martedì 17 maggio 2016

Sbalorditi


30 Settembre 2013 – La massoneria ecclesiastica ha ormai raggiunto il massimo livello di potere all’interno della Mia Santissima Chiesa sulla Terra


Mia amata figlia prediletta, devo chiedere a tutti i Miei sacri servi di fare attenzione alle convocazioni per partecipare a ritiri, che saranno introdotti per persuaderli ad accettare un nuovo giuramento di fedeltà, che renderebbero inutili – dovessero convenire di fare questo – i loro più sacri voti fatti a Me, Gesù Cristo.

La massoneria ecclesiastica ha ormai raggiunto il massimo livello di potere all’interno della Mia Santissima Chiesa sulla Terra e presto detterà la sua nuova liturgia, che sarà fatta a dispetto della Mia Santissima Volontà. 

Creata dai nemici di Dio e camuffata da un nuovo adattamento per convenire alle forze politiche, che vogliono mettere al bando il Cristianesimo, verrà presentata così rapidamente che molti all’interno della Mia Chiesa rimarranno sbalorditi

Saranno addolorati nel vedere un tale abominio, ma le voci dei Miei fedeli servitori non saranno ascoltate in pubblico, perché essi, i Massoni, controlleranno in ogni modo come sarà percepita questa nuova liturgia. 

Ogni obiezione sollevata nelle diocesi di tutto il mondo sarà bandita e scartata. 

La scusa sarà che la Chiesa ha bisogno di reclutare nuove giovani anime che si sono allontanate da essa. 

Facendo appello a un mondo secolare, diranno che questo convertirà più persone, attraverso una nuova liturgia. 

Oh quanto sarà ingannevole questo abominio e quanti cadranno per le menzogne, che condurranno così tanti lontano dalla Verità. 

Il Libro della Verità è stato preannunciato dal profeta Daniele in modo che i figli di Dio non dimenticassero mai la Verità quando annegheranno nelle menzogne che divoreranno la Mia Chiesa sulla Terra. 

Accettate la Verità stabilita dalla Mia Chiesa sulla Terra. 

Non accettate le nuove leggi, che sarete costretti ad accettare nel Mio Santo Nome, perché ciò equivarrà ad un sacrilegio. 

 Il vostro Gesù
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lunedì 16 maggio 2016

I DONI DELLO SPIRITO SANTO

SOLENNITA' DI PENTECOSTE
<< Vieni, Spirito Santo, vieni
per mezzo della potente intercessione
del Cuore Immacolato di Maria
tua Sposa amatissima >>


Questa solennità è detta la seconda Pasqua. La Chiesa, praticamente, nacque in questo giorno. S. Giovanni Crisostomo chiama la Pentecoste: il compimento di tutte le altre solennità. Già la celebravano, e con grande solennità, gli Ebrei, che in questo giorno offrivano le primizie dei frutti della terra.
S. Massimo scrive che la Pentecoste non è solo una commemorazione del fatto avvenuto, ma è la rinnovazione del fatto, sempre nuovo, della discesa dello Spirito Santo. Come allora, così anche oggi lo Spirito Santo discende, non importa se invisibilmente, sulla Chiesa e sui fedeli che vi sono preparati; altrimenti non sarebbero a proposito le invocazioni: Veni, Sancte Spiritus, ecc.
Notate ancora che lo Spirito Santo non discende solo con i suoi doni e con i suoi frutti, ma Lui in Persona: la terza Persona della SS. Trinità. 
Nostro Signore non disse: " Riceverete i doni dello Spirito Santo ", ma disse: " Ricevete lo Spirito Santo " (1033). Così infatti insegna S. Tommaso, dicendo: " Lo Spirito Santo non manda i suoi doni, ma viene Lui in Persona a portarli ".
Nulla quindi a stupire che la santa Chiesa dia tanta importanza a questa festa. Oltre a una solenne novena, che al dire del B. Giovanni d'Avila è una seconda Settimana Santa, prescrive un'ottava solennissima, durante la quale, lasciati tutti i Santi, ci fa dire Messa e Ufficio solo dello Spirito Santo, con le più ardenti suppliche, per farlo discendere nell'anima nostra; e con la recita ogni giorno della Sequenza.
Facciamo dunque nostro lo spirito della Chiesa e intanto consideriamo brevemente quali sono i nostri doveri verso lo Spirito Santo. Io li riduco a sei.
Conoscerlo - Nell'Epistola della festa si narra che avendo S. Paolo interrogato alcun i cristiani se avessero già ricevuto lo Spirito Santo, risposero che non sapevano neppure che esistesse. Erano da scusare, perché non ne avevano mai sentito parlare. Ai nostri giorni molti anche fra i cristiani non conoscono lo Spirito Santo o lo trascurano. Ma almeno i Religiosi, e più ancora i Missionari che lo dovranno far conoscere, conoscono essi praticamente lo Spirito Santo? E, conoscendolo, si comportano con Lui come dovrebbero?... Conoscerlo non vagamente, ma praticamente: che è la terza Persona della SS. Trinità, che procede dal Padre e dal Figlio per volontà d'amore; crederlo quindi vero Dio, unico col Padre e col Figlio; e che a Lui perciò si deve la stessa adorazione, unitamente alle altre due Persone Divine.
Allo Spirito Santo si attribuiscono le opere ad extra dell'amore, ed in particolare l'assistenza alla Chiesa e la santificazione delle anime. Nostro Signore fondò la Chiesa e poi la rimise alla cura dello Spirito Santo che l'assiste, la vivifica, la conserva contro tutte le potenze infernali. Il Papa è illuminato dallo Spirito Santo. La stessa propagazione della fede è l'effetto dell'azione dello Spirito Santo nelle anime. Quindi è allo Spirito Santo che va attribuito tutto il bene che si fa nelle Missioni.
Perché, dunque, tanta trascuratezza nel mondo, anche fra i Religiosi e i Missionari, riguardo allo Spirito Santo? Perché ricorriamo a Lui di rado o anche mai. Facciamo, sì, qualche cosa durante la novena, e poi basta. Certo a N. S. Gesù Cristo, che è morto per noi, dobbiamo intenso amore e profonda divozione, ma non per questo dobbiamo far torto allo Spirito Santo, che ci applica i meriti di N. S. Gesù Cristo.
Da lui vengono tutte le opere della grazia. La santificazione delle anime è opera sua. Gli Apostoli, dopo aver passato tre anni alla scuola di Nostro Signore, erano ancora sì difettosi che, alla vigilia della Passione, bisticciavano per sapere chi fra essi fosse il primo. " È necessario - diceva ad essi Gesù - che io me ne vada, perché la mia missione è compiuta; verrà lo Spirito Santo e farà il resto ". Venne infatti e quale cambiamento operò in essi!
Noi sappiamo tutto ciò in teoria, ma tale conoscenza la riduciamo noi alla pratica? Gli prestiamo, come al Padre e al Figlio, il tributo dei nostri doverosi ossequi? Questo bisogna fare: ossequiarlo e raccomandarsi a Lui, massime per ottenere la santità; tenerlo praticamente, e tutto l'anno, come nostro Santificatore; essere intimamente persuasi della necessità di questa divozione.
Amarlo - È una conseguenza della nostra vera e pratica conoscenza. Lo Spirito Santo è tutto amore; sugli Apostoli discese sotto il simbolo di fiamme. Egli è fuoco, come diciamo nel Veni Creator. Egli ci ama e, per l'amore che ci porta, desidera ardentemente di comunicare a noi Se stesso. Ora, amore esige amore; desiderio vuol corrispondenza di desiderio. Ed oh! come ben esprimono questi sospiri amorosi tutte le parole del predetto Inno e della Sequenza. Solo bisogna farle nostre, dirle con tutta l'anima: Veni, Pater pauperum!... Abbiamo un cuore duro, freddo. Diciamo allo Spirito Santo che ce lo rammollisca, che ce lo infiammi, sì da fare di noi altrettante nuove creature...
Bisogna amare, amare, perché Egli è tutto amore Si ricevono dallo Spirito Santo tutte le grazie, ma soprattutto l'amore. Non si fa torto al Padre a voler bene al Figlio, e così pure non si fa torto al Figlio a voler bene allo Spirito Santo. Questo amore è quello che infiammò di zelo gli Apostoli per la salvezza delle anime: ne abbiamo bisogno pur noi, ed è dallo Spirito Santo che dobbiamo ottenerlo.
Ascoltarlo - Ascoltare le sue ispirazioni. Quando diciamo a buone ispirazioni ", intendiamo quelle che ci possono venire dal Divin Padre o da Nostro Signore, o direttamente dallo Spirito Santo. Dobbiamo dunque seguirle con generosità e costanza. Il non ascoltarlo, il resistergli fa parte di quel gran peccato contro lo Spirito Santo, che porta all'impenitenza finale, alla disperazione della salute.
La tiepidezza continua di un Religioso è anche contro lo Spirito Santo. Quante anime in certi momenti di fervore ascoltano i suoi inviti; ma presto si stancano, e lasciano il bene e la propria santificazione a metà! Quindi in esse lo Spirito Santo non può operare le sue meraviglie: quelle meraviglie ch'Egli opera invece nelle anime che lo seguono con coraggio e generosità; delle quali fa altrettanti eroi di santità, come fece degli Apostoli, di S. Francesco Zaverio, ecc. In essi, e per mezzo di essi Egli rinnova la faccia della terra. Et renovabis faciem terrae!
Quando lo Spirito Santo viene in un'anima, porta via tutto per restare Lui solo. È difficile che chi vive sotto l'influsso dello Spirito Santo non si faccia santo. Quando un'anima riceve lo Spirito Santo con i suoi doni e con i suoi frutti, essa immancabilmente viene trasformata.
Non contristarlo - S. Paolo, scrivendo agli Efesini, dice loro: Non contristate lo Spirito Santo di Dio (1034). Come lo si contrista? Il peccato è l'unica cosa che contrista lo Spirito Santo. Sono i peccati veniali e la non corrispondenza alla grazia; cioè quando lo offendiamo e quando non facciamo tutto quello che dovremmo fare. Quei peccatucci, quei difetti, massime se abituali, fanno sì che lo Spirito Santo non possa star bene in noi. Bisogna essere generosi nel taglio dei nostri difetti.
Altre volte non si offende con peccati veniali deliberati, ma non si bada alle imperfezioni; e anche allora lo contristiamo, perché Egli vuole la nostra perfezione, vuol vedere in noi la pienezza della grazia. Quando Noè mandò fuori dall'arca la colomba, questa, non avendo trovato dove fermarsi, rientrò. Lo Spirito Santo è raffigurato nella colomba: dobbiamo evitare tutto ciò che sa di mondo, di profano, se vogliamo che si posi su di noi, che rimanga in noi, che sia contento di noi.
Alle volte non siamo capaci di sollevarci... Se ricevessimo bene lo Spirito Santo, saremmo tutti veri e santi Apostoli!... Dunque non contristare lo Spirito Santo col peccato veniale e con le mezze volontà. Dobbiamo metterci nelle sue mani, lasciarlo fare, seguirlo docilmente: che compia la nostra santificazione.
Non estinguerlo - S. Paolo dice: Non spegnete lo Spirito (1035). Lo Spirito Santo, come spiega S. Giovanni Crisostomo, è velut lucerna, la quale si estingue o per un colpo di vento o per mancanza di olio: si ventum, vel si parum olei infundas (1036). Che cosa significa il vento? Significa il mondo, lo spirito del mondo, l'amore alle cose terrene. Noi dobbiamo staccarci dal mondo, perché così vuole lo Spirito Santo. Lo spirito del mondo è l'opposto dello Spirito di Dio. Sta scritto che lo Spirito Santo è spirito di verità che il mondo non può ricevere (1037). Quindi, via i pensieri, i giudizi, i desideri del mondo, via anche lo spirito sensuale o anche solo troppo umano.
Gesù stesso disse agli Apostoli: Se io non vado, il Paraclito non verrà a voi (1038). Era necessario che gli Apostoli si staccassero anche da Lui. Ma non era buono l'affetto degli Apostoli alla Persona di Gesù? Sì, risponde S. Bernardo, ma era un affetto troppo sensibile, quindi imperfetto. Tanto più noi dobbiamo staccarci da certi affetti non cattivi ma troppo sensibili, come per taluni è l'affetto ai parenti.
Non lasciamo dunque che il vento, lo spirito del mondo, estingua lo Spirito Santo. E insieme procuriamo che non si spenga in noi per mancanza di olio. Che significa l'olio? Significa le opere buone, le virtù. Son queste che tengono vivo in noi lo Spirito. Mancanza d'olio è promettere sempre di essere umile, obbediente, e poi, nel momento in cui uno dovrebbe esplicare l'umiltà e l'obbedienza, saltar su con tutta la propria superbia. Le vergini stolte del Vangelo, che non avevano olio nelle loro lampade, non furono ammesse al festino dello Sposo (1039). Ciò serve per noi, che dobbiamo continuamente accrescere in noi la grazia, e corrispondere alla medesima. Sì, corrispondere alla grazia, affinché questa non ci venga tolta, e non si estingua in noi la carità, che è lo Spirito Santo.
Ravvivare in noi la grazia - S. Paolo scriveva a Timoteo: Ti rammento di ravvivare la grazia di Dio che è in te per l'imposizione delle mie mani (320). Che cosa vuol dire S. Paolo con queste parole? Timoteo, il discepolo prediletto di Paolo, era un santo, e certamente la grazia di Dio era in lui; però S. Paolo gli rammenta di tenerla viva, anzi di ravvivarla sempre più. Vedete: quando pare che il braciere debba spegnersi, lo si ravviva. Così noi dobbiamo ravvivare la grazia di Dio che è in noi, cioè l'accipe Spiritum Sanctum delle sacre Ordinazioni; darle una vita più intensa.
Alle volte i doni dello Spirito Santo sono assai poveri in noi, a motivo delle nostre meschine disposizioni. Non dico che ci manchi addirittura la grazia di Dio, ma non abbiamo vigore, viviamo una vita mediocre. Ed allora ecco: ravvivare in noi la vita della grazia, scuoterci, rimetterci in fervore. Lo Spirito Santo certo farà Lui, ma prima vuole che facciamo noi quello che possiamo... Tenete a mente queste cose. Oggi sarebbe un giorno ben trascorso, se faceste quello che vi ho detto e ve ne ricordaste per tutto l'anno.
I DONI DELLO SPIRITO SANTO - Oltre la grazia santificante, lo Spirito Santo dà ancora le grazie gratis datae, descritte da S. Paolo nella prima Lettera ai Corinti (1040). Queste non sono per tutte le anime. Voi non chiedete mai la grazia di fare miracoli; per far conversioni, sì, ma non per altro. Nei primordi della Chiesa alcuni ebbero di queste grazie straordinarie, s'invanirono e caddero.
Ci sono poi i doni dello Spirito Santo. Che cosa sono ?
E che differenza c'è tra virtù e doni? Le virtù sono facoltà soprannaturali che ci rendono capaci di compiere atti soprannaturali; i doni, invece, sono abiti permanenti, per i quali l'uomo è reso docile e pronto a seguire gli impulsi dello Spirito Santo.
I doni si distinguono dalle virtù in quanto il principio motore delle virtù sono le potenze dell'anima perfezionate soprannaturalmente, mentre quello dei doni e immediatamente lo Spirito Santo: le virtù danno la capacità di compiere le azioni ordinarie della vita virtuosa, i doni di compiere atti straordinari ed eroici.
Poiché i doni sono un regalo dello Spirito Santo, conviene pregarlo che ce li sviluppi, essendo la loro azione di grande importanza.
Passiamoli brevemente in rassegna.
Sapienza - Per questo dono, fissi nel fine per cui fummo creati, disprezziamo i beni di questo mondo, per solo apprezzare gli eterni. È, secondo S. Bernardo, il sapor boni (1O41), gustare cioè le cose spirituali. È vera sapienza quando si è attratti verso le cose spirituali, quando non si rimpiangono le cipolle d'Egitto per tendere solo alle cose del Cielo.
Intelletto - Certuni credono come se vedessero; è una luce che sgombra le tenebre e dà la pace nel credere. Intelletto vuol dire: intus legere (1042). Queste anime leggono dentro, penetrano, per così dire, i Misteri. Non è che l'anima li comprenda, ma di essi ha una luce più chiara. S. Felice Cappuccino, quando parlava di Dio, diceva cose altissime, tutte teologicamente esatte, senza aver mai aperto un libro.
Consiglio - Pel dono del consiglio dirigiamo noi egli altri alla virtù e alla santità; esso ci fa prevedere le tentazioni e ci suggerisce i mezzi per vincerle. S. Giuseppe Cafasso possedeva questo dono in grado eminente.
Fortezza - E quell'energia soprannaturale che ci fa vincere la pusillanimità e la debolezza nelle avversità e nei pericoli, rendendoci pronti al sacrificio e anche al martirio. Senza di questo dono i martiri non avrebbero potuto resistere. Esso è sommamente necessario ai missionari, massime a quelli più inclinati allo scoraggiamento.
Scienza - Per questo dono ci solleviamo dalla considerazione delle cose temporali a quelle eterne. S. Agostino diceva: " Ogni cosa creata mi è di scala a Dio " (1043). E S. Teresa: " Tutte le cose mi gridano di amare Te, o Signore! ". S. Maddalena de' Pazzi da un fiore, da un filo d'erba si sollevava al Creatore (1044).
Questo dono è anche necessario per lo studio e pel disimpegno del lavoro. Lo Spirito Santo è Spirito di scienza. Raccomandatevi a Lui nei vostri studi, specialmente in quello delle lingue indigene ed estere. Ciò che lo Spirito Santo ha fatto per gli Apostoli, lo farà anche per voi, purché mettiate da parte vostra buona volontà e impegno ad apprenderle.
Pietà - Pel dono della pietà si onora Dio come Padre e gli uomini come fratelli; si gusta di stare davanti a Dio, di trattare con Lui con filiale familiarità, come con un papà e una mamma; rende i nostri cuori docili ed arrendevoli. In particolare, questo dono ci fa gustare la pietà e godere di essa.
Timor di Dio - Per questo dono l'anima sta attenta a non offendere Dio. Non è un timore servile, ma filiale. Esso fa sì che non perdiamo la pace, né la confidenza per i difetti che commettiamo. Se uno cade, non si sgomenta, perché sa che Dio è Padre, e ritorna subito a Lui con maggior buona volontà. Anche il timore servile può essere utile, ma il timore filiale è più perfetto.
I FRUTTI DELLO SPIRITO SANTO - I frutti dello Spirito Santo, secondo S. Paolo, sono dodici: Frutto dello Spirito Santo è l'amore, la gioia, la pace, la pazienza, la benignità, la bontà, la longanimità, la mitezza, la fede, la moderazione, la continenza, la castità (1045). Perché si chiamano frutti ? Lo spiega S. Ambrogio: " Perché ristorano l'anima di sincero amore... e perché contengono una grande dolcezza e soavità " (1046). Ciò che i frutti naturali sono per il corpo, che si gustano e saziano, i frutti dello Spirito Santo lo sono per l'anima. Sono così belle queste cose!... Chi gode di questi frutti vive di Spirito Santo. Bisogna gustarli, e per gustarli è necessario essere divoti dello Spirito Santo. Leggeteli, meditateli; sono soavi al cuore, ci fanno passar sopra le miserie di questa vita e ci fanno amare i sacrifici.
TEMPLI DELLO SPIRITO SANTO - S. Paolo dice che noi siamo templi dello Spirito Santo. Che cosa si fa in un tempio? Nel tempio si cura la pulizia. Così noi: essere decenti esternamente e mondi internamente; delicatissimi di coscienza.
Nel tempio si fa silenzio. Così noi: silenzio esterno quando la Regola lo richiede, e silenzio interno: non divagare con la mente, ma pensare allo Spirito Santo che è in noi, desideroso di infonderci la sua grazia.
Nel tempio si prega. Così noi, se fossimo proprio persuasi di avere abitante in noi lo Spirito Santo, come volentieri gli parleremmo, e quanto attenti saremmo ad ascoltare le sue ispirazioni!
Nel tempio si celebra il Divin Sacrificio. Così dobbiamo fare dentro di noi: moltiplicare i piccoli sacrifici, che hanno tanto valore per la nostra santificazione.
Nel tempio si ascolta la parola di Dio. Così dobbiamo fare nella piccola chiesa del nostro cuore; ascoltare volentieri la voce dello Spirito Santo, che è la voce della grazia, e cercare di tradurla in pratica.
Nel tempio si celebrano le feste. E anche noi dobbiamo essere allegri in questa come in tutte le feste della Chiesa. Inoltre, procurare di ornare il nostro cuore con atti di virtù, allo stesso modo che si adornano con drappi i templi materiali...
Lo Spirito Santo si compiace di abitare nell'anima fervorosa; Egli ci lascia solo per il peccato mortale. Quando si commettono peccati veniali deliberati, non ci lascia no, ma resta mortificato. Meditiamo sovente questa grande e consolante verità: noi siamo templi dello Spirito Santo!
PENSIERI SULLA DEVOZIONE ALLO SPIRITO SANTO 
S.Filippo voleva che i suoi Religiosi fossero tutti figli dello Spirito Santo: io pure voglio che lo siate tutti voi. Egli vi darà le sue continue ispirazioni, i suoi doni, per cui diverrete dotti e santi.
Se non ci curiamo dello Spirito Santo. Egli passa con le sue ispirazioni. Perciò, per essere veri figli dello Spirito Santo, bisogna ascoltarlo, star sempre pronti alla sua voce, attenti alle sue ispirazioni.
Volete divenir santi, staccati da tutti e da tutto. Siate divoti dello Spirito Santo. Si comprende come delle piccole anime abbiano fatto tanto: perché erano ripiene di Spirito Santo. Ah, quando entra lo Spirito Santo in un'anima, basta! Egli consola e sana ogni ferita!
Alle volte siamo maligni, ecc.; questo perché non ricorriamo allo Spirito Santo. Egli dà tutti i doni, tutte le grazie di cui abbisogniamo. Se uno è divoto dello Spirito Santo, ottiene tutto.
Siamo deboli, pieni di difetti, ma se ci riconosciamo poveri non solo a parole ma in verità; se con convinzione di cuore ed efficacemente ci dichiariamo e ci dimostriamo figli dello Spirito Santo, Egli che è Pater pauperum, ci sarà largo dei suoi doni. Si pensa troppo poco allo Spirito Santo nel mondo, pensiamoci almeno noi!
Bisogna che continuiamo a invocare lo Spirito Santo per tutta l'Ottava; non lasciar passare questa settimana senza riempirci di Spirito Santo. Se non è ancor venuto, può essere che venga l'ultimo giorno dell'Ottava. In quel giorno, nella Messa, si leggono cinque Epistole e tanti Oremus; sembra che la Chiesa faccia violenza per farlo discendere.
Dovete anche pregare per gli Ordinandi, su cui lo Spirito Santo deve discendere; altri un giorno pregheranno per voi. Facciamo l'Ottava con questa intenzione.
La vostra divozione allo Spirito Santo non deve però terminare con quest'Ottava, deve durare tutto l'anno, perché tutto l'anno abbiamo il dovere di ossequiarlo e invocarlo. Nessuno ha fissato la data della venuta dello Spirito Santo in noi.
È una divozione che deve compenetrarvi, dev'essere di tutta la vita, di tutti i mesi, di tutti i giorni, di tutte le ore.
In Africa avrete ancor più bisogno dello Spirito Santo. Egli vi aiuterà e, se sarà necessario, farà dei miracoli. Perché S. Pietro convertì nella prima predica circa tre mila persone, e cinque mila nella seconda? Perché lo Spirito Santo dava forza alle sue parole e, nello stesso tempo, illuminava le anime che l'ascoltavano.
Questa divozione vi aiuterà anche in certi momenti di tristezza, di malinconia. Se in quei momenti invochiamo lo Spirito Santo, egli ci dà una spinta...Chi di voi non ha ancora provato questi momenti?... Ci sono temperamenti più inclinati alla malinconia, altri all'incostanza. Ma il carattere dobbiamo formarcelo noi e cambiarlo, da malinconico e incostante, in carattere sempre uguale. Lo Spirito Santo, con il dono della fortezza, ci aiuterà in questo lavoro su noi stessi.
Siamo intesi: lo Spirito Santo non lo abbandoneremo mai, ma lo terremo sempre dentro di noi. Saremo tutti figli dello Spirito Santo!
<<SPIRITO SANTO, ISPIRAMI.
AMORE DI DIO, CONSUMAMI.
NEL VERO CAMMINO, CONDUCIMI.
MARIA MADRE MIA, GUARDAMI.
CON GESU’ BENEDICIMI.
DA OGNI MALE, DA OGNI ILLUSIONE,
DA OGNI PERICOLO, PRESERVAMI.>> 

NELLA SOLENNITÀ DI PENTECOSTE OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Quello che l’aria è per la vita biologica, lo è lo Spirito Santo per la vita spirituale; e come esiste un inquinamento atmosferico, che avvelena l’ambiente e gli esseri viventi, così esiste un inquinamento del cuore e dello spirito, che mortifica ed avvelena l’esistenza spirituale.

DE EN ES FR IT PT ]
CAPPELLA PAPALE NELLA SOLENNITÀ DI PENTECOSTE

OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Domenica, 31 maggio 2009



Cari fratelli e sorelle!

Ogni volta che celebriamo l’Eucaristia, viviamo nella fede il mistero che si compie sull’altare, partecipiamo cioè al supremo atto di amore che Cristo ha realizzato con la sua morte e risurrezione. L’unico e medesimo centro della liturgia e della vita cristiana – il mistero pasquale – assume poi, nelle diverse solennità e feste, “forme” specifiche, con ulteriori significati e con particolari doni di grazia. 
Tra tutte le solennità, la Pentecoste si distingue per importanza, perché in essa si attua quello che Gesù stesso aveva annunciato essere lo scopo di tutta la sua missione sulla terra. Mentre infatti saliva a Gerusalemme, aveva dichiarato ai discepoli: “Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!” (Lc 12,49). Queste parole trovano la loro più evidente realizzazione cinquanta giorni dopo la risurrezione, nella Pentecoste, antica festa ebraica che nella Chiesa è diventata la festa per eccellenza dello Spirito Santo: “Apparvero loro lingue come di fuoco… e tutti furono colmati di Spirito Santo” (At 2,3-4). Il vero fuoco, lo Spirito Santo, è stato portato sulla terra da Cristo. Egli non lo ha strappato agli dèi, come fece Prometeo, secondo il mito greco, ma si è fatto mediatore del “dono di Dio” ottenendolo per noi con il più grande atto d’amore della storia: la sua morte in croce.

Dio vuole continuare a donare questo “fuoco” ad ogni generazione umana, e naturalmente è libero di farlo come e quando vuole. Egli è spirito, e lo spirito “soffia dove vuole” (cfr Gv 3,8). C’è però una “via normale” che Dio stesso ha scelto per “gettare il fuoco sulla terra”: questa via è Gesù, il suo Figlio Unigenito incarnato, morto e risorto. A sua volta, Gesù Cristo ha costituito la Chiesa quale suo Corpo mistico, perché ne prolunghi la missione nella storia. “Ricevete lo Spirito Santo” – disse il Signore agli Apostoli la sera della risurrezione, accompagnando quelle parole con un gesto espressivo: “soffiò” su di loro (cfr Gv 20,22).

Manifestò così che trasmetteva ad essi il suo Spirito, lo Spirito del Padre e del Figlio. Ora, cari fratelli e sorelle, nell’odierna solennità la Scrittura ci dice ancora una volta come dev’essere la comunità, come dobbiamo essere noi per ricevere il dono dello Spirito Santo. Nel racconto, che descrive l’evento di Pentecoste, l’Autore sacro ricorda che i discepoli “si trovavano tutti insieme nello stesso luogo”. Questo “luogo” è il Cenacolo, la “stanza al piano superiore” dove Gesù aveva fatto con i suoi Apostoli l’Ultima Cena, dove era apparso loro risorto; quella stanza che era diventata per così dire la “sede” della Chiesa nascente (cfr At 1,13). Gli Atti degli Apostoli tuttavia, più che insistere sul luogo fisico, intendono rimarcare l’atteggiamento interiore dei discepoli: “Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera” (At 1,14). Dunque, la concordia dei discepoli è la condizione perché venga lo Spirito Santo; e presupposto della concordia è la preghiera.

Questo, cari fratelli e sorelle, vale anche per la Chiesa di oggi, vale per noi, che siamo qui riuniti. Se vogliamo che la Pentecoste non si riduca ad un semplice rito o ad una pur suggestiva commemorazione, ma sia evento attuale di salvezza, dobbiamo predisporci in religiosa attesa del dono di Dio mediante l’umile e silenzioso ascolto della sua Parola. Perché la Pentecoste si rinnovi nel nostro tempo, bisogna forse – senza nulla togliere alla libertà di Dio – che la Chiesa sia meno “affannata” per le attività e più dedita alla preghiera. Ce lo insegna la Madre della Chiesa, Maria Santissima, Sposa dello Spirito Santo. Quest’anno la Pentecoste ricorre proprio nell’ultimo giorno di maggio, in cui si celebra solitamente la festa della Visitazione. Anche quella fu una sorta di piccola “pentecoste”, che fece sgorgare la gioia e la lode dai cuori di Elisabetta e di Maria, una sterile e l’altra vergine, divenute entrambe madri per straordinario intervento divino (cfr Lc 1,41-45). La musica e il canto, che accompagnano questa nostra liturgia, ci aiutano anch’essi ad essere concordi nella preghiera, e per questo esprimo viva riconoscenza al Coro del Duomo e allaKammerorchester di Colonia. Per questa liturgia, nel bicentenario della morte di Joseph Haydn, è stata infatti scelta molto opportunamente la sua Harmoniemesse, l’ultima delle “Messe” composte dal grande musicista, una sublime sinfonia per la gloria di Dio. A voi tutti convenuti per questa circostanza rivolgo il mio più cordiale saluto.

Per indicare lo Spirito Santo, nel racconto della Pentecoste gli Atti degli Apostoli utilizzano due grandi immagini: l’immagine della tempesta e quella del fuoco. Chiaramente san Luca ha in mente la teofania del Sinai, raccontata nei libri dell’Esodo (19,16-19) e del Deuteronomio (4,10-12.36). Nel mondo antico la tempesta era vista come segno della potenza divina, al cui cospetto l’uomo si sentiva soggiogato e atterrito. Ma vorrei sottolineare anche un altro aspetto: la tempesta è descritta come “vento impetuoso”, e questo fa pensare all’aria, che distingue il nostro pianeta dagli altri astri e ci permette di vivere su di esso. 

Quello che l’aria è per la vita biologica, lo è lo Spirito Santo per la vita spirituale; e come esiste un inquinamento atmosferico, che avvelena l’ambiente e gli esseri viventi, così esiste un inquinamento del cuore e dello spirito, che mortifica ed avvelena l’esistenza spirituale.
Allo stesso modo in cui non bisogna assuefarsi ai veleni dell’aria – e per questo l’impegno ecologico rappresenta oggi una priorità –, altrettanto si dovrebbe fare per ciò che corrompe lo spirito. Sembra invece che a tanti prodotti inquinanti la mente e il cuore che circolano nelle nostre società - ad esempio immagini che spettacolarizzano il piacere, la violenza o il disprezzo per l’uomo e la donna - a questo sembra che ci si abitui senza difficoltà. 

Anche questo è libertà, si dice, senza riconoscere che tutto ciò inquina, intossica l’animo soprattutto delle nuove generazioni, e finisce poi per condizionarne la stessa libertà. La metafora del vento impetuoso di Pentecoste fa pensare a quanto invece sia prezioso respirare aria pulita, sia con i polmoni, quella fisica, sia con il cuore, quella spirituale, l’aria salubre dello spirito che è l’amore!

L’altra immagine dello Spirito Santo che troviamo negli Atti degli Apostoli è il fuoco. Accennavo all’inizio al confronto tra Gesù e la figura mitologica di Prometeo, che richiama un aspetto caratteristico dell’uomo moderno. 

Impossessatosi delle energie del cosmo – il “fuoco” – l’essere umano sembra oggi affermare se stesso come dio e voler trasformare il mondo escludendo, mettendo da parte o addirittura rifiutando il Creatore dell’universo. L’uomo non vuole più essere immagine di Dio, ma di se stesso; si dichiara autonomo, libero, adulto. 

Evidentemente tale atteggiamento rivela un rapporto non autentico con Dio, conseguenza di una falsa immagine che di Lui si è costruita, come il figlio prodigo della parabola evangelica che crede di realizzare se stesso allontanandosi dalla casa del padre. Nelle mani di un uomo così, il “fuoco” e le sue enormi potenzialità diventano pericolosi: possono ritorcersi contro la vita e l’umanità stessa, come dimostra purtroppo la storia. 

A perenne monito rimangono le tragedie di Hiroshima e Nagasaki, dove l’energia atomica, utilizzata per scopi bellici, ha finito per seminare morte in proporzioni inaudite.Si potrebbero in verità trovare molti esempi, meno gravi eppure altrettanto sintomatici, nella realtà di ogni giorno. La Sacra Scrittura ci rivela che l’energia capace di muovere il mondo non è una forza anonima e cieca, ma è l’azione dello “spirito di Dio che aleggiava sulle acque” (Gn 1,2) all’inizio della creazione. E Gesù Cristo ha “portato sulla terra” non la forza vitale, che già vi abitava, ma lo Spirito Santo, cioè l’amore di Dio che “rinnova la faccia della terra” purificandola dal male e liberandola dal dominio della morte (cfrSal 103/104,29-30). Questo “fuoco” puro, essenziale e personale, il fuoco dell’amore, è disceso sugli Apostoli, riuniti in preghiera con Maria nel Cenacolo, per fare della Chiesa il prolungamento dell’opera rinnovatrice di Cristo.

Infine, un ultimo pensiero si ricava ancora dal racconto degli Atti degli Apostoli: lo Spirito Santo vince la paura. Sappiamo come i discepoli si erano rifugiati nel Cenacolo dopo l’arresto del loro Maestro e vi erano rimasti segregati per timore di subire la sua stessa sorte. Dopo la risurrezione di Gesù questa loro paura non scomparve all’improvviso. Ma ecco che a Pentecoste, quando lo Spirito Santo si posò su di loro, quegli uomini uscirono fuori senza timore e incominciarono ad annunciare a tutti la buona notizia di Cristo crocifisso e risorto. Non avevano alcun timore, perché si sentivano nelle mani del più forte. 

Sì, cari fratelli e sorelle, lo Spirito di Dio, dove entra, scaccia la paura; ci fa conoscere e sentire che siamo nelle mani di una Onnipotenza d’amore: qualunque cosa accada, il suo amore infinito non ci abbandona. Lo dimostra la testimonianza dei martiri, il coraggio dei confessori della fede, l’intrepido slancio dei missionari, la franchezza dei predicatori, l’esempio di tutti i santi, alcuni persino adolescenti e bambini. Lo dimostra l’esistenza stessa della Chiesa che, malgrado i limiti e le colpe degli uomini, continua ad attraversare l’oceano della storia, sospinta dal soffio di Dio e animata dal suo fuoco purificatore. Con questa fede e questa gioiosa speranza ripetiamo oggi, per intercessione di Maria: “Manda il tuo Spirito, Signore, a rinnovare la terra!”.

© Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana  

domenica 15 maggio 2016

La reciprocità tra maschile e femminile è espressione della bellezza della natura voluta dal Creatore.


DE EN ES FR IT PT ]
DISCORSO DEL 

SANTO PADRE BENEDETTO XVI 

A
I PARTECIPANTI ALLA PLENARIA 

DEL PONTIFICIO CONSIGLIO "COR UNUM"

Sala del Concistoro
Sabato, 19 gennaio 2013
  

Cari amici,

con affetto e con gioia vi do il mio benvenuto, in occasione dell’Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio Cor Unum. Ringrazio il Presidente, Cardinale Robert Sarah, per le sue parole e rivolgo il mio saluto cordiale ad ognuno di voi, estendendolo idealmente a tutti quanti operano nel servizio della carità della Chiesa. Con il recente Motu proprio Intima Ecclesiae natura ho voluto ribadire il senso ecclesiale della vostra attività. 
La vostra testimonianza può aprire la porta della fede a tante persone che cercano l’amore di Cristo. Così, in quest’Anno della fede il tema «Carità, nuova etica e antropologia cristiana», che voi affrontate, riflette lo stringente nesso tra amore e verità, o, se si preferisce, tra fede e carità. Tutto l’ethos cristiano riceve infatti il suo senso dalla fede come “incontro” con l’amore di Cristo, che offre un nuovo orizzonte e imprime alla vita la direzione decisiva (cfr Enc. Deus caritas est, 1). L’amore cristiano trova fondamento e forma nella fede. Incontrando Dio e sperimentando il suo amore, impariamo «a non vivere più per noi stessi, ma per Lui, e con Lui per gli altri» (ibid., 33).

A partire da questo rapporto dinamico tra fede e carità, vorrei riflettere su un punto, che chiamerei la dimensione profetica che la fede instilla nella carità. L’adesione credente al Vangelo imprime infatti alla carità la sua forma tipicamente cristiana e ne costituisce il principio di discernimento. Il cristiano, in particolare chi opera negli organismi di carità, deve lasciarsi orientare dai principi della fede, mediante la quale noi aderiamo al «punto di vista di Dio», al suo progetto su di noi (cfr Enc. Caritas in veritate, 1). Questo nuovo sguardo sul mondo e sull’uomo offerto dalla fede fornisce anche il corretto criterio di valutazione delle espressioni di carità, nel contesto attuale.

In ogni epoca, quando l’uomo non ha cercato tale progetto, è stato vittima di tentazioni culturali che hanno finito col renderlo schiavo. Negli ultimi secoli, le ideologie che inneggiavano al culto della nazione, della razza, della classe sociale si sono rivelate vere e proprie idolatrie; e altrettanto si può dire del capitalismo selvaggio col suo culto del profitto, da cui sono conseguite crisi, disuguaglianze e miseria. 

Oggi si condivide sempre più un sentire comune circa l’inalienabile dignità di ogni essere umano e la reciproca e interdipendente responsabilità verso di esso; e ciò a vantaggio della vera civiltà, la civiltà dell’amore. D’altro canto, purtroppo, anche il nostro tempo conosce ombre che oscurano il progetto di Dio. Mi riferisco soprattutto ad una tragica riduzione antropologica che ripropone l’antico materialismo edonista, a cui si aggiunge però un “prometeismo tecnologico”. 


Dal connubio tra una visione materialistica dell’uomo e il grande sviluppo della tecnologia emerge un’antropologia nel suo fondo atea. Essa presuppone che l’uomo si riduca a funzioni autonome, la mente al cervello, la storia umana ad un destino di autorealizzazione. Tutto ciò prescindendo da Dio, dalla dimensione propriamente spirituale e dall’orizzonte ultraterreno. 

Nella prospettiva di un uomo privato della sua anima e dunque di una relazione personale con il Creatore, ciò che è tecnicamente possibile diventa moralmente lecito, ogni esperimento risulta accettabile, ogni politica demografica consentita, ogni manipolazione legittimata. 


L’insidia più temibile di questa corrente di pensiero è di fatto l’assolutizzazione dell’uomo: l’uomo vuole essere ab-solutus, sciolto da ogni legame e da ogni costituzione naturale. Egli pretende di essere indipendente e pensa che nella sola affermazione di sé stia la sua felicità. «L’uomo contesta la propria natura … Esiste ormai solo l’uomo in astratto, che poi sceglie per sé autonomamente qualcosa come sua natura» (Discorso alla Curia romana, 21 dicembre 2012). Si tratta di una radicale negazione della creaturalità e filialità dell’uomo, che finisce in una drammatica solitudine.

La fede e il sano discernimento cristiano ci inducono perciò a prestare un’attenzione profetica a questa problematica etica e alla mentalità che vi è sottesa. La giusta collaborazione con istanze internazionali nel campo dello sviluppo e della promozione umana non deve farci chiudere gli occhi di fronte a queste gravi ideologie, e i Pastori della Chiesa - la quale è «colonna e sostegno della verità» (2 Tm 3,15) - hanno il dovere di mettere in guardia da queste derive tanto i fedeli cattolici quanto ogni persona di buona volontà e di retta ragione. 

Si tratta infatti  di una deriva negativa per l’uomo, anche se si traveste di buoni sentimenti all’insegna di un presunto progresso, o di presunti diritti, o di un presunto umanesimo. Di fronte a questa riduzione antropologica, quale compito spetta ad ogni cristiano, e in particolare a voi, impegnati in attività caritative, e dunque in rapporto diretto con tanti altri attori sociali? Certamente dobbiamo esercitare una vigilanza critica e, a volte, ricusare finanziamenti e collaborazioni che, direttamente o indirettamente, favoriscano azioni o progetti in contrasto con l’antropologia cristiana. 


Ma positivamente la Chiesa è sempre impegnata a promuovere l’uomo secondo il disegno di Dio, nella sua integrale dignità, nel rispetto della  sua duplice dimensione verticale e orizzontale. A questo tende anche l’azione di sviluppo degli organismi ecclesiali. La visione cristiana dell’uomo infatti è un grande sì alla dignità della persona chiamata all’intima comunione con Dio, una comunione filiale, umile e fiduciosa. 

L’essere umano non è né individuo a sé stante né elemento anonimo nella collettività, bensì persona singolare e irripetibile, intrinsecamente ordinata alla relazione e alla socialità. Perciò la Chiesa ribadisce il suo grande sì alla dignità e bellezza del matrimonio come espressione di fedele e feconda alleanza tra uomo e donna, e il no a filosofie come quella del gender si motiva per il fatto che la reciprocità tra maschile e femminile è espressione della bellezza della natura voluta dal Creatore.

Cari amici, vi ringrazio per il vostro impegno a favore dell’uomo, nella fedeltà alla sua vera dignità. Di fronte a queste sfide epocali, noi sappiamo che la risposta è l’incontro con Cristo. In Lui l’uomo può realizzare pienamente il suo bene personale e il bene comune. Vi incoraggio a proseguire con animo lieto e generoso, mentre di cuore vi imparto la mia Apostolica Benedizione.

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PENTECOSTE

AVE MARIA!

IL SANTO GIORNO DELLA PENTECOSTE

La grande giornata che compie l'opera divina sull'umanità, riluce finalmente sul mondo. "I giorni della Pentecoste, ci dice san Luca, sono compiuti" (At 2,1). Dopo la Pasqua noi abbiamo visto trascorrere sette settimane; ed ecco il giorno che ne segue e porta il numero misterioso di cinquanta. Oggi è la domenica consacrata dai ricordi della creazione della luce e della Risurrezione di Cristo; ora le dovrà essere imposto il suo ultimo carattere e riceverne "la pienezza di Dio".                                                  (continua)

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per mezzo della potente intercessione
del Cuore Immacolato di Maria ,
tua amatissima Sposa >>