto vi ho detto e tutto vi ho dato. Di più non potevo darvi. Me stesso vi ho dato». Ha il suo dolce gesto delle mani che, prima congiunte, ora si disgiungono e si allargano, mentre la testa si china come per dire: «Scusate se non posso di più. Così è».

   «Tutto vi ho detto e tutto vi ho dato. E ripeto. Il nuovo rito è compiuto. Fate questo in memoria di Me. 

Io vi ho lavato i piedi per insegnarvi ad essere umili e puri come il Maestro vostro. Perché in verità vi dico che, come è il Maestro, così devono essere i discepoli. Ricordatelo, ricordatelo. Anche quando sarete in alto, ricordatelo. Non vi è discepolo da più del Maestro. 

Come Io vi ho lavato, voi fatelo fra voi. Ossia amatevi come fratelli, aiutandovi l'un l'altro, venerandovi a vicenda, essendo l'un coll'altro d'esempio. 

E siate puri. Per essere degni di mangiare il Pane vivo disceso dal Cielo ed avere in voi e per Esso la forza d'essere i miei discepoli nel mondo nemico, che vi odierà per il mio Nome. 

Ma uno di voi non è puro. Uno di voi mi tradirà. Di questo sono fortemente conturbato nello spirito... La mano di colui che mi tradisce è meco su questa tavola, e non il mio amore, non il mio Corpo e il mio Sangue, non la mia parola lo ravvedono e lo fanno pentito. Io lo perdonerei, andando alla morte anche per lui».

   I discepoli si guardano esterrefatti. Si scrutano, in sospetto l'un dell'altro. Pietro fissa l'Iscariota in un risveglio di tutti i suoi dubbi. Giuda Taddeo scatta in piedi per guardare a sua volta l'Iscariota al disopra del corpo di Matteo.
   Ma l'Iscariota è così sicuro! A sua volta guarda fisso Matteo come sospettasse di lui. Poi fissa Gesù e sorride chiedendo: «Son forse io quello?». Pare il più sicuro della sua onestà e che dica così, tanto per non lasciare cadere la conversazione.
   Gesù ripete il suo gesto dicendo: «Tu lo dici, Giuda di Simone. Non Io. Tu lo dici. Io non ti ho nominato. Perché ti accusi? Interroga il tuo interno ammonitore, la tua coscienza di uomo, la coscienza che Dio Padre ti ha data per condurti da uomo, e senti se ti accusa. Tu lo saprai prima di tutti. Ma se essa ti rassicura, perché dici una parola e pensi un fatto che è anatema anche a dirlo o a pensarlo per gioco?».
   Gesù parla con calma. Sembra sostenga la tesi proposta come lo può fare un dotto alla sua scolaresca. Il subbuglio è forte. Ma la calma di Gesù lo placa.
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