sabato 10 settembre 2016

Storie e massime di Achicar. OVVIE, VISIVE e FULMINANTI. Sono davvero impressionanti. Eccone una: "25. Figlio mio, le parole dell'impostore sono come uccelli grassi e chi non ha senno le divora"!

Storie e massime di Achicar 

Scrivo inoltre 1 con il sostegno divino le massime ovvero la storia di Achicar, saggio e ministro di Sennacheribbo, re di Assur e di Ninive. 

Nel ventesimo anno di Sennacheribbo, figlio di Esarhaddon 2, re di Assur e di Ninive, io, Achicar, sono stato il ministro del re. Quando ero giovane mi fu detto che non avrei avuto alcun figlio. La ricchezza che ho ottenuto è troppo grande perché ne possa parlare: presi in moglie sessanta donne e costruii loro sessanta castelli, ma un figlio non l'ebbi. Allora, io, Achicar, eressi un grande altare tutto di legno, e, appiccatovi il fuoco, e, collocatevi sopra vivande prelibate, dissi così: "O Dio, mio Signore! 

3. Se morirò senza aver lasciato un figlio, che dirà la gente di me? "Avete visto Achicar" diranno "che è stato giusto, buono e devoto a Dio? E' morto e non ha lasciato un figlio che lo seppellisse; neppure una figlia. E i suoi beni, come quelli di un reprobo, non li ha ereditati nessuno!". Ma io ti supplico, o Dio, che mi nasca un figlio maschio, il quale mi copra gli occhi con la terra quando morirò". Udii allora questa voce: "O Achicar, ministro saggio! Tutto ciò che mi hai chiesto, te l'ho dato; ti ho lasciato però senza figli. Ciò ti basti; non tormentarti. Pensa invece a Nadan 4, figlio di tua sorella: sia lui per te come un figlio, a cui, durante la sua crescita, tu possa insegnare ogni cosa!". Udite queste cose, mi rattristai di nuovo e dissi: "O Dio, mio Signore! Mi darai dunque per figlio Nadan, mio nipote, perché getti la terra sui miei occhi quando morirò?", ma non mi fu rivolta alcuna risposta. Eseguii allora il Suo ordine e adottai mio nipote Nadan. Poiché era ancora un bambino gli destinai otto nutrici e lo allevai come mio figlio (nutrendolo) con il miele, facendolo sedere su tappeti preziosi e rivestendolo di bisso e di porpora. Mio figlio crebbe e si sviluppò come un cedro e, quando fu cresciuto, gli insegnai le lettere e la sapienza. 

Tornato che fu da dove si era recato, il re mi convocò dicendomi: "O Achicar, mio saggio ministro e consigliere! 

Quando sarai diventato vecchio e morirai, chi dopo di te riuscirà a servirmi allo stesso modo?". Gli risposi: "Viva in eterno il mio signore il re 5! Ho un figlio che è altrettanto saggio, conosce le lettere quanto me ed è istruito". Disse allora il re: "Portalo e fammelo vedere. Se è idoneo a stare al mio cospetto, ti lascerò andare in pace a trascorrere la tua vecchiaia onorevolmente finch‚ terminerai i tuoi giorni". Allora condussi mio figlio Nadan e lo presentai al re, e il re mio signore, allorché lo vide, disse: "Sia benedetto questo giorno davanti a Dio, perché Achicar verrà ricompensato in modo adeguato a come egli si è condotto di fronte a mio padre Esarhaddon e a me, e io stabilirò suo figlio alla mia porta 6 mentre lui vive, sì che possa uscir di vita (in pace)". Allora io, Achicar, mi prostrai davanti al re dicendo: "Viva in eterno il mio signore il re! Affinché, come io mi sono condotto di fronte a tuo padre e a te fino ad ora, così pure tu, signore mio, sii indulgente nei confronti della giovane età di questo mio figlio, in modo che la benevolenza che hai avuto nei miei riguardi si raddoppi (verso di lui)". Udite queste parole, il re mi porse la sua destra ed io, Achicar, mi prostrai davanti al re. 

Non smisi di istruire mio figlio fin tanto che non lo satollai di insegnamenti come di cibo e di acqua e solevo dirgli così: 

1. Ascolta Nadan, figlio mio, e segui il mio consiglio e sii memore delle mie parole come se fossero le parole di Dio 7. 

2. Figlio mio Nadan, se hai sentito una diceria, lasciala morire nel tuo cuore e non rivelarla ad alcuno, affinché non diventi un tizzone ardente nella tua bocca e non ti bruci, e per non marchiare d'infamia la tua anima e non risentirti contro Dio 8. 

3. Figlio mio, non riferire ciò che hai udito e non rivelare ciò che hai visto. 

 4. Figlio mio, non sciogliere il nodo che è sigillato e non sigillare quello che è sciolto. 

5. Figlio mio, non levare gli occhi verso una donna imbellettata e bistrata; non concupirla nel tuo cuore, perché, anche se tu le dessi tutto ciò che possiedi, non troveresti in essa alcun vantaggio e commetteresti un peccato contro Dio 9. 

6. Figlio mio, non commettere adulterio con la moglie del tuo vicino 10, affinché altri non facciano lo stesso con tua moglie. 

7. Figlio mio, non essere precipitoso come il mandorlo, che fiorisce per primo, mentre il suo frutto viene mangiato per ultimo. Sii invece equilibrato e giudizioso come il gelso, che fiorisce per ultimo e il cui frutto viene mangiato per primo. 

8. Figlio mio, tieni gli occhi abbassati, modera la tua voce e guarda da sotto le palpebre, perché non è con la voce alta che si costruisce una casa. (Se così fosse,) un asino potrebbe costruire due case in un sol giorno; e se l'aratro potesse essere guidato dalla forza bruta, il vomere non sarebbe mai slegato dalla spalla del cammello 11. 

9. Figlio mio, è meglio trasportare pietre assieme a un saggio che bere vino assieme a uno stolto. 

10. Figlio mio, versa il vino sulle tombe dei giusti piuttosto che berlo con uomini iniqui 12. 

11. Figlio mio, assieme a un uomo saggio non ti corromperai, mentre con un uomo corrotto non acquisterai saggezza. 

12. Figlio mio, frequenta l'uomo saggio, ché diventerai saggio come lui, e non frequentare l'uomo ciarliero e linguacciuto, ché saresti annoverato assieme a lui 13. 

13. Figlio mio, fintantoché‚ hai dei calzari ai piedi, calpesta i cardi selvatici e fa' strada ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli. 

14. Figlio mio, se un ricco mangia un serpente, la gente dice che l'ha mangiato come medicina; se invece lo mangia un povero, dice che lo ha fatto per fame. 

15. Figlio mio, mangia la porzione che ti spetta e non disprezzare i tuoi compagni. 

I6. Figlio mio, con l'impudico 14 neppure il pane devi mangiare. 

17. Figlio mio, non essere invidioso per i successi del tuo nemico e non rallegrarti neanche per i suoi insuccessi 15. 

18. Figlio mio, non avere a che fare n‚ con una donna che parla a bassa voce, n‚ con una donna dalla voce stridula. 

19. Figlio mio, non andar dietro alla bellezza della donna e non concupirla nel tuo cuore, perché la (vera) bellezza della donna è il buon senso e il suo (vero) ornamento è la dizione della sua bocca. 

20. Figlio mio, se il tuo nemico ti affronta con malvagità, tu affrontalo con saggezza 16. 

21. Figlio mio, l'iniquo (alla fine) cade e non si rialza (più); il giusto invece è inamovibile perché‚ Dio è con lui 17. 

 22. Figlio mio, non essere avaro di botte con tuo figlio, perché‚ le botte per un ragazzo sono come il concime per un orto, come la corda per l'asino e ogni altro animale e come il laccio alla zampa di un asino 13. 

23. Figlio mio, sottometti tuo figlio finché‚ è giovane, fintantoché‚ non prevalga su di te, non ti si ribelli e tu non abbia a vergognarti dei suoi misfatti 19. 

24. Figlio mio, compera un toro robusto e corpulento 20 e un asino dai buoni zoccoli, ma non procurarti uno schiavo incline alla fuga, n‚ una serva proclive al furto, perché potrebbero distruggere tutto ciò che possiedi. 

25. Figlio mio, le parole dell'impostore sono come uccelli grassi e chi non ha senno le divora. 

26. Figlio mio, non provocare le maledizioni di tuo padre e di tua madre, perché‚ potresti non rallegrarti dei successi dei tuoi figli. 

27. Figlio mio, non andare disarmato per la via, perché‚ non sai quando ti aggredirà il tuo nemico. 

28. Figlio mio, così come l'albero si fregia delle sue fronde e dei suoi frutti e la montagna boscosa (si fregia) dei (suoi) alberi 21, così l'uomo si fregia di sua moglie e dei suoi figli. Infatti l'uomo che non ha fratelli, né moglie, né figli è disprezzato e tenuto a vile dai suoi nemici ed è paragonabile ad un albero in prossimità della strada, da cui ogni passante prende qualcosa e le cui fronde vengono danneggiate da ogni animale selvatico. 

29. Figlio mio, non dire che il tuo padrone è stolto e che tu sei saggio. Accettalo invece con le sue debolezze e ti guadagnerai il suo affetto. 

30. Figlio mio, non considerarti saggio quando gli altri non ti considerano tale. 

31. Figlio mio, non mentire quando parli al tuo padrone, perché potrebbe rimproverarti e dirti di allontanarti dalla sua vista. 

32. Figlio mio, siano veraci le tue parole, sicché‚ il tuo padrone ti voglia vicino e tu possa vivere. 

33. Figlio mio, nelle avversità non imprecare contro Dio, perché udendoti potrebbe adirarsi contro di te. 

34. Figlio mio, non trattare il tuo servo meglio di un suo compagno, perché non sai chi di loro alla fine ti sarà più necessario 22. 

35. Figlio mio, colpisci con pietre il cane che ha abbandonato il suo padrone per venirti dietro. 

36. Figlio mio, il gregge che segue troppi sentieri è preda dei lupi. 

37. Figlio mio, sii retto nei tuoi giudizi in gioventù per avere onore nella tua vecchiaia. 

38. Figlio mio, addolcisci la tua lingua e insaporisci il tuo eloquio, perché la coda del cane gli procura il pane, mentre la bocca (gli procura) percosse 23. 

39. Figlio mio, non permettere al tuo vicino di calpestarti il piede; perché potrebbe calpestarti anche il collo. 

40. Figlio mio, l'uomo (saggio) colpiscilo con parole sagge, che siano nel suo cuore come una febbre d'estate; lo stolto invece non capisce neppure se gli dai molte bastonate. 

 41. Figlio mio, se dai un incarico a un saggio, non dargli (troppi) ordini; se invece vuoi darlo a uno stolto, va' (piuttosto) tu stesso e non mandarlo. 

42. Figlio mio, metti alla prova tuo figlio con pane e acqua. Dopo di che, lasciagli in mano i tuoi beni e le tue ricchezze. 

43. Figlio mio, sii il primo a uscire dal convito e non rimanere per gli unguenti fragranti, perché potresti (invece) riceverti delle percosse alla testa 24. 

44. Figlio mio, chi ha le mani piene viene chiamato saggio e onorato; chi invece è a mani vuote viene chiamato sciagurato e abbietto 25. 

45. Figlio mio, ho trasportato il sale 26 e ho rimosso il piombo, ma non ho visto nulla di più gravoso di un debito che si debba estinguere quantunque non sia (mai) stato contratto. 

46. Figlio mio, ho trasportato ferro 27 e ho spostato pietre, ma non erano tanto pesanti quanto un genero che si stabilisca presso suo suocero. 

47. Figlio mio, insegna a tuo figlio che cosa sono la fame e la sete, affinché amministri la sua casa avvedutamente 28. 

48. Figlio mio, un cieco agli occhi è meglio di uno che sia cieco al cuore. Il cieco agli occhi infatti impara facilmente la strada e la percorre; il cieco al cuore invece abbandona la retta via e si smarrisce. 

49. Figlio mio, un amico vicino è meglio che un fratello lontano 29 e una buona reputazione è meglio che una grande bellezza, perché il buon nome resta in eterno, mentre la bellezza svanisce e appassisce. 

50. Figlio mio, è meglio morire che vivere per l'uomo che non ha pace ed è meglio la voce di un lamento funebre nelle orecchie di uno stolto che musica e allegria 30. 

51. Figlio mio, è meglio una zampa in mano che un'anitra nella pentola altrui ed è meglio una pecora vicina che una mucca lontana. E' meglio un solo passero in mano che mille in volo ed è migliore una povertà che raccoglie di una ricchezza che dissipa. E' meglio la veste di lana che hai indosso che il bisso e le sete altrui. 

52. Figlio mio, trattieni la parola nel tuo cuore e non avrai a pentirtene, perché quando hai cambiato la tua parola hai già perduto un amico 31. 

53. Figlio mio, non esca una parola dalla tua bocca prima di esserti consultato nel tuo cuore, perché è meglio inciampare nel proprio cuore che inciampare sulla lingua 32. 

54. Figlio mio, se ascolti una brutta parola, mettila sette cubiti sotto terra. 

55. Figlio mio, non indugiare in una contesa 33, perché dal litigio ha origine l'omicidio. 

56. Figlio mio, chiunque non emetta una giusta sentenza, fa andare in collera Dio. 

57. Figlio mio, (non) allontanarti dall'amico di tuo padre, perché il tuo amico potrebbe non venire da te 34. 

58. Figlio mio, non scendere nel giardino dei principi e non avvicinarti alle loro figlie. 

 59. Figlio mio, soccorri il tuo amico di fronte al sovrano, in modo da poterlo soccorrere dal leone 35. 

60. Figlio mio, non rallegrarti per la morte del tuo nemico 36. 

61. Figlio mio, quando vedi un uomo più anziano di te, alzati di fronte a lui 37. 

62. Figlio mio, se le acque si sostenessero senza la terra, se l'uccello volasse senza ali, se il corvo divenisse bianco come la neve e se l'amaro diventasse dolce come il miele, allora lo stolto diverrebbe saggio. 

63. Figlio mio, se sei un sacerdote di Dio 38, sii scrupoloso nei suoi riguardi. Entra alla sua presenza in stato di purità e non allontanarti dal suo cospetto. 

64. Figlio mio, se Dio rende prospero qualcuno, onoralo anche tu. 

65. Figlio mio, non contendere con 39 un uomo nel suo giorno (migliore) e non affrontare un fiume quando è in piena. 

66. Figlio mio, l'occhio dell'uomo è come una sorgente d'acqua: non si sazia di ricchezze fintantoché‚ non si è riempito di terra 40. 

67. Figlio mio, se vuoi diventar saggio, impedisci alla tua bocca di mentire e alla tua mano di rubare. Allora diventerai saggio. 

68. Figlio mio, non fungere da sensale di matrimonio per una donna, perché, se le andrà male, ti maledirà; se invece le andrà bene, non si ricorderà (più) di te. 

69. Figlio mio, chi è ricercato nei suoi abiti è ricercato anche nelle sue parole; chi invece è trascurato nei suoi abiti è trascurato anche nelle sue parole. 

70. Figlio mio, se rinvieni qualcosa davanti a un idolo 41, offrigliene una parte. 

71. Figlio mio, la mano che era sazia e che (poi) ha avuto fame è generosa 42; non lo è invece la mano che era affamata e che (poi) si è saziata. 

 72. Figlio mio, i tuoi occhi non si fissino su una donna bella e non vagheggiare una bellezza che non ti appartiene, perché molti si sono rovinati per la bellezza di una donna e il suo amore è (stato) come un fuoco che brucia 43. 

73. Figlio mio, lascia che il saggio ti sferzi molte volte, ma non che lo stolto ti unga d'olio aromatico 44. 

74. Figlio mio, non corra il tuo piede presso l'amico, perché egli potrebbe stancarsi di te e odiarti 45. 

75. Figlio mio, non metterti un anello d'oro al dito se non è tuo, perché gli stolti potrebbero deriderti. 

Questo fu l'insegnamento che Achicar impartì a suo nipote Nadan. 

Io, Achicar, ero convinto che Nadan avesse accolto nel suo cuore quanto gli avevo insegnato e che mi sostituisse alla porta del re. Ignoravo che egli non aveva dato ascolto alle mie parole e che, invece, le dissipava come al vento e andava dicendo: "Mio padre Achicar è diventato (troppo) anziano ed è ormai sul ciglio della tomba; la sua intelligenza è regredita ed è diminuito il suo ingegno". Inoltre Nadan cominciò a maltrattare i miei servi percuotendoli, uccidendoli e trucidandoli, senza risparmiare (neppure) i miei bravi e affezionati servitori e domestiche in età avanzata. Abbatté i miei cavalli e azzoppò i miei muli migliori. 

Quando mi accorsi che mio figlio Nadan aveva commesso queste odiose azioni, lo ripresi dicendo: "Nadan, figlio mio, non toccare le mie proprietà. Figlio mio, un proverbio dice: "Ciò che la mano non possiede, l'occhio non lo risparmia"". Riferii poi al mio signore Sennacheribbo tutte queste cose ed egli sentenziò così: "Fintantoché‚ Achicar vive, nessuno avrà potere sui suoi averi". 

Un'altra volta, avendo visto che suo fratello Nabuzardan stava a casa mia, mio figlio Nadan si irritò molto e si mise a dire: "Mio padre Achicar è invecchiato, la sua saggezza sta svanendo e le sue parole, già sagge, sono ora prive di senso 46, sicché potrebbe dare i suoi beni a mio fratello Nabuzardan e cacciarmi via dalla sua casa". 

Quando io, Achicar, sentii queste cose, dissi: "Guai a te, o mia saggezza, perché mio figlio Nadan ti ha frainteso! Le mie sagge parole, le ha accusate di follia!". 

Sentito questo, Nadan si infuriò e si recò alla porta del re 47 e, tramando in cuor suo contro di me, si mise a scrivere due lettere a due re nemici di Sennacheribbo mio signore; la prima ad Akhi, figlio di Hamselim, re della Persia e dell'Elam, così concepita: "Da parte di Achicar, ministro e guardasigilli 48 di Sennacheribbo, re di Assur e di Ninive, salve! Quando ti sarà giunta questa lettera, muoviti e vienimi incontro ad Assur e io ti farò entrare in Assur. Ti impadronirai così del regno senza colpo ferire". La seconda lettera che scrisse (diceva così): "Al Faraone, re dell'Egitto, da parte di Achicar, ministro e guardasigilli del re di Assur e di Ninive, salve! Non appena questa lettera giungerà a te, muoviti e vienimi incontro nella Vallata delle Aquile, che è situata nel sud, il venticinquesimo giorno del mese di Ab. Io ti farò entrare in Ninive senza combattere e tu ti impadronirai del regno". E imitò in questi suoi scritti la mia calligrafia, li sigillò nel palazzo e se ne andò. 

Scrisse poi un'altra lettera a me, fingendo che provenisse dal re Sennacheribbo mio signore, e la redasse così: "Da parte del re Sennacheribbo ad Achicar, mio ministro e guardasigilli, salve! Quando ti sarà giunta questa lettera, raduna tutto l'esercito presso il monte chiamato Sis. Parti quindi da quel luogo e raggiungimi nella Vallata delle Aquile, che è situata nel sud, il venticinquesimo giorno del mese di Ab. Non appena avrai visto che mi avvicino a te, schiera contro di me il tuo esercito in formazione di battaglia, perché sono giunti da me gli ambasciatori del Faraone, re dell'Egitto, per vedere che esercito possiedo". 

 Dopodiché, il mio figlio Nadan mi inviò questa lettera per mano di due soldati del re; quindi, prese le lettere che aveva scritto come se le avesse appena trovate e le lesse di fronte al re. 

Sentitele, il re mio signore si lamentò dicendo: "O Dio! In che cosa ho mancato contro Achicar che mi fa queste cose?". In risposta Nadan, mio figlio, gli disse: "Signore mio, non affliggerti e non irritarti! Suvvia, andiamo nella Vallata delle Aquile nel giorno che è stato indicato nella lettera. Se la cosa è vera, tutti gli ordini che darai verranno eseguiti". 

Così mio figlio Nadan condusse il re mio signore e giunsero da me nella Vallata delle Aquile, dove mi trovarono con un grande esercito colà radunato. Come vidi il re, schierai l'esercito contro di lui, secondo quanto stava scritto nella lettera. A quella vista il re si sgomentò, ma mio figlio Nadan, prendendo la parola, gli disse: "Non turbarti, o mio signore il re, e torna in pace nel tuo padiglione, perché condurrò Achicar alla tua presenza". 

Il re mio signore tornò allora a casa sua e mio figlio Nadan, venutomi incontro, mi disse: "Hai fatto bene ciò che hai fatto. Il re ti ha molto lodato e ti ordina di smobilitare le truppe, affinché ciascuno torni al suo paese e al proprio luogo. Tu invece vieni da solo con me". 

Giunsi così alla presenza del re, il quale, quando mi vide, mi disse: "Sei dunque arrivato, Achicar, ministro mio e consigliere di Assur e di Ninive 49, che io ho elevato agli onori? Ti sei tu trasformato, diventando uno dei miei nemici?" Mi diede quindi le lettere che erano state scritte a mio nome e sigillate con l'impronta del mio sigillo, e, quando le ebbi lette, la lingua mi s'inceppò e le membra mi vennero meno. Cercai invano una singola parola dei miei discorsi di saggezza, ma non ci riuscii. Mio figlio Nadan prese allora la parola dicendomi: "Vattene via dal cospetto del re, o vecchio stolto, e porgi le mani e i piedi ai ceppi e alle catene!". 

Il re Sennacheribbo distolse il suo sguardo da me e parlò al mio collega Nabusemakh 50 dicendogli: "Suvvia, va a uccidere Achicar e separa la sua testa cento cubiti dal suo corpo!". Io allora mi gettai col viso a terra e, prosternandomi di fronte al re, gli dissi: "O re signore mio, possa tu vivere in eterno! Visto che tu, mio signore, vuoi uccidermi, sia fatta la tua volontà. Io però so di non aver peccato contro di te. Pertanto dà ordine, o re mio signore, che mi uccidano sulla soglia della mia casa e che consegnino il mio corpo per la sepoltura". 

Il re disse allora al mio collega Nabusemakh: "Va', uccidi Achicar sulla soglia di casa sua e consegna il suo corpo per la sepoltura!". Io mandai a dire a mia moglie Eshfagni di scegliere mille e una fanciulla tra le donne del mio parentado e di far loro indossare l'abbigliamento funebre, affinché si lamentassero, gemessero e piangessero per me e mi venissero incontro per farmi il funerale prima della mia morte. Le dissi inoltre di preparare un pasto, un banchetto e un convito per il mio collega Nabusemakh e per i Parti che erano con lui, di andare loro incontro a riceverli e di farli entrare in casa mia. Anch'io sarei entrato in casa come un ospite. 

Mia moglie Eshfagni, che era assai saggia, comprese subito il mio messaggio e fece quanto le comunicai: venne loro incontro, li introdusse in casa mia (dove) consumarono il pasto e li servì di persona, fintantoché per la loro ubriachezza non si addormentarono ai loro posti. 

Allora io, Achicar, entrai e dissi a Nabusemakh: "Rivolgi lo sguardo a Dio, o fratello, e ricorda l'amicizia che esisteva tra di noi. Non soffrire per la mia morte; rammenta invece che io non ti ho ucciso quella volta che Esarhaddon, padre di Sennacheribbo, ti consegnò a me affinché ti uccidessi, perché sapevo che tu eri innocente 51. 

Io ti mantenni in vita finch‚ il re non sentì la tua mancanza e, quando ti riportai a lui, mi ricolmò di doni e ricevetti da lui molti regali. Ora anche tu lasciami in vita e ricambiami quel favore. Affinché non corra notizia che non sono stato ucciso e il re non si adiri contro di te, ecco che ho nella mia prigione uno schiavo, chiamato Manzipar, che merita la morte. Travestilo con i miei abiti e fomenta i Parti contro di lui affinché lo uccidano. Così, non avendo peccato, io non morrò". 

 Udite queste cose, il mio collega Nabusemakh partecipò molto al mio dolore. Egli prese le mie vesti, le fece indossare allo schiavo che stava in prigione e fomentò i Parti. Questi, nei fumi del vino 52, si alzarono e lo uccisero. Separarono la sua testa cento cubiti dal suo corpo e consegnarono la sua salma per la sepoltura. 

Così si diffuse ad Assur e a Ninive la notizia che il ministro Achicar era stato ucciso. Nabusemakh e mia moglie Eshfagni si diedero a prepararmi un nascondiglio sotterraneo, largo tre cubiti e alto cinque cubiti, al di sotto del vestibolo della porta di casa mia e vi collocarono cibo e acqua. Poi andarono ad annunciare al re Sennacheribbo che il ministro Achicar era morto. 

All'udire la notizia gli uomini piansero e le donne si graffiarono il volto dicendo: "Ahimè Achicar, saggio ministro, mai più avremo un restauratore 53 del nostro paese come te!". 

Allora il re Sennacheribbo chiamò mio figlio Nadan e gli disse: "Va' e fa' un funerale per tuo padre Achicar e torna da me!". Ma mio figlio Nadan tornò senza aver fatto il funerale e senza avermi neppure commemorato. Egli anzi raccolse gente frivola e licenziosa e li fece accomodare alla mia mensa con musica e grande allegria; quanto invece ai miei servi e alle mie ancelle, li spogliò e li fustigò senza pietà e non rispettò neppure mia moglie Eshfagni. Cercò anzi di avere con lei il rapporto dell'uomo con la donna 54, mentre io, Achicar, giacevo nell'oscurità della fossa là sotto e sentivo le voci dei miei fornai, cuochi e coppieri che piangevano e singhiozzavano per casa. 

Alcuni giorni dopo, venne Nabusemakh, aprì (la botola) sopra il mio viso, mi consolò e mi portò cibo e acqua. Allora io gli dissi: "Quando esci di qui, ricordami a Dio e di': "Dio giusto, retto e benefattore della terra, ascolta la voce del tuo servo Achicar e ricordati che ti ha sacrificato buoi grassi come agnelli da latte e che ora egli giace in un pozzo oscuro, di dove non vede la luce. Lui, che ti invoca, non lo salvi? Ascolta, o Signore, la voce del mio collega 55!"". 

Ora, quando il Faraone, re dell'Egitto, sentì che io, Achicar, ero stato ucciso, si rallegrò molto e scrisse questa lettera a Sennacheribbo: "Il Faraone, re dell'Egitto, a Sennacheribbo, re di Assur e di Ninive, salve! Desidero costruire un castello tra la terra e il cielo. Cerca pertanto di inviarmi dal tuo regno un uomo che sia un abile architetto e che possa dar risposta a tutto quello che gli chiederò. 
Quando mi avrai inviato un uomo siffatto, raccoglierò e ti invierò il tributo di tre anni dell'Egitto. Se invece non mi invierai un uomo che possa rispondere a tutti i quesiti che gli porrò, raccogli e mandami tu il tributo di tre anni di Assur e di Ninive tramite gli ambasciatori che giungeranno presso di te". 

Quando questa lettera fu letta al re, questi convocò tutti i dignitari e gli uomini liberi del regno e disse loro: "Chi di voi va in Egitto a rispondere al re su tutti i quesiti che egli gli porrà, a costruire il castello che vuole e a prelevare il tributo di tre anni dell'Egitto?". Udito questo, i dignitari risposero al re: "Tu sai, nostro signore il re, che non solo negli anni del tuo regno, ma anche in quelli di tuo padre Esarhaddon simili questioni usava risolverle il ministro Achicar. Ora però c'è suo figlio Nadan, che ha appreso la sua erudizione e la sua sapienza". Quando sentì queste parole, mio figlio Nadan esclamò rivolgendosi al re: "Neppure gli dèi possono fare simili cose: escludi quindi gli uomini!" 56. 

Il re fu molto turbato da tutto ciò; discese dal trono, si sedette sulla (nuda) terra e disse: "Ahimè, saggio Achicar, che ti ho soppresso per le parole di un ragazzo! Chi mai potrà ricondurti a me in questo momento? Gli darei tanto oro quanto tu pesi!". 

Il mio collega Nabusemakh, udito ciò, cadde ai piedi del re e gli disse: "O re mio signore, chi trascura l'ordine del suo padrone è degno di morte ed io, signore, ho trascurato un ordine della tua regale maestà. Comanda che mi crocifiggano, perché Achicar, che mi ordinasti di uccidere, è ancora vivo". 

Udite queste parole, il re rispose dicendo: "Parla, parla Nabusemakh, parla uomo abile, buono e incapace di nuocere! Se è come dici e se mi mostri Achicar vivo, ti carico di doni d'argento per il peso di cento talenti e di porpora per il peso di cinquanta talenti". Nabusemakh gli disse allora: 

"Giurami, o re mio signore, che, se non avrò commesso altri peccati contro di te, non mi imputerai questo peccato". Il re gli porse la destra per rassicurarlo e si sedette subito su un carro. Arrivò in fretta a casa mia e aprì (la botola) sopra il mio viso. 

Io salii, gli venni incontro e mi gettai ai suoi piedi. I capelli mi erano scesi fin sulle spalle, la barba mi raggiungeva il petto, il mio corpo era imbrattato di terra e le unghie mi erano cresciute come quelle delle aquile 57. 

Appena mi vide, il re scoppiò a piangere e non osò parlarmi. Poi con gran dolore mi disse: "Non io peccai contro di te, Achicar, bensì tuo figlio. A peccare contro di te fu colui che allevasti". Allora gli risposi dicendo: "O mio signore, dopo aver visto il tuo volto non ho più alcun rancore". Il re allora mi disse: "Va' a casa tua, Achicar, tagliati i capelli, lavati il corpo e ristabilisciti 58 per quaranta giorni. Poi vieni da me". 

Rientrai così in casa mia e vi restai circa trenta giorni. Poi, quando mi fui rimesso 59 andai dal re, che mi disse: "Hai visto, Achicar, che cosa mi ha scritto il Faraone, re dell'Egitto?". Gli risposi: "O re mio signore, non preoccuparti di questo problema. Io stesso andrò in Egitto: costruirò per il re il castello, troverò la risposta per ogni sua domanda e porterò con me il tributo di tre anni dell'Egitto". 

Il re si rallegrò moltissimo di ciò, fece una grande festa e grandi sacrifici e mi fece dei regali. Quanto a Nabusemakh gli conferì la carica più alta. 

Dopodiché, io scrissi a mia moglie Eshfagni la seguente lettera: "Quando ti sarà giunta questa lettera, ordina ai miei cacciatori di catturare due aquilotti e comanda ai linaioli di fare delle corde di lino lunghe mille cubiti e spesse un mignolo. Ordina inoltre ai falegnami di fabbricarmi una gabbia per gli aquilotti. Tu invece consegna i due bambini 'Ubael e Tabshelim, che non sanno ancora parlare, e fa che imparino a dire così: "Porgete fango e calcina, tegole e mattoni ai muratori, che restano inoperosi!"". 

Mia moglie Eshfagni eseguì ogni incarico che le diedi e io dissi al re: "Comanda, o mio signore, e lascia che io parta per l'Egitto". Quando ebbi ricevuto l'ordine di partire, mi presi una scorta armata e mi incamminai. Giunti alla prima tappa, feci uscire i due aquilotti, legai le corde alle loro zampe e feci montare quei bambini su di loro. Essi salirono portandoli a grande altezza e di lassù i bambini gridarono ciò che avevano imparato: "Porgete fango e calcina, tegole e mattoni ai muratori, che restano inoperosi!". Dopodiché, li tirai giù. 

Quando giungemmo in Egitto, mi recai alla porta del re e i suoi dignitari gli dissero: "E' arrivato l'uomo che ha inviato il re dell'Assiria!". Il re diede ordine di assegnarmi un'abitazione e il giorno dopo entrai alla sua presenza, mi prosternai di fronte a lui e mi informai della sua salute. Il re mi rispose dicendo: "Qual è il tuo nome?". Gli dissi: "Il mio nome è Abiqam 60, una delle più disprezzabili formiche del regno". Mi rispose: "Tanto mi disprezza il tuo signore da inviarmi una disprezzabile formica del suo regno? Va', Abiqam, al tuo alloggio e vieni da me (domani) mattina presto". 

Il re ordinò ai suoi dignitari di vestirsi l'indomani di rosso. Lui si vestì di bisso e, seduto sul trono, diede ordine che entrassi alla sua presenza e mi disse: "A chi somiglio, Abiqam, e a chi somigliano i miei dignitari?". Io risposi: "Tu somigli, o mio signore il re, al (dio) Bel 61 e i tuoi dignitari ai suoi sacerdoti". Egli mi disse nuovamente: "Va' al tuo alloggio e domani vieni da me". Quindi il re ordinò ai suoi dignitari di indossare l'indomani un vestito di lino bianco. Lui stesso si vestì di bianco e si sedette sul trono, dando ordine che io entrassi alla sua presenza. Mi disse allora: "A chi somiglio, Abiqam, e a chi somigliano i miei dignitari?". Gli dissi: "Tu, o mio signore il re, somigli al sole e i tuoi dignitari ai suoi raggi". Di nuovo il re mi disse: "Vattene al tuo alloggio e torna da me domani". Poi ordinò ai suoi dignitari di vestirsi l'indomani di nero. Lui si vestì rosso scarlatto, mi ordinò di entrare alla sua presenza e mi disse: "A chi somiglio, Abiqam, e a chi somigliano i miei dignitari?". Gli risposi: "Tu somigli, o mio signore il re, alla luna e i tuoi dignitari alle stelle". Ed egli mi disse di nuovo: "Va' a casa tua e torna domani da me". Poi il re comandò ai suoi dignitari di indossare l'indomani vesti variopinte e multicolori e di far coprire le porte del palazzo con drappi rossi. Lui stesso indossò dei (paramenti simili a) tappeti, mi ordinò di entrare alla sua presenza e mi disse: "A chi somiglio, Abiqam, e a chi somigliano i miei dignitari?". Gli risposi: "Tu somigli, o mio signore il re, al mese di Nisan 62 e i tuoi dignitari somigliano ai suoi fiori". 

Allora il re mi disse: "Una volta mi hai paragonato a Bel e, i miei dignitari, ai suoi sacerdoti; la seconda volta mi hai paragonato al sole e, i miei dignitari, ai suoi raggi; la terza volta mi hai paragonato alla luna e, i miei dignitari, alle stelle, e la quarta volta mi hai paragonato a Nisan e, i miei dignitari, ai suoi fiori. Ora invece dimmi, Abiqam, a chi somiglia il tuo padrone?". Io gli risposi: "Dio non voglia o mio signore il re, che io menzioni il mio signore Sennacheribbo mentre tu te ne stai seduto. Il mio signore Sennacheribbo somiglia a... 63 e i suoi dignitari ai fulmini che stanno nelle nuvole, perché, quando vuole, egli forma la pioggia, la rugiada e la grandine e, se tuona, impedisce al sole di sorgere e ai suoi raggi di comparire; inoltre, impedisce a Bel di entrare e uscire in strada e ai suoi dignitari di farsi vedere, e impedisce alla luna di sorgere e alle stelle di apparire". 

Udendo queste cose, il re si ingelosì molto e mi disse: "Per la vita del tuo signore, ti scongiuro, dimmi il tuo nome!". Io gli risposi: "Sono Achicar, il ministro e il guardasigilli di Sennacheribbo, re di Assur e di Ninive". Mi disse allora il re: "Non ho forse sentito dire che il tuo padrone ti aveva ucciso?". Gli risposi: "Sono ancora in vita, o mio signore e Iddio mi ha affrancato da qualcosa che le mie mani non avevano commesso". Allora il re mi disse: "Va' a casa tua, Achicar, e torna domani da me. Mi dovrai dare una notizia che né io, né alcuno dei miei dignitari abbiamo mai sentita, né fu udita nella capitale del mio regno". 

Io allora mi sedetti a meditare nel mio cuore e scrissi questa lettera: "Da parte del Faraone, re dell'Egitto, a Sennacheribbo, re di Assur e di Ninive, salve! I re hanno bisogno dei re e i fratelli hanno bisogno dei fratelli. In questo momento i miei doni sono insufficienti, perché l'argento è scarso nel mio tesoro. Da' ordine che mi siano inviati dal tuo tesoro novecento talenti di argento e in breve spazio di tempo io li restituirò al loro luogo (d'origine)". 

Questa lettera io la piegai e la tenni in mano e, quando il re mi ordinò di entrare alla sua presenza, gli dissi: "Forse in questa lettera c'è una notizia che tu non hai mai udito". Quindi la lessi di fronte a lui e ai suoi dignitari e, come se avessero ricevuto ordine da parte del re, (i dignitari) gridarono: "Questa l'abbiamo già udita tutti ed è (effettivamente così)!". Io allora risposi loro: "Bene, (in questo caso) l'Egitto deve all'Assiria novecento talenti (d'argento)!". 

Il re, udendo ciò, rimase stupito, poi mi disse: "Voglio costruire un castello tra la terra e il cielo che sia alto da terra mille braccia". Io feci allora uscire i (due) aquilotti, legai le corde alle loro zampe e vi feci montare sopra i (due) bambini, i quali si misero a dire: "Porgete fango e calcina, tegole e mattoni ai muratori, che restano inoperosi!" 64. Il re, vedendo ciò, rimase esterrefatto; io, Achicar, presi intanto uno scudiscio e mi misi a frustare i dignitari del re finch‚ non scapparono tutti. Il re ribollì di rabbia e mi disse: "Sei davvero impazzito, Achicar! Chi può portar su qualcosa a quei (due)?". Io gli risposi: "Sul conto del mio signore Sennacheribbo (è meglio che) non diciate nulla, perché, se egli fosse presente, costruirebbe due castelli in un sol giorno!". Il re allora mi disse: "Lascia in disparte il castello, o Achicar! Torna alla tua dimora e all'alba vieni da me". 

All'alba entrai alla sua presenza ed egli mi disse: "Spiegami, o Achicar, che cos'è questa faccenda: quando il cavallo del tuo signore nitrisce in Assiria, le nostre cavalle sentono la sua voce fin qui e abortiscono i loro puledri". Io uscii dal (palazzo del) re e ordinai ai miei servi di acchiappare un gatto, quindi lo sferzai per le strade della città. Non appena gli Egiziani videro ciò, andarono a dire al re che Achicar bistrattava e ridicolizzava il loro popolo 65. Egli infatti aveva preso un gatto e lo sferzava per le strade della loro città. Il re mandò a chiamarmi e, appena fui entrato alla sua presenza, mi disse: "Per quale ragione tu ci oltraggi?". Io gli risposi: "Possa il mio signore il re vivere in eterno! Questo gatto mi ha molto danneggiato (in una faccenda) non irrilevante. Mi è stato infatti affidato da parte del mio signore un gallo dalla voce bellissima. Quando cantava, capivo che il mio signore aveva bisogno di me e mi recavo (subito) alla sua porta. La notte scorsa però questo gatto è andato in Assiria, ha strappato via la testa a quel gallo e se ne è ritornato". Il re allora mi rispose: "Mi sembra, o Achicar, che da quando sei invecchiato sei completamente impazzito. Di qui all'Assiria ci sono infatti trecentosessanta parasanghe e come fai a dire che quel gatto in una sola notte è partito, ha staccato la testa al gallo ed è ritornato?". Io gli risposi: "Come fanno allora le vostre cavalle a sentire la voce del cavallo del mio signore e ad abortire i loro puledri, se dall'Egitto all'Assiria ci sono trecentosessanta parasanghe?". 

Udito ciò, il re si irritò moltissimo e mi disse: "Achicar, risolvimi questo indovinello. Su una colonna ci sono dodici cedri; su ogni cedro ci sono trenta ruote e su ogni ruota ci sono due corde: una bianca e una nera". Gli risposi: "Signore mio il re, (anche) i mandriani del nostro paese conoscono l'indovinello che mi hai detto. La colonna di cui mi parli è l'anno 66 i dodici cedri sono i mesi dell'anno; le trenta ruote sono i giorni del mese e le due corde, una bianca e l'altra nera, sono il giorno e la notte". 

Il re mi disse ancora: "Achicar, intrecciami cinque corde con la sabbia del fiume". Gli risposi: "Da' ordine, o mio signore, che mi portino una corda di sabbia dal tuo tesoro e io la prenderò a modello". Egli allora mi disse: "Se non fai questo, non ti darò il tributo dell'Egitto". Mi misi allora a pensare nel mio cuore come avrei potuto fare; poi, uscito dal palazzo del re 67, feci cinque fori nel muro orientale del palazzo e, quando il sole entrò attraverso i fori, vi rovesciai sopra della sabbia. I solchi (tracciati dalla luce) del sole cominciarono così ad apparire come se fossero stati intrecciati all'interno dei fori. Dissi quindi al re: "Comanda, o signore, che li prendano, in modo che ve ne possa intrecciare degli altri al loro posto". Alla vista di questo, i re e i suoi dignitari restarono attoniti. 

Il re comandò ancora che mi portassero una pietra da mulino rotta e mi disse: "Achicar, ricuci questa macina rotta". Io me ne andai e portai la pietra inferiore di una macina e, lasciatala cadere di fronte al re, gli dissi: "Mio signore il re, poiché qui sono uno straniero e non ho con me strumenti di lavoro, ordina a dei calzolai di tagliarmi delle fettucce da questa macina che fa coppia con la pietra superiore e io la ricucirò subito". Udito ciò, il re scoppiò a ridere e disse: "Sia benedetto davanti al dio dell'Egitto il giorno in cui è nato Achicar e, poiché ti ho visto in vita, farò una festa e un banchetto". Quando mi diede il tributo di tre anni dell'Egitto, me ne tornai senza indugio dal mio signore, il re Sennacheribbo. Questi mi venne incontro e mi ricevette facendo una festa e mi collocò alla testa dei suoi cortigiani. Quindi mi 

disse: "Domandami, o Achicar, tutto quello che vuoi". Io 

mi prosternai davanti al re dicendogli: "O re mio signore, tutto 

ciò che vuoi darmi, concedilo al mio collega Nabusemakh, perché lui mi ha salvato la vita 68. Quanto a me, o re, da' ordine che mi consegnino mio figlio Nadan, affinché gli dia un'ulteriore istruzione, visto che ha dimenticato la precedente". Il re ordinò che me lo consegnassero e mi disse: "Va', o Achicar, e fa' pure ciò che vuoi con tuo figlio Nadan, perché nessuno sottrarrà il suo corpo dalle tue mani". 

Così presi mio figlio Nadan e lo portai a casa mia. Lo legai con delle catene di ferro del peso di venti talenti, le attaccai a degli anelli e gli posi sul collo dei serrami; poi lo colpii sulle spalle con mille frustate e sui fianchi con mille e una. Lo misi nel portico della porta del mio cortile, dandogli un siclo di cibo e un siclo d'acqua, e lo affidai in custodia al mio giovane servo Nabuel, dicendogli: "Scrivi su una tavoletta tutto ciò che dirò a mio figlio Nadan quando entro e quando esco". 

Quindi, rivolgendomi a mio figlio Nadan, gli dissi: 

1. Figlio mio, chi non ode con le orecchie, lo si fa udire dietro al suo collo. 

In risposta il mio figlio Nadan mi disse: "Perché sei così adirato contro tuo figlio?". Gli risposi: 

2. Figlio mio, ti ho fatto sedere sul seggio dell'onore, mentre tu mi hai buttato giù dal mio seggio, ma la mia rettitudine mi ha salvato. 

3. Per me tu fosti, figlio mio, come uno scorpione che colpisce un macigno e (questo) gli dice: "Hai colpito un cuore indifferente", (oppure come uno scorpione) che ha colpito un ago e gli dicono: "Hai colpito un pungiglione peggiore del tuo". 

4. Per me tu fosti, figlio mio, come una capra che stava presso un arbusto di sommacco e lo brucava. Il sommacco le disse: "Perché mi mangi se poi la tua pelle la conciano con la mia radice?". Gli rispose la capra: "Ti mangio mentre sono in vita e, quando sarò morta, ti strapperanno dalla tua radice" 69. 

 5. Per me tu fosti, figlio mio, come quell'uomo che scagliò una pietra contro il cielo senza raggiungerlo 70 e ricevette punizione da Dio per il peccato. 

6. Per me tu fosti, figlio mio, come quell'uomo che vide un compagno rabbrividire dal freddo e, presa una brocca d'acqua, gliela versò addosso. 

7. Neppure se mi avessi ucciso, figlio mio, saresti riuscito a prendere il mio posto. Avresti infatti capito, o figlio, che la coda di un maiale, quand'anche crescesse di sette cubiti, non può sostituire (quella di) un cavallo e che il suo pelo, quand'anche fosse liscio e venisse tessuto, non coprirà mai il corpo di un uomo libero 71. 

8. Figlio mio, io dissi che mi saresti succeduto e che avresti ottenuto e ereditato la mia casa e i miei beni; ma la cosa non piacque a Dio ed Egli non ascoltò la mia voce. 

9. Per me tu fosti, figlio mio, come un leone che ha incontrato un asino all'alba di un giorno e gli disse: "Benvenuto, o proprietario terriero!" 72. L'asino gli rispose: "Un benvenuto simile a quello che mi dài sia (rivolto) a quel (proprietario) che ieri sera mi ha legato perché non vedessi il tuo volto, ma non ha stretto il nodo". 

10. Figlio mio, su un letamaio fu collocata una trappola e un passero che venne la vide e le disse: "Che cosa fai qui?". Gli rispose la trappola: "Sto pregando Dio". Le disse il passero: "Che cos'è allora ciò che tieni in bocca?". La trappola rispose: "Del pane per i passanti". Allora il passero si avvicinò e lo prese e la trappola lo acchiappò sul collo. Sconvolto, il passero disse: "Se questo è il pane per i passanti, Iddio che tu stai pregando non ascolti la tua voce". 

11. Tu fosti, figlio mio, come un bue che fu legato assieme a un leone e il leone si rigirò e lo sbranò. 

12. Per me tu fosti, figlio mio, come un bacherozzo dei cereali che ha distrutto i granai del re pur essendo del tutto insignificante. 

13. Per me tu fosti, figlio mio, come una pentola a cui fecero le anse d'oro, ma dal cui fondo non è stata raschiata la fuliggine. 

14. Per me tu fosti, figlio mio, come quel contadino che seminò con venti moggi d'orzo un campo che, quando fu mietuto, gli rese (solo) venti moggi. Egli allora gli disse: "Quel poco che ho sparso l'ho raccolto, ma tu vergognati del tuo cattivo nome per aver fatto un moggio di un moggio: io infatti (come) vivrò?". 

15. Per me tu fosti, figlio mio, come un uccello da richiamo 73, che non salva sé stesso dalla morte e con la sua voce ammazza i suoi compagni. 

16. Per me tu fosti, figlio mio, come il capro che conduce i suoi compagni nel mattatoio, ma non salva se stesso. 

17. Per me tu fosti, figlio mio, come quel cane che entrò nella fornace dei vasai per scaldarsi e che, dopo essersi riscaldato, si mise ad abbaiare contro di loro 74. 

18. Per me tu fosti, figlio mio, come quel maiale che si era recato ai bagni e che, quando uscì e vide una pozza di fango, vi scese dentro e vi sguazzò, dicendo ai suoi compagni: "Venite a lavarvi!" 75. 

19. Figlio mio, il mio dito è (rivolto) alla tua bocca e il tuo dito è (rivolto) ai miei occhi. Perché ti alleverò, o volpe, se i tuoi occhi guardano delle mele? 76. 

 20. Figlio mio, il cane che mangia parte della selvaggina diventa preda dei lupi; il braccio inoperoso viene tagliato dalla sua ascella e l'occhio che non ha vista viene strappato via dal corvo. 

21. Che mi hai fatto di bene, o figlio, affinché l'anima mia ti ricordasse e fosse consolata da te? 77. 

22. Figlio mio, se gli dèi rubassero, per quale ragione li chiamerebbero a testimonianza? E un leone che rubasse della terra come potrebbe sedersi a mangiarla? 78. 

23. Io, figlio mio, ti ho mostrato il volto del re e ti ho portato a grandi onori; tu invece hai cercato (solo) di nuocermi. 

24. Per me tu fosti, figlio mio, come l'albero che disse ai suoi abbattitori: "Se non aveste avuto in mano qualcosa di mio, non mi avreste aggredito" 79. 

25. Per me tu fosti, figlio mio, come i rondinotti che caddero dal nido e li raccolse il gatto. Questi disse loro: "Se non ci fossi stato io, vi sarebbe toccata una grande sventura". Gli risposero: "E' per questo che ci hai messi nella tua bocca?". 

26. Per me tu fosti, figlio mio, come quel gatto a cui andavano dicendo: "Smettila di rubare e potrai entrare e uscire dalla casa del re come ti aggrada". Esso rispose: "Anche se avessi gli occhi e le orecchie d'argento io non smetterei di rubare". 

27. Per me tu fosti, figlio mio, come un serpente che fu messo su un rovo e gettato in un fiume. Li vide un lupo e disse loro: "Un malvagio cavalca un malvagio e uno più malvagio di loro due se li porta via". Gli rispose il serpente: "Se tu venissi qui, pagheresti il fio per le capre e i loro piccoli". 

28. Io, o figlio, ho visto una capra che fu portata al mattatoio, ma, poiché il suo tempo non era ancora venuto, ritornò al suo luogo e vide i suoi figli e i figli dei suoi figli. 

29. Figlio mio, ho visto puledri diventare gli uccisori delle loro madri. 

30. Figlio mio, ti ho cibato di ogni cosa gustosa; tu invece, o figlio, mi hai nutrito di pane (misto) a polvere e non potei saziarmi. 

31. Io, o figlio, ti ho unto con olii aromatici; tu invece, figlio mio, hai insozzato il mio corpo con la polvere. 

32. Io, o figlio, ti ho fatto crescere in statura come un cedro; tu invece, figlio mio, hai prostrato la mia vita e mi hai stordito con la tua malvagità. 

33. Figlio mio, ti ho reso grande come una torre e mi sono detto: "Se il nemico verrà contro di me, salirò e abiterò in te". Tu invece, come vedesti il mio nemico, t'inchinasti davanti a lui. 

34. Per me tu fosti, figlio mio, come una talpa che salì da sotto terra per vedere il sole 80, sebbene non avesse gli occhi; ma la vide un'aquila, che la colpì e se la portò via. Mio figlio Nadan mi rispose dicendo: "Dio non voglia, Achicar padre mio, che tu faccia queste cose! Trattami secondo la tua misericordia. Anche Dio infatti perdona agli uomini il loro peccato 81; perciò perdonami anche tu questa offesa e accudirò ai tuoi cavalli e pascolerò i porci di casa tua. Io posso essere chiamato malvagio, ma tu non tramare contro di me". Io gli risposi dicendo: 

 35. Per me tu fosti, figlio mio, come quella palma che sorgeva presso un fiume e che gettava tutti i suoi frutti in esso. Quando venne il suo padrone per tagliarla, essa gli disse: "Perdonami per quest'anno e ti farò delle carrube". Il suo padrone le disse: "Sei stata inoperosa in ciò che è tuo; come puoi essere operosa in ciò che tuo non è?". 

36. Figlio mio, a un lupo dicevano: "Perché insegui le pecore?". Rispose: "La loro polvere giova molto ai miei occhi". Lo portarono inoltre in una scuola e il maestro gli disse: "Alfa, beta", e il lupo gli rispose: "Capretto, agnello" 82. 

37. Figlio mio, ti ho insegnato che Iddio esiste, ma tu insorgi contro i buoni servitori e frusti quelli che sono innocenti. Così come Iddio ha conservato me in vita per la mia rettitudine, distruggerà te per le tue azioni. 

38. Figlio mio, misero la testa di un asino in un piatto su un vassoio. Essa rotolò giù e cadde nella polvere. Si disse allora che era in collera con sé stessa e che non accettava l'onore. 

39. Tu, figlio mio, hai confermato il proverbio che dice: "Chiama chi hai generato tuo figlio e chi hai acquistato tuo schiavo". 

40. Figlio mio, è verace il proverbio che dice: "Il figlio di tua sorella prendilo sotto la tua ascella e scaglialo contro una roccia". Ma Iddio che mi ha salvato la vita giudicherà tra di noi. 

In quello stesso momento Nadan gonfiò come un otre 83 e morì. 

41. Chi si comporta bene viene ricompensato col bene e chi fa il male viene ricompensato con la sventura. Chi scava una fossa per il suo vicino la riempie con la sua persona. 

Sia lode a Dio e su di noi la sua misericordia. Amen. 

Le massime di Achicar, saggio e ministro di Sennacheribbo, re di Ninive e di Assur sonoterminate


(C'è, poi, una serie di opere di taglio filosofico o sapienziale, come l'antico racconto di Achikar, di origine babilonese, adottato e trasformato dal mondo giudaico e divenuto molto popolare.)


AMDG et BVM

La splendida attività del Beato Pietro, primo degli apostoli + Gesta del beato Paolo apostolo e dottore delle genti, compiute in diversi luoghi


MEMORIE APOSTOLICHE DI ABDIA - PRIMO VESCOVO DI BABILONIA 

LIBRO I 

La splendida attività del Beato Pietro, 
primo degli apostoli 

[1] Dopo che il Signore si era fatto carne nella natività, e lo stesso Signore Gesù Cristo, vera luce del mondo, aveva mostrato la sua luce alle tenebre del mondo, mentre se ne camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone detto Pietro, e Andrea suo fratello, che lanciavano il giacchio in mare; erano infatti pescatori. Disse loro: "Seguitemi e vi renderò pescatori di uomini". E quelli subito, lasciate le reti, lo seguirono. Arrivato nei dintorni di Cesarea di Filippo, interrogò i suoi discepoli: "Chi dice la gente che sia il Figlio dell'uomo?". Essi risposero: "Alcuni dicono: è Giovanni il Battezzatore, altri Elia, altri Geremia o uno dei profeti". Rispose allora Simone Pietro senza esitazione e con fermezza: "Tu sei il Messia, il Figlio del Dio vivente". E Gesù a lui: "Beato sei tu, Simone bar-Jona, perché non la carne e il sangue te l'hanno rivelato ma il Padre mio che è nei cieli. Ebbene, io dico a te: tu sei Pietro e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa, e le porte dell'Ade non prevarranno contro di essa; ti darò le chiavi del regno dei cieli, e ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli". In quello stesso periodo il Cristo, presi con sè Pietro, Giovanni e Giacomo, tre dei discepoli più cari, andò secondo il suo solito su un monte a pregare. Appena i discepoli lo videro elevarsi un po' più in alto e circondato dalla luce del sole tra Mosè ed Elia, "Signore - disse Pietro - questo è un ottimo luogo per starci; e così, se sei d'accordo, faremo tre tende: una per te, una per Elia e una per Mosè" Gesù però non rispose nulla: li esortò invece ad alzarsi e a deporre il timore; e proseguì il suo discorso sulla passione. Prima delle festività pasquali, quando erano ormai imminenti, Gesù, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che egli era venuto da Dio e a Dio ritornava, si levò da mensa e depose le vesti; prese un panno, se ne cinse, quindi versò dell'acqua nel catino e prese a lavare i piedi dei suoi discepoli e ad asciugarli col panno. Giunto a Simone Pietro, Pietro gli dice: "Signore, tu i piedi non me li laverai". Gli risponde Gesù: "Ciò che sto facendo tu ora non lo comprendi, lo comprenderai però dopo". Allora Pietro: "Tu i piedi non me li laverai mai!". Gesù gli rispose: "Se non ti laverò, non avrai parte con me". Al che Pietro: "Non soltanto i piedi, ma anche il mio capo e le mie mani". Gesù, in occasione di quelle parole, rispose: "Chi ha fatto un bagno non ha più bisogno di essere lavato ancora, ma è del tutto mondo". Questi avvenimenti riguardanti Pietro risalgono a prima della risurrezione. 

[2] Quindi il Signore Gesù, dopo che fu risorto, disse a Pietro: "Simone di Giovanni, mi ami?". "Certo, Signore - rispose Pietro - tu lo sai che ti amo". Allora rispose Cristo: "Pasci i miei agnelli"; e soggiunse: "Simone di Giovanni, mi ami?". Gli rispose Pietro: "Lo sai che ti voglio bene". "Pasci allora le mie pecore", rispose Gesù. E per la terza volta rivolto a Pietro: "Simone di Giovanni, mi ami?". Udito questo, Pietro si rattristò perché gli aveva chiesto per la terza volta: "Mi ami?" e rispose: "Signore, tu lo sai che ti amo!". E Gesù: "Pasci allora le mie pecore. In verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi e andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio stenderai le braccia e un altro ti cingerà e ti condurrà dove tu non vorrai!". Disse questo per indicare con quale genere di morte doveva glorificare Dio. Questi fatti risalgono al tempo in cui il Salvatore, dopo essere risorto, era apparso sulla spiaggia del mare di Tiberiade ai discepoli che stavano pescando e aveva chiesto loro se avessero preso qualche pesce. Ma essi, che da lontano non avevano riconosciuto il Signore, assicuravano di no. All'udire questo, Gesù ordinò di gettare la rete a destra della barca. Quando essi l'ebbero fatto e Pietro si fu tuffato in mare, tirarono su una rete piena di pesci. Stupefatti da quel miracolo, cominciarono a riconoscere il Signore, e guadagnata la riva trovarono vicino a lui del pesce sopra la brace e del pane. Dopo che ebbero contati ben cento e cinquanta pesci, il Cristo invitò i discepoli a sedere e a mangiare pane e pesce con lui. Questi fatti di Pietro, degni di essere ricordati, avvennero quando ancora Egli era sulla terra dopo la risurrezione. 

[3] Dopo che il Signore Gesù fu assunto in cielo, Pietro e Giovanni stavano salendo al tempio verso l'ora nona per la preghiera. Ed ecco che veniva portato un uomo nato storpio, che usavano collocare ogni giorno alla porta del tempio chiamata "Bella" perché chiedesse l'elemosina a quanti vi entravano. Costui, visti Pietro e Giovanni che stavano entrando, chiese loro l'elemosina. Pietro con Giovanni lo fissò e disse: "Guarda verso di noi". L'uomo li guardava attento, con la speranza di riceverne qualcosa. Allora Pietro: "Non ho argento e oro, ma quel che possiedo te lo do: in nome di Gesù Cristo, il Nazareno, alzati e cammina!". E, presolo per la destra, fece l'atto di rialzarlo. All'istante piedi e caviglie presero vigore, ed egli con un balzo fu in piedi e camminò. Entrò poi con loro nel tempio e si mise a testimoniare pubblicamente il fatto e a esaltare il Signore. Come età aveva superato i quarant'anni. Frattanto il numero di coloro che abbracciavano la fede, una moltitudine di uomini e di donne, cresceva sempre più, e si arrivò al punto di portar fuori nelle piazze gli ammalati e di deporli sui rispettivi lettini e barelle lungo le vie pubbliche su cui avevano saputo che gli apostoli sarebbero arrivati. Molti ancora dalle città vicine raggiungevano Gerusalemme portando uomini infermi e tormentati da potenze maligne, e Pietro li guariva tutti Intanto corse voce a Gerusalemme che la Samaria aveva accolto il vangelo e gli apostoli vi inviarono Pietro e Giovanni. Essi, giunti colà, recitarono per loro un'orazione perché ricevessero lo Spirito santo. Su nessuno di loro infatti era disceso ancora, ma erano stati soltanto battezzati nel nome di Gesù. Allora gli apostoli imposero loro le mani, e così anche i Samaritani ricevettero lo Spirito santo. Un certo Simone, detto il Mago, quando vide che con l'imposizione delle mani degli apostoli veniva dato lo Spirito santo, offrì loro del denaro dicendo: "Fornite anche a me questo potere di conferire lo Spirito santo a chiunque imporrò le mani". Pietro gli rispose: "Alla malora tu e il tuo denaro, perché hai creduto di ottenere il dono di Dio con l'oro. Tu non parteciperai mai a ciò che hai chiesto. Questo perché il tuo cuore non è retto davanti a Dio. Pentiti, quindi, ravvediti da questa tua nefandezza e chiedi a Dio, se possibile, di perdonare il tuo desiderio, perché è iniquo. Io infatti ti vedo schiavo di una passione perniciosa". Simone rispose: "Pregate voi per me il Signore che nulla mi accada di quanto mi avete detto". Essi pertanto, dopo aver testimoniato ed esposto il vangelo di Gesù, rientrarono a Gerusalemme, evangelizzando molte zone della Samaria. 

[4] Avvenne allora che Pietro, toccando molte città e villaggi, scese presso i cristiani residenti a Lidda. Là trovò un paralitico chiamato Enea, che giaceva da otto anni in un letto, e gli disse: "Enea, alzati, il Signore nostro Gesù Cristo ti ha guarito". E subito quegli si alzò e si rifece il letto. Lo videro tutti gli abitanti di Lidda e del Saron e si convertirono al Signore. Durante questi avvenimenti occorse il fatto di una cristiana di nome Tabita, che significa "gazzella". Costei si dava alle opere buone e alle elemosine che elargiva di continuo. Un giorno cadde ammalata e morì. I parenti paterni, dopo averla lavata, la deposero nella sala superiore. E siccome Lidda era vicina a Joppe, inviarono due uomini da Pietro per invitarlo a venire da loro immediatamente. Pietro, ricevuta la notizia, si mise in cammino e giunse con loro a Joppe. Appena arrivato, lo fecero salire alla sala superiore e venne attorniato da tutte le vedove in lacrime che gli mostravano tuniche e mantelli che aveva loro confezionato Gazzella. Pietro, commosso dal pianto di costoro, dopo aver fatto uscire tutti i parenti, alzò occhi e mani al cielo, e inginocchiatosi, si mise a pregare. Rivolto al cadavere, disse: "Tabita, alzati!". Quella aprì gli occhi e, visto Pietro, si levò a sedere. Pietro allora le porse la mano, la fece alzare e, chiamati i cristiani e le vedove, la presentò loro viva. Il fatto si riseppe in tutta Joppe e molti credettero nel Signore. 

[5] In quello stesso periodo il re Erode prese a maltrattare alcuni membri della Chiesa; vedendo che la cosa era gradita agli Ebrei, arrestò anche Pietro. Si era nei giorni degli Azzimi. Presolo, lo mise in carcere, affidandolo alla custodia di quattro plotoni di soldati, con l'intento di fargli il processo dopo la Pasqua. Pietro era rinchiuso in carcere, ma la Chiesa innalzava continuamente preghiere per lui al Signore. Quando Erode fu sul punto di portarlo in giudizio, quella stessa notte Pietro era addormentato tra due soldati, legato con due catene. I carcerieri montavano la guardia davanti alla porta. Quand'ecco un angelo del Signore apparve e una luce brillò nella cella; toccato Pietro sul fianco, il Signore lo svegliò: "Alzati in fretta"; le catene gli caddero dai polsi, e l'angelo gli disse: "Mettiti la cintura e i sandali"; Pietro ubbidì. Disse ancora: "Indossa il mantello e seguimi". Pietro, seguendolo, uscì; ma non riusciva a capacitarsi che ciò che stava facendo, grazie all'angelo, fosse vero: credeva piuttosto che fosse un sogno. Traversati così il primo e il secondo posto di guardia, giunsero al portone di ferro che dava in città, il quale si aprì da solo. Usciti, percorsero una strada, quando improvvisamente l'angelo scomparve. Pietro, ripresosi, disse: "Ora sono sicuro che il Signore ha inviato il suo angelo e mi ha tolto dalle mani di Erode e dalle speranze del popolo ebreo". 

[6] Dopo questi fatti si fece avanti un certo Simone samaritano, che appena vide i miracoli di Pietro, cercò di acquistare il carisma dello Spirito, lui che diceva di essere un gran personaggio e di essere diverso e cangiante; a coloro che avessero creduto in lui egli prometteva di sottrarli alla morte. Costui desiderava creare difficoltà all'insegnamento di Pietro e porne in ridicolo la dottrina; fissò anche un giorno nel quale essere presente allorché la folla si radunava per udire Pietro allo scopo di discutere con lui. Pietro allora si trovava a Cesarea di Stratone. Giunta l'alba del giorno stabilito, Zaccheo, capo della città, si presentò a Pietro e gli disse: "E' ora che tu vada a discutere Pietro. La folla, già radunata al centro dell'atrio, si accalca per aspettarti; in mezzo ad essa vi è Simone con un forte seguito". Pietro, udito questo, per fare la preghiera fece allontanare alcuni che non erano ancora stati mondati dai peccati commessi senza averne coscienza, e disse rivolto ai restanti: "Preghiamo fratelli, perché il Signore per mezzo di Cristo suo Figlio e per la sua ineffabile misericordia mi aiuti mentre sto per espormi in favore della salvezza di individui che sono creature pure di Dio". Detto questo, conclusa la preghiera, si portò nell'atrio della casa dove era radunata una folla grandissima. Appena gli sembrò che tutti fossero attenti nel più grande silenzio e il mago Simone fungesse da capo in mezzo a loro, cominciò così: 

[7] "Pace a voi tutti che siete disposti a conciliarvi con la verità. A chiunque infatti la segue, pare naturale rendere un favore a Dio; mentre sono essi a conseguire da lui un dono di grandissimo valore, percorrendo i sentieri della sua giustizia Perciò la prima cosa da fare è ricercare la giustizia del Signore ed il suo regno. La giustizia, perché impariamo ad agire rettamente; il regno, poi, perché conosciamo qual è il frutto delle fatiche e della sofferenza. In esso, per coloro che hanno vissuto bene, vi è ricompensa dei beni eterni; per coloro invece che saranno andati contro la sua volontà ci sarà un equivalente contraccambio di pena per le loro azioni. Quindi è qui, cioè, mentre siete in questa vita, che dovete riconoscere la volontà del Signore e quando viene l'opportunità di agire. Infatti se qualcuno volesse cercare ciò che non può trovare, prima di aver emendato la sua condotta, la sua ricerca sarà sciocca e inutile. Il tempo è poco e il giudizio sarà fatto in vista delle azioni, non delle dispute. Perciò prima di tutto chiediamoci che cosa sia necessario fare o in che modo farlo per meritare la vita eterna. Il mio parere è quindi questo, che è pure quello del Profeta: ricerchiamo dapprima la giustizia specialmente coloro che fanno la professione di conoscere il Signore. Se c'è qualcuno che reputa che vi sia qualche cosa di più giusto, lo dica. Dopo averlo detto, ascolti, ma con calma e pazienza. Infatti per questo all'inizio, sotto la forma di un saluto, ho augurato pace a voi tutti". 

[8] Simone di rimando rispose: "A noi non occorre la tua pace, perché se la pace e la concordia esistessero, nella ricerca della verità non potremmo avanzare di un sol passo: infatti sono i ladri, i lussuriosi ad essere in pace tra loro, perché ogni nefandezza dà ragione a se stessa; se quindi ci siamo radunati per questo, vale a dire per applaudire per amor di pace ogni cosa che viene detta, non gioveremmo in nessun modo a coloro che ci ascoltano, ma al contrario li illuderemmo per andarcene da buoni amici. Perciò non invocare la pace, ma piuttosto la diatriba; se gli errori li puoi confutare, non ricercare l'amicizia ottenuta con adulazioni ingiuste. Voglio che tu sappia innanzitutto che quando due vengono a diverbio, verrà il momento nel quale uno dei due, vinto, cadrà". Pietro rispose: "Perché temi di udire spesso la parola pace? Ignori forse che la perfezione della legge è data dalla pace? Dal peccato infatti nasce guerra e discordia. Quando invece non c'è peccato, esiste la pace nelle discussioni, e la verità nelle opere". E Simone: "Le parole che hai detto sono vuote. Ora però ti mostrero la potenza della mia capacità soprannaturale, in modo che subito ti ravveda e mi adori. 

[9] Io sono la potenza prima immortale e infinita. Entrato nell'utero di Rachele, fui generato da lei come uomo in modo da poter essere visto dagli uomini. Ho volato nel cielo, il mio corpo è composto col fuoco; ho fatto sì che le statue si muovessero, ho animato cose inanimate, ho mutato pietre in pane, da un monte ho volato discendendo sorretto dalle mani degli angeli. E queste cose non solo le ho fatte, ma le posso ripetere ora per dimostrare a tutti che sono il Figlio di Dio, che sono immortale e in grado di rendere immortali coloro che credono in me. Le tue parole sono tutte inutili, né puoi addurre alcun fatto che provi la verità. Come quel famoso mago che ti ha inviato, che non ha nemmeno potuto liberarsi dal supplizio della croce. Io posso infatti rendermi invisibile a coloro che volessero catturarmi, e poi di nuovo, volendolo, rendermi palese. Se volessi fuggire, trapasserei monti e rocce come argilla. Se precipitassi da un monte altissimo, giungerei a terra illeso, come se fossi trasportato; legato, sarei io stesso a liberarmi e legherei a mia volta coloro che mi avessero messo le catene; gettato assieme agli altri in carcere, farei sì che le porte si aprissero da sole. Trasformerei le statue inanimate in modo tale che vengano ritenute persone vive da coloro che le osservano; in un batter d'occhio farei nascere nuove piante e produrrei virgulti improvvisi; mi butterei nel fuoco, ma non mi brucerei; mi trasformerei in modo tale da non essere riconosciuto. Potrei avere due volti da mostrare agli uomini: apparire come pecora o capra; e, sebbene neonato, mettere la barba. Potrei librarmi volando nell'aria, rivelare ricchezze ingenti, costituire re ed essere adorato come Signore, ricevere di fronte a tutti onori divini in modo che, costruitami un'effige, mi onorino come Signore e mi adorino. Ma che bisogno c'è di elencare tutto? Io posso fare tutto ciò che voglio. Molte di tali opere le ho già sperimentate con successo. Infine, disse, una volta quando mia madre Rachele mi ordinò di andare nel campo a mietere, io, vedendo una falce, le comandai di andare a mietere: ed essa falciò dieci volte più delle altre. Dalla terra ho fatto scaturire virgulti nuovi che in un istante apparvero e misero fronde. Un'altra volta ho perforato un vicino monte". 

[10] Dopo che Simone ebbe parlato, Pietro rispose: "Non dire degli altri ciò che non sono. Che tu sia un mago è chiaro e palese dagli stessi discorsi che hai fatto. Il nostro Maestro, di natura divina e umana, è palesemente buono. Quanto al fatto che sia veramente Figlio del Signore, viene comprovato da quegli stessi motivi grazie ai quali fu comprovato. Quanto a te, se non vuoi confessare di essere un mago, andiamo con tutta questa folla a casa tua, e lì scopriremo allora chi è il mago". Ma mentre Pietro diceva questo, Simone cominciò a bestemmiare e a maledire, e non pot‚ essere redarguito nel tramestio generale che ne seguì. Pietro, per non far vedere che se ne andava a causa delle imprecazioni, rimase immobile e lo redarguì aspramente. Il popolo indignato respinse Simone fuori dalle porte di casa, dopo che era già stato scacciato dall'atrio. Uno solo lo seguì. Nel silenzio generale, Pietro così parlò al popolo: "Fratelli, dovete sopportare pazientemente le persone malvagie, ricordatevi che il Signore, pur potendo annientarle, permette tuttavia che vivano fino al giorno prefissato in cui tutto sarà sottoposto al giudizio. Potremo quindi non sopportare noi coloro che sopporta il Signore, cui sono sottomessi e ubbidiscono i cieli e la terra? E voi che vi siete convertiti al Signore per mezzo della penitenza, piegate davanti a lui le ginocchia". Detto questo, si inginocchiò davanti al Signore. Pietro, con gli occhi al cielo pregava tra le lacrime per loro, perché il Signore, nella sua bontà, si degnasse di accogliere coloro che si rimettevano completamente a lui. Dopo aver pregato e prescritto che il giorno seguente giungessero per tempo, celebrò l'Eucaristia. Quindi, come d'uso, rimase in silenzio. 

[11] Al mattino giunse un discepolo di Simone a dire: "Ti prego, Pietro, accogli me, misero, che sono stato ingannato dal mago Simone; lo credevo un Dio celeste per tutti i prodigi che gli ho visto fare; dopo aver udito però le tue parole ho cominciato a considerarlo come un uomo, e per di più malvagio. Tuttavia quando uscì di qui, io solo lo seguii, poiché non avevo ancora riconosciuto tutte le sue empietà. Quando vide che lo seguivo, chiamandomi beato, mi condusse a casa sua. Verso mezzanotte mi disse: "Ti renderò superiore a tutti gli uomini, se vorrai restare con me fino in fondo". Appena glielo promisi, pretese da me un giuramento di costanza; dopo averlo ricevuto, pose sulle mie spalle certi suoi segreti impudichi ed esecrabili, perché li portassi, e mi seguì. Appena giunto al mare e salito su di una barca che si trovava lì per caso, riprese dal mio collo ciò che mi aveva ordinato di portare. Discesone poco dopo, non riportò indietro nulla: naturalmente l'aveva gettato in mare. Mi pregò poi di mettermi in cammino con lui, dicendo di voler raggiungere Roma. Là infatti avrebbe avuto tanto successo da venir considerato Signore ed essere insignito pubblicamente di onori divini. "Allora, disse, pieno di ogni ricchezza, se desidererai ritornare qui, ti rimanderò trasportato da una moltitudine di potenze angeliche!". Udite queste parole e non vedendo in lui nulla che potesse testimoniare questa promessa, capii che era un mago e un ingannatore, e risposi: "Ti prego di scusarmi ché i piedi mi fanno male e non sono in grado di andarmene da Cesarea. Oltre al resto ho moglie e figli piccoli che non posso assolutamente lasciare". Udite queste parole, partì per Roma accusandomi di viltà e dicendomi: "Quando saprai della fama di cui mi sarò circondato in Roma, ti pentirai". Dopo di questo, come aveva detto, si diresse verso Roma. Dal canto mio sono subito tornato qui a pregarti di accogliermi come penitente, perché da lui sono stato ingannato". 

[12] Appena colui che aveva abbandonato Simone ebbe finito di parlare, Pietro gli ordinò di prendere posto nell'atrio. Anch'egli, facendosi avanti e vedendo che la folla era molto più numerosa dei giorni precedenti, si pose al solito posto e, indicando colui che aveva abbandonato Simone, disse: "Fratelli costui che vedete, è venuto poco fa da me per informarmi sulle nefandezze magiche di Simone e in che modo egli abbia gettato in mare tutti gli artifizi della sua scelleratezza, non per un sentimento di penitenza, ma per il timore di essere arrestato e sottoposto alle leggi pubbliche". Mentre Pietro parlava, il popolo era stupito di vedere l'uomo che aveva abbandonato Simone. Quindi Pietro, lasciata Cesarea, raggiunse Tripoli e, entrato in casa di Marone, vide un luogo adatto alla discussione. Appena vide la folla, che appariva come un grande fiume che si fosse riversato in un piccolo alveo, salì su un piedistallo che era appoggiato lungo la parete che dava sul giardino e salutò dapprima il popolo, secondo l'uso religioso. Alcuni dei presenti, da parecchio tempo in preda ai demoni, si gettarono per terra mentre gli spiriti immondi scongiurarono Pietro che permettesse loro di rimanere anche per un solo giorno nei corpi che occupavano. Pietro, esorcizzandoli, ordinò loro di uscire immediatamente, ed essi se ne andarono senza indugio. Anche altri, infermi da lungo tempo, invocarono Pietro perché li risanasse ed egli promise che avrebbe per loro supplicato il Signore appena terminata l'istruzione religiosa; subito, come aveva promesso, furono guariti dalle loro malattie. Volle che costoro andassero a sedersi in disparte assieme a quelli che erano stati guariti dai demoni, come se fossero affaticati dopo un lungo lavoro. 

[13] Partito da Tripoli, Pietro si diresse verso Antiochia. Giunse alle isole dette Ancaridi nel cui tempio c'erano delle colonne di rara grandezza e, per vederle, molti erano venuti con Pietro; Pietro dopo averle ammirate ed essere uscito dalle porte, vide una donnina che chiedeva l'elemosina a coloro che entravano. Dopo averla guardata attentamente, disse: "Dimmi, donna, che difetto fisico hai da sottometterti alla vergogna di chiedere l'elemosina e perché non ti procuri con le tue mani, ricevute dal Signore, il cibo, frutto del lavoro?". Quella rispose sospirando: "Volesse il cielo che avessi mani da potere muovere! Mi è rimasta solamente l'apparenza delle mani. Esse infatti sono morte, malferme e insensibili ai miei morsi". Pietro allora, dopo averle preso le mani, le risanò. Quella donna era la madre di Clemente dal quale nello stesso posto fu riconosciuta. Difatti, grazie alla potenza di Pietro, riabbracciò gli altri figli Faustino e Fausto che, con nomi diversi, venivano chiamati Aquila e Nicia, e così pure suo marito Faustino, che per molto tempo erano rimasti lontani. Siccome volevano lasciare per mare l'isola, la madre disse a Clemente: "Figlio carissimo, è giusto che dica addio alla donna che mi ha accolto: infatti è povera, paralitica e inchiodata a un letto". Udito questo Pietro e tutti coloro che avevano ascoltato rimasero ammirati di fronte alla bontà e alla prudenza della donna. Pietro ordinò immediatamente ad alcuni di andare e di portare la donna sul lettino in cui giaceva. Appena fu portata e messa in mezzo alla folla che era presente, Pietro disse di fronte a tutti: "Se io sono un banditore della verità, per rafforzare la fede di tutti i presenti, perché sappiano e credano che uno solo è il Signore che ha fatto il cielo e la terra, in nome di Gesù Cristo Figlio suo si alzi costei". E subito, appena Pietro ebbe pronunciate queste parole, la donna si alzò risanata e si gettò ai piedi di Pietro, e, baciando una sua intima parente, ringraziava il Signore. 

[14] Fatto questo, siccome Pietro voleva andarsene all'albergo, il padrone di casa gli disse: "E' indecoroso per un uomo come te albergare in una locanda quando io ho quasi tutta la casa da metterti a disposizione e diversi letti completi di tutto il necessario". Ma poiché Pietro rifiutava, la moglie del capo-famiglia si presentò davanti a lui assieme ai figli esortandolo: "Ti prego, rimani presso di noi!". Ma neppure così Pietro si decideva ad acconsentire. Giunse allora la figlia di coloro che lo pregavano; da molto tempo essa era posseduta dal demonio e perciò era stata messa in catene e chiusa in una stanza. Allorché si presentò a Pietro aveva le catene, in mano, poiché il demonio se ne era andato da solo; questa disse: "O mio Signore, sarebbe cosa buona che tu oggi festeggiassi qui la mia guarigione e non rattristassi me e i miei parenti". Mentre Pietro si chiedeva il perché di queste parole e delle catene, i parenti di lei, lieti per la guarigione insperata della figlia e stupiti, non riuscivano a dir nulla. I servi dissero: "Costei posseduta dal demonio fin dall'età di sette anni, strappava le vesti di coloro che tentavano di avvicinarsi, li feriva con morsi e cercava di sbranarli. Da vent'anni a questa parte non ha mai smesso di comportarsi così e nessuno ha mai potuto curarla, anzi, nemmeno avvicinarla. Molti infatti li ha fatti andare via senza aver concluso niente, altri li ha uccisi. Era più forte di qualsiasi uomo, poiché certamente si serviva delle forze del demonio. Ora, come vedi, il demonio è fuggito dalla tua presenza: le porte, che erano serrate con tutta sicurezza, si sono aperte e lei se ne sta guarita di fronte a te, pregandoti di rendere lieto per lei e per i suoi parenti il giorno della sua guarigione". Dopo che uno dei servi ebbe parlato così, e le catene caddero spontaneamente dalle sue mani e dai suoi piedi, Pietro, convinto di essere stato lui a guarirla, acconsentì ad andare nella casa di suo padre. 

[15] Dopo questi fatti, Pietro, in viaggio per Roma, presentì imminente la propria morte. Perciò nell'assemblea dei fratelli, prendendo la mano di Clemente, si alzò senza indugi e fece risuonare queste parole a tutta la Chiesa: "Ascoltatemi, fratelli e come me servi: siccome il Signore e Maestro Gesù Cristo che mi ha mandato mi ha fatto sapere che è imminente l'ora della mia morte, vi ordinerò vescovo questo Clemente: a lui solo affido la cattedra della mia predicazione e dottrina; egli mi è stato compagno in tutto, dall'inizio alla fine, e perciò ha conosciuto la veridicità di tutta la mia predicazione. Mi è stato compagno perseverante e fedele in tutte le tentazioni. L'ho conosciuto più degli altri come servo del Signore, amante del prossimo, casto, studioso, sobrio, benigno, giusto, paziente come colui che sa sopportare le ingiurie di alcuni anche se vengono da parte di coloro che sono istruiti nella Parola del Signore. Perciò affido a lui il potere datomi dal Signore di legare e di sciogliere di modo che qualunque cosa avrà decretato in terra, rimarrà stabilita anche in cielo. Legherà infatti ciò che sarà necessario legare, e scioglierà ciò che sarà necessario sciogliere". Detto questo, gli impose le mani e lo fece sedere sul suo seggio spiegandogli diffusamente come doveva governare la Chiesa affidatagli o nutrire il gregge ricevuto. 

[16] In quello stesso periodo l'apostolo Paolo, in viaggio per Roma, predicava il Cristo Signore. Quindi al tempo di Nerone Cesare, vi erano a Roma gli apostoli Pietro e Paolo, maestri apportatori della salvezza cristiana grazie ai quali, mentre la fede nel Signore Gesù Cristo si sviluppava nella mente di tutti, aumentava la diffusione della vera religione perché erano meravigliosi nelle loro opere e famosi nell'insegnamento in forza della grazia divina. Nerone cominciò ad avversare in modo forte gli apostoli tramite il mago Simone: poiché il mago aveva conquistato con varie illusioni diaboliche l'animo del Cesare al punto che confidava in lui senza il minimo sospetto come in uno che presiedeva alla sua salvezza ed era custode della sua vita. Difatti credeva che con il suo aiuto avrebbe conseguito vittorie in guerra, sottomesso genti e avuto prosperità. Ma l'apostolo Pietro smantellò i suoi sogni ambiziosi e tutte le sue scelleraggini perché la luce della verità e lo splendore della parola divina che da non molto tempo si era irradiata per la salvezza degli uomini, grazie agli apostoli, aveva fatto scomparire dalle umane menti l'oscurità di tutta quanta la menzogna, e le tenebre dell'ignoranza. Allora il mago Simone colpito dal bagliore della vera luce divenne cieco immediatamente: colui che già in Giudea era stato confutato per le sue scelleratezze, e se ne era fuggito dall'altra parte del mare. Egli che altrove aveva sperimentato il potere di Pietro, precedutolo a Roma, osò vantarsi di poter risuscitare i morti. In quello stesso momento era morto un nobile adolescente, parente di Cesare. Si radunò un gran numero di parenti, si chiedevano a vicenda se ci fosse qualcuno che potesse risuscitare il morto. Pietro aveva già una buona fama in questo, ma dai pagani non si credeva per nulla a tutto ciò. Il dolore tuttavia richiese che si cercasse un rimedio; vi furono alcuni che ritennero bene invitare anche Simone, in modo che vi fossero ambedue. Dato che Simone si gloriava della sua potenza, Pietro disse ai parenti che si provasse lui per primo, se ne era capace, a risuscitare il morto. Se non ce l'avesse fatta, fossero pure certi che Cristo avrebbe agito sul morto. Simone che dai pagani era ritenuto dotato di una grande potenza, pose come condizione che, se egli avesse risuscitato il morto, Pietro venisse ucciso, giacché aveva ingiuriato una persona così potente sfidandola con parole provocanti; se però non fosse riuscito a nulla e Pietro avesse risuscitato il morto, il mago si sarebbe sottomesso alla sentenza che era stata posta contro l'apostolo. Pattuita questa condizione, si avvicinò al lettuccio del defunto, e cominciò a fare incantesimi e a sussurrare segretamente formule imprecatorie. Ai presenti sembrò di vedere il capo del defunto muoversi e già si levarono le grida della folla perché si pensava che il morto ritornasse in vita e parlasse con Simone. Cominciò a farsi sentire una grande e generale indignazione verso Pietro, perché aveva osato mettersi a confronto con un uomo così potente. Allora Pietro domandò il silenzio e disse: "Se il defunto è ritornato in vita, parli; se è veramente stato risuscitato, si alzi, cammini e faccia sentire la sua voce. Io vi farò toccare con mano che è un'illusione e non la verità il movimento del capo del defunto. Il mago venga dunque allontanato, disse, dal lettino e saranno messi a nudo gli inganni diabolici". Simone allora venne allontanato dal letto e il morto rimase immobile senza alcuna speranza di vita. Pietro assisteva da lontano e, dopo aver pregato per un poco tra sè, disse: "Fanciullo, alzati, io te lo dico: il nostro Signore Gesù Cristo ti ridà la vita". Immediatamente il giovane si alzò, parlò e camminò, e Pietro lo restituì vivo a sua madre. Essa voleva ricompensare il beato apostolo, ma questi le disse: "Stattene tranquilla, o madre, per tuo figlio e non aver paura; ha infatti il suo custode". 

[17] E poiché il popolo voleva lapidare il mago Simone, Pietro riprese: "Gli è già una pena sufficiente il fatto di essersi visto battuto sul suo stesso campo. Rimanga in vita a vedere crescere il regno di Cristo, anche se non lo desidera". Il mago frattanto si tormentava e, scosso dalla gloria dell'apostolo, corse da Nerone Cesare e, servendosi di una nuova ingiuria, nei confronti di Pietro, ottenne che venisse convocato. Quando furono ambedue di fronte all'imperatore, Simone parlò per primo: "Mi meraviglio che tu, Cesare, ritenga costui come uomo di un certo valore, mentre è un pescatore fallito, pieno di menzogne, e sprovvisto di ogni potere, sia quanto a parole sia quanto a fatti. Non sopportare più a lungo questo avversario, comanderò ai miei angeli ora di venire a farmi vendetta di costui". Al che Pietro: "Non temo certamente i tuoi angeli, costretti ad avere paura di me, in forza della mia fede nel Cristo, in questo mio Signore che tu pretendi di essere. Difatti se c'è qualcosa di divino in te che ti fa scrutare i pensieri più intimi, dimmi Simone che cosa penso e che cosa farò. Questo mio pensiero, o ottimo Cesare, prima che il mago ti racconti una fandonia, te lo farò sentire in modo che non possa dire diversamente da come penso". Allora Nerone "Avvicinati e dimmi ciò che pensi". Pietro disse: "Da' disposizione perché mi venga portato un pane di orzo e consegnato di nascosto". Data la disposizione, Pietro riprese: "Mi dica quindi Simone che cosa ho pensato, cosa ho detto e cosa ho fatto". Allora Nerone: "Che dici, Simone?". Simone rispose: "Mi dica Pietro piuttosto cosa ho pensato o fatto io". Pietro allora: "Vi farò constatare che cosa ha pensato Simone, se però lui prima avrà detto che cosa ho pensato io". Simone, udito questo, disse: "Il buon imperatore sappia che nessuno conosce i pensieri degli uomini, se non Dio solo; per il resto Pietro ha mentito". Al che Pietro di nuovo: "Ma tu che ti dici figlio di Dio, dimmi che cosa penso e che cosa ho fatto ora segretamente, fammelo sapere, se puoi". Pietro aveva benedetto il pane di orzo che aveva ricevuto, l'aveva spezzato e riposto nella sua manica destra e nella sinistra. 

[18] Allora Simone, sdegnato per non aver potuto svelare il segreto dell'apostolo, esclamò: "Vengano avanti grandi cani e lo divorino in presenza del Cesare". Appena ebbe parlato, comparvero dei cani di una grandezza eccezionale e si gettarono su Pietro. Pietro però, alzate le mani in preghiera, mostrò ai cani il pane che aveva benedetto; ed appena i cani lo videro svanirono nel nulla. Allora Pietro rivolto a Cesare: "Ecco, imperatore, che ti ho mostrato a fatti e non a parole che cosa stesse pensando Simone. Infatti colui che aveva promesso che gli angeli sarebbero venuti contro di me ha mandato i cani, per far vedere che non possiede angeli divini, ma solo canini". Perciò il mago indignato cominciò a valersi di ogni risorsa dei suoi scongiuri. Radunò il popolo e dichiarò di essere stato offeso dai Galilei e che avrebbe lasciato la città che normalmente lui proteggeva. Infine fissò il giorno in cui, assicurava con arroganza, in volo avrebbe dovuto essere trasportato alle sedi celesti per destino, per dimostrare che era in suo potere raggiungere il cielo quando voleva. Il giorno stabilito salì sul monte Capitolino e, gettatosi da una rupe, cominciò a volare. Il popolo ammirato si mise a venerarlo. Molti dicevano pure che il volare corporalmente verso il cielo era una facoltà divina e non umana; e molti affermavano che il Cristo non aveva fatto nulla di simile. Allora Pietro, che si trovava tra loro, disse: "Signore Gesù, mostra la tua potenza e non permettere che il popolo che sta per credere in te venga ingannato da queste falsità. Signore, possa egli cadere, in modo che ogni vivente sappia di non potere nulla contro la tua potenza". Dopo che l'apostolo ebbe chiesto queste cose con le lacrime, disse: "Vi scongiuro nel nome di Gesù Cristo: voi che lo portate, lasciatelo andare subito". Alla voce di Pietro, abbandonato dai demoni, ingarbugliatosi il ritmo delle ali che aveva messo, precipitò. Né riprese più i sensi, ma tutto rotto nel corpo, senza forza, dopo poco spirò in quello stesso luogo. Quando venne riferito ciò a Nerone, mentre si rammaricava di essere stato ingannato e deluso, indignato perché era stato tolto un uomo utile e necessario allo stato, cominciò a ricercare dei motivi per uccidere Pietro. 

[19] Così venne dato ordine da Nerone che Pietro venisse catturato. Pure essendo stato pregato prima da tutti di andarsene altrove, egli sempre resisteva dicendo: "Questo non lo farò mai, sarebbe come se fuggissi atterrito dal timore della morte"; sapeva bene che ne sarebbe derivato un motivo eterno di gloria per sè e per tutti, conforme alla passione di Cristo. 
Siccome però Pietro nascondeva queste cose, il popolo in lacrime lo pregava di non abbandonarlo, e di non passare sopra alle lacrime di tanti fedeli, proprio quando era imminente la bufera contro i cristiani. Vinto infine dalle lacrime del popolo, acconsentì e promise che se ne sarebbe andato dalla città. 
La notte seguente quindi salutò i fratelli, e dopo la preghiera in comune si mise in viaggio da solo. Era appena giunto presso la porta che si vide venirgli incontro il Cristo. Lo adorò e domandò: "Signore, dove vai?". E a lui il Signore: "Vado a Roma per essere crocifisso per la seconda volta". L'apostolo, udito ciò, comprese che alludeva alla sua passione; nell'apostolo naturalmente si sarebbe visto patire il Cristo che, come sappiamo, soffre nei singoli uomini non per il dolore del corpo, ma per la contemplazione della misericordia e dell'affetto della pietà. Così se ne ritornò in città e fu catturato dalle sentinelle. 
A questa notizia subito si radunò una grande folla, tanto che le platee non avrebbero potuto contenere le persone di ambedue i sessi e di tutte le età, e si misero a gridare a gran voce "Perché uccidete Pietro? Che delitto ha commesso? Che danno ha portato alla città? Non è permesso condannare un innocente. E ci sarebbe da temere che per la morte di un uomo così, Cristo si vendichi e noi periamo dal primo all'ultimo" 

[20] Pietro però acquietava l'animo del popolo perché non infierisse contro il sovrano, dicendo: "Romani che credete in Cristo e in lui solo sperate, ricordatevi di come egli seppe soffrire e come vi consolò in quegli stessi miracoli che avete visto fatti da me. Sperate in lui che sta per venire e darà a ciascuno secondo le sue opere. Quanto a ciò che ora vedete fatto contro di me, mi è stato annunziato già precedentemente dal Signore che non c'è discepolo superiore al maestro, né servo superiore al padrone Perciò sappiate che mi sto avvicinando in fretta per comparire alla presenza del Signore, una volta spogliato della carne. 
Ma perché mi attardo e non vado al supplizio della croce? Coloro che mi perseguitano dispongano pure del corpo: io me ne andrò al Signore con la mia anima". 
E accostandosi alla croce supplicò di esservi affisso inversamente al modo tradizionale. Era questo un segno di rispetto affinché egli non sembrasse crocifisso come il Signore, ma come servo. 
Finito questo, cominciò a parlare al popolo dalla croce. "Indicibile e nascosto mistero della croce, legame inscindibile della carità. Questo è l'albero della vita su cui il Signore Gesù innalzato, trasse tutto a sè. Questo è l'albero della vita su cui fu crocifisso il corpo del Signore Salvatore. Su di lui è stata crocifissa la morte e il mondo intero è stato sciolto dal legame di una morte eterna. O grazia incomparabile e amore che non verrà mai meno. Ti rendo grazie, Signore Gesù, Figlio del Dio vivo, non solo con la voce e il cuore, ma anche con l'anima grazie alla quale posso amarti, nominarti, supplicarti senza tregua, averti, conoscerti, vederti. Tu sei per me ogni cosa e in ogni cosa tu mi sei tutto e non ho null'altro all'infuori di te solo. Tu che hai bontà, sei veramente Figlio di Dio e Dio, al quale con il Padre eterno e lo Spirito santo va ogni onore e gloria nei secoli per sempre". Dopo che il popolo ebbe risposto a piena voce: "Così sia!", egli spirò. 

Marcello, uno dei suoi discepoli, senza aspettare l'ordine di nessuno, ne depose il corpo dalla croce con le sue stesse mani e, trattatolo con aromi costosissimi lo collocò nella sua stessa tomba, nel posto detto "Vaticano", lungo la via Trionfale, dove è celebrato in pace dalla venerazione di tutta la città.



 LIBRO II 
Gesta del beato Paolo apostolo e dottore delle genti, compiute in diversi luoghi 

[1] Vi fu un uomo in Gerusalemme della tribù di Beniamino, di nome Saulo, conoscitore profondo dei libri di Mosè e delle norme liturgiche (le cerimonie allora venivano eseguite secondo la lettera: non si avvertiva nè si presentiva in esse alcunché di mistico). 
Costui portava il terrore nella Chiesa di Dio penetrando nelle case e trascinando in carcere uomini e donne: e ogni giorno riusciva a coglierne molti. Allora, spirando minacce e stragi contro gli apostoli del Signore, andò dal principe dei sacerdoti e gli chiese delle lettere di presentazione per le sinagoghe di Damasco in modo che, se avesse trovato individui che seguivano questa via, sia uomini che donne, li avrebbe condotti in catene a Gerusalemme. 
Mentre era in viaggio con questo scopo, ecco che, avvicinandosi a Damasco, una luce dal cielo lo abbagliò; cadendo per terra, udì una voce che gli diceva: "Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Ti è duro recalcitrare contro il pungolo". Egli rispose: "Chi sei, Signore?". Ed egli: "Io sono il Gesù che tu perseguiti. Ma alzati, entra in città e ti sarà detto ciò che devi fare". Gli uomini che lo accompagnavano erano stupefatti come lui, giacché sentivano una voce, ma non vedevano nessuno. 
Saulo allora si alzò da terra e aprì gli occhi, ma non gli riuscì di vedere. Tenendolo quindi per mano, entrarono in Damasco; quivi restò tre giorni senza la vista, non toccando nè cibo nè bevanda. 

Vi era però a Damasco un discepolo di Cristo di nome Anania: il Signore gli disse in visione: "Anania!". Rispose: "Eccomi, Signore". E il Signore a lui: "Alzati, raggiungi la via detta "diritta" e cerca in casa di Giuda una persona di nome Saulo, di Tarso; ora sta pregando; ti aspetta perché, entrato da lui, gli imponga le mani e possa riacquistare la vista". Gli rispose Anania: "Signore, sono stati in molti a raccontarmi quanto male ha fatto costui ai cristiani in Gerusalemme. Dai prìncipi dei sacerdoti egli ha avuto il potere di mettere in catene coloro che invocano il tuo nome". E il Signore: "Vai, disse, perché è per me un vaso di elezione per portare il mio nome a popoli, a re e ai figli di Israele. Io infatti gli mostrerò quanto dovrà patire per il mio nome". 

Anania andò, entrò nella casa e, imponendogli le mani, disse: "Fratello Saulo, il Signore Gesù, che ti è apparso sul cammino quando venivi, mi ha mandato perché riacquisti la vista e sii ripieno di Spirito santo". Subito dai suoi occhi caddero come delle croste e riebbe la vista. Alzatosi, fu battezzato e, preso del cibo, si fortificò. 


[2] Rimase poi con i discepoli di Damasco alcuni giorni: e immediatamente iniziò ad andare nelle sinagoghe a predicare che Gesù è Figlio di Dio. Vedendo questo tutti si stupivano e commentavano: "Non è forse questo l'uomo che in Gerusalemme combatteva coloro che invocano questo nome? E non è venuto qui proprio per condurli in catene ai prìncipi dei sacerdoti?". Saulo frattanto si rimetteva sempre più in salute e confondeva i Giudei di Damasco affermando che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio. 
Dopo parecchi giorni i Giudei si radunarono a consiglio per farlo morire; ma subito questo progetto insidioso venne alle orecchie di Paolo. Essi tenevano d'occhio le porte giorno e notte per catturarlo; ma i suoi discepoli, presolo di notte, lo fecero uscire dalle mura dopo averlo posto in una cesta. 
Una volta giunto poi a Gerusalemme, tentava di congiungersi ai discepoli di Cristo. Ma essi avevano paura di lui, non persuasi che fosse un discepolo. 
Barnaba, allora, lo prese e lo condusse agli apostoli narrando loro come avesse visto il Signore lungo il cammino, come gli avesse parlato, e che cosa aveva compiuto a Damasco fiducioso nel nome di Gesù. 

[3] Da allora Saulo, che è poi Paolo, messosi ad evangelizzare il Cristo in molte città, giunse a Listra. Vi era là un uomo storpio dalla nascita che non aveva mai camminato e se ne stava accovacciato. Costui, appena udì Paolo parlare, si mise a fissarlo con insistenza. Saulo, vedendo che era fiducioso di venire guarito, gli gridò: "Alzati, e stattene ritto in piedi!". Subito, balzò in piedi quell'uomo e si mise a camminare. La folla, visto ciò che Paolo aveva fatto, proruppe in questo grido: "Costui è veramente un ministro di Dio per fare una cosa del genere in Israele". 
Un'altra volta, mentre erano diretti verso il luogo di preghiera, incontrarono una giovane schiava che era posseduta da uno spirito di divinazione e con i suoi oracoli procurava molti guadagni ai suoi padroni. Costei prese a seguir noi per un po' e gridava: "Costoro sono i servi del Dio Altissimo e vi annunciano la via della salvezza". Ripeté questo per molti giorni, ma Paolo, infastiditosene, disse allo spirito: "Nel nome del Signore Gesù Cristo ti ordino di uscire da costei!" Ed esso immediatamente uscì. 

[4] In seguito, venuto in Asia con qualche discepolo, discuteva nella scuola di Tiranno per ben due anni, cosicché tutti gli abitanti dell'Asia udirono la parola del Signore, sia Giudei che pagani, mentre Dio compiva per mano di Paolo miracoli straordinari al punto che venivano asportati i fazzoletti e i grembiuli da lui usati, venivano poi posti sui malati i quali guarivano da ogni infermità, mentre ne uscivano le potenze maligne. 
La domenica, quando ci radunammo per spezzare il pane, Paolo, che doveva partire il giorno dopo, conversò con loro e protrasse la conversazione fino a mezzanotte. Nella sala superiore, dove erano radunati, vi erano accese parecchie lampade. Un giovanetto di nome Eutico si era seduto sulla finestra, e, preso da un sonno pesante, siccome Paolo andava per le lunghe, trascinato dal sonno, precipitò dal terzo piano al suolo e venne raccolto cadavere. Paolo, sceso da lui, gli si coricò sopra, lo strinse fra le braccia e disse: "Non angustiatevi! E' vivo". Poi risalì, spezzò il pane e, dopo averlo consumato, continuò a parlare fino all'aurora. Frattanto ricondussero anche il ragazzo ritornato in vita, e si riconsolarono tutti parecchio. 

[5] Dopo di che Paolo, salito su una nave, giunse all'isola di Malta. I nativi ci dimostrarono un'umanità straordinaria, ci accesero il fuoco e ci ospitarono tutti a causa della pioggia che aveva cominciato a cadere e del freddo. Paolo raccolto un fascio di sterpi e avendolo posto sul fuoco, una vipera balzò fuori per il calore e si attaccò alla sua mano. I nativi, appena videro il rettile pendere dalla sua mano, dissero: "Quest'uomo certo è un criminale perché, dopo essere scampato al naufragio, la giustizia non permette che sopravviva". Ma egli scosse il rettile nel fuoco e non ne risentì minimamente. Quelli credevano che gonfiasse e cadesse morto all'improvviso; per quanto però aspettassero e stessero a vedere, a Paolo non succedeva proprio niente: cambiato allora parere, presero a dire che era un dio. 
C'era in quel posto un appezzamento di proprietà del primo cittadino dell'isola detto Publio, il quale ci accolse e ci alloggiò benevolmente per tre giorni. Capitò allora che il padre di Publio si mise a letto afflitto da accesso febbrile e da dissenteria. Paolo andò da lui e dopo aver pregato gli impose le mani e lo guarì. Dopo di che tutti coloro che nell'isola erano afflitti da infermità si presentavano e venivano guariti. Essi trattarono Paolo con molto riguardo. 

Quindi giunse a Roma per mare e colà, non più chiuso in catene, rimase per ben due anni nella propria casa d'affitto, riceveva chiunque lo andasse a trovare, predicava il regno di Dio e insegnava le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo. 

[6] Dopo la crocifissione di Pietro e la scomparsa del mago Simone, Paolo rimaneva nella città ancora sotto la libera custodia di un soldato: nello stesso giorno, infatti, era stato sottratto alla corona del martirio per divina disposizione affinché per mezzo suo tutti i popoli fossero arricchiti dalla predicazione del vangelo. Così, condotto a Roma dal centurione Giulio, Paolo, rimase fino allora sotto la sorveglianza di un solo soldato; dopo tre giorni radunò i capi dei Giudei; quando giunsero dove albergava, disse loro: 
"Fratelli, io pur non commettendo alcun reato verso il popolo e la tradizione dei padri, sono stato condotto prigioniero da Gerusalemme nelle mani dei Romani. Costoro, dopo avermi processato, avevano deciso dapprima di rilasciarmi perché non vedevano alcun motivo di condanna per me. Ma siccome i Giudei si opponevano, sono stato costretto ad appellarmi a Cesare. Per questo dunque, essendo di passaggio, vi ho pregato di farvi vedere per parlarvi: difatti è per la speranza di Israele che sono avvinto da questa catena". 
Ma essi gli risposero: "A tuo riguardo noi non abbiamo ricevuto nessuna lettera di presentazione dalla Giudea, né alcuno dei fratelli, giungendo, ci ha parlato di te e della tua posizione. Desideriamo quindi ora udire da te ciò che pensi Infatti non ignoriamo l'esistenza di questa setta perché ovunque la si avversa". Fu così che il giorno convenuto giunsero molti Giudei nella sua casa d'affitto. Egli espose loro le Scritture testimoniando il regno di Dio: insegnò loro dal mattino alla sera, traendo argomenti dalla legge di Mosè e dai Profeti. Ma siccome non tutti credevano in Gesù, Paolo disse loro: "Lo Spirito santo ha detto giustamente per bocca di Isaia: Vai da questo popolo e digli: avete orecchie per udire e non capite; vedete con gli occhi, ma non potete penetrare. Il cuore di questo popolo difatti si è ispessito; hanno chiuso gli occhi per non vedere, le orecchie per non sentire e affinché il loro cuore non comprenda, affinché non si convertano e io non li risani. Desidero quindi che sappiate che questa salvezza di Dio è stata mandata anche ai pagani e che essi perverranno alla salvezza". Quando ebbe detto questo i Giudei lo lasciarono discutendo animatamente tra loro. 
Paolo rimase a Roma per tutti quei due anni nella sua casa d'affitto e accoglieva tutti coloro che lo visitavano predicando il regno di Dio e insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo con fede, senza restrizione. 

[7] Mentre l'apostolo svolgeva questa attività in Roma, venne condotto da Nerone Cesare non solo perché propagava un nuovo culto superstizioso, ma perché era causa di sommosse contro l'impero. Chiamato dunque e interrogato da Nerone perché rendesse conto della sua religione, parlò così di fronte a Cesare: "Quanto alla dottrina del mio Maestro, su cui mi hai interrogato, la comprendono solamente coloro che aderiscono alla fede con cuore puro. Ho insegnato infatti ciò che riguarda la pace e la carità. Da Gerusalemme e, in largo raggio, fino all'Illiria, ho portato a compimento la predicazione dell'annuncio della pace. Ho insegnato a prevenirsi a vicenda nel rispetto. Ho insegnato ai potenti e ai ricchi a non insuperbirsi e a non contare troppo sulla precarietà delle ricchezze, ma a porre la propria speranza in Dio. Ho insegnato a quelli di media condizione ad accontentarsi del vitto e del vestito. Ho insegnato ai poveri a godere nella loro povertà. Ho insegnato ai padri a educare i propri figli con la disciplina del timor di Dio. Ho insegnato ai figli ad essere sottomessi ai genitori e alle ammonizioni fatte per il loro bene. Ho insegnato a coloro che hanno possedimenti a pagare le tasse con sollecitudine. Ho insegnato ai negozianti a pagare le imposte agli ufficiali dello stato. Ho insegnato alle mogli ad amare i propri mariti e a rispettarli come padroni. Ho insegnato agli uomini ad osservare la fedeltà coniugale allo stesso modo che essi pretendono che sia loro conservato il pudore in ogni modo: ciò infatti che il marito punisce nella moglie adultera, questa stessa mancanza l'unico padre e creatore, Dio, la punisce nel marito adultero. Ho insegnato inoltre ai padroni ad essere indulgenti con i propri servi. Ho insegnato ai servi a servire fedelmente ai propri padroni come a Dio. Ho insegnato che l'assemblea di coloro che credono venera un Dio uno e onnipotente, invisibile e incomprensibile. E questa dottrina non mi è stata affidata dagli uomini o da un qualsiasi uomo, ma da Gesù Cristo e dal Padre della gloria che mi parlò dal cielo. Il Signore mio Gesù Cristo, mentre mi mandava a predicare, mi disse: "Vai, io sarò con te, spirito di vita per tutti coloro che credono in me, e tutto ciò che dirai O farai, lo ratificherò"". 

[8] Quando Paolo finì di dire questo, l'imperatore Nerone rimase stupito; poi si indignò, pronunciò contro di lui la sentenza di morte per decapitazione. E avendogli fatto sapere più tardi la notizia della sua prossima morte, secondo il suo costume, Nerone mandò due armati, Ferego e Partenio; costoro, andati là, trovarono Paolo che stava istruendo con piena fiducia e libertà tutto il popolo sui miracoli di Cristo. Quando li vide avvicinarsi, Paolo disse loro parole di esortazione: "Venite, figli e credete anche voi nel Dio che ha chiamato me e tutti coloro che credono in lui, grazie alla venuta del Figlio suo unigenito e ci ha posti nel suo regno eterno, perché le vostre anime siano salve". Quelli risposero: "Ma noi, Paolo, andremo prima da Nerone per annunciargli il compimento della tua morte. Tu però prega per noi, perché crediamo in colui che tu predichi come Dio". Avevano pregato, infatti, Paolo che li battezzasse per la loro salvezza. 
Allora di nuovo l'apostolo disse: "Figli, tra poco verrete qui al mio sepolcro e troverete due uomini in preghiera, Tito e Luca; essi dopo di me insegneranno il sacramento della salvezza". Dopo di questo si fecero avanti i soldati che lo presero e lo condussero fuori della città.

Giunto sul luogo del supplizio, Paolo si voltò verso Oriente e, alzate le mani e gli occhi al cielo, pregò molto a lungo. Terminata la preghiera, diede la pace ai fratelli che lo avevano seguito, li salutò in ginocchio, forte nel segno della croce, offrì il collo al boia. Allorché la spada staccò la testa, invece di sangue sgorgò latte a tal punto che un fiotto di latte impregnò la destra del boia. Quando i circostanti videro ciò, stupiti, tutti magnificarono Dio che aveva concesso tanta gloria al suo apostolo. Lucina, una cristiana, trattò il corpo con aromi e lo seppellì nella propria tenuta sulla via Ostiense alla seconda pietra miliare. Morì quindi il 3 luglio, due anni dopo la morte di Pietro, mentre regnava il Signore nostro Gesù Cristo al quale sia gloria presso l'eterno Padre e lo Spirito santo onore e gloria per sempre. Amen. 

AMDG et BVM