LINK DIRETTO SU YOUTUBE Il 4 luglio 2010 Benedetto XVI si recò in visita a Sulmona dove pronunciò un'omelia incentrata sulla figura di Celestino V. L'urna con la salma del Santo fu collocata proprio a fianco dell'altare. Possiamo quindi osservare il pallio che Benedetto XVI donò al suo predecessore l'anno precedente in occasione della sua visita ai luoghi colpiti dal gravissimo sisma del 6 aprile 2009. Grazie come sempre alla nostra Gemma :-) Il testo integrale dell'omelia è consultabile qui. In particolare: Sono passati ben ottocento anni dalla nascita di san Pietro Celestino V, ma egli rimane nella storia per le note vicende del suo tempo e del suo pontificato e,soprattutto, per la sua santità. La santità, infatti, non perde mai la propria forza attrattiva, non cade nell’oblio, non passa mai di moda, anzi, col trascorrere del tempo, risplende con sempre maggiore luminosità, esprimendo la perenne tensione dell’uomo verso Dio. Dalla vita di san Pietro Celestino vorrei allora raccogliere alcuni insegnamenti, validi anche nei nostri giorni. Pietro Angelerio sin dalla sua giovinezza è stato un “cercatore di Dio”, un uomo desideroso di trovare risposte ai grandi interrogativi della nostra esistenza: chi sono, da dove vengo, perché vivo, per chi vivo? Egli si mette in viaggio alla ricerca della verità e della felicità, si mette alla ricerca di Dio e, per ascoltarne la voce, decide di separarsi dal mondo e di vivere da eremita. Il silenzio diventa così l'elemento che caratterizza il suo vivere quotidiano. Ed è proprio nel silenzio esteriore, ma soprattutto in quello interiore, che egli riesce a percepire la voce di Dio, capace di orientare la sua vita. C’è qui un primo aspetto importante per noi: viviamo in una società in cui ogni spazio, ogni momento sembra debba essere “riempito” da iniziative, da attività, da suoni; spesso non c’è il tempo neppure per ascoltare e per dialogare. Cari fratelli e sorelle! Non abbiamo paura di fare silenzio fuori e dentro di noi, se vogliamo essere capaci non solo di percepire la voce di Dio, ma anche la voce di chi ci sta accanto, la voce degli altri. Ma è importante sottolineare anche un secondo elemento: la scoperta del Signore che fa Pietro Angelerio non è il risultato di uno sforzo, ma è resa possibile dalla Grazia stessa di Dio, che lo previene. Ciò che egli aveva, ciò che egli era, non gli veniva da sé: gli era stato donato, era grazia, ed era perciò anche responsabilità davanti a Dio e davanti agli altri. Sebbene la nostra vita sia molto diversa, anche per noi vale la stessa cosa: tutto l’essenziale della nostra esistenza ci è stato donato senza nostro apporto. Il fatto che io viva non dipende da me; il fatto che ci siano state persone che mi hanno introdotto nella vita, che mi hanno insegnato cosa sia amare ed essere amati, che mi hanno trasmesso la fede e mi hanno aperto lo sguardo a Dio: tutto ciò è grazia e non è “fatto da me”. Da noi stessi non avremmo potuto fare nulla se non ci fosse stato donato: Dio ci anticipa sempre e in ogni singola vita c’è del bello e del buono che noi possiamo riconoscere facilmente come sua grazia, come raggio di luce della sua bontà. Per questo dobbiamo essere attenti, tenere sempre aperti gli “occhi interiori”, quelli del nostro cuore. E se noi impariamo a conoscere Dio nella sua bontà infinita, allora saremo capaci anche di vedere, con stupore, nella nostra vita – come i Santi – i segni di quel Dio, che ci è sempre vicino, che è sempre buono con noi, che ci dice: “Abbi fede in me!”. Nel silenzio interiore, nella percezione della presenza del Signore, Pietro del Morrone aveva maturato, inoltre, un’esperienza viva della bellezza del creato, opera delle mani di Dio: ne sapeva cogliere il senso profondo, ne rispettava i segni e i ritmi, ne faceva uso per ciò che è essenziale alla vita. So che questa Chiesa locale, come pure le altre dell’Abruzzo e del Molise, sono attivamente impegnate in una campagna di sensibilizzazione per la promozione del bene comune e della salvaguardia del creato: vi incoraggio in questo sforzo, esortando tutti a sentirsi responsabili del proprio futuro, come pure di quello degli altri, anche rispettando e custodendo la creazione, frutto e segno dell’Amore di Dio. ... Infine, un ultimo elemento: san Pietro Celestino, pur conducendo vita eremitica, non era “chiuso in se stesso”, ma era preso dalla passione di portare la buona notizia del Vangelo ai fratelli. E il segreto della sua fecondità pastorale stava proprio nel “rimanere” con il Signore, nella preghiera, come ci è stato ricordato anche nel brano evangelico odierno: il primo imperativo è sempre quello di pregare il Signore della messe (cfr Lc 10,2).
Pubblichiamo l’omelia che il cardinal Joseph Ratzinger – ora Benedetto XVI - ha tenuto a Loreto l’8 settembre 1991, durante il solenne pontificale, in occasione della festività della Natività di Maria, alla presenza di numerosi pellegrini, provenienti anche da Altötting per il gemellaggio della città bavarese con Loreto. Il testo è tratto fedelmente da una bobina registrata, parola per parola (vedi Messaggio della S. Casa, novembre 1991, pp. 266-268).
Il giorno della Natività della Vergine Maria non è un compleanno come tanti altri. Celebrando il compleanno di una grande personalità della storia pensiamo ad una vita passata, pensiamo a cose passate, a fatti compiuti da tale personalità e all’eredità da essa lasciata. Pensiamo, in una parola, a cose di questo mondo. Con la Madre di Dio non è così. Maria non parla di se stessa. Dal primo momento della vita lei è totalmente trasparente per Dio, è come un’icona raggiante della bontà divina. Maria, con la totalità della sua persona, è un messaggio vivo di Dio per noi. Perciò Maria non appartiene al passato, Maria è contemporanea a noi tutti, a tutte le generazioni. Con la sua disponibilità alla volontà di Dio ha quasi trasferito, consegnato il tempo umano della sua propria vita nelle mani di Dio e, così, ha unito il tempo umano con il tempo divino. Con il suo presente permanente, perciò, Maria trascende la storia ed è presente sempre nella storia, presente con noi. Maria impersona il messaggio vivo di Dio. Ma cosa ci dice di più precisamente la vita di Maria oggi, nel giorno della sua nascita? Mi sembra che proprio il santuario di Loreto, costruito attorno alla Casa terrena di Maria, costruito attorno alla Casa di Nazareth, possa aiutarci a capire meglio il messaggio della vita della Madonna. Queste pareti conservano per noi il ricordo del momento nel quale l’angelo venne da Maria con il grande annuncio dell’Incarnazione, il ricordo della sua risposta: “Eccomi, sono la serva del Signore”. Questa Casa umile è una testimonianza concreta, palpabile dell’avvenimento più grande della nostra storia che è l’incarnazione del Figlio di Dio. Il Verbo si è fatto carne. Maria, la serva di Dio, è divenuta la “porta” per la quale Dio è potuto entrare in questo mondo. Anzi, non solo la “porta”, è divenuta “dimora”del Signore, “casa vivente”, dove ha abitato realmente il Creatore del mondo. Maria ha offerto la sua carne perché il Figlio di Dio diventasse come noi. E qui ci viene in mente la parola con la quale secondo la Lettera agli Ebrei, Cristo ha iniziato la sua vita umana dicendo al Padre: “Non hai voluto né sacrifici né offerta, un corpo invece mi hai preparato [...]. Allora io ho detto: ecco, io vengo, o Dio, per fare la tua volontà” (Ebr 10, 5-7).
La serva del Signore dice proprio la stessa cosa: mi hai preparato un corpo, ecco io vengo. In questa coincidenza della parola del Figlio con la parola della Madre si toccano, anzi si uniscono cielo e terra, Dio creatore e la sua creatura. Dio diventa uomo, Maria si fa “casa vivente” del Signore, “tempio” dove abita l’Altissimo. E qui sopraggiunge un’altra considerazione: dove abita Dio, tutti noi siamo “a casa”; dove abita Cristo, i suoi fratelli e le sue sorelle non sono stranieri. Così è anche con la Casa di Maria e con la vita stessa di lei: è aperta per tutti noi. La madre di Cristo è anche la nostra Madre, di tutti quanti sono divenuti corpo di Cristo e costituiscono la famiglia di Cristo Gesù. Essi sono con Cristo e con la Madre, costituiscono la “sacra famiglia” di Dio.
Maria ci ha aperto la sua vita e la sua Casa perché, aprendosi a Dio, si è aperta a tutti noi e ci offre la sua Casa come Casa comune dell’unica famiglia di Dio. Possiamo dire: dove c’è Maria c’è la Casa; dove c’è Dio, siamo tutti “a casa”. La fede ci dà una casa in questo mondo, ci riunisce in una unica famiglia. Qui però nasce una domanda seria: la fede ci dice che siamo tutti fratelli e sorelle di Cristo, quindi un’unica famiglia; noi dobbiamo chiederci se questo è vero, se siamo realmente un’unica famiglia e, se non è vero, perché non è vero, perché le opposizioni, le lotte, l’egoismo lacerante?
La Casa di Nazareth non è una reliquia del passato, essa ci parla nel presente e ci provoca a un esame di coscienza. Dobbiamo domandarci se siamo realmente aperti anche noi al Signore, se vogliamo offrirgli la nostra vita perché sia una dimora per lui; oppure se abbiamo un po’ di paura della presenza del Signore, se abbiamo paura che essa possa limitare la nostra dignità, se vogliamo forse riservarci una parte della nostra vita che vorremmo appartenesse solo a noi e non fosse conosciuta da Dio, che non dovrebbe avvicinarsi ad essa. Mi sembra che questa Casa di Nazareth conservi, anche sotto questo punto di vista, un simbolismo molto prezioso. Come sapete, questa Casa ha solo tre pareti: è una Casa aperta, dunque, è come un invito, è come un abbraccio aperto. Essa, cosi, ci dice: aprite anche voi le vostre case, le vostre famiglie, la vostra vita alla presenza del Signore.
Questa Casa sia aperta alla famiglia di Dio, a tutti i figli di Dio, ai fratelli e alle sorelle di Cristo! Lasciamoci sfidare, accettiamo la parola della Madre che ci dice: venite, venite nella mia Casa e diventate anche voi, ogni giorno della vostra vita, realmente dimora del Signore. Questa Casa diventa così come una famiglia aperta, nella quale tutti i figli di Dio, tutte le creature di Dio sono anche fratelli e sorelle nostri. Maria, dunque, è “casa vivente” del Signore; la Casa di Nazareth è casa comune di tutti noi, perché, dove abita Dio tutti siamo “a casa”. Questa Casa nazaretana nasconde un altro messaggio. Finora abbiamo detto che Dio non è un Dio astratto, puramente spirituale, lontano da noi: Dio si è legato alla terra, Dio ha una storia comune con noi, una storia palpabile, visibile, qui, in questi segni della sua storia e soprattutto nella Santa Chiesa e nei sacramenti.
La fede ci fa “abitare” ma ci fa anche “camminare”. Anche su questo punto la Casa nazaretana conserva un insegnamento importante. Quando i crociati hanno trasferito le pietre della Casa nazaretana dalla Terra Santa qui sulla terra italiana, hanno fissato il nuovo posto della Casa sacra su una strada. È una casa - mi sembra - molto strana, perché casa e strada sembrano escludersi: o casa o strada, vogliamo dire. Ma proprio così si esprime il messaggio vero di questa Casa, che non è una casa privata di una persona, di una famiglia, di una stirpe, ma sta sulla via di noi tutti: è una Casa aperta di noi tutti. La stessa Casa ci fa “abitare” e ci fa “camminare”.
La vita stessa è la casa della famiglia di Dio che è in pellegrinaggio con Dio, verso Dio, verso la casa definitiva e verso la “città nuova”. E qui possiamo essere ancora più concreti.
Tutti i santuari, i grandi santuari del mondo, hanno offerto sempre a persone di nazioni diverse, di razze, di professioni diverse questa esperienza preziosa della casa nuova della famiglia comune di tutti i figli di Dio. Questa esperienza della casa però presuppone l’esperienza di un cammino, l’esperienza del pellegrinaggio. Il pellegrinaggio è una dimensione fondamentale dell’esistenza cristiana. Solo camminando, pellegrinando possiamo superare le frontiere delle nazioni, delle professioni, delle razze. Possiamo diventare uniti solo andando insieme verso Dio. Il significato di questo gemellaggio tra Loreto e Altötting si inserisce in questa realtà: ci dice lo stesso che dobbiamo andare insieme, dobbiamo divenire pellegrini dell’eterno, dobbiamo alzarci sempre di nuovo verso Dio, verso la pace divina, verso l’unità con Dio e la sua unica famiglia.
Ogni tanto ripenso ai 220 mila che ai primi di luglio sono andati a Modena per ascoltare Vasco Rossi. Non solo hanno pagato i biglietti per riascoltare dal vivo un settantenne trasgressivo di paese, rendendolo ancora più ricco; si sono mossi da tutta Italia in gruppo pagandosi il treno, la benzina, il pedaggio autostradale,per convergere a Modena; hanno mangiato panini, hanno dormito sulle panchine o pernottato in qualche nelle stazioni, o all’addiaccio; hanno accettato di correre rischi persino mortali, come sapevano era avvenuto poco prima durante l’adunata di piazza Cavour a Torino.
Hanno sopportato insomma i disagi – eh sì – da soldati in marcia, e senza un lamento, anzi contenti, perfino spontaneamente disciplinati.
Dico: pensate se fossero capaci di farlo per uno scopo politico. Se arrivassero in 220 mila a Roma, una volta, per protestare contro la sottrazione di diritti come cittadini, lavoratori, elettori. Che so, contro le vaccinazioni come inaudita “pretesa dello stato, giuridicamente obbligatoria, di metterci dentro sostanze di cui non sappiamo la composizione” manco fossimo animali; contro l’immigrazione senza limiti al costo di 4,5 miliardi l’anno mentre “in Italia gli indigenti sono passati in 5 anni da 1,5 e 4 milioni”,per un insieme scelte politico economiche “assurde” ostinatamente imposte dalle oligarchie nonostante i “risultati rovinosi”, il che “non può essere accidentale ma il prodotto di un sistema progettato, implementato e difeso”. Per gridare che le mitiche speranze dell’europeismo sono state tradite. Per urlare che”nel mondo reale, il liberismo di mercato non ha gli effetti promessi dal modello ideale, ossia che il mercato non è “libero” ma gestito da cartelli; non tende ad evitare o assorbire le crisi, ma le genera e amplifica; non tende a massimizzare la produzione di ricchezza reale ma quella di ricchezza finanziaria, non tende a distribuire le risorse ma a concentrarle in mano a pochi monopolisti”, insomma che il sistema “dissolve la società invece di renderla più efficiente”, anzi “dissolve l’idea stessa dell’uomo”.
Se i giovani per una volta dormissero all’addiaccio, pagassero i trasporti verso Roma, si comportassero per qualche giorno da soldati politici, farebbero paura al governo che ci è stato imposto dalla Banca Centrale e da Bruxelles, ai parlamentari che dipendono dalle lobbies e comitati d’affari, e che hanno svenduto l’Italia, le sue industrie e la sua sovranità agli interessi stranieri.
Quelle che cito fra virgolette sono frasi dall’ultimo saggio di Marco Della Luna, Oltre l’agonia – Come fallirà il dominio tecnocratico dei potere finanziari, Arianna Editrice, 9,8 euro.
Della Luna è stato il primo in Italia ad avvertirci che per il capitalismo terminale globale, il quale fa soldi non più producendo merci ma producendo bolle finanziarie per poi farle scoppiare, non ha più bisogno di lavoratori, produttori, operai, eserciti di massa – né quindi di mantenere sani, efficienti, istruiti , men che meno prosperi e soddisfatti i popoli, di cui non ha più bisogno (nemmeno come consumatori). Risale infatti al 2010 il suo saggio “Oligarchie per popoli superflui”, il titolo dice già l’essenziale.
In questo nuovo saggio, Della Luna ci avverte che il sistema è entrato in una fase ulteriore e più letalmente anti-umana.
Ormai persino “il profitto finanziario ha perso importanza sia come scopo che come mezzo per l’elite finanziaria”; e se ciò sembra paradossale, essendo il profitto puro e a breve lo scopo radicale del capitalismo, basta ricordare le migliaia di miliardi che le banche centrali (appartenenti alla finanza privata) creano dal nulla per mantenere a galla il sistema, mettendoli a disposizione di chi comanda in misura illimitata; basti pensare alle banche che creano denaro dal nulla con il che “genera un flusso di cassa positivo, ossia un redito, che la banca incassa, ma su cui non paga le tasse”, perché “gli Stati” sono “privatizzati “ e sono orientati nelle loro politiche dai “mercati anziché dai o ai popoli”.
Per lorsignori, il profitto “ha perso importanza come movente” perché lo ha già, garantito, esentasse; banche centrali e stati già gli forniscono tutti i fiumi di denaro necessari e superflui, indebitando e tassando i contribuenti. Sicché l’autore giunge a preconizzare perfino “il tramonto della finanza”, beninteso come “sistema di dominio della società”. Un tramonto che non coinciderà con la nostra liberazione, anzi al contrario: lo stanno già sostituendo con il nuovo: “il dominio diretto e materiale sulla società”, attraverso la “gestione coercitiva del demos, potente e unilaterale e insieme non responsabile delle scelte verso i suoi amministrati , non diversamente dalla zootecnia non è responsabile verso gli animali di allevamento”.
Eco la nuova fase che ci hanno preparato: il governo zootecnico, “l’allevamento-condizionamento di masse umane per l’utilità degli allevatori”. Già lo fanno per via mediatica “restringendo e omogeneizzando le rappresentazioni che gli umani hanno della realtà” e “tabuizzando e psichiatrizzando il dissenso e la contro-informazione”, fino a renderla penalmente perseguibile. Lo fanno con “la Buona Scuola”, l’attuale sistema educativo congegnato in modo da non sviluppare facoltà cognitive, né l’attenzione sostenuta, né la capacità di auto dominio né di differire le gratificazioni e sopportare le frustrazioni”: il metodo perfetto per “produrre persone deboli, dipendenti, condizionabili, incapaci di opporsi”.
Non si tratta di risultati cattivi divergenti da intenzioni buone, e da ideologie erronee anche se benintenzionate: no, dice Della Luna: sono effetti perseguiti deliberatamente per “semplificare” l’uomo, standardizzarlo in vista dell’allevamento zootecnico.
Impressionante l’esempio che fa della scomparsa della borghesia produttiva, culturalmente vivace, e reattiva, rovinata dalle crisi deflattive continue e dal fisco rapacissimo. Non è un caso malaugurato. E’ che “la piramide sociale va interrotta lasciando uno spazio vuoto sotto il suo apice [il famigerato 1% che concentra l’80% delle ricchezze] , così che l’apice sia al sicuro dalle scalate (mobilità verticale) dagli attacchi delle classi intermedie erudite”.
Ciò a cui punta è “realizzare tra l’oligarchia e i popoli la medesima distanza e differenziazione qualitativa che c’è tra l’allevatore e gli animali allevati”, secondo il modello zootecnico.
Nella chiave del governo zootecnico diventano perfettamente spiegabili la plurivaccinazione obbligatoria dei cuccioli, volevo dire dei bambini. Al di là di ogni polemica sulla pericolosità o innocuità dei vaccini, quel che esseri umani, cittadini e non dei polli da allevamento dovevano rigettare è che “il potere costituito ha la potestà giuridica di immettere nel corpo della gente sostanze attive”, fra cui tante disponibili “in base alle nanotecnologie e biotecnologie, e molte di esse coperte da segreto militare o commerciale”, nota Della Luna.
Nella prospettiva dell’allevamento zootecnico acquista senso anche “il dogma dell’accoglienza e della mescolanza dei popoli”, imposto come “evidente, dimostrato, e tale che chi li contraddice è irragionevole, malintenzionato, pericoloso, immorale”. La verità è che esso, oltre ad essere in Italia un business “attraverso l’inclusione degli immigrati nel circuito dell’affarismo parassitario” che succhia denaro pubblico, ha perfettamente senso dal punto di vista dell’allevatore: “la trasformazione dall’alto del popolo” , il popolo-bestiame, “imponendo l’immigrazione sostitutiva delle popolazioni nazionali”; allo stesso modo l’allevatore inserisce nella stalla nuovi tori e nuove fattrici, per “migliorare la razza”.
Voi obietterete: ma oltretutto è anti-economico, crea disordine, diminuisce l’efficienza della società, costa moltissimo. Infatti, conferma l’autore: ciò dimostra che “la comprensione economicista del divenire attuale è palesemente scavalcata”.
Quando la casta politica-amministrativa “lascia senza tetto e senza cibo i cittadini italiani mentre alloggia gli immigrati in alberghi a tre e quattro stelle”, quel che attua “è l’annullamento programmatico del concetto di cittadino come titolare di diritti specifici verso la sua polis.L’annullamento del demos”, ossia del “popolo” come entità politica, padrone collettivamente delle proprie scelte.
E’ la riduzione del cittadino a pollame.
Tale modello “non implica affatto pace, sicurezza, efficienza per le popolazioni, esattamente come non le implica il modello zootecnico”. Per gli allevatori, gli animali allevati “sono solo fonte di utilità; non hanno diritti né dignità riconosciuta”.
Né diritti né dignità riconosciuta, si prenda nota. Ora che ogni nuovo robot introdotto nella produzione elimina 6,2 posti di lavoro, i governi mai eletti, con la copertura della “austerità “ tedesca perché “dobbiamo rientrare dal debito” (ignobile menzogna, se la BCE stampa tutti i miliardi che vuole, o meglio che vogliono le banche che la possiedono), e il denaro è scarso e costoso (altra ignobile menzogna) e non ce n’è per voi – vi stanno riducendo – deliberatamente, coscientemente – a “un corpo sociale saldamente in mano all’oligarchia dominante” proprio perché sempre più “costituito da masse miste di indigenti, disoccupati, immigrati, clandestini, pensionati che sopravvivono grazie ad interventi emergenziali del governo e di agenzie pseudo-sociali e pseudo-religiose ampiamente finanziate dal governo”, ossia dai contribuenti ridotti a indigenti.
Pensate agli 80 euro di Renzi, elemosina che poi un milione e mezzo ha dovuto pur e restituire, un “bonus” che non si sa se durerà, se i poveri l’avranno anche l’anno prossimo (dunque non è un diritto, men che meno “acquisito”). Questo è voluto:
“La mancanza di redditi e servizi sicuri, la dipendenza da interventi anno per anno, rende queste masse sempre più passive, remissive”, dunque “politicamente inattive”: questo è lo scopo.
Perché è chiaro che se il capitalismo finanziario terminale “tende a togliere alla gente tutto il reddito e tutti i risparmi disponibili”, finisce anche per “togliere il motivo di pagare i debiti anziché infischiarsene”. Se non si è già diventati pollame, non si è tenuti ad obbedire né a rispettare simili “autorità”, “non ha senso pratico né morale pagare le tasse e versare i contributi ad un siffatto sistema sociale”. Lorsignori sanno però come scongiurare la rivolta.
Contrariamente a quel che fa credere la narrativa holllywwodiana, le rivoluzioni non le fanno gli affamati – questi hanno da far la fila alla Caritas e agli uffici di collocamento, a fare le pratiche per il “bonus”, razzolare fra la spazzatura dei mercati di frutta e verdura – ma le classi emergenti nella prosperità; a fare la Rivoluzione fu la borghesia che, sicura dei suoi mezzi economici ed intellettuali, strappò i diritti politici.
Quelli con la pancia vuota sono passivi e remissivi, aspettano il bonus da 80 euro, i giovani passano da un precariato all’altro e non avranno mai una pensione sufficiente a farli sopravvivere: dunque piatiranno dallo stato interventi, che saranno anno per anno, incerti, caritativi. Su questa strada, ci hanno trasformati da cittadino, “prima a mero prestatore d’opera sul mercato, poi a semplice consumatore privato, e infine a una vera e propria precarietà ontologica”.
Ecco: il “Precario ontologico” è quello a cui puntano a ridurvi. A cui vi hanno già ridotto, voi giovani. “La precarietà assunta a paradigma normativo”, ormai è la vostra condizione, a cui siete invitati dai media e dai politici pagati da lorsignori a abituarvi gioiosamente, ottimisticamente, come elemento essenziale della giovinezza, oggi qui domani là a 450 al mese, andate in Europa, emigrate, è bello cambiare lavoro….Ovviamente, “precario ontologico”, precario per essenza è l’animale di allevamento, che dipende giorno per giorno dal mangime distribuito. Ma almeno, non lo sa.
Per questo mi rivolgo a voi, giovani e quarantenni, avete dormito all’addiaccio e mangiato al sacco, avete corso dei rischi, avete sborsato quattrini, benché molti di voi siano sicuramente precari. Siete già precari ontologici? Per Vasco l’avete fatta, la marcia su Modena. Ne rifarete mi un’altra per rifiutare il governo zootecnico?
"Beáta es, Virgo María, quae ómnium portásti Creatórem: genuísti qui te fecit, et in aetérnum pérmanes Virgo"
Die 8 Septembris
IN NATIVITATE
BEATAE MARIAE VIRGINIS
Duplex II classis cum Octava Simplici
Introitus Sedulius SALVE, sancta parens, eníxa puérpera Regem: qui caelum terrámque regit in saécula saeculórum. Ps. 44, 2 Eructávit cor meum verbum bonum: dico ego ópera mea Regi. V/. Glória Patri.
Oratio
FÁMULIS tuis, quaésumus, Dómine, caeléstis grátiae munus impertíre: ut, quibus beátae Vírginis partus éxstitit salútis exórdium ; Nativitátis ejus votíva solémnitas pacis tríbuat increméntum. Per Dóminum. Et, in Missis privatis tantum, fit Commemoratio S. Hadriani Martyris.
Oratio
PRAESTA, quaésumus, omnípotens Deus: ut, qui beáti Hadriáni Mártyris tui natalítia cólimus, intercessióne ejus, in tui nóminis amóre roborémur. Per Dóminum.
Léctio libri Sapiéntiae.
Prov. 8, 22-35
DÓMINUS possédit me in inítio viárum suárum, ántequam quidquam fáceret a princípio.
Ab aetérno ordináta sum, et ex antíquis, ántequam terra fíeret.
Nondum erant abýssi, et ego jam concépta eram: necdum fontes aquárum erúperant: necdum montes gravi mole constíterant: ante colles ego parturiébar: adhuc terram non fécerat, et flúmina, et cárdines orbis terrae.
Quando praeparábat caelos, áderam: quando certa lege et gyro vallábat abýssos: quando aéthera firmábat sursum, et librábat fontes aquárum: quando circúmdabat mari términum suum, et legem ponébat aquis, ne transírent fines suos: quando appendébat fundaménta terrae.
Cum eo eram cuncta compónens: et delectábar per síngulos dies, ludens coram eo omni témpore: ludens in orbe terrárum: et delíciae meae esse cum fíliis hóminum.
Nunc ergo, fílii, audíte me: Beáti, qui custódiunt vias meas.
Audíte disciplínam, et estóte sapiéntes, et nolíte abjícere eam.
Beátus homo, qui audit me, et qui vígilat ad fores meas quotídie, et obsérvat ad postes óstii mei.
Qui me invénerit, invéniet vitam, et háuriet salútem a Dómino.
<<[22]Il Signore mi ha creato all'inizio della sua attività,
prima di ogni sua opera, fin d'allora.
[23]Dall'eternità sono stata costituita,
fin dal principio, dagli inizi della terra.
[24]Quando non esistevano gli abissi, io fui generata;
quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d'acqua;
[25]prima che fossero fissate le basi dei monti,
prima delle colline, io sono stata generata.
[26]Quando ancora non aveva fatto la terra e i campi,
né le prime zolle del mondo;
[27]quando egli fissava i cieli, io ero là;
quando tracciava un cerchio sull'abisso;
[28]quando condensava le nubi in alto,
quando fissava le sorgenti dell'abisso;
[29]quando stabiliva al mare i suoi limiti,
sicché le acque non ne oltrepassassero la spiaggia;
quando disponeva le fondamenta della terra,
[30]allora io ero con lui come architetto
ed ero la sua delizia ogni giorno,
dilettandomi davanti a lui in ogni istante;
[31]dilettandomi sul globo terrestre,
ponendo le mie delizie tra i figli dell'uomo.
L'invito supremo
[32]Ora, figli, ascoltatemi:
beati quelli che seguono le mie vie!
[33]Ascoltate l'esortazione e siate saggi,
non trascuratela!
[34]Beato l'uomo che mi ascolta,
vegliando ogni giorno alle mie porte,
per custodire attentamente la soglia.
[35]Infatti, chi trova me trova la vita,
e ottiene favore dal Signore;>>
Graduale Benedícta et venerábilis es, Virgo María: quae sine tactu pudóris invénta es mater Salvatóris. V/. Virgo Dei Génitrix, quem totus non capit orbis, in tua se clausit víscera factus homo. Allelúja, allelúja. V/. Felix es, sacra Virgo María, et omni laude digníssima: quia ex te ortus est sol justítiae, Christus Deus noster. Allelúja.
+ Inítium sancti Evangélii secúndum Matthaéum.
Matth. 1, 1-16
LIBER generatiónis Jesu Christi fílii David, fílii Abraham. Abraham génuit Isaac. Isaac autem génuit Jacob. Jacob autem génuit Judam, et fratres ejus. Judas autem génuit Phares, et Zaram de Thamar. Phares autem génuit Esron. Esron autem génuit Aram. Aram autem génuit Amínadab. Amínadab autem génuit Naásson. Naásson autem génuit Salmon. Salmon autem génuit Booz de Rahab. Booz autem génuit Obed ex Ruth. Obed autem génuit Jesse. Jesse autem génuit David regem. David autem rex génuit Salomónem ex ea, quae fuit Uríae. Sálomon autem génuit Róboam. Róboam autem génuit Abíam. Abías autem génuit Asa. Asa autem génuit Jósaphat. Jósaphat autem génuit Joram. Joram autem génuit Ozíam. Ozías autem génuit Jóatham. Jóatham autem génuit Achaz. Achaz autem génuit Ezechíam Ezechías autem génuit Manássen. Manásses autem génuit Amon. Amon autem génuit Josíam. Josías autem génuit Jechoníam, et fratres ejus in transmigratióne Babylónis. Et post transmigratiónem Babylónis: Jechonías génuit Saláthiel. Saláthiel autem génuit Zoróbabel. Zoróbabel autem génuit Abiud. Abiud autem génuit Elíacim. Elíacim autem génuit Azor. Azor autem génuit Sadoc. Sadoc autem génuit Achim. Achim autem génuit Eliud. Eliud autem génuit Eleázar. Eleázar autem génuit M athan. Mathan autem génuit Jacob. Jacob autem génuit Joseph virum Maríae, de qua natus est Jesus, qui vocátur Christus.
Credo.
Offertorium Beáta es, Virgo María, quae ómnium portásti Creatórem: genuísti qui te fecit, et in aetérnum pérmanes Virgo.
Secreta
UNIGÉNITI tui, Dómine, nobis succúrrat humánitas: ut, qui natus de Vírgine, matris integritátem non mínuit, sed sacrávit ; in Nativitátis ejus solémniis, nostris nos piáculis éxuens, oblatiónem nostram tibi fáciat accéptam Jesus Christus Dóminus noster: Qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus.
Pro S. Hadriano
Secreta
MUNÉRIBUS nostris, quaésumus, Dómine, precibúsque suscéptis: et caeléstibus nos munda mystériis, et cleménter exáudi. Per Dóminum.
Praefatio de beata Maria Virgine Et te in Nativitáte.
Communio Beáta víscera Maríae Vírginis, quae portavérunt aetérni Patris Fílium.
Postcommunio
SÚMPSIMUS, Dómine, celebritátis ánnuae votíva sacraménta: praesta, quaésumus ; ut et temporális vitae nobis remédia praébeant, et aetérnae. Per Dóminum.
Pro S. Hadriano
Postcommunio
DA, quaésumus, Dómine Deus noster: ut, sicut tuórum commemoratióne Sanctórum temporáli gratulámur offício ; ita perpétuo laetémur aspéctu. Per Dóminum.
* Infra Octavam nihil fit de ea ; sed Missae votivae de beata M aria Virgine et Missa de Officio ejus in Sabbato, dicuntur ut in Festo, cum Glória in excélsis, 2a Oratione de Spiritu Sancto, et 3a contra persecutores Ecclesiae, vel pro Papa, et omittitur Credo. * Item si, ratione alterius Octavae alicubi celebratae, dicenda sit 2a vel 3a Oratio de sancta Maria, dicitur de ejus Nativitate, ut supra.
Lasciate che i morti seppelliscano i loro morti, è ciò che viene a noi in mente mentre leggiamo i terrificanti dati pubblicati in questi giorni dalla conferenza episcopale tedesca. Terrificanti davvero per il futuro del cattolicesimo in quelle terre: nell'ultimo anno (2016) la Chiesa tedesca ha perso 162.000 fedeli e chiuso 537 chiese. Dal 1996 ad oggi il numero dei fedeli è crollato de15% e a questo si aggiunge la chiusura di un quarto delle comunità cattoliche... la diocesi di Monaco per esempio nell'anno scorso ha avuto un solo candidato al sacerdozio... potremmo dilungarci in questo tristissimo elenco.
Tutto suona come una beffa: nell'anno centenario di Lutero, la Chiesa cattolica che si è ammodernata diventando così simile alla chiesa protestante, deve celebrare il proprio funerale, constatando il progressivo e inesorabile assottigliamento della sua presenza.
Lasciate che i morti seppelliscano i loro morti, ci viene da ripetere difronte al progressivo smantellamento della presenza cattolica anche nelle nostre terre. Lasciate che la cosiddetta chiesa conciliare, nata da una presunta nuova pentecoste, faccia il proprio funerale.
Solo che questa chiesa ammodernata, che doveva invadere il mondo con il suo gioioso annuncio di liberazione, non ne vuole proprio sapere di seppellire i propri morti: li ha imbalsamati e finge che stiano tutti bene.
Finge di essere nella primavera di una perenne pentecoste, mentre si trova nel più gelido freddo invernale. Ed è tutto il mondo cattolico a vivere il medesimo declino; e questo lo può constatare chiunque, lì dove vive. La Chiesa regredisce, lascia libero terreno al paganesimo più vago e violento; i nostri paesi, dal punto di vista cattolico, sono dei ruderi della cristianità antica. Eppure nessuno ne parla.
È singolare che tutto il mondo pastoralista si sottragga a qualsiasi verifica, è questo che fa più impressione e male.
Hanno inaugurato l'era del Pastoralismo Dogmatico buttando via il dogma.
Si, è così. In questi decenni è stata innescata tutta una serie di cambiamenti rivoluzionari e lo si è fatto in nome di un principio pratico di pastorale. Si è anche indetto, primo nella storia cristiana, un Concilio Pastorale, che non voleva proclamare nuovi dogmi né comminare condanne; un concilio preoccupato di rinnovare il linguaggio della chiesa perché fosse comprensibile al mondo di oggi, un concilio preoccupato dell'azione dei cristiani nel mondo, preoccupato della pastorale appunto.
Solo che questa pastorale, senza dogmi e anatemi, ha fallito il suo compito: non solo il mondo ha continuato ad essere mondo senza incontrarsi con la chiesa; ma la chiesa è letteralmente scomparsa dalla scena di questo mondo a cui ha lasciato il posto.
Lasciate che i morti seppelliscano i loro morti: è vero, dovremmo preoccuparci d'altro, ma come restare indifferenti a tanta rovina? È la presenza della chiesa che viene meno e le anime restano indifese e denutrite, preda dei briganti di turno. Come restare indifferenti? La chiesa è una e abbiamo ricevuto tutto da lei; la rovina della sua presenza, anche se causata da scelte colpevoli, non può giovare ad alcuno.
Lasciate che i morti seppelliscano i loro morti: ma come non soffrire difronte a questo gran funerale che sembra seppellire il nostro passato fatto di parrocchie e di paesi cristiani? Come non soffrire difronte al seppellimento delle radici fisiche che ci hanno generato?
Lasciate che i morti seppelliscano i loro morti: ma mentre accompagnate il funerale della chiesa della moderna pastorale, non sarebbe possibile con tutta semplicità riaprire la questione per lasciarsi giudicare dai dati spaventosi di questi anni? Che senso ha una pastorale che non si lascia giudicare dai fatti? È già consumata in ideologia. La pastorale ammodernata, nata senza voler proclamare dogmi e comminare condanne, si è sostituita al dogma: possibile che non si trovino pastori della chiesa disposti a discutere di tutto questo? Se non lo faremo, ma apertis verbis, sarà come lasciare i cadaveri senza sepoltura, con il rischio di infettare tutto e tutti.
La Pastorale moderna eretta a dogma è in sostanza la dogmatizzazione dell'agnosticismo: avendo buttato le verità di fede, espresse con precisione e difese nella Tradizione; avendole buttate in secondo piano e avendole rese fluide per essere adattabili a tutte le opinioni in circolazione, il cattolicesimo ammodernato deve riempire la propria vita con una nuova pastorale: la pastorale del fare compagnia agli uomini in nome di se stessa, non in nome della Verità che salva. È l'agnosticismo, è il vuoto di fede eretto a pastorale pratica. Per un po' questa pastorale ha illuso i suoi attori ad essere ancora presenti sulla scena del mondo, ma ora... ora suona l'ora del rendiconto: questa scelta ha distrutto la Chiesa.
Ma questi, e sono tanti, si sottraggono a qualsiasi verifica.
Lasciate che i morti seppelliscano i loro morti: mentre soffriamo per tutta questa aria di morte, e soffriamo perché amiamo la Chiesa, è urgente fare la Tradizione, farla concretamente sul campo, senza attardarsi in un perenne funerale della modernità del mondo e della sua chiesa. Se non ci mettiamo a farla la tradizione, saremmo solo degli afflitti del corteo funebre. Ma mentre viviamo secondo il cattolicesimo della tradizione, il cattolicesimo di sempre, avremo sempre la preoccupazione di invocare un libero confronto nella chiesa sull'attuale disastro.
Non ci piace questo silenzio che non accetta un confronto, è il silenzio dell'ideologia che non vuole fare i conti con la realtà.
Il cattolicesimo di sempre, invece, quello del dogma e degli anatemi per intenderci, con la realtà i conti li ha sempre fatti, preoccupato della salvezza delle anime e quindi della presenza forte e capillare della chiesa.
Non ci piace questo silenzio, indifferente o colpevole che sia; non ci piace, perché siamo figli della Chiesa.