mercoledì 9 marzo 2016

SAN DOMENICO SAVIO disse:


<<... Ciò che mi confortò di più in punto di morte fu l'assistenza della potente e amabile Madre del Salvato­re, Maria Santissima. E questo dillo ai tuoi giovani: che non dimentichino di pregarla finché sono in vita! >>

martedì 8 marzo 2016

PROFETICA VOCE

La profetica voce di Benedetto XVI a Ratisbona
Nel 2006 aveva invitato l'Islam al dialogo partendo dalla ragione...
 
 





Mentre la violenza dell’autoproclamato Stato Islamico si rivolge contro i cristiani, gli yazidi e altre minoranze, nuove voci si uniscono alla condanna. Tra queste, spiccano quelle del mondo musulmano, da quelle ben articolate degli imam della Gran Bretagna o del King Abdullah Bin Abdulaziz International Centre for Interreligious and Intercultural Dialogue (KAICIID), con sede a Vienna, passando per intellettuali e giornalisti di varie latitudini, fino a commoventi manifestazioni da parte di gente semplice. La condanna è unanime. I fanatici manipolano l’islam, pervertono il Corano e tradiscono la religione che dicono di professare. Mi ricordano la lezione di Ratisbona del professor Ratzinger.

Il 13 settembre 2006 Joseph Ratzinger, ossia Benedetto XVI, ha visitato l’Università di Ratisbona, dove in passato aveva insegnato. Ha pronunciato una memorabile lezione che oggi risuona con forza. Ha parlato della vocazione naturale delle religioni alla giustizia e alla pace, la cui realizzazione dipende dalla corretta articolazione tra fede e ragione, a sua volta uno dei grandi topici della sua teologia e del suo magistero. Ha spiegato che, quando manca il dialogo, si presentano le patologie della ragione e della religione che le fanno scivolare, all’estremo, nel fanatismo. Allora, di fronte all’ascesa dell’irrazionalità mascherata da fondamentalismo, ha lanciato una sfida ai musulmani per condannare la violenza come mezzo per imporre la fede, senza scusare peraltro i cristiani.

Papa Benedetto XVI aveva messo il dito nella piaga. Tre reazioni devono essere ricordate.

Da un lato, il mondo mediatico e intellettuale dell’Occidente, che si dice espressione di tolleranza e libertà, si è lanciato con violenza irrazionale contro Ratzinger accusandolo di essere fanatico e provocatore, quando in realtà aveva rivolto un invito al dialogo nella ragione. Dall’altro lato, coloro che tradiscono il Corano hanno lanciato condanne incendiarie chiamando a ulteriore violenzaIn entrambi i casi hanno dato ragione a Ratzinger. Gli uni e gli altri si sono mostrati affetti dalle patologie descritte nella lezione di Ratisbona.

La reazione più interessante e decisa è venuta dall’islam. Un nutrito gruppo di leader e intellettuali musulmani ha firmato una lettera nella quale raccoglieva la sfida del dialogo. L’epicentro è stato il Regno di Giordania, ma si è esteso rapidamente a varie latitudini. Nel testo, oltre a segnalare il proprio disaccordo con il professore, sono stati condannati quanti pretendono di imporre con la violenza “sogni utopistici nei quali il fine giustifica i mezzi”.

È giusto dire che la lezione e la lettera non hanno avviato il dialogo tra cristiani e musulmani, ma senza dubbio sono stati un fattore importante per promuoverlo a livelli mai visti prima. Oggi, è certo, questo dialogo sta dando frutti non solo tra certe élites, ma anche tra la gente comune, che molto prima che apparissero questi fanatici aveva fatto della convivenza interreligiosa la propria forma naturale d’essere e oggi protesta perché vuole continuare a vivere nello stesso modo. A mio avviso, è la voce più potente tra quelle che possono essere ascoltate. L’incontro tra la gente semplice e l’intellettualità mi riempie di speranza. Quando questo rapporto si alimenta con pazienza e costanza, allora genera movimenti culturali potenti.


La memorabile lezione di Ratisbona ha avuto altre conseguenze che oggi possiamo osservare in un interessante chiaroscuro. Le parole di Ratzinger hanno dato maggiore impulso a un’idea nata dalla realtà delle persecuzioni religiose del XIX secolo e della prima metà del XX viste alla luce del Vangelo, espressa chiaramente nel Concilio Vaticano II, alimentata dal Magistero pontificio successivo e articolata al meglio dalla diplomazia della Santa Sede. 

Si vuole fare della libertà religiosa una delle pietre angolari del Diritto e delle relazioni internazionali. Da qui il costante sforzo della Chiesa per favorire la voce dei leader e dei movimenti religiosi che cercano la pace mediante la giustizia di modo che si generino ambienti di convivenza armoniosa in ogni società, iniziativa chiamata genericamente “lo spirito di Assisi”. La libertà religiosa deve quindi diventare cultura con il sostegno deciso delle politiche pubbliche dei vari Stati. Uno dei più importanti promotori di questa proposta, per citare un esempio significativo, è stato il dottor Thomas Farr, che dirige il Religious Freedom Project al Berkeley Center for Religion, Peace and World Affair dell’Università di Georgetown.

Purtroppo, né negli Stati Uniti né nell’Unione Europea si è voluta ascoltare la lezione di Ratisbona o la proposta della Chiesa, e men che meno le eccellenti ragioni articolate da accademici e diplomatici di varie latitudini. Quando le religioni li incrociano sul loro cammino, il che accade continuamente, perdono il senso della realtà accecati dalla propria arroganza. I tentativi di farli tornare alla ragione sono interpretati come una violazione del loro laicismo radicale. È un peccato.

L’Occidente laicista – politici, intellettuali e mezzi di comunicazione – ha disdegnato la proposta e, senza volere, si è reso complice per omissione del fondamentalismo che ha manipolato l’islam fino a creare un’ideologia di sterminio. La sua mancanza di comprensione è tale che ha tentato di mantenere il silenzio di fronte al sacrificio dei cristiani e di altre minoranze in Medio Oriente, ma la dura realtà si è impostaÈ ora che comprenda che solo azioni multilaterali basate su una strategia che faccia della libertà religiosa e del dialogo interreligioso le proprie pietre angolari potrà raggiungere pace, giustizia e stabilità in Medio Oriente. Di fronte all’evidenza, sarà disposto a comprendere la lezione impartita dal vecchio professore? La risposta dipende dalla portata della sua superbia.

Ratzinger aveva ragione al di là della lezione di Ratisbona. Nelle prime righe del suo libro “Introduzione al Cristianesimo”, ci ricorda la parabola di Kierkegaard sul clown e sul villaggio in fiamme. Un circo si è fermato alla periferia di un villaggio, e all’improvviso viene avvolto dalle fiamme. Il padrone ordina a un clown, che aveva già indossato il costume di scena, di avvisare dell’imminente pericolo. Gli abitanti, anziché ascoltarlo, ridono di lui rendendone vani gli sforzi. Quando riescono a reagire è troppo tardi. Il villaggio è stato consumato dalle fiamme. In Medio Oriente è più di una semplice parabola.

Ad ogni modo, Ratzinger era ben lungi dall’esortare allo scoraggiamento. La sua teologia e il magistero pontificio sono stati un canto di speranza di acuta intelligenza. Il suo appello è al realismo nella speranza. La situazione attuale di chi evangelizza nella cultura dell’indifferenza, in realtà, ha poco di nuovo. Come Chiesa, non condividiamo la nostra sorte con il clown, ma con i santi e i profeti che hanno calcato la terra. Lo dice Geremia: “La parola del Signore è diventata per me motivo di obbrobrio e di scherno ogni giorno. Mi dicevo: ‘Non penserò più a lui, non parlerò più in suo nome!’. Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo”. Sono convinto che questo sia il fuoco che Gesù ha portato nel mondo e che voleva tanto veder ardere.

La lezione di Ratisbona si è trasformata in un’evocazione. Il regno di Dio è simile a un seme che, una volta deposto nella terra, cresce giorno e notte anche se il lavoratore non se ne rende conto, fino a dare un frutto abbondante. Lo ha detto Gesù.


Per leggere il discorso del 2006 di Papa Benedetto XVI clicca qui

MARÍA VALTORTA: IN ITALIANO E SPAGNOLO

lunedì 7 marzo 2016

SOLO GESU'!

Solo Gesù toglie i peccati del mondo...

Noi preghiamo così:

Gloria a Dio nell'alto dei cieli. 
E pace in terra agli uomini di buona volontà. 
Noi Ti lodiamo. Ti benediciamo. 
Ti adoriamo. Ti glorifichiamo. 
Ti rendiamo grazie per la tua gloria immensa. 
Signore Iddio, Re del cielo, Dio Padre onnipotente. 
Signore, Figlio unigenito, Gesù Cristo. 
Signore Iddio, Agnello di Dio, Figlio del Padre. 
Tu che togli i peccati del mondo, abbi pietà di noi. 
Tu che togli i peccati del mondo, accogli la nostra supplica. 
Tu che siedi alla destra del Padre, abbi pietà di noi. 
Poiché Tu solo il Santo. 
Tu solo il Signore. 
Tu solo l'Altissimo, Gesù Cristo. 
Con lo Spirito Santo  nella gloria di Dio Padre. Amen.


*****
SCONVOLGENTE!

http://www.conchiglia.us/XVA3MDC/VATICANO/15.313_PAPA_Em_BENEDETTO_XVI__14a_Parte_La_medaglia_blasfema_e_la_preghiera_non_cattolica_di_Bergoglio_11.06.15.pdf


Pecados opuestos a la fe: infidelidad, herejía, apostasía y blasfemia (infieles-impíos-herejes-apóstatas)


CATECISMO DE LA SUMA TEOLOGICA

Sección Segunda (II – II, q. I – CLXXXIX) Estudio concreto de los medios que debe emplear el hombre para volver a Dios


De los actos buenos y malos en particular. Virtudes teologales

— ¿Cuáles son las más notables entre las virtudes y aquellas cuyos actos tienen mayor trascendencia? 
— Las teologales. 

— ¿Por qué? 
— Porque mediante ellas se encamina el hombre al fin sobrenatural en la medida que puede y debe pro-curárselo en este mundo. 

— Luego sin las virtudes teologales, ¿no puede el hombre ejecutar actos meritorios de premio sobrenatural? — No señor. 

— ¿Cuántas y cuáles son? 
— Tres: Fe, Esperanza y Caridad.


II

 De la naturaleza de la fe. Fórmula y cualidades de su acto. El Credo. Pecados opuestos a la fe: infidelidad, herejía, apostasía y blasfemia.


— ¿Qué cosa es fe
— Una virtud sobrenatural por cuyo influjo el entendimiento adhiere inquebrantablemente y sin temor de errar a Dios corno fin y objeto de la eterna bienaventuranza, y a las verdades por El reveladas, aunque no las comprenda (I, II, IV). 

— ¿Cómo puede el entendimiento admitir de modo tan absoluto verdades que no entiende? 
— Basándose en la autoridad de Dios que ni puede engañarse ni engañarnos (I, 1). 

— ¿Por qué Dios no puede engañarse ni engañarnos? 
— Porque es la verdad por esencia (I, 1; IV, 8). 

— ¿Cómo podemos cerciorarnos de cuáles sean las verdades reveladas por Dios? 
— Mediante el testimonio de aquellos a quienes se las reveló, o confió el depósito de la revelación (I, 6-10). 

— ¿A quiénes las reveló? 
— Primeramente, a Adán en el Paraíso; más tarde, a los Profetas del Antiguo Testamento; por último, a los Apóstoles en tiempo de Jesucristo (I, 7). 

— ¿Cómo lo sabemos? 
— Por las aseveraciones bien comprobadas de la historia que refiere el hecho de la revelación sobrenatural, y los milagros realizados por Dios en testimonio de su autenticidad. 

— ¿Es el milagro prueba concluyente de la intervención sobrenatural divina? 
— Sí señor; puesto que es acto propio de Dios y ninguna criatura puede realizarlo con sus propios medios. 

— ¿En dónde se halla escrita la historia de la revelación y de otros hechos sobrenaturales de Dios? 
— En la Sagrada Escritura, llamada también la Biblia. 

— ¿Qué entendéis por Sagrada Escritura? 
— Una colección de libros divididos en dos grupos, llamados Antiguo y Nuevo Testamento. 

— ¿Son acaso estos libros resumen y compendio de todo lo que se ha escrito? 
— No señor; porque los demás libros fueron escritos por los hombres, y éstos por el mismo Dios. 

— ¿Qué significa que fueron escritos por el mismo Dios?
— Que Dios es su Autor principal, y para escribirlos utilizó, a manera de instrumentos, a algunos hombres por El elegidos.

— Luego, ¿es divino el contenido de los Libros Santos? 
— Atendiendo al primer original autógrafo de los escritores sagrados, Sí señor; las copias lo son en la medida en que se conformen con el original.

 — Luego la lectura de estos libros, ¿equivale a escuchar la palabra divina? 
— Sí señor. 

— ¿Podemos equivocar y torcer el sentido de la divina palabra? 
— Sí señor; porque si bien en la Sagrada Escritura hay pasajes clarísimos, también abundan los difíciles y oscuros. 

— ¿De dónde proviene la dificultad de entender la palabra divina? 
— En primer lugar, de los misterios que encierra, puesto que en ocasiones enuncia verdades superiores al alcance de las inteligencias creadas, y que solamente Dios puede comprenderlo; proviene además de lo difícil que se hace interpretar libros antiquísimos, escritos primeramente para pueblos que tenían idioma y costumbres muy diferentes de los nuestros; finalmente, de las equivocaciones que hayan podido deslizarse, bien en las copias de los originales, bien en las traducciones sobre ellas calcadas, y en sus copias. 

— ¿Hay alguien que esté seguro de no equivocarse al interpretar el sentido de la palabra de Dios consignada en la Santa Biblia? 
— Sí señor; el Romano Pontífice, y con él la Iglesia Católica en el magisterio universal (I, 10). 

— ¿Por qué? 
— Porque Dios ha querido que fuesen infalibles. 

— ¿Y por qué lo quiso? 
— Porque, si no lo fuesen, carecerían los hombres de medios seguros para alcanzar el fin sobrenatural a que están llamados (Ibíd.). 

— Por consiguiente, ¿qué entendemos al decir que el Papa y la Iglesia son infalibles en materia de fe y costumbres? 
— Que cuando enuncian e interpretan la palabra divina, ni pueden engañarse ni engañarnos en lo referente a lo que estamos obligados a creer y practicar para conseguir la bienaventuranza eterna. 

— ¿Existe algún compendio de las verdades esenciales de fe? 
— Sí señor; el Credo, o Símbolo de los Apóstoles (I, 6). Helo aquí conforme lo reza diariamente la Iglesia: 


"Creo en Dios Padre todopoderoso, Creador del cielo y de la tierra; y en Jesucristo su único Hijo, nuestro Señor, que fue concebido del Espíritu Santo; nació de la Virgen María; padeció debajo del poder de Poncio Pilatos, fue crucificado, muerto y sepultado; descendió a los infiernos; al tercer día resucitó de entre los muertos;
subió a los cielos y está sentado a la diestra de Dios Padre Todopoderoso;
desde allí ha de venir a juzgar a los vivos y a los muertos. Creo en el Espíritu Santo, la santa Iglesia católica, la comunión de los santos, el perdón de los pecados, la resurrección de la carne, la vida eterna. Amén"

— ¿Es la recitación del Credo o Símbolo de los Apóstoles el acto de fe por excelencia? 
— Sí señor; y nunca debemos cesar de recomendar a los fieles su práctica diaria. 

— ¿Podréis indicarme alguna otra fórmula breve, exacta y suficiente para practicar la virtud de la fe sobrenatural? 
— Sí señor; he aquí una en forma de plegaria: "Dios y Señor mío; fiado en vuestra divina palabra, creo todo lo que habéis revelado para que los hombres, conociéndoos, os glorifiquen en la tierra y gocen algún día de vuestra presencia en el cielo". 

¿Quiénes pueden hacer actos de fe? 
Solamente los que poseen la correspondiente virtud sobrenatural (IV, V). 

— Luego, ¿no pueden hacerlos los infieles
— No señor; porque no creen en la Revelación, bien sea porque, ignorándola, no se entregan confiados en las manos de Dios ni se someten a lo que de ellos exige, o porque, habiéndola conocido, rehusaron prestarle asentimiento (X). 

— ¿Pueden hacerlos los impíos
— Tampoco, porque si bien tienen por ciertas las verdades reveladas fundados en la absoluta veracidad divina, su fe no es efecto de acatamiento y sumisión a Dios, a quien detestan, aunque a pesar suyo se vean obligados a confesarlo (V, 2, ad 2). 

— ¿Es posible que haya hombres sin fe sobrenatural que crean en esta forma? 
— Sí señor; y en ello imitan la fe de los demonios (V, 2). 

— ¿Pueden creer los herejes con fe sobrenatural? 
— No señor; porque, aunque admiten algunas verdades reveladas, no fundan el asentimiento en la autoridad divina, sino en el propio juicio (V, 3). 

— Luego los herejes, ¿están más alejados de la verdadera fe que los impíos, y que los mismos demonios? 
— Sí señor; porque no se apoyan en la autoridad de Dios. 

— ¿Pueden creer con fe sobrenatural los apóstatas
— No señor; porque rechazan lo que habían creído bajo la palabra divina (XII). 

— ¿Pueden creer los pecadores con fe sobrenatural? 
— Pueden, con tal que conserven la fe como virtud sobrenatural; y pueden tenerla, si bien en estado imperfecto, aun cuando, por efecto del pecado mortal, estén privados de la caridad (IV, 1-4).

— ¿Luego no todos los pecados mortales destruyen la fe? 
— No señor (X, 1, 4). 

— ¿En qué consiste el pecado contra la fe llamado infidelidad? 
— En rehusar someter el entendimiento, por respeto y amor de Dios, a las virtudes sobrenaturales reveladas (X, 1-3). 

— Y siempre que esto sucede, ¿es por culpa del hombre? 
— Sí señor; porque resiste a la gracia actual con que Dios le invita e impulsa a someterse (VI, 1, 2). 

— ¿Concede Dios esta gracia actual a todos los hombres? 
— Con mayor o menor intensidad, y en la medida prefijada en los decretos de su providencia, sí señor. 

— ¿Es grande y muy estimable la merced que Dios nos hace al infundirnos la virtud de la fe? 
— Es en cierto modo la mayor de todas. 

— ¿Por qué? 
— Porque sin fe sobrenatural nada podemos intentar en orden a nuestra salvación, y estamos perpetua-mente excluidos de la gloria, si Dios no se digna concedérnosla antes de la muerte (II, 5-8, IV, 7). 

— Luego cuando tenemos la dicha de poseerla, ¿qué pecado será frecuentar compañías, mantener conversaciones o dedicarse a lecturas capaces de hacerla perder?
 — Pecado gravísimo haciéndolo espontánea y conscientemente, y de cualquier modo acto reprobable, puesto que siempre lo es exponerse a semejante peligro. 

— Luego, ¿nos importa sobremanera elegir con acierto nuestras amistades y lecturas para encontrar en ellas, no rémoras, sino estímulos para arraigar la fe? 
— Sí señor; y especialmente en esta época en que el desenfreno, llamado libertad de imprenta, ofrece tantas ocasiones y medios de perderla. 

— ¿Existe algún otro pecado contra la fe? 
— Sí señor; el pecado de blasfemia (XIII). 

— ¿Por qué la blasfemia es pecado contra la fe? 
— Por ser directamente opuesto al acto exterior de fe, que consiste en confesarla de palabra, y la blasfemia consiste en proferir palabras injuriosas contra Dios y sus santos (XIII, 1). 

— ¿Es siempre pecado grave la blasfemia? 
— Sí señor (XIII, 2-3). 

— La costumbre de proferirlas, ¿excusa o atenúa su gravedad? 
— En vez de atenuarla la agrava, pues la costumbre demuestra que se dejó arraigar el mal en lugar de ponerle remedio (XIII, 2, ad 3).

http://www.statveritas.com.ar/Doctrina/Doctrina-INDICE.htm


LAUDETUR   JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!