Uomo capace di muovere moltitudini alla conversione e di intenerirsi al canto di un uccellino, ha lasciato un esempio di vita che attraversa i secoli, come promessa di un grandioso avvenire per l'America.
Suor Isabel Cristina Lins Brandão Veas, EP
Nel folto delle foreste inospitali del Sud America, un frate francescano della fine del secolo XVI contempla alcuni melodiosi uccellini il cui piumaggio colorato punteggia il verde della vegetazione. A parte i graziosi cinguettii, si ode soltanto il mormorio della gorgogliante fonte vicina. Questa gradevole consonanza fa subito affiorare la sua acuta inclinazione musicale. Appoggiando sulla spalla il violino che porta con sé, comincia ad accompagnare con l'arco e le corde l'armonia della natura.
L'improvviso sibilo di una freccia che passa rasente al violinista fa cessare la melodia. Egli raccoglie lo strumento, guarda serenamente intorno e percepisce a poca distanza, dissimulata tra i rami, la presenza di un indigeno dai grandi occhi scuri. Il tiro era stato l'avviso dell'imminente attacco dei nativi della regione, infastiditi dall'incursione di quell'estraneo nel loro territorio.
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Il popolo sudamericani affettuosamente "Violino del Frate" cognominou. |
La fisionomia del francescano subito si illumina, manifestando la soddisfazione propria di chi incontra qualcuno che cercava da molto tempo. Depone il violino sopra una pietra, cammina risoluto in direzione dell'indio e lo abbraccia con grande affetto. Sconcertato di fronte a così insolito atteggiamento, questi rimane immobile. Nella sua anima, tuttavia, sente un misto di pace, gioia e desiderio di conoscere quello che gli appare come sublime e ineffabile. E si commuove.
Questo provvidenziale incontro segnava l'inizio della conversione di un'altra tribù della provincia di Tucumán, in Argentina.
Il francescano stesso aveva già attirato alla vera Religione migliaia di nativi che lo consideravano come un padre e "riponevano in lui una grande fede, lo rispettavano e veneravano, riconoscendolo come santo".1 Il suo aspetto dimesso, segno del rigore delle mortificazioni imposte a se stesso, contrastava con un accattivante sorriso, segno esteriore dell'intima unione con Colui che fa traboccare il giusto di gioia (cfr. Sl 67, 4).
L'aura di santità di quest'uomo straordinario segnò i primordi dell'evangelizzazione dell'America, lasciando nella storia del continente le tracce indelebili della sua carità. Si chiamava Francesco e, nell'Ordine, era conosciuto come padre Solano, nome di famiglia. Il popolo sudamericano affettuosamente lo soprannominò "il Frate del Violino".
Francesco Sánchez Solano Ximénez nacque nella cattolica Spagna delle grandi spedizioni d'oltremare e fu battezzato il 10 marzo 1549, nella Chiesa Parrocchiale di Montilla. I suoi genitori, Matteo Sánchez Solano e Anna Ximénez, erano molto rispettati, non solo per la nobiltà di sangue ma soprattutto per le loro virtù.
Serena fu l'infanzia del bambino, in un ambiente familiare avvolto da religiosità. Dotato di temperamento assorto e contemplativo, si intratteneva osservando a lungo la natura, incantato dalla sua bellezza. Dotato di una rara sensibilità musicale, il suo passatempo prediletto era alimentare con briciole di pane i melodiosi uccellini che trovava nel giardino di casa e cantare con loro. Cominciava così ad "esercitare una voce che doveva cantare le grandezze di Dio alle barbare popolazioni indigene".2
Tuttavia, tale serenità di spirito non significava indolenza di carattere. Quando assisteva a qualche disaccordo tra bambini, o tra gli adulti, ammoniva con serietà i contendenti e otteneva sempre la riconciliazione. Inoltre, esercitava una singolare influenza sulle persone con le quali conviveva: bastava la sua presenza perché si acquietassero le cattive inclinazioni, i vizi perdessero il dinamismo e le anime si sentissero propense alla virtù.
Cadendo in un terreno fertile, le sue lezioni di Catechismo presto fruttificarono. Dedito alla preghiera, devoto della Santa Messa e assiduo frequentatore del Sacramento della Penitenza, il giovinetto assorbì in questa intensa vita di pietà le energie per trionfare nelle lotte dell'adolescenza, mantenendo un'illibata purezza e rettitudine di condotta. Nel Collegio Gesuita di Montilla, Francesco era considerato modello di integrità ed era molto stimato dai compagni, anche dai giovani dai costumi frivoli, al punto che bastava l'avvicinamento a qualsiasi cerchia perché cessassero le cattive conversazioni e si creasse tra i ragazzi un sano ambiente di gioia.
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"Santa Rosa di Lima" - Dipinti del Convento di San Domenico, Lima |
Quando sentì nella sua anima la vocazione religiosa, subito la identificò con il carisma francescano, che aveva visto rispecchiato nei frati del Convento di San Lorenzo, a Montilla. Lo attirava oltremodo l'idea di diventare discepolo del Poverello d'Assisi, per cui nutriva un veemente entusiasmo. Fece in questo convento la professione religiosa il 25 aprile 1570.
Per approfondire gli studi, fu inviato al Convento di Santa Maria di Loreto. Nonostante ciò, quanto più si applicava alle dottrine, tanto più si rafforzava nel suo cuore il desiderio di realizzare un sogno da tempo coltivato, così caratteristico delle anime appassionate di Cristo: il martirio! Essere missionario in Marocco gli sembrava il miglior mezzo per concretizzare tale aspirazione, poiché non era raro che ricevessero la palma del martirio i religiosi che si avventuravano ad evangelizzare questa regione. Chiese ai superiori di essere inviato in quelle terre, ma non fu esaudito. Era nei chiostri spagnoli che l'Altissimo voleva temprare l'anima del futuro apostolo, e gli chiedeva in quel momento un sacrificio non meno eccellente: l'immolazione della propria volontà, assoggettandola all'obbedienza. Ed egli la offrì tutta intera.
Ordinato sacerdote nel 1576, nella festa di San Francesco d'Assisi, dovette ritornare a Montilla tre anni dopo, a causa della morte di suo padre. Durante il soggiorno nella terra natale, operò la guarigione miracolosa di alcuni malati. La notizia di questi prodigi subito si sparse per la città, portando il popolo ad acclamarlo come santo. Cominciò allora una delle sue maggiori battaglie, che ingaggiò fino all'ultimo sospiro: quella di non permettere che attribuissero alla sua persona le lodi dovute a Dio. Senza dubbio, quanto più schivava gli elogi, tanto più era esaltato. Per questo, non si stancava di ripetere: "Dio sia glorificato! Dio sia lodato!"3
Esercitò in vari conventi incarichi d'autorità, come priore e maestro di novizi, ed era per gli altri religiosi un continuo invito alla santità. Fedelissimo alla "dama povertà" e ammiratore estasiato dei riflessi della perfezione divina incontrata nelle creature, agiva in tutte le circostanze come un figlio perfetto di San Francesco d'Assisi. Come era intransigente con se stesso nelle penitenze corporali, allo stesso modo non tollerava che nessuno dei suoi subalterni manifestasse tristezza servendo Dio. Aveva il prezioso dono di comunicare loro "il gusto, la gioia per le cose sante" e faceva l'apostolato "della gioia nella lotta, della gioia nella serietà, della gioia nella sofferenza, dell'entusiasmo".4
Ora, il popolo percepiva l'eccellenza di tali virtù, a tal punto che, quando il santo frate usciva per strada a chiedere l'elemosina, i passanti lo circondavano, disputandosi il privilegio di baciargli l'abito o ricevere la sua benedizione.
Al fine di sbarazzarsi da queste manifestazioni, chiese di andare ad evangelizzare le "Indie". Provò una grande contentezza quando fu designato per una missione nella provincia di Tucumán, nel Nuovo Mondo, verso cui si imbarcò il 13 marzo 1589. In seguito ad un naufragio e ad altri contrattempi, finì per approdare alcuni mesi dopo a Paita, nel Perù e giunse a Santiago do Estero, capitale della provincia a cui era destinato, soltanto il 15 novembre 1590, dopo un lungo e penoso tragitto, iniziando a 41 anni di età la sua vita di missionario.
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"San Turibio di Mogrovejo", Cattedrale di Lima |
Come suole accadere nella storia delle missioni, abbondante era la messe e pochissimi gli operai in quella regione. Pertanto, ogni religioso era un pezzo-chiave nell'opera di evangelizzazione. Ben consapevole di questo, il nostro santo non esitò a lanciarsi con eroica dedizione nell'opera di salvare le anime a lui affidate. Nei villaggi di Socotonio e Magdalena, dove fu inviato come predicatore, apprese in meno di quindici giorni il complicato dialetto tonocoté. Lo parlava con impressionante fluidità, giungendo a esprimersi con maggior perfezione di molti nativi. Oltre a questa facilità, la Provvidenza gli diede lo stesso dono concesso agli Apostoli nel giorno di Pentecoste: in alcune sue prediche, parlando a spagnoli e indios di differenti dialetti, tutti lo intendevano, ognuno nella rispettiva lingua.
Niente lo tratteneva nella conquista delle anime a Cristo. Si esponeva a grandi rischi, andando in cerca degli indigeni che vivevano nei boschi e, sia per alimentare in loro la fede, sia per aiutarli nelle necessità materiali, era prodigo di miracoli ovunque passasse. Tra innumerevoli altri prodigi, fece zampillare sorgenti in luoghi desertici, ammansì animali feroci, guarì malati, rifornì di alimenti in tempi di scarsezza.
Tuttavia, senz'ombra di dubbio, i suoi più grandi miracoli erano quelli che si operavano nell'intimo delle anime: "Padre Solano amava gli indios, parlava loro nella loro lingua, ed essi gli rispondevano, convertendosi a migliaia". 5 Il suo singolare strumento di pietà e apostolato, il violino, era complemento indissociabile di un originale ed efficace metodo di evangelizzazione, che consisteva nell'inframmezzare le prediche con animate melodie,ora eseguite con l'arco e le corde, ora cantate con la sua bella voce. Meravigliati, gli indigeni si aprivano all'azione della grazia e subito sorgeva il corollario atteso dall'apostolo: il desiderio di ricevere il Battesimo. La stessa voce che li aveva attirati con l'arte della musica e gli aveva insegnato le verità della Fede, compiva la più alta delle sue finalità, amministrandogli i Sacramenti. Così, i preziosi talenti affidati al servo buono e fedele rendevano il centuplo, e poco a poco la luce della Chiesa si diffondeva nella regione, vincendo le tenebre del paganesimo.
Esprimendo la loro grande fede, rispetto e venerazione, i nativi "si mettevano in ginocchio per baciargli l'abito e le mani ovunque lo incontrassero e il padre era così pietoso con loro che, vedendoli, scendeva da cavallo, li abbracciava e ringraziava, e condivideva quello che portava con sé".6
Dopo anni di fecondo apostolato, ricevette nel 1595 l'ordine di dirigersi a Lima, per fondarvi un nuovo convento francescano. Sempre docile ai superiori, obbedì prontamente.
"Vado a suonare per una Donzella bellissima"
La capitale del Perù attraversava un momento di grande fioritura religiosa e quegli anni contemplavano lo sbocciare di anime che, più tardi, sarebbero state venerate nel mondo intero: San Turibio di Mogrovejo, Santa Rosa, San Martino di Porres e San Giovanni Macías.
I conventi recentemente edificati della nuova fondazione francescana, battezzata con il nome di Madonna degli Angeli e oggi conosciuta come Convento degli Scalzi, diventarono uno scrigno di questo eletto. Lì padre Francesco Solano avrebbe stretto la sua unione con Dio. Senza trascurare i suoi obblighi e le opere apostoliche, il santo condusse in questo luogo benedetto una vita di raccoglimento e preghiera; lì si intensificarono e divennero sempre più frequenti le sue estasi e rapimenti d'amore per Gesù e la Santissima Vergine.
Frequentemente, a notte inoltrata, risuonavano nella chiesa deserta le musiche da lui eseguite al violino. Una volta, ad un religioso che incrociò nel corridoio, mentre si stava dirigendo in chiesa disse: "Vado a suonare per una Donzella bellissima, che mi sta aspettando".7 Il frate, incuriosito, la notte seguente si nascose dietro la porta della sacrestia e poté contemplare questa scena: dopo aver a lungo pregato davanti all'altare maggiore, il frate violinista offrì a Gesù Eucaristico un breve e animato concerto; andò poi all'altare della Madonna e lì non solo suonò altri pezzi, ma, mentre cantava un entusiastico inno alla gloria della Vergine Madre, si mise a saltare e danzare con molta grazia ed eleganza.
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"San Martino di Porres" - Dipinti del Convento di San Domenico, Lima |
Infatti, era ai piedi della "Causa della nostra gioia" che il santo francescano trovava conforto alle sofferenze e forza per praticare la virtù, come egli stesso confidò: "In questa casa ho i miei divertimenti e ogni mia consolazione, perché comunico a una Signora che è il sollievo delle mie pene, il piacere e la gloria della mia anima".8
La popolazione di Lima, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita, fu oggetto del suo zelo apostolico, che si manifestava soprattutto nelle prediche. Queste, così efficaci nella conversione di migliaia di indios, produssero un effetto altrettanto significativo nel popolo limegno. La storia del paese registra il sermone da lui proferito il 21 dicembre 1604, che conferì alla città un'analogia con la biblica Ninive, mossa alla penitenza dalle parole del profeta Giona. Alla moltitudine riunita nella Piazza delle Armi, il santo frate si rivolse esortando al pentimento e alla conversione, censurando i cattivi costumi e ricordando la giustizia di Dio, che molte volte castiga gli uomini con catastrofi, per correggerli e salvarli.
Il sermone scese nel fondo delle anime. Le chiese dovettero rimanere aperte durante tutta la notte, in seguito all'enorme affluenza di fedeli in cerca della riconciliazione con Dio. Nella cattedrale, "tale era l'afflusso di persone desiderose di confessarsi che tre o quattro penitenti si inginocchiavano, allo stesso tempo, ai piedi dei confessori, senza preoccuparsi che gli uni sentissero le colpe degli altri".9 Un gran numero di abitanti abbandonò per sempre i cattivi costumi, confermando quanto l'effetto di quella predica non fosse stato solo un'effimera ondata di fervore.
Promessa di ungrandioso avvenire
Alla notizia della sua morte, il 14 luglio 1610, il popolo accorse in massa al convento, e fu necessario cambiare quattro volte l'abito che lo rivestiva, poiché le persone, non accontentandosi di baciargli le mani e i piedi, gli strappavano pezzi di vestito per conservarlo come reliquia. Giuste manifestazioni di venerazione, dovute all'umile "Frate del Violino", la cui mirabile ricchezza di personalità fu così descritta da un cronista contemporaneo: "Nella penitenza e nella predicazione, fu un Giovanni Battista; nello zelo per la fede, un Elia; nella pace interiore e nella carità, un Mosè; nella speranza dell'eterno, un San Francesco d'Assisi".10
Uomo capace di muovere moltitudini alla conversione e di intenerirsi al canto di un uccellino, dotato di spirito altamente contemplativo e allo stesso tempo propulsore di audaci azioni missionarie, San Francesco Solano lasciò un esempio di vita che attraversa i secoli, come promessa di un grandioso avvenire per l'America.
Se per gettare le prime sementi del Vangelo in queste terre, la Provvidenza ha voluto inviarci un apostolo di tale magnificenza, quante altre anime di pari o maggior portata non avrebbe Ella suscitato in seno al Nuovo Mondo, nei secoli a venire, per dare continuità all'opera così brillantemente iniziata?
1 PLANDOLIT, Luís Julián. El apóstol de América: San Francisco Solano. Madrid: Cisneros, 1963, pag.173. 2 SÁNCHEZ FERIA, Bartholomé. Compendio de la vida, virtudes y milagros del Apóstol del Perú, San Francisco Solano. Madrid: Miguel Escrivano, 1762, pag.13. 3 PEÑA O. A. R., ÁNGEL. San Francisco Solano, Apóstol de América. Lima: [s.n.], [s.d.], pag.57. 4 CORRÊA DE OLIVEIRA, Plinio. Conferenza. San Paolo, 16 ago. 1974. 5 PEÑA O. A. R., op. cit., pag.22. 6 ARCHIVIO SEGRETO DEL VATICANO - Congregazione per le cause dei santi, nº 1328, fol. 1078, apud PEÑA, O. A. R., op. cit., pag.22. 7 SÁNCHEZ FERIA, op. cit., pag.61. 8 Idem, ibidem. 9 ARCHIVIO SEGRETO DEL VATICANO - Congregazione per le cause dei santi, Nº 1328, fol. 262, apud PEÑA O. A. R., op. cit., pag.31. 10 BUENAVENTURA SALINAS, apud PONCE, OFM, Emilio Carpio. Vida de San Francisco Solano. Lima: Provincia Franciscana de los XII Apóstoles del Perú, 2011, pag.52.
(Rivista Araldi del Vangelo, Luglio/2012, n. 111, p. 36 - 39)
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