lunedì 9 gennaio 2017

Tutti gli elementi resero testimonianza alla venuta del loro autore.



Sermone di san Leone Papa
Sermone 2 sull'Epifania
Gioite nel Signore, o dilettissimi, di nuovo dico, gioite: perché dopo breve intervallo di tempo dalla solennità della Nascita di Cristo, risplende la festa della sua manifestazione: e colui che in quel giorno la Vergine diede alla luce, il mondo l'ha riconosciuto quest'oggi. Infatti il Verbo fatto uomo dispose il suo ingresso nel mondo in tal maniera, che il bambino Gesù fu manifestato ai credenti e occultato ai suoi persecutori. Fin d'all'ora dunque «i cieli proclamarono la gloria di Dio, e il suono della verità si sparse per tutta la terra» (Ps. 18,1), quando una schiera d'Angeli apparve ai pastori per annunziare loro la nascita del Salvatore, e una stella fu di guida ai Magi per venire ad adorarlo; affinché dall'oriente fino all'occidente risplendesse la venuta del vero Re, perché così i regni d'Oriente appresero dai Magi gli elementi della fede, ed essi non rimasero nascosti all'impero Romano.


Poiché anche la crudeltà d'Erode, che voleva soffocare in sul nascere il Re che gli era sospetto, serviva, a sua insaputa, a questa diffusione della fede; ché, mentre intento a un atroce delitto perseguitava, con un massacro generale di bambini, l'ignoto bambino, ovunque più solennemente si spargeva la fama della nascita annunziata dal dominatore del cielo, rendendola più pronta e più atta alla divulgazione, e la novità d'un segno nuovo nel cielo e l'empietà del crudelissimo persecutore. Allora pertanto il Salvatore fu portato anche in Egitto, affinché questo popolo, in preda a vecchi errori, fosse preparato, con una grazia secreta, a ricevere la sua prossima salute; e affinché, prima ancora d'aver bandito dall'animo la superstizione, ricevesse già ospite la stessa verità.

Riconosciamo dunque, o dilettissimi, nei Magi adoratori di Cristo, le primizie della nostra vocazione e della nostra fede; e con animo esultante celebriamo i princìpi di questa beata speranza. Poiché fin d'allora cominciammo ad entrare nell'eterna eredità: fin d'allora ci si scoprirono i passi misteriosi della Scrittura intorno a Cristo; e la verità, che la cecità dei Giudei non accolse, sparse la sua luce in tutte le nazioni. Onoriamo dunque questo santissimo giorno in cui l'Autore della nostra salute s'è fatto conoscere: e quello che i Magi adorarono bambino nella culla, noi adoriamolo onnipotente nei cieli. E come quelli coi loro tesori offrirono al Signore dei mistici doni, così ancor noi sappiamo cavare dai nostri cuori dei doni degni di Dio.
*

Lettura del santo Vangelo secondo San Matteo
Matt 2:1-12
Essendo nato Gesù in Betlemme di Giuda al tempo del re Erode, ecco dei Magi d'Oriente arrivarono a Gerusalemme, chiedendo: Dov'è il Re dei Giudei ch'è nato? Eccetera.

Omelia di san Gregorio Papa
Omelia 10 sul Vangelo
Come avete udito, fratelli carissimi, nella lettura del Vangelo, un re della terra si turba alla nascita del Re del cielo: ciò perché ogni grandezza terrena rimane confusa allorché si manifesta la grandezza del cielo. Ma noi dobbiamo cercare perché, alla nascita del Redentore, un Angelo apparve ai pastori nella Giudea, mentre non un Angelo, ma una stella condusse i Magi d'Oriente ad adorarlo. Perché cioè i Giudei, servendosi della ragione per conoscerlo, era giusto che lo annunziasse loro una creatura ragionevole, vale a dire, un Angelo: mentre invece i Gentili, perché non sapevano servirsi della ragione, vennero condotti a conoscere il Signore non per mezzo d'una voce, ma con dei segni. Onde anche Paolo dice: «Le profezie sono date ai fedeli e non agl'infedeli; i segni al contrario agl'infedeli e non ai fedeli» (1Cor. 14,22). E così a quelli son date le profezie, perché erano fedeli, non già infedeli; e a questi sono dati i segni, perché erano infedeli, e non fedeli.


Ed è a notare, che allorquando il nostro Redentore sarà giunto all'età d'uomo perfetto, gli Apostoli lo predicheranno agli stessi Gentili, mentre bambino e non ancora capace di parlare con gli organi corporali, una stella lo annunzia alla Gentilità: ciò senza dubbio perché l'ordine della ragione richiedeva che fossero dei predicatori che parlassero per farci conoscere il Signore, quando lui stesso avesse parlato, e che dei muti elementi l'annunziassero quando egli non parlava ancora. Ma in tutti i prodigi che apparvero sia alla nascita del Signore, sia alla morte di lui, noi dobbiamo considerare quale fu la durezza di cuore di quei Giudei, i quali non lo riconobbero né al dono della profezia, né ai suoi miracoli.

Tutti infatti gli elementi resero testimonianza alla venuta del loro autore. E per parlare di essi secondo il linguaggio umano: i cieli lo riconobbero Dio, perché inviarono subito la stella. Lo riconobbe il mare, perché sotto i suoi piedi si addimostrò traversabile. Lo riconobbe la terra, perché tremò alla morte di lui. Lo riconobbe il sole, perché nascose la luce dei suoi raggi. Lo riconobbero i sassi e le pareti, perché al momento della sua morte si spezzarono. Lo riconobbe l'inferno, perché restituì i morti che teneva. E tuttavia, colui che tutti gli insensibili elementi riconobbero per Signore, i cuori degli infedeli Giudei ancora non lo riconoscono per Dio, e, più duri dei sassi, non si vogliono aprire al pentimento.
AMDG et BVM

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domenica 8 gennaio 2017

VANGELI DELLA FEDE: 3-6- 1944. Una riunione di cristiani ai primissimi tempi dopo la Pentecoste.



VANGELI DELLA FEDE 
Pagine Valtortiane 

3-6- 1944.
Gesù mi mostra una riunione di cristiani 8 ai primissimi tempi dopo la
Pentecoste. Dico “primissimi” perché i dodici - sono da capo dodici e perciò
Mattia è già eletto 9 - non si sono ancora divisi per andare ad evangelizzare la
terra. Perciò penso che sia da poco accaduta la Pentecoste. Però coi dodici
sono, adesso, molti discepoli.
Sono tutti nel Cenacolo, il quale ha subìto una modificazione necessaria alla
sua nuova funzione e imposta dal numero dei fedeli. Il tavolone non è più contro
la parete della scaletta, ma contro quella di faccia, di modo che anche coloro
che non possono entrare nel Cenacolo, prima delle chiese di tutto il mondo -
Gesù me lo fa riflettere - possono vedere ciò che avviene in esso, pigiandosi
nel corridoio d’ingresso presso la porticina aperta completamente.
5 È il quaderno n. 21; e l’episodio è da noi indicato a pag. 221.
6 Il Padre Migliorini, al quale la scrittrice si rivolge ancora sotto,
apparteneva all’Ordine dei Servi di Maria. Vedi la nota 2 di pag. 5.
7 Sul rigo di spazio tra il presente brano e la data che segue, la scrittrice
annota a matita: Penitenza speciale per Paola.
8 La stessa visione si ritroverà all’inizio del quaderno n. 100, copiata quasi
fedelmente dalla scrittrice, con la stessa data e con aggiunta di particolari,
come episodio da inserirsi nel ciclo della “Glorificazione” della grande opera
sul Vangelo con il titolo: “Pietro, non più rozzo pescatore, nelle sue nuove
vesti di pontefice”.
9 Atti 1, 15-26.
Vi sono uomini e donne, di tutte le età. In un gruppo di donne, presso il
tavolone ma in un angolo, è Maria circondata dalla Maddalena, Marta, Veronica,
Maria di Cleofe, Salome, la padrona di casa. Le nomino come mi vengono, non per
dare una speciale classificazione. Vi è anche un’altra che era anche sul
Calvario. Ma non so come si chiama. Fra gli uomini riconosco Nicodemo, Lazzaro,
Giuseppe d’Arimatea, e mi pare anche Longino, ma è... in licenza, dirò così,
perché non è vestito da soldato, ma ha una veste lunga e bigiognola come fosse
un cittadino. Forse se l’è messa per non dare nell’occhio. Non so. Altri non ne
conosco.
Pietro parla istruendo gli accolti. Racconta ancora dell’ultima Cena10. Dico
“ancora” perché è lui stesso che dice: «Vi dico ancora una volta di questa Cena
in cui, prima d’essere immolato dagli uomini, Gesù Nazzareno, come era detto,
Gesù Cristo, Figlio di Dio e Salvatore nostro, come va detto e creduto con tutto
il cuore e la mente perché in questo credere è la salvezza nostra, si immolò di
sua spontanea volontà e per eccesso di amore, dandosi in Cibo e Bevanda agli
uomini dicendo: “Fate questo in memoria di Me”. E questo facciamo. Ma, o uomini,
come noi, suoi testimoni, crediamo essere nel pane e nel vino, offerti e
benedetti, come Egli fece, in sua memoria e per obbedienza al suo comando, il
suo Ss. Corpo ed il suo Ss. Sangue - quel Corpo e quel Sangue che sono di un
Dio, Figlio di Dio altissimo, e che sono stati crocifissi e sparsi per noi -
così voi lo dovete credere. Credete e benedite il Signore che a noi, suoi
crocifissori, lascia questo eterno segno di perdono. Credete e benedite il
Signore, che a coloro che non lo conobbero quando era il Nazzareno permette lo
conoscano ora che è il Verbo incarnato ricongiunto al Padre. Venite e prendete.
Udite le parole che Egli vi dice. Venite e prendete. Egli l’ha detto: “Chi
mangia la mia Carne e beve il mio Sangue avrà la vita eterna” 11. E noi allora
non capimmo... (Pietro piange). Non capimmo perché eravamo tardi d’intelletto.
Ma ora lo Spirito ha acceso la nostra intelligenza, fortificato la fede, infuso
la carità, e noi comprendiamo. E nel Nome altissimo di Dio, del Dio di Abramo,
di Giacobbe, di Mosè, nel Nome altissimo del Dio che parlò a Isaia, Geremia,
Ezechiele, vi giuriamo che questa è verità e vi scongiuriamo di credere per
avere vita eterna.»
Pietro è pieno di maestà nel parlare. Non ha più nulla del pescatore alquanto
rozzo di solo poco tempo prima. È montato su uno sgabello perché, bassotto come
è, non sarebbe visto dai più lontani se stesse coi piedi al suolo, ed egli vuol
dominare la folla. Parla misurato, con voce giusta e gesti da vero oratore. I
suoi occhi, espressivi sempre, sono ora parlanti più che mai: amore, fede,
imperio, contrizione, tutto traspare dallo sguardo e anticipa e rinforza le
parole.
Adesso scende dallo sgabello e passa dietro il tavolone fra il muro e questo, e
attende.
10 Matteo 26, 17-29; Marco 14, 12-25; Luca 22, 7-20; 1 Corinti 11, 23-34.
11 Giovanni 6, 22-59.
Giacomo e Giuda (Giacomo fratello di Giuda 12) stendono sulla tavola una
tovaglia candida. Sollevano, per fare questo, il cofano largo e basso che è
posto al centro del tavolo, e anche sul coperchio di quello stendono un lino
finissimo.
Giovanni va da Maria e le chiede qualche cosa. Ella si sfila dal collo una
specie di chiavicina e la dà a Giovanni. Giovanni va al cofano e lo apre. Si
apre ribaltando la parte davanti che viene appoggiata sulla tovaglia e ricoperta
da un terzo lino.
Nell’interno vi è una sezione orizzontale che divide in due piani il cofano. In
basso è un calice e un piatto di metallo. In alto, al centro, il calice usato da
Gesù, il pane spezzato da Lui su un piattello prezioso come il calice. Ai lati
di questi, da un lato la corona di spine, i chiodi, la spugna. Dall’altra la
sindone, il velo di Maria che fasciò i lombi di Gesù, e il velo della Veronica.
Vi sono altre cose sul fondo, ma non capisco che sono né nessuno ne parla o le
mostra. Mentre per queste che ho detto, meno il calice e il pane che restano
dove sono, vengono presi e mostrati alla folla, che si inginocchia, da Giovanni
e Giuda.
Poi gli apostoli intonano delle preghiere, degli inni, direi, perché sono
cantilenati. La folla risponde.
Infine vengono portati dei pani e posti sul vassoio di metallo (non quello di
Gesù) e delle piccole anfore.
Pietro riceve da Giovanni, che sta inginocchiato al di qua del tavolo - mentre
Pietro è sempre fra il tavolo e il muro, col volto verso la folla - il vassoio
coi pani, e Pietro lo alza e offre. Poi lo benedice e lo posa sul cofano. Giuda
porge, stando anche lui in ginocchio, il calice (non quello di Gesù) e due
anfore dalle quali Pietro mesce nel calice e offre. Poi benedice e posa sul
cofano.
Pregano ancora, poi Pietro spezza i pani in molti bocconi, mentre la folla si
prostra più ancora, e dice: «Questo è il mio Corpo. Fate questo in memoria di
Me».
E poi esce da dietro il tavolo portando seco il vassoio carico di bocconi di
pane e per prima cosa va da Maria e le dà un boccone. Poi passa sul davanti del
tavolo e distribuisce il pane. Ne restano pochi bocconi che vengono, sempre sul
loro vassoio, deposti sul cofano. Poi prende il calice e lo gira, cominciando da
Maria, fra i convenuti. Giovanni e Giuda lo seguono con le anforette e mescono
quando il calice è vuoto.
Quando tutto è distribuito, gli apostoli consumano i bocconi rimasti e il vino.
Indi cantano un altro inno e poi Pietro benedice e la folla se ne va poco a
poco.
Maria si alza - è sempre rimasta in ginocchio - e va al cofano. Si curva
attraverso il tavolone e tocca con la fronte il piano del cofano deponendo un
bacio sull’orlo del calice di Gesù. Un bacio che è per tutte le reliquie ivi
raccolte. Poi Giovanni chiude e rende la chiave a Maria.
Credo di avere visto, esattamente, come era all’inizio, la S. Messa. E, di
questo ne sono certa, entro il tempo pentecostale Gesù, secondo la sua
promessa, mi
12 di Alfeo.
accontenta nella seconda cosa che volevo sapere (29-5)13. Perché le anime le
vedevo di diverso colore, me lo spiega nel dettato del 31 maggio 14.
E cosa c’era nel cofano così caro a Maria 15 lo so ora. Esso era insieme
reliquiario e primo tabernacolo. E molto mi piace pensare che era Maria colei
che lo possedeva e ne aveva la chiave. Maria: la Tesoriera di tutto quanto è
Gesù, la Sacerdotessa 16 della più vera Chiesa.
13 Pag. 275 (secondo capoverso) e pag. 278 (ultimo capoverso).
14 Pag. 281.
15 Nella visione del 28 maggio, pag. 273.
16 Sacerdotessa e Madre del Sacerdozio (come ne «I quaderni del 1943», pag. 209,
230, 420 e 452) nel senso che, essendo vera Madre di Gesù, Sacerdote supremo ed
eterno, era la prima ad essere a Lui intimamente unita. Rileggi, nel dettato del
18 maggio, l’ultimo capoverso di pag. 253.

Oportet semper orare, et non deficere. Luc. 18. 1. Vigilate, et orate, ut non intretis in tentationem. Matth. 26. 41. Petite, et dabitur vobis. Matth. 7. 7.



CAPO I - DELLA NECESSITÀ DELLA PREGHIERA

Fu già errore de' Pelagiani il dire, che l'Orazione non è necessaria a conseguir la salute. Dicea l'empio lor Maestro Pelagio1, che l'Uomo in tanto solamente si perde, in quanto trascura di conoscere le verità necessarie a sapersi

Ma gran cosa dicea S. Agostino2: Omnia (Pelagius) disputat, quam ut oreta. Pelagio d'ogni altra cosa volea trattare fuorché dell'Orazione, ch'è l'unico mezzo (come teneva ed insegnava il Santo) per acquistare la Scienza de' Santi, secondo quel che scrisse già S. Giacomo: Si quis indiget sapientia, postulet a Deo, qui dat omnibus affluenter, nec3 improperat. Jac. 1. 6.
Son troppo chiare le Scritture, che ci fan vedere la necessità che abbiamo di pregare, se vogliamo salvarci. Oportet semper orare, et non deficere. Luc. 18. 1. Vigilate, et orate, ut non intretis in tentationem. Matth. 26. 41. Petite, et dabitur vobis. Matth. 7. 7.




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solamente della necessità delle buone opere, sicché il pregare in suo senso non era altro che il bene operare; ma questo fu suo errore, e fu condannato espressamente dalla Chiesa. Onde scrisse il dotto Leonardo Lessiob non potersi negare senza errar nella Fede, che la Preghiera agli Adulti è necessaria per salvarsi; costando evidentemente dalle Scritture, esser l'Orazione l'unico mezzo per conseguire gli aiuti necessari alla salute: Fide tenendum est Orationem Adultis ad salutem necessariam, ut colligitur ex Scripturis; quia Oratio est medium, sine quo auxilium ad salutem necessarium obtineri nequit6.
La ragione è chiara. Senza il soccorso della Grazia noi non possiamo fare alcun bene. Sine me nihil potestis facere. Jo. 15. 5. Nota S. Agostino su queste parole, che Gesù Cristo non disse, niente potere compire, ma niente fare: Non ait perficere, sed facere7. Per darci con ciò ad intendere il nostro Salvatore, che noi, senza la Grazia neppure possiamo cominciare a far il bene. Anzi scrisse l'Apostolo, che da per noi neppure possiamo aver desiderio di farlo: Non quod sufficientes simus cogitare aliquid a nobis, sed sufficientia nostra ex Deo est. 2. Cor. 3. 58. Se dunque non possiamo neanche pensare al bene tanto meno possiamo desiderarlo. Lo stesso ci significano tante altre Scritture: Deus operatur omnia in omnibus 1. Cor. 12. 79. Faciam ut in praeceptis meis ambuletis, et judicia mea custodiatis, et operemini. Ezech. 36. 27. In modo, che, siccome scrisse S. Leone Ic Nulla facit homo bona, quae non Deus praestet, ut faciat homo10. Noi non facciamo alcun bene, fuori




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di quello che Dio con la sua grazia ci fa operare. Onde il Concilio di Trento nella Sess. 6. Can. 3. disse: Si quis dixerit, sine praeveniente Spiritus Sancti inspiratione, atque ejus adjutorio, hominem credere, sperare, diligite, aut poenitere posse, sicut oportet, ut ei justificationis gratia conferatur, anathema sit.
L'Autore dell'Opera imperfetta, parlando de' bruti, dice che 'l Signore altri ha provveduti di corso, altri di unghie, altri di penne, acciocché così possano conservare il loro essere; ma l'Uomo poi l'ha formato in tale stato, ch'esso solo Dio fosse tutta la di lui virtù: Alios munivit cursu, alios unguibus, alios pennis. Hominem autem sic disposuit, ut virtus illius Ipse sitd 11. Sicché l'Uomo è affatto impotente a procurare la sua salute, poiché ha voluto Iddio, che quanto ha, e può avere tutto lo riceva dal solo aiuto della sua Grazia.

Ma questo aiuto della Grazia il Signore di providenza ordinaria non lo concede, se non a chi prega, secondo la celebre sentenza di Gennadioe: Nullum credimus ad salutem, nisi Deo invitante, venire; nullum invitatum salute suam, nisi Deo auxiliante, operari; nullum, nisi orantem, auxilium promereri12. Posto dunque da una parte, che senza il soccorso della Grazia niente noi possiamo; e posto dall'altra, che tal soccorso ordinariamente non si dona da Dio se non a chi prega, chi non vede dedursi per conseguenza, che la Preghiera ci è assolutamente necessaria alla salute? È vero che le prime grazie, le quali vengono a noi senza alcuna nostra cooperazione, come sono la vocazione alla Fede, o alla penitenza, dice S. Agostino che Dio le concede anche a coloro che non pregano; nulladimeno tien per certo poi il Santo, che l'altre grazie




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(e specialmente il dono della Perseveranza) non si concedono, se non a chi prega: Deum nobis dare aliqua etiam non orantibus, ut initium Fidei; alia non nisi orantibus praeparasse, sicut Perseverantiamf 13

Ond'è che i Teologi comunemente con S. Basilio14, S. Gio. Grisostomo, Clemente Alessandrino, ed altri col medesimo S. Agostino, insegnano che la Preghiera agli Adulti è necessaria non solo di necessità di precetto, come abbiam veduto, ma anche di mezzo, viene a dire, che di provvidenza ordinaria un Fedele senza raccomandarsi a Dio, con cercargli le grazie necessarie alla salute, è impossibile che si salvi


La ragione dunque, che ci fa certi secondo l'Angelico della necessità che abbiamo della Preghiera, eccola in breve: Noi per salvarci dobbiamo combattere, e vincere: Qui certat in agone non coronatur nisi legitime certaverit. 2. Tim. 2. 5

All'incontro senza l'aiuto Divino non possiamo resistere alle forze di tanti e tali nemici: or questo aiuto Divino solo per l'Orazione si concede: dunque senza Orazione non v'è salute.
Che poi l'Orazione sia l'unico ordinario mezzo per ricevere i Divini doni, lo conferma più distintamente il medesimo S. Dottore in altro luogoh, dicendo che 'l Signore tutte le grazie che ab eterno ha determinate di donare a noi, vuol donarcele non per altro mezzo che dell'Orazione

E lo stesso scrisse S. Gregorioi: Homines postulando merentur accipere, quod eis Deus ante saecula disposuit donare15. Non già, dice S. Tommasol, è necessario il pregare, affinché Iddio intenda




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i nostri bisogni, ma affinché noi intendiamo la necessità, che abbiamo di ricorrere a Dio, per ricevere i soccorsi opportuni a salvarci, e con ciò riconoscerlo per unico Autore di tutti i nostri beni: Sed ut nos (son le parole del Santo) consideremus in his ad Divinum auxilium esse recurrendum; et recognoscamus Eum esse bonorum nostrorum Auctorem.16 

Siccome dunque ha stabilito il Signore, che noi fossimo provveduti del pane con seminare il grano, e del vino con piantar le viti; così ha voluto che riceviamo le grazie necessarie alla salute per mezzo della Preghiera, dicendo: Petite, et dabitur vobis; quaerite et invenietis. Matth. 7. 7.

Noi in somma altri non siamo che poveri mendici, i quali tanto abbiamo quanto ci dona Dio per limosina. Ego autem mendicus sum et pauper. Psalm. 39. 18. Il Signore, dice S. Agostino, ben desidera e vuole dispensarci le sue grazie, ma non vuol dispensarle, se non a chi le domanda: Deus dare vult, sed non dat nisi petentim 17. Egli si protesta con dire: Petite, et dabitur vobis. Cercate, e vi sarà dato; dunque dice S. Teresa18, chi non cerca, non riceve.

Siccome l'umore è necessario alle piante per vivere, e non seccare, così dice il Grisostomonè necessaria a noi l'Orazione per salvarci19. In altro luogo dice il medesimo Santo, che come l'Anima vita al Corpo, così l'Orazione mantiene in vita l'Anima: Sicut corpus sine Anima non potest vivere, sic Anima sine Oratione mortua est, et graviter olens20. Dice graviter olens, perché




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chi lascia di raccomandarsi a Dio, subito comincia a puzzar di peccati



Si chiama anche l'Orazione cibo dell'Anima, perché senza cibo non può sostentarsi il Corpo, e senza Orazione (dice S. Agostino) non può conservarsi in vita l'Anima: Sicut escis alitur caro, ita orationibus homo nutritur21

Tutte queste similitudini, che adducono questi Ss. Padri, dinotano l'assoluta necessità ch'essi insegnano d'esservi in tutti di pregare per conseguir la salute.

AMDG et BVM
AVEMARIA!