venerdì 8 giugno 2018

TESTO INEDITO di BENEDETTO XVI



Benedetto XVI: «Per gli uomini 
di oggi Dio ha perso il primato»

«Se il Signore non è più importante, si spostano i criteri per stabilire quel che è importante. L’uomo, così, sottomette se stesso a costrizioni che lo rendono schiavo»

di Benedetto XVI

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Nihil Operi Dei praeponatur Nulla si anteponga al Culto divino. Con queste parole San Benedetto, nella sua Regola (43,3), ha stabilito la priorità assoluta del Culto divino rispetto a ogni altro compito della vita monastica. Questo, anche nella vita monastica, non risultava immediatamente scontato perché per i monaci era compito essenziale anche il lavoro nell’agricoltura e nella scienza.
Sia nell’agricoltura come anche nell’artigianato e nel lavoro di formazione potevano certo esserci delle urgenze temporali che potevano apparire più importanti della liturgia. Di fronte a tutto questo Benedetto, con la priorità assegnata alla liturgia, mette inequivocabilmente in rilievo la priorità di Dio stesso nella nostra vita: «All’ora dell’Ufficio divino, appena si sente il segnale, lasciato tutto quello che si ha tra le mani, si accorra con la massima sollecitudine» (43,1).



Il compleanno di Ratzinger, il papa emerito Benedetto XVI compie 90 anni
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L’elezione

Nella coscienza degli uomini di oggi le cose di Dio e con ciò la liturgia non appaiono affatto urgenti. C’è urgenza per ogni cosa possibile. La cosa di Dio non sembra mai essere urgente. Ora, si potrebbe affermare che la vita monastica è in ogni caso qualcosa di diverso dalla vita degli uomini nel mondo, e questo è senz’altro giusto. E tuttavia la priorità di Dio che abbiamo dimenticato vale per tutti. Se Dio non è più importante, si spostano i criteri per stabilire quel che è importante. L’uomo, nell’accantonare Dio, sottomette se stesso a delle costrizioni che lo rendono schiavo di forze materiali e che così sono opposte alla sua dignità.
Negli anni successivi al Concilio Vaticano II sono nuovamente divenuto consapevole della priorità di Dio e della liturgia divina. Il malinteso della riforma liturgica che si è ampiamente diffuso nella Chiesa cattolica portò al mettere sempre più in primo piano l’aspetto dell’istruzione e della propria attività e creatività. Il fare degli uomini fece quasi dimenticare la presenza di Dio. In una tale situazione divenne sempre più chiaro che l’esistenza della Chiesa vive della giusta celebrazione della liturgia e che la Chiesa è in pericolo quando il primato di Dio non appare più nella liturgia e così nella vita. La causa più profonda della crisi che ha sconvolto la Chiesa risiede nell’oscuramento della priorità di Dio nella liturgia. Tutto questo mi portò a dedicarmi al tema della liturgia più ampiamente che in passato perché sapevo che il vero rinnovamento della liturgia è una condizione fondamentale per il rinnovamento della Chiesa. Sulla base di questa convinzione sono nati gli studi che sono raccolti nel presente volume 11 della Opera omnia. Ma al fondo, pur con tutte le differenze, l’essenza della liturgia in Oriente e Occidente è unica e la medesima. E così spero che questo libro possa aiutare anche i cristiani di Russia a comprendere in modo nuovo e meglio il grande regalo che ci è donato nella Santa Liturgia.
Città del Vaticano, nella Festa di San Benedetto,
11 luglio 2015
(traduzione di Pierluca Azzaro, copyright Libreria editrice vaticana)
(di Gian Guido Vecchi) Il testo che pubblichiamo è stato scritto dal papa emerito Benedetto XVI nel monastero Mater Ecclesiae. E questo è già di per sé un evento eccezionale, come l’ occasione che lo ha motivato. Oggi Joseph Ratzinger compie novant’ anni, proprio nel giorno di Pasqua. Per una combinazione assai rara, quest’ anno [2017] la data della Pasqua è la stessa per cattolici e ortodossi. Come regalo speciale, al Papa emerito sarà donata una copia del volume XI della sua opera omnia, Teologia della liturgia , tradotto e pubblicato in russo a cura del Patriarcato di Mosca. Un’ iniziativa preparata da tempo - per la traduzione, curata da Olga Aspisova, ci sono voluti quasi tre anni - che proseguirà con la pubblicazione in russo della trilogia su Gesù di Nazaret. Il tutto grazie alla cooperazione scientifica ed editoriale tra la casa editrice del Patriarcato di Mosca, la Libreria editrice vaticana, la Fondazione Ratzinger e l’ Accademia internazionale «Sapientia et Scientia», fondata e presieduta dalla professoressa Giuseppina Cardillo Azzaro e che riunisce personalità della cultura e della scienza «dell’ Oriente e dell’ Occidente d’ Europa» ed esponenti della Chiesa cattolica e di quella ortodossa. Il valore ecumenico dell’ iniziativa è evidente. Un’ occasione così importante da convincere il Papa emerito a scrivere la prefazione all’ edizione russa. Il testo porta, non a caso, la data dell’ 11 luglio 2015: il giorno di San Benedetto, patrono d’ Europa. In uno degli interventi centrali del suo pontificato, il discorso memorabile al Collège des Bernardins di Parigi, il 12 settembre 2008, Joseph Ratzinger aveva spiegato come il monachesimo di San Benedetto avesse salvato il patrimonio del pensiero antico e formato la cultura europea grazie a quei monaci che avevano come obiettivo « quaerere Deum », cercare Dio. 

In uno dei suoi libri più celebri, l’ Introduzione al cristianesimo ( Einführung in das Christentum , 1967), riportava l’ apologo del clown e del villaggio in fiamme narrato da Søren Kierkegaard: il circo che s’ incendia, il clown mandato a chiamare aiuto al villaggio vicino, la gente che «ride fino alle lacrime» davanti alle sue grida, villaggio e circo distrutti dal fuoco. Così, nel testo scritto dal Papa emerito per l’ edizione russa del volume sulla liturgia, si vede la coerenza profonda del suo pensiero: la preoccupazione per un mondo nel quale «la cosa di Dio non sembra mai essere urgente», per la Chiesa che «è in pericolo quando il primato di Dio non appare più nella liturgia e così nella vita». Per questo si comincia dal volume sulla liturgia. 

«Ho fatto leggere questa prefazione ad amici ortodossi: “È fortissima”, mi hanno detto quasi commossi, “si vede che siamo in profonda sintonia”» racconta il professor Pierluca Azzaro, curatore e traduttore dell’ edizione italiana dell’ Opera omnia e presidente vicario della Accademia «Sapientia et Scientia»: «Il preziosissimo ponte che Joseph Ratzinger getta tra Oriente e Occidente riguarda la liturgia: e indica la strada non vaga e utopica, ma concreta e viva per un vero cammino di rinascita che veda mano nella mano cattolici e ortodossi».

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lunedì 4 giugno 2018

Sant'Antonio

Sant’Antonio è nato in Portogallo, a Lisbona, nel 1195. Una tradizione molto tardiva indica la data del 15 agosto. Figlio di genitori nobili, sappiamo che venne battezzato con il nome di Fernando.
Trascorre i primi anni di formazione sotto la guida dei canonici del Duomo. Saranno anni preziosi per la sua formazione e discernimento.
E’ nel 1220 che Fernando viene a contatto con i frati minori, religiosi animati da Francesco d’Assisi nella lontana Italia. Infatti le reliquie di cinque missionari francescani torturati e uccisi in Marocco vengono portate a Coimbra, nella chiesa di Santa Croce, proprio dove si trovava Fernando
E’ di questo periodo il probabile contatto più approfondito con i primi francescani giunti in Portogallo.
L’incontro si rivelerà fondamentale nel percorso di fede del giovane religioso: con grande sorpresa di tutti, nel settembre 1220 decide di lasciare i Canonici agostiniani per entrare a far parte dei seguaci di Francesco d’Assisi. Per l’occasione, abbandona il vecchio nome di battesimo per assumere quello di Antonio.
Antonio matura una forte vocazione alla missione e, in particolare, al martirio: e con questo ideale parte alla volta del Marocco.

Giunto in Marocco però Antonio contrae una grave e non ben precisata malattia: è costretto al riposo forzato e non può predicare. Dopo qualche tempo - non guarendo - non gli resta che arrendersi alla volontà di Dio e rimpatriare. Ma la nave su cui si era imbarcato per il ritorno viene spinta da venti contrari fino alla Sicilia, con un rovinoso naufragio.
Da qui, dopo una convalescenza di un paio di mesi, si reca ad Assisi: è l’occasione propizia per incontrare Francesco d’Assisi che nella Pentecoste del 1221 aveva convocato tutti i frati. Sarà un incontro semplice ma capace di confermare la scelta di Antonio nella sequela di Cristo per mezzo della fraternità e minorità francescane.
Antonio è invitato a recarsi in Romagna, all’eremo di Montepaolo, vicino a Forlì, per dedicarsi alla preghiera, alla mediazione e all’umile servizio ai confratelli.

Nel settembre 1222 si celebrano a Forlì le ordinazioni sacerdotali. Secondo la leggenda viene meno il predicatore invitato per l’occasione: Antonio - religioso e sacerdote - viene invitato a sostituirlo: è la rivelazione del suo talento come predicatore. Nonostante sia straniero, dalle sue parole emergono la sua profonda cultura biblica la semplicità d’espressione.
Da quel giorno Antonio viene inviato sulle strade del nord Italia e del sud della Francia per animare con la sua predicazione del Vangelo genti e paesi spesso confusi dai dilaganti movimenti ereticali del tempo. Avrà anche parole di correzione per la decadenza morale di alcuni esponenti della Chiesa.
Sul finire del 1223 ad Antonio viene proposto anche di insegnare teologia a Bologna, compito che svolge per due anni, all’età di 28-30 anni. Sant’Antonio è dunque tra i primi religiosi dediti all’insegnamento della teologia nella fraternità minoritica, ricevendo per questo l’approvazione di san Francesco in persona attraverso una lettera a noi giunta.
Sappiamo che nel 1226 Antonio è a Limoges, in Francia; non abbiamo notizie chiare sul tempo del ritorno in Italia. Le agiografie indicano però la sua presenza ad Assisinel Capitolo generale dei Frati minori, tenuto in Assisi per la Pentecoste il 30 maggio 1227.

Antonio, per i talenti che dimostra di saper mettere a servizio del Regno di Dio, riceve anche l’incarico di Ministro provinciale (ossia guida delle fraternità francescane) del nord Italia, con molta probabilità nel triennio 1227-1230. L'incarico comporta la visita di numerosi conventi dell'Italia settentrionale. Antonio dimostrerà poi di prediligere la città di Padova e la piccola comunità francescana presso la semplice chiesa di Santa Maria Mater Domini.
In questa città Antonio farà un paio di soggiorni ravvicinati relativamente brevi: il primo, fra il 1229 e il 1230; il secondo, fra il 1230 e il 1231, durante il quale muore precocemente. Nonostante il periodo sia così relativamente breve, con questa città Antonio instaura un fortissimo legame.
L’Assidua, prima biografia di sant'Antonio, afferma che scrisse i suoi Sermones per le domeniche durante un suo soggiorno a Padova. Nonostante la notizia non sia del tutto fondata, è certo che questo voluminoso testo (rivolto in modo particolare ai confratelli per formarli alla predicazione) esprime bene la grande scienza teologica del religioso che - dopo la canonizzazione - riceverà anche il titolo di Dottore della Chiesa.

L’impegno profuso da parte di Antonio nella predicazione e nel sacramento della riconciliazione durante la Quaresima del 1231 può essere considerato il suo grande testamento spirituale.
Tutto questo unito a una grande attenzione ai poveri e ai mali della città: grazie ai suoi interventi e insegnamenti sappiamo che in uno statuto cittadino relativo ai debitori insolventi, datato 17 marzo 1231, il podestà di Padova Stefano Badoer stabilisce che il debitore insolvente senza colpa, una volta ceduti in contropartita i propri beni, non deve più essere imprigionato.

Le fatiche della quaresima logorano un fisico già provato. Dopo Pasqua accetta di ritirarsi con altri confratelli a Camposampiero (paese a pochi chilometri da Padova) presso l’ospitalità del Conte Tiso. Chiede però che gli venga adattato un semplice rifugio sopra un grande albero di noce, dove trascorre le giornate in contemplazione con Dio e in dialogo che le genti umili del borgo di campagna. E’ durante questo soggiorno che Gesù, nell’aspetto di bambino, lo visita e dialoga con lui, come il conte Tiso potrà testimoniare.
Un venerdì – è il 13 giugno 1231 – viene colto da malore. Deposto su  un carro trainato da buoi, viene trasportato a Padova, dove lui stesso chiede di poter morire. Giunto però all'Arcella, un borgo alle porte della città, mormorando le parole "Vedo il mio Signore", spira all’età di circa 36 anni.
Dopo qualche giorno, con solenni funerali, Antonio viene sepolto a Padova, presso la chiesetta di Santa Maria Mater Domini, il suo rifugio spirituale nei periodi di intensa attività apostolica.
Un anno dopo la morte, la devozione dei padovani e la fama dei tanti prodigi compiuti convincono papa Gregorio IX a ratificare rapidamente la canonizzazione e a proclamarlo Santo il 30 maggio 1232, a soli 11 mesi dalla morte. 
La Chiesa poi nel 1946 proclama sant’Antonio di Padova "dottore della chiesa universale", col titolo di Doctor evangelicus.

Sant'Antonio venne sepolto a Padova, nella chiesetta di Santa Maria Mater Domini, rifugio spirituale del Santo nei periodi di intensa attività apostolica, martedì 17 giugno 1231. Probabilmente il corpo non venne interrato, ma fatto rimanere un po’ sopraelevato in un’urna marmorea, in maniera che i devoti, sempre più frequenti e numerosi, potessero vederne e toccarne l’arca-tomba.
Nel corso dei secoli, per motivi diversi, la tomba è stata aperta e le sue reliquie spostate in tre occasioni:

Ricognizione e traslazione del 1263

La più importante ricognizione e traslazione avvenne l’8 aprile 1263, quando il corpo venne trasferito nella chiesa, la Basilica appunto, che era stata costruita in suo onore. Bonaventura da Bagnoregio, allora ministro generale dei francescani, poi anche lui santo, presiedette la cerimonia.
Nell’esaminare i resti mortali, prima di riporli in una nuova cassa di legno, si accorse che la lingua del Santo era rimasta incorrotta. A tale scoperta Bonaventura esclamò: "O lingua benedetta, che sempre hai benedetto il Signore e l’hai fatto benedire dagli altri, ora si manifestano a tutti i grandi meriti che hai acquistato presso Dio".

Traslazione del 1310

Un’altra traslazione sicura avvenne il 14 giugno 1310, quando le sacre spoglie furono solennemente trasportate nella nuova cappella dedicata al Santo, all’estremità sinistra del transetto.
Il 14 febbraio 1350 il cardinale Guido de Boulogne venne a Padova per sciogliere un voto al Santo (era stato guarito dalla peste nera) e per donare un prezioso reliquiario in cui fu posta la mandibola del santo.

Ricognizione ed esposizione del 1981

Un’importante indagine sui resti del Santo fu iniziata il 6 gennaio 1981, in occasione del 750° anniversario della morte di sant’Antonio. Una commissione religiosa e una commissione tecnico-scientifica, entrambe nominate dalla Santa Sede, curarono l’apertura della tomba ed esaminarono quanto vi rinvennero. Rimossa una lastra laterale di marmo verde, si trovò una grande cassa di legno d’abete, avvolta in preziosi drappi.
Essa conteneva un’altra cassa più piccola in legno, dentro cui in diversi involti, sistemati in tre comparti, avvolti in drappi preziosi e con scritte indicative, c’erano:
- lo scheletro, ad eccezione del mento, dell’avambraccio sinistro e di altre parti minori (da secoli conservate in altri reliquiari particolari),
- la tonaca,
- la "massa corporis", cioè le ceneri: qui sono state individuate le fragili parti dell’apparato vocale del Santo, quasi a riconfermare il prodigio della lingua incorrotta.
I resti di sant'Antonio furono poi ricomposti in un’urna di cristallo ed espostidalla sera del 31 gennaio alla sera della domenica 1° marzo 1981 (per un totale di 29 giorni) alla venerazione dei devoti, che accorsero a folle impressionanti: oltre 650.000 persone.
Al termine dell’ostensione l’urna di cristallo venne rinchiusa in una cassa di rovere e riposta nella secolare tomba-altare della cappella dedicata a sant’Antonio.
Alcuni reperti, in particolare la tonaca e le reliquie dell’apparato vocale di sant'Antonio, sono tuttora esposti nella Cappella delle Reliquie.

Ostensione del 2010

Infine nel febbraio del 2010 per sei giorni i fedeli hanno potuto venerare le Spoglie mortali di S. Antonio esposte nella Cappella delle Reliquie della Basilica del Santo,
prima del loro ritorno alla Cappella dell'Arca  una volta terminato il restauro iniziato nel 2008.
Risultato: circa 200.000 pellegrini giunti in Basilica e 150.000 preghiere lasciate sulla tomba, a confermare ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, l’amore della gente per il nostro caro Santo.

Per le Litanie del Santo:

Gesù, io confido in te!


4. Desidero la fiducia delle mie creature. — «Desidero che ogni anima conosca la mia bontà. Desidero la fiducia delle mie creature. Incoraggia le anime ad aprire tutta la loro fiducia alla mia misericordia. L'anima debole e peccatrice non abbia paura di avvicinarsi a me, perché se avesse più peccati di quanti granelli di sabbia vi sono sulla terra, tutti scompariranno nell'abisso infinito del mio perdono».

5. Nel vortice della misericordia. — Una volta Gesù mi disse: «Al momento della morte, io ti sarò vicino nella misura in cui lo fosti tu a me nella tua vita». La fiducia che si risvegliò dentro di me a queste parole crebbe tanto che, se pure avessi avuto sulla mia coscienza i peccati del mondo intero e, in sovrappiù, i peccati di tutte le anime dannate, non avrei potuto dubitare della bontà di Dio ma, senza alcun problema, mi sarei gettata dentro al vortice della misericordia eterna e, col cuore spezzato, mi sarei totalmente abbandonata alla volontà di Dio, la quale è la misericordia stessa.

6. Nulla di nuovo sotto il sole. — Nulla di nuovo accade sotto il sole, o Signore, senza la tua volontà. Sii benedetto per tutto quello che mi mandi. Non posso penetrare i tuoi segreti a mio riguardo, ma, fidandomi unicamente della tua bontà, avvicino le labbra al calice che tu mi porgi. Gesù, io confido in te!

AMDG et DVM

il simbolo di quella lingua di fuoco

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Dal libro di Azaria [angelo custode di M. Valtorta]
  • Hai mai meditato, anima mia, il simbolo di quella lingua di fuoco che, tu l’hai visto, si posò su ogni capo apostolico mentre incoronò di un serto la tutta Santa? Io te lo voglio far comprendere. Generalmente vi si dice: in forma di fiamma per essere sensibile agli apostoli e significare amore e luce. Sì, anche questo ma non solo questo.
    Poteva e sarebbe bastato, il Paraclito venire nel “gran vento impetuoso” e penetrare nel Cenacolo – dove già si era compiuto il Rito Eucaristico: la donazione del Dio fatto Carne ai suoi fedeli perché in essi Egli fosse anche dopo la separazione e desolati non fossero del Maestro diletto – poteva penetrare e stare, globo di meraviglioso splendore, a illuminare le menti che dovevano parlare al mondo del Dio Vero e del suo Cristo. Ma il Paraclito non si limitò a questo. Egli pure, come il Verbo Incarnato, si franse e si donò, in una Comunione, in un’effusione e donazione dei suoi doni di Sapienza, Intelletto, Consiglio, Scienza, Fortezza, Pietà, Timor di Dio, così come Gesù si era dato in Corpo e Sangue, Anima e Divinità.   ( … )
  • Nei dodici destinati ad evangelizzare il mondo, non dovevano più essere rovine, ed ecco lo Spirito, nella sua Comunione pentecostale, ardere e purificare la sede del senso e del pensiero: il capo degli uomini apostolici, mentre coronò d’amore la testa della Vergine e Sposa sua e si strinse per baciare con l’unico bacio degno della Beatissima Madre Vergine, della Tutta Grazia, Figlia, Sposa e Madre della Grazia, Maria, Regina degli Apostoli e della Chiesa in Terra, Regina degli Angeli nei Cieli. Az.12.5.46

Il peccato contro lo Spirito Santo non può essere perdonato


 Dai testi sinottici (Mt 12,31-32; Mc 3,28-30; Lc 12,10) sappiamo che il peccato o la bestemmia contro lo Spirito non è perdonata. 
Con l’espressione «bestemmia contro lo Spirito» non s’intende l’atto di dire alcune parole contro lo Spirito Santo né di fare azioni particolari, ma piuttosto un atteggiamento interiore di opposizione allo Spirito, che può condurre conseguentemente a compiere gesti malvagi o a dire parole menzognere. Quest’atteggiamento è dato dallo spirito umano che si pone contro lo Spirito di Dio cioè contro lo Spirito Santo. Ora lo Spirito Santo è il dono dell’amore misericordioso del Padre ed è lui che rivela la verità salvifica di Gesù nostro unico Salvatore. 
Quando lo spirito umano assume una posizione contraria all’amore del Padre e alla verità di Cristo, esso cade nella bestemmia contro lo Spirito Santo e commette un peccato imperdonabile.
 L’opposizione spirituale a Dio può avere due risvolti diversi e complementari: uno per eccesso e uno per difetto.

1. Quello per eccesso si attua quando l’uomo considera il proprio peccato più grande dell’amore misericordioso di Dio; quando pensa cioè che il suo peccato non possa essere perdonato da Dio, perché troppo al di là della possibilità concessa dal perdono divino. Mette un limite alla misericordia divina e la ritiene incapace o impotente di assolvere il peccato o i peccati commessi. Questo stato d’animo conduce alla disperazione quale rifiuto radicale dell’amore redentore come se questo non volesse o non potesse perdonare peccati così gravi, vanificando in tal modo l’azione salvifica di Gesù con la sua morte in croce. Si tratta di una tra le più grandi menzogne: riputare come impotente e limitata l’infinita potenza dell’amore di Dio, che si è rivelato e concretizzato nella Pasqua di Cristo e che costituisce la manifestazione di un amore che più grande non esiste, come afferma Gesù stesso: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13).

 La bestemmia contro lo Spirito – il quale, come si è detto, è il Dono dell’amore supremo del Padre e del Figlio – nega o rifiuta precisamente quest’amore e chiude l’uomo in se stesso, nella propria durezza di cuore. Per questa ragione non è perdonabile, non perché Dio non lo voglia o non lo possa perdonare, Lui che è la fonte del perdono, ma perché l’uomo crede di non poter essere perdonato e si rende perciò irraggiungibile e inafferrabile dal perdono divino; resta come totalmente impermeabilizzato all’acqua viva che sgorga dal cuore trafitto di Gesù e, attraverso di Lui, dall’amore infinito del Padre, cioè dallo Spirito Santo.

2. Quello per difetto è dato dall’uomo che, al contrario del caso precedente, non tiene conto del proprio peccato, considerandosi privo d’ogni imperfezione e debolezza, completamente a posto e giusto sotto tutti gli aspetti e pertanto non si ritiene bisognoso di perdono.
 È lo stato di colui che si considera ineccepibile e perfetto per i suoi meriti e non per la grazia di Dio. In tal modo egli vanifica l’azione redentrice compiuta da Cristo quale unica fonte di salvezza e di giustificazione. Non accetta l’intervento misericordioso di Dio, il dono del suo amore e del suo perdono, perché non ne ha bisogno in quanto è senza peccato.

La convinzione di essere senza peccato costituisce la più grande delle menzogne, come viene affermato da Giovanni: «Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se riconosciamo i nostri peccati, egli che è fedele e giusto ci perdonerà i peccati e ci purificherà da ogni colpa. Se diciamo che non abbiamo peccato, facciamo di lui un bugiardo e la sua parola non è in noi» (1Gv 1,8-10). Ciò è precisamente la bestemmia contro lo Spirito Santo, che è lo Spirito di verità, Colui che rivela la verità salvifica di Gesù e l’amore del Padre. Infatti è lo Spirito che convince il mondo circa il peccato (Gv 16,8), nel senso che fa scoprire l’estrema povertà e miseria spirituale dell’uomo, che può essere risanato unicamente dalla misericordia del Padre attuata con l’incarnazione, la morte e la risurrezione di Cristo suo Figlio.

 Coloro che si rendono conto di tale situazione di peccato e della necessità di accogliere la salvezza divina, si trovano nella situazione migliore per ottenere il perdono di Dio; coloro invece che non riconoscono la propria miseria, si rendono indisposti e chiusi all’azione redentrice di Cristo e rimangono privi della sua misericordia. Ciò non perché Dio non voglia loro perdonare, ma perché il perdono non può essere riversato su chi non avverte il bisogno di perdono e non lo chiede. L’uomo si fa così impenetrabile alla grazia dello Spirito, restando prigioniero della propria tenebra interiore. È veramente uno stato di profonda chiusura spirituale che impedisce ogni possibile conversione: «L’uomo resta chiuso nel peccato, rendendo da parte sua impossibile la sua conversione e, dunque, anche la remissione dei peccati, che ritiene non essenziale e non importante per la sua vita. È, questa, una condizione di rovina spirituale, perché la bestemmia contro lo Spirito Santo non permette all’uomo di uscire dalla sua auto-prigionia e di aprirsi alle fonti divine della purificazione delle coscienze e della remissione dei peccati» (Dominum et Vivificantem, 46).
         Il peccato contro lo Spirito non è solo degli uomini che vivono immersi nella mentalità  materialistica ed edonistica del mondo, ma anche di coloro che, incamminati sulla strada dell’impegno cristiano, restano impigliati nella propria auto-gratificazione e non sentono più la necessità di purificarsi e di rinnovarsi incessantemente, oppure, incappati nel peccato, non hanno il coraggio e l’umiltà di tendere la mano a Dio per ottenere la sua amorosa misericordia. Da qui l’importanza di pregare lo Spirito Santo affinché non si attenui nel cuore umano la sensibilità al bene e al male e la sua azione rimanga sempre viva in esso per sospingerlo continuamente alla penitenza e alla richiesta del perdono divino. In altre parole, si tratta di restare costantemente avvolti dall’amore dolcissimo del Padre e del Figlio Gesù, che è lo Spirito Santo, attenti alle sue ispirazioni interiori, docili ai suoi richiami e disponibili ai suoi orientamenti.

di Don Renzo Lavatori, docente di teologia
Gennaio 2002
https://www.spiritosanto.org/media/pdf/libretto_preghiere.pdf

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