giovedì 16 giugno 2016

SANCTA MISSA IMMACULATI CORDIS BEATAE MARIAE VIRGINIS

IMMACULATI CORDIS

BEATAE MARIAE VIRGINIS

Duplex II classis

Introitus Hebr. 4, 16
ADEÁMUS cum fidúcia ad thronum grátiae, ut misericórdiam consequámur, et grátiam inveniámus in auxílio opportúno. Ps. 44, 2 Eructávit cor meum verbum bonum: dico ego ópera mea Regi. V/. Glória Patri.

Oratio
OMNÍPOTENS sempitérne Deus, qui in Corde beátae Maríae Vírginis dignum Spíritus Sancti habitáculum praeparásti: concéde propítius ; ut ejúsdem immaculáti Cordis festivitátem devóta mente recoléntes, secúndum Cor tuum vívere valeámus. Per Dóminum... in unitáte ejúsdem.


Léctio libri Sapiéntiae.
Eccli. 24, 23-31
EGO quasi vitis fructificávi suavitátem odóris: et flores mei, fructus honóris et honestátis. Ego mater pulchrae dilectiónis, et timóris, et agnitiónis, et sanctae spei. In me grátia omnis viae et veritátis: in me omnis spes vitae et virtútis. Transíte ad me, omnes qui concupíscitis me, et a generatiónibus meis implémini. Spíritus enim meus super mel dulcis, et heréditas mea super mel et favum. Memória mea in generatiónes saeculórum. Qui edunt me, adhuc esúrient: et qui bibunt me, adhuc sítient. Qui audit me, non confundétur: et qui operántur in me, non peccábunt. Qui elúcidant me, vitam aetérnam habébunt.

Graduale Ps. 12, 6 Exsultábit cor meum in salutári tuo: cantábo Dómino, qui bona tríbuit mihi: et psallam nómini Dómini altíssimi. V/. Ps. 44, 18 Mémores erunt nóminis tui in omni generatióne et generatiónem: proptérea pópuli confitebúntur tibi in aetérnum.
Allelúja, allelúja. V/. Luc. 1, 46-47 Magníficat ánima mea Dóminum: et exsultávit spíritus meus in Deo salutári meo. Allelúja.

In Missis votivis post Septuagesimam, omissis Allelúja et Versu sequenti, dicitur
Tractus Prov. 8, 32-35 Nunc ergo, fílii, audíte me: Beáti, qui custódiunt vias meas. Audíte disciplínam et estóte sapiéntes, et nolíte abjícere eam. V/. Beátus homo qui audit me, et qui vígilat ad fores meas quotídie, et obsérvat ad postes óstii mei. V/. Qui me invénerit, invéniet vitam, et háuriet salútem a Dómino.

Tempore autem Paschali, omittitur Graduale, et ejus loco dicitur:
Allelúja, allelúja. V/. Luc. 1, 46-48 Magníficat ánima mea Dóminum: et exsultávit spíritus meus in Deo salutári meo. Allelúja. V/. Beátam me dicent omnes generatiónes, quia ancíllam húmilem respéxit Deus. Allelúja.


+ Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Joann. 19, 25-27
IN illo témpore: Stabant juxta crucem Jesu mater ejus, et soror matris ejus María Cléophae, et María Magdaléne. Cum vidísset ergo Jesus matrem, et discípulum stantem, quem diligébat, dicit matri suae: Múlier, ecce fílius tuus. Deínde dicit discípulo: Ecce mater tua. Et ex illa hora accépit eam discípulus in sua.
Credo.

Offertorium Luc. 1, 47 et 49 Exsultávit spíritus meus in Deo salutári meo ; quia fecit mihi magna qui potens est, et sanctum nomen ejus.


Secreta
MAJESTÁTI tuae, Dómine, Agnum immaculátum offeréntes, quaésumus: ut corda nostra ignis ille divínus accéndat, qui Cor beatae Maríae Vírginis ineffabíliter inflammávit. Per eúmdem Dóminum.

Praefatio de beata Maria Virgine Et te in Festivitáte.
Communio Joann. 19, 26-27 Dixit Jesus matri suae: Múlier, ecce fílius tuus: deínde dixit discípulo: Ecce mater tua. Et ex illa hora accepit eam discípulus in sua.

Postcommunio
DIVÍNIS refécti munéribus te, Dómine, supplíciter exorámus: ut beátae Maríae Vírginis intercessióne, cujus immaculáti Cordis solémnia venerándo égimus, a praeséntibus perículis liberáti, aetérnae vitae gáudia consequámur. Per Dóminum.


AVE MARIA!

mercoledì 15 giugno 2016

ALLA SCUOLA DI SANT'ANTONIO DI PADOVA PER CAPIRE LE LEZIONI DELLE CONCHIGLIE

LEGGIAMO LA BIBBIA CON SANT'ANTONIO
e... impariamo dalle conchiglie



12. “Cercate di conservare l’unità dello Spirito per mezzo del vincolo della pace”. Fa’ attenzione alle tre parole: cercate, unità e vincolo della pace, che a noi, fratelli miei, sono veramente necessarie. 

Il diavolo volle seminare nel cielo la zizzania della discordia, e ora fa di tutto per farlo anche nelle comunità dei penitenti. 

Leggiamo infatti nel libro di Giobbe: “Un giorno i figli di Dio andarono a presentarsi davanti al Signore, e in quel giorno anche Satana andò in mezzo a loro” (Gb 1,6).
Fa’ attenzione alle singole parole: dice “Un” (giorno), per escludere ogni diversità; “giorno”, per escludere la successione della notte; “i figli”, adottati con la grazia; “di Dio”, per la povertà dello spirito; “andarono” con la devozione; “a presentarsi” con la mortificazione del corpo; “davanti al Signore”, non davanti al mondo; “e anche Satana andò in mezzo a loro”, appunto per seminare la zizzania della discordia. 

Invece noi, fratelli, cerchiamo di essere solleciti e non pigri; cerchiamo di conservare e non di rompere l’unità dello spirito. 

Custodiamo l’unità dello spirito, o carissimi, con grande sollecitudine, come le conchiglie marine custodisco­no con grande cura le loro perle.

Si legge nella Storia Naturale che nelle conchiglie marine si producono delle pietre preziose, cioè le perle; 
le conchiglie, ad un dato tempo dell’anno, sono bramose di rugiada come marito, e sotto tale stimolo si aprono, e quando più copiosa scende la pioggia lunare (rugiada), come boccheggiando assorbono il fluido sospirato: così concepi­scono e vengono ingravidate. 

Se il fluido assorbito è puro, i piccoli grani che si formano sono candidi; se il fluido è torbido, i grani sono opachi o anche striati di colore rossiccio. Così le conchiglie figliano più di cielo che di mare. 
Inoltre, quando assorbono il seme dell’aria del mattino, la perla è più limpida; quando lo assorbono alla sera la perla risulta piuttosto offuscata; e quanto più ne avranno assorbito, tanto più grandi saranno le perle prodotte.
Se brilla improvvisa una luce, si rinchiudono come spaventate. Nelle conchiglie c’è una certa sensibilità: esse temono che i loro parti si macchino; e quando il giorno si accende di raggi più ardenti, perché le perle non si offuschino per causa del calore del sole, si immergono in profondità e si riparano dal caldo tra i gorghi.
Nell’acqua la perla si rammollisce, nel vino si rasso­da; mai se ne trovano due insieme, distinte, e quindi una grossa perla, formata da due che si sono fuse insieme, si chiama “unione” (solitario). Le conchiglie temono gli agguati dei pescatori: è per questo che si nascondono tra gli scogli. Nuotano in gruppo e le loro schiere hanno sempre una guida sicura.
Vediamo quale sia il significato morale di tutto questoLe conchiglie, il cui nome viene da “concavità”, raffi­gurano i penitenti, gli umili, i poveri nello spirito, i quali si tengono nella concavità, cioè nell’umiltà del cuore. 

Anch’essi anelano alla rugiada come a marito, e infatti dicono: “L’anima mia ha sete di Dio, fonte viva” (Sal 41,3). La rugiada della grazia celeste, come uno sposo, impregna l’anima con il fermo proposito di rettamen­te operare. Per il desiderio di questa rugiada essi si aprono, e infatti dice Giobbe: “La mia radice è aperta, protesa verso le acque, e la rugiada si fermerà sulle mie messi” (Gb 29,19).
[....]
“E quando più copiosa scende la pioggia lunare”, ecc. Nella pioggia lunare sono simboleggiate tre cose: la prosperità, l’avversità e l’infusione della grazia. 
Nello splendore della luna è raffigurata la prosperità; 
nella notte l’avversità e 
nella pioggia l’infu­sione della grazia, che i giusti bramano con ardore e assorbono quasi aprendo la bocca del cuore, sia nello splendore della prosperità come nella notte dell’avversità, in modo che né la prosperità li insuperbisce, né l’avversità li deprime. Isaia infatti dice: “L’ani­ma mia ha sospirato a te nella notte, e al mattino mi volgerò a te con il mio spirito e il mio cuore” (Is 26,9).
“E se il fluido assorbito è puro”, ecc. 
Considera che l’infusione della grazia ha due effetti: o illumina, o turba. 
Illumina la mente alla contemplazione, e allora le perle diventano candide, sono cioè puri i pensieri e gli affetti. Dice il Signore per bocca di Osea: “Sarò come rugiada, e Israele germoglierà come giglio” (Os 14,6). Quando la rugiada della contemplazione delizia la mente, Israele, ossia l’anima umile fa germogliare, quale giglio, pensieri di purezza. 
Analogamente, la grazia turba susci­tando il dolore dei peccati, e allora nelle perle subentra il colore pallido o rossiccio: pallido a motivo della mortificazione del corpo, rossiccio per la contrizione del cuo­re. Si legge nel Cantico dei Cantici: Annunciate al mio diletto che io languisco di amore (cf. Ct 5,8). Fu detto anche: Impallidi­sca ogni innamorato (Ovidio). E il salmo: “L’estremità del dorso della colomba è del pallore dell’oro” (Sal 67,14).
“Così i parti delle conchiglie sono più di cielo che di mare”. 
Chi è impregnato di mare, cioè dell’amaro del mondo, partorisce vipere; 
chi invece è impregnato di cielo, partorisce perle. 

Dei primi è detto: “Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire all’ira che ci sovrasta?” (Lc 3,7)

Dei secondi: “Le viti in fiore hanno sprigionato il loro profumo” (Ct 2,13). E ancora: “I tuoi effluvi sono un paradiso” (Ct 4,13).
“Quando le conchiglie assorbono il seme dell’aria del mattino la perla è più limpida, quando invece lo assorbono la sera, la perla risulta piuttosto offuscata”, ecc. Questo lo dice anche il salmo: “Alla sera sopraggiunge il pianto e al mattino, ecco la gioia” (Sal 29,6). Osserva che triplice è la sera e triplice il mattino: in ognuno di questi momenti c’è il pianto e la gioia.
La prima sera fu la colpa di Adamo, nella quale ci fu il pianto quando, cacciato dal paradiso terrestre, si sentì dire: “Mangerai il pane nel sudore della tua fronte”(Gn 3,19)
Il primo mattino fu la natività di Cristo, nella quale ci fu la gioia. Infatti l’angelo disse: “Io vi annunzio una grande gioia...” (Lc 2,10).
La seconda sera fu la morte di Cristo, nella quale ci fu il pianto. Dice Luca: “Figlie di Gerusalemme, non piangete sopra di me ma sopra voi stesse” (Lc 23,28)
Il secondo mattino fu la sua risurrezione, nella quale ci fu la gioia. “Vedendo il Signore, gli apostoli furono pieni di gioia” (Gv 20,20).
La terza sera è la morte di ogni uomo, nella quale c’è il pianto. Dice la Genesi: “Sara morì nella città di Arbee (Ebron): arrivò Abramo per piangere e a fare il lamento su di lei” (Gn 23,2)Il terzo mattino sarà per i santi nella risurre­zione finale, nella quale splenderà sul loro capo – come dice Isaia – la perenne letizia (cf. Is 35,10).
“Se brilla improvvisa una luce, si rinchiudono come spaventate”. La tentazione del diavolo è come un sinistro bagliore, di cui i giusti hanno una grande paura; e quando l’avvertono, subito si ritirano e chiudono le porte dei sensi. Dice Giovanni: “Essendo venuta la sera di quel giorno..., mentre tutte le porte erano chiuse”(Gv 20,19).
[Vedi anche il commento su questo vangelo nel sermone dell’Ottava di Pasqua.]
“Nelle conchiglie c’è una certa sensibilità: esse temono che i loro parti si macchino”, ecc. La sensibilità consiste in uno stimolo della mente che attraverso il corpo viene trasmesso all’anima. 
I giusti temono che i loro parti, cioè le loro opere, si macchino, e perciò, quando divampa il calore della prosperità terrena, ed essi stessi ne sono oggetto, subito scendono in profondità: meditano cioè sulla loro fragilità, sulla loro iniquità e miseria, si nascondo­no nei singhiozzi e nelle lacrime, perché, se facessero altrimenti, le loro perle si offuscherebbero e si macchierebbero per il calore del sole, vale a dire con la fiamma dell’onore e della grandezza terrena.
“Nell’acqua la perla si rammollisce”. Nell’acqua del piacere la mente del giusto si rammollisce; invece nel vino, cioè nell’austerità, si rassoda; infatti davanti a un volto austero e severo si corregge l’animo del malvagio. Leggiamo nell’Ecclesiastico: “Hai delle figlie?”. Ti sono cioè affidate delle anime? “Custodisci il loro corpo, e non mostrare loro un volto troppo indulgente” (Eccli 7,26).
In una conchiglia non si trovano mai due perle insieme, perché nella mente del giusto non c’è il sì e il no allo stesso tempo (cf. 2Cor 1,17­19), non ci sono due parti, non c’è discordanza, ma “unità”; il giusto cerca sempre di conservare l’unità dello spirito nel vincolo della pace (cf. Ef 4,3).
“Le conchiglie temono gli agguati dei pescatori”, e anche i giusti temono gli agguati delle suggestioni del diavolo, il quale in questo grande mare del mondo getta il suo amo, e quindi essi si nascondono tra gli scogli. 

Lo scoglio è una roccia che affiora sul mare; si chiama scoglio da scandagliare, e simboleggia l’umiltà della mente, nella quale chi si nasconde non ha più ragione di temere gli agguati degli spiriti maligni.
“Le conchiglie nuotano in gruppo”, e in questo è indicata egregiamente l’unione degli spiriti. 
“Le loro schiere hanno sempre una guida sicura”, e in ciò è simboleggiata l’obbedienza. Il prelato è la guida che si deve seguire, alla quale tutti siamo tenuti a obbedire di buon animo, per mantenere l’unione degli spiriti con il vincolo della pace.
Si degni di concederci tutto questo il Signore Gesù Cristo, al quale è onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

martedì 14 giugno 2016

Piano Massonico?

LE DIVINE PAROLE DEL SANTO


14. Giuseppe e Maria sono figura della speranza e del timore, che sono come i "genitori" del giusto. 

La speranza è l'attesa dei beni futuri, che genera un sentimento di umiltà e una pronta disponibilità di servizio. 

La speranza è detta in latino spes, quasi pes, piede, passo di avanzamento: ecco l'aumento, l'accrescimento. 

Al contrario si dice disperazione, quando non c'è nessuna possibilità di andare avanti, poiché quando uno ama il peccato non spera certo nella gloria futura. 

E perché la speranza non degeneri in presunzione, dev'essere unita al timore, che è principio della saggezza (Sal 110,10; Eccli 1,16), al cui possesso nessuno può giungere se prima non ha assaporato l'amarezza del timore. 
Per questo è detto nell'Esodo che i figli d'Israele, prima di arrivare alla dolcezza della manna, trovarono l'amarezza dell'acqua di Mara (cf. Es 15,23). Bevendo una medicina amara si arriva alla gioia della guarigione.

SANT'ANTONIO PREGA PER NOI

lunedì 13 giugno 2016

SANT'ANTONIO DA PADOVA


Breve profilo biografico di
Sant' Antonio di Padova
Sacerdote e dottore della Chiesa

Fernando di Buglione nasce a Lisbona da nobile famiglia portoghese discendente dal crociato Goffredo di Buglione.

A quindici anni è novizio nel monastero di San Vincenzo a Lisbona tra gli agostiniani, poi si trasferisce nel monastero di Santa Croce di Coimbra, il maggior centro culturale del Portogallo appartenente all'Ordine dei Canonici regolari di Sant'Agostino, dove studia scienze e teologia con ottimi maestri, preparandosi all'ordinazione sacerdotale che riceverà nel 1219, quando ha ventiquattro anni. Quando sembrava dover percorrere la carriera del teologo e del filosofo,decide di lasciare l'ordine agostiniano. Fernando, infatti, non sopporta i maneggi politici tra i canonici agostiniani e re Alfonso II, in cuor suo anela ad una vita religiosamente più severa. Il suo desiderio si realizza allorché, nel 1220, giungono a Coimbra i corpi di cinque frati francescani decapitati in Marocco,dove si erano recati a predicare per ordine di Francesco d'Assisi.

Quando i frati del convento di monte Olivares arrivano per accogliere le spoglie dei martiri, Fernando confida loro la sua aspirazione di vivere nello spirito del Vangelo. Ottenuto il permesso dal provinciale francescano di Spagna e dal priore agostiniano, Fernando entra nel romitorio dei Minori e fa subito professione religiosa, mutando il nome in Antonio in onore dell'abate, eremita egiziano. Anelando al martirio, subito chiede ed ottiene di partire missionario in Marocco.
È verso la fine del 1220 che s'imbarca su un veliero diretto in Africa, ma durante il viaggio è colpito da febbre malarica e costretto a letto. La malattia si protrae e in primavera i compagni lo convincono a rientrare in patria per curarsi.
Secondo altre versioni, Antonio non si fermò mai in Marocco: ammalatosi appena partito da Lisbona, la nave fu spinta da una tempesta direttamente a Messina, in Sicilia. Curato dai francescani della città, in due mesi guarisce.
A Pentecoste è invitato al Capitolo generale di Assisi, arriva con altri francescani a Santa Maria degli Angeli dove ha modo di ascoltare Francesco, ma non di conoscerlo personalmente. Il ministro provinciale dell'ordine per l'Italia settentrionale gli propone di trasferirsi a Montepaolo, presso Forlì, dove serve un sacerdote che dica la messa per i sei frati residenti nell'eremo composto da una chiesolina, qualche cella e un orto. Per circa un anno e mezzo vive in contemplazione e penitenza, svolgendo per desiderio personale le mansioni più umili, finché deve scendere con i confratelli in città, per assistere nella chiesa di San Mercuriale all'ordinazione di nuovi sacerdoti dell'ordine e dove predica alla presenza di una vasta platea composta anche dai notabili.
Ad Antonio è assegnato il ruolo di predicatore e insegnante dallo stesso Francesco, che gli scrive una lettera raccomandandogli, però, di non perdere lo spirito della santa orazione e della devozione. Comincia a predicare nella Romagna, prosegue nell'Italia settentrionale, usa la sua parola per combattere l'eresia (è chiamato anche il martello degli eretici), catara in Italia e albigese in Francia, dove arriverà nel 1225. Tra il 1223 e quest'ultima data pone le basi della scuola teologica francescana, insegnando nel convento bolognese di Santa Maria della Pugliola.
Quando è in Francia, tra il 1225 e il 1227, assume un incarico di governo come custode di Limoges. Mentre si trova in visita ad Arles, si racconta gli sia apparso Francesco che aveva appena ricevuto le stigmate.
Come custode partecipa nel 1227 al Capitolo generale di Assisi dove il nuovo ministro dell'Ordine, Francesco nel frattempo è morto, è Giovanni Parenti, quel provinciale di Spagna che lo accolse anni prima fra i Minori e che lo nomina provinciale dell'Italia settentrionale. Antonio apre nuove case, visita i conventi per conoscere personalmente tutti i frati, controlla le Clarisse e il Terz'ordine, va a Firenze, finché fissa la residenza a Padova e in due mesi scrive i Sermoni domenicali.
A Padova ottiene la riforma del Codice statutario repubblicano grazie alla quale un debitore insolvente ma senza colpa, dopo aver ceduto tutti i beni non può essere anche incarcerato. Non solo, tiene testa ad Ezzelino da Romano, che era soprannominato il Feroce e che in un solo giorno fece massacrare undicimila padovani che gli erano ostili, perché liberi i capi guelfi incarcerati.
Intanto scrive i Sermoni per le feste dei Santi, i suoi temi preferiti sono i precetti della fede, della morale e della virtù, l'amore di Dio e la pietà verso i poveri, la preghiera e l'umiltà, la mortificazione e si scaglia contro l'orgoglio e la lussuria, l'avarizia e l'usura di cui è acerrimo nemico.
E' mariologo, convinto assertore dell'assunzione della Vergine, su richiesta di papa Gregorio IX nel 1228 tiene le prediche della settimana di Quaresima e da questo papa è definito "arca del Testamento". Si racconta che le prediche furono tenute davanti ad una folla cosmopolita e che ognuno lo sentì parlare nella propria lingua.
Per tre anni viaggia senza risparmio, è stanco, soffre d'asma ed è gonfio per l'idropisia, torna a Padova e memorabili sono le sue prediche per la quaresima del 1231. Per riposarsi si ritira a Camposampiero, vicino Padova, dove il conte Tiso, che aveva regalato un eremo ai frati, gli fa allestire una stanzetta tra i rami di un grande albero di noce. Da qui Antonio predica, ma scende anche a confessare e la sera torna alla sua cella arborea. Una notte che si era recato a controllare come stesse Antonio, il conte Tiso è attirato da una grande luce che esce dal suo rifugio e assiste alla visita che Gesù Bambino fa al Santo.

A mezzogiorno del 13 giugno, era un venerdì, Antonio si sente mancare e prega i confratelli di portarlo a Padova, dove vuole morire. Caricato su un carro trainato da buoi, alla periferia della città le sue condizioni si aggravano al punto che si decide di ricoverarlo nel vicino convento dell'Arcella dove muore in serata.
Si racconta che mentre stava per spirare ebbe la visione del Signore e che al momento della sua morte, nella città di Padova frotte di bambini presero a correre e a gridare che il Santo era morto.
Nei giorni seguenti la sua morte, si scatenano "guerre intestine" tra il convento dove era morto che voleva conservarne le spoglie e quello di Santa Maria Mater Domini, il suo convento, dove avrebbe voluto morire. Durante la disputa si verificano persino disordini popolari, infine il padre provinciale decide che la salma sia portata a Mater Domini. Non appena il corpo giunge a destinazione iniziano i miracoli, alcuni documentati da testimoni.
Anche in vita Antonio aveva operato miracoli quali esorcismi, profezie, guarigioni, compreso il riattaccare una gamba, o un piede, recisa, fece ritrovare il cuore di un avaro in uno scrigno, ad una donna riattaccò i capelli che il marito geloso le aveva strappato, rese innocui cibi avvelenati, predicò ai pesci, costrinse una mula ad inginocchiarsi davanti all'Ostia, fu visto in più luoghi contemporaneamente, da qualcuno anche con Gesù Bambino in braccio. Poiché un marito accusava la moglie di adulterio, fece parlare il neonato "frutto del peccato" secondo l'uomo per testimoniare l'innocenza della donna.
I suoi miracoli in vita e dopo la morte hanno ispirato molti artisti fra cui Tiziano e Donatello.
Antonio fu canonizzato l'anno seguente la sua morte dal papa Gregorio IX.

La grande Basilica a lui dedicata sorge vicino al convento di Santa Maria Mater Domini.
Trentadue anni dopo la sua morte, durante la traslazione delle sue spoglie, San Bonaventura da Bagnoregio trovò la lingua di Antonio incorrotta, ed è conservata nella cappella del Tesoro presso la basilica della città patavina di cui è patrono.
Nel 1946 Pio XII lo ha proclamato Dottore della Chiesa.