martedì 12 gennaio 2016

VISSE SECONDO QUESTA MASSIMA: "SPERNERE SE - SPERNERE MUNDUM - SPERNERE NULLUM - SPERNERE SPERNI"

SAN LUDOVICO BERTRAN



di Sr. M. Carla Bertaina



Il giorno di capodanno del 1526 non poteva portare migliore auspicio a Giovanni Luigi Bertràn ed alla sua degna consorte Giovanna Angela Exarch, sposata in seconde nozze, che rendendoli genitori di un Santo con la nascita del loro primogenito, Ludovico


A Valenza, rinomata città della costa orientale spagnola dove vivevano, Giovanni esercitava la professione di notaio ed era ricercato dalle principali famiglie a motivo della sua rettitudine ed abilità nel trattare le cause. Alla morte della prima moglie avrebbe voluto diventare monaco certosino entrando nella Certosa di Portacoeli, distante pochi chilometri dalla città, ma per divina ispirazione capì che doveva continuare a servire Dio come cristiano nel matrimonio e la Certosa come procuratore laico. Non si sentiva onorato dell’antico casato da cui proveniva, ma della lontana parentela con San Vincenzo Ferrer, illustre predicatore domenicano suo concittadino, vissuto un secolo e mezzo prima.


Giovanna Exarch aveva principi profondamente religiosi ed amava il raccoglimento domestico; dotata di un carattere soave e pacifico, costruì col marito una serena e cristiana vita familiare, allietando la casa con la nascita di otto figli.



Il giorno stesso della nascita Ludovico (Luìs) fu portato alla chiesa parrocchiale di Santo Stefano dove ricevette il dono della vita divina al medesimo fonte battesimale al quale era diventato figlio di Dio San Vincenzo Ferrer.



Dei suoi primissimi anni di vita si racconta che la nutrice, per calmare i suoi pianti, forse originati dalle condizioni di salute sempre precarie, lo portava in chiesa dove le sue lacrime cessavano alla vista delle statue e delle immagini sacre.



Del periodo della sua fanciullezza e prima adolescenza è conosciuto il suo desiderio di vivere col massimo impegno la sua crescita umana e spirituale: frequentava la scuola con grande diligenza ricavandone il migliore profitto e nutriva lo spirito con la preghiera prolungata, con mortificazioni e penitenze volontarie, come quella di dormire sul pavimento o su una cassapanca invece che sul letto.

Tralasciava i giochi coi compagni per avere più tempo da dedicare direttamente a Dio, senza tuttavia compromettere i suoi cordiali rapporti con loro, attratti dalla sua amabilità che scaturiva dall’umiltà sincera del suo cuore. La sua più grande gioia era partecipare alla Santa Messa e alla celebrazione dei Vespri nella chiesa di San Domenico, nella quale si recava spesso anche da solo per pregare.


Aveva per direttore spirituale un religioso dei Minimi di San Francesco da Paola, di cui seguiva con zelo i consigli e l’esempio di vita totalmente dedicata a Dio e all’amore verso il prossimo, col sacrificio di se stesso. Appena quattordicenne, col permesso dei genitori, passava spesso anche le notti ad assistere i malati che lo aspettavano come un vero angelo di conforto.



Verso i sedici anni sentì interiormente un forte impulso ad intraprendere la vita del pellegrino, a somiglianza di San Rocco che si era prodigato a servizio dei malati di peste ed aveva girato mendicando in Francia ed in Italia.



Si allontanò di mattino presto, nel cuore dell’inverno, senza avvertire i genitori, i quali non potevano spiegarsi in alcun modo la sua scomparsa e temevano per la sua incolumità. Spiegò la sua decisione con una lettera nella quale manifestava la sua convinzione di essere chiamato da Dio a quella vita raminga per espiare i suoi molti peccati e di essere tranquillo perché i genitori potevano contare sugli altri figli per il loro sostegno futuro. Il padre mandò subito dei messaggeri a cercarlo e quando essi lo raggiunsero, egli si rivolse nel suo intimo a Dio che gli diede la luce necessaria per capire che era stata sufficiente solo una prova della sua volontà di distacco dal mondo, distacco che avrebbe realizzato in futuro in altro modo.



Ritornò alla sua vita di preghiera, di studio, di opere di carità, ma ottenne dal padre il permesso di andare pellegrino al santuario di San Giacomo di Compostela e quello di vestire la talare ecclesiastica in segno della sua determinazione a consacrarsi a Dio.



Essendo morto il santo religioso che gli faceva da guida spirituale, Ludovico scelse come suo nuovo direttore il domenicano P. Lorenzo Lopez che aveva incontrato durante le conferenze che teneva agli studenti. Iniziò così a frequentare assiduamente la chiesa dei Frati Predicatori ed il convento in cui si trovava la cella, trasformata in oratorio, che era stata abitata per vent’anni da San Vincenzo Ferrer. 



Presto nel suo intimo divenne chiaro l’ideale da perseguire: entrare nella «navicella» dell’Ordine domenicano dove avrebbe potuto vivere il completo distacco dal mondo, praticare la penitenza ed attuare il sacrificio di sé per la salvezza delle anime. Chiese di esservi ammesso come postulante, ma un ostacolo imprevisto mise alla prova la perseveranza del suo desiderio: suo padre ancora una volta si spaventò all’idea di perdere quel suo primogenito di cui andava fiero ed ottenne dal priore del convento di San Domenico la promessa che non ne avrebbe accolto la domanda, convincendo invece il figlio che, a motivo della gracilità di salute, mai avrebbe potuto digiunare, flagellarsi ed astenersi dalla carne come era richiesto dall’osservanza regolare domenicana.



Ludovico soffrì profondamente per questo rifiuto, ma non cambiò intenzione: si dispose ad aspettare l’arrivo di un... nuovo priore, intensificando la preghiera e le visite al convento, dove cercava di rimanere il più a lungo possibile, talvolta anche di notte nascondendosi in qualche angolo buio della chiesa quando il fratello cooperatore ne chiudeva le porte.



Finalmente fu eletto nuovo priore il P. Giovanni Micon che, pur conoscendo la debole costituzione fisica del giovane, seppe discernere in lui i requisiti di una vera vocazione domenicana e ne accettò la domanda, dichiarandosi disposto a vestirlo del bianco abito. In attesa del giorno stabilito per la sua vestizione religiosa, il postulante ogni venerdì dopo Compieta, quando i frati dal coro passavano alla sala capitolare, si nascondeva tra le colonne del chiostro e poi restava in ginocchio dietro una finestra ad ascoltare le istruzioni e le esortazioni di quel priore dotto, santo e valente predicatore, allontanandosi poi senza essere visto per tornare a casa.




Vestì l’abito religioso a diciotto anni, il 26 agosto 1544.



Il padre, sempre contrario alla scelta dell’Ordine domenicano, scrisse al figlio una lettera per dissuaderlo dal suo proposito, ma questi rispose esprimendo ancora una volta la sua intima convinzione di essere nella via voluta per lui dal Signore. Non persuaso, il padre si recò dal priore ad esporre i suoi dubbi e così il figlio fu chiamato alla sua presenza dove dichiarò che mai avrebbe lasciato l’Ordine e che, privatamente, aveva già fatto voto di vivere e morire sotto la Regola di San Domenico.



Dopo tale dichiarazione, il notaio non si oppose più e lasciò trionfare la fede sui suoi sentimenti naturali. Anche la madre si rassegnò a quella separazione e da parte dei familiari il novizio non ebbe più lotte da sostenere. 
Ne ebbe ancora una, forte e dolorosa, all’interno del convento stesso: una calunnia, originata dalle parole di un fratello laico di Valenza, rischiò di farlo giudicare inadatto a portare l’abito religioso. Nella grave sofferenza del suo cuore, egli si rifugiò nella preghiera ed ottenne che la verità venisse in luce.



Fra Ludovico trascorse il suo anno di noviziato cercando di crescere nella perfezione di ogni virtù, di conoscere a fondo le Costituzioni dell’Ordine per osservarle fedelmente, di modellare la sua vita su quella di San Domenico e di seguire anche nei particolari la regola di vita tracciata da San Vincenzo Ferrer nel suo «Trattato della vita spirituale». Amava il silenzio per vivere nel raccoglimento e nella preghiera, si considerava il servo di tutti, meditava spesso la Passione di Gesù e i «Novissimi», seguiva interiormente la guida dello Spirito Santo che, trovandolo docile alle sue ispirazioni, sempre più lo conformava a Cristo.



Emise la Professione solenne il 27 agosto 1545, anno in cui nella Chiesa aveva inizio il Concilio Tridentino, e continuò per due anni gli impegni di religioso studente, in preparazione al Sacerdozio. 
Scrive il suo primo biografo, il P. Antist, che fu anche suo novizio: «Dalla Professione la sua vita fu austerissima. Era mortificato nel nutrirsi e nel bere. Affliggeva il suo corpo con cilici e veglie. Pregava incessantemente e parlava poco, sempre con gravità, evitando così ogni mormorazione o parola sconveniente per un religioso. Trattava volentieri di argomenti celesti. Non ricordo che abbia mai fatto burle o raccontato storielle giocose». 
Quest’ultima affermazione non significa che avesse un carattere triste o scontroso, ma semplicemente che non era portato ad un’allegria esuberante; era tanto umile e ricco di carità che tutti lo amavano e lo ammiravano.



Si riteneva sempre il meno fervoroso della comunità e trovava in ogni confratello virtù da imitare. Sentiva una speciale attrattiva per la penitenza e ne praticò con estremo rigore, senza riguardi alla sua salute, le forme esistenti nell’Ordine: veglie, digiuni, macerazioni notturne. Il suo fisico ne risentì fortemente ed i Superiori lo mandarono per un periodo in un altro convento in zona più salubre. 
Qui si conformò esattamente alle prescrizioni mediche e diede prova di esemplare obbedienza. Ritornato nel suo convento, riprese la vita di sempre, dedicando molte ore allo studio, che per lui era un’altra forma di penitenza poiché lo costringeva a lasciare la contemplazione che tanto gustava per applicare la mente e la memoria agli argomenti filosofici e teologici. Benché non ne avesse un’attitudine particolare, amò lo studio delle scienze sacre che fornirono sostanzioso alimento alla sua preghiera e alla sua futura predicazione.




Sempre di questi anni, il P. Antist scrive: «Non solo era fedele a tutti gli obblighi di ogni religioso: alla carità, alla povertà, all’obbedienza e alla castità, ma anche ad ogni benché minima prescrizione della Regola». Non fu quindi difficile ai Superiori giudicarlo pronto a ricevere il grande dono del Sacerdozio: celebrò la sua prima Messa non ancora ventiduenne, il 28 ottobre 1547, nella chiesa del convento di Valenza. Sprofondato nella consapevolezza della sua indegnità, che lo indusse per tutta la vita a coltivare in modo preminente il «santo timor di Dio», egli offrì tutto se stesso al Divin Sacerdote per essere canale di salvezza per le anime e gustò la gioia spirituale di sentirsi strettamente associato al Cristo Redentore.



Ricevette l’incarico di ridestare nei fedeli l’amore all’Eucaristia e, nell’adoperarsi a tale scopo, approfondì al massimo la devozione al Divin Sacramento, entrando in amicizia e comunione di spirito col P. Castells, riformatore della vita domenicana nella sua Provincia ed anima eminentemente eucaristica; a lui fra Ludovico ottenne, con la sua preghiera, la salvezza in un naufragio.



Nel 1548 il nostro Santo fu mandato nella cittadina di Lombay, dove era appena terminata la costruzione del «Convento della Santa Croce», che occorreva stabilire nel vero spirito di San Domenico.

Fu in questi primi mesi della sua residenza fuori Valenza che morì suo padre, ma egli poté assisterlo nell’agonia perché, avvertito da Dio con una visione durante la preghiera, ottenne il permesso di partire immediatamente per andare al suo capezzale e poté accoglierne l’estrema dichiarazione: «Figliolo, durante la mia vita mi riuscì penoso vederti domenicano, ma ora ciò costituisce per me il più grande conforto». Per ben otto anni il defunto apparve al figlio, per chiedergli suffragi affinché fosse liberato dalle pene del purgatorio. Interrogato sulla causa di così lunghe sofferenze espiative, il Santo rispose che suo padre doveva riparare peccati commessi nell’esercizio della sua professione di notaio e l’opposizione fattagli alla propria vocazione domenicana. Furono queste visioni ad imprimere in fra Ludovico il timore dei misteriosi giudizi di Dio.


A Lombay egli rimase solo un anno, perché a ventitré anni fu eletto Maestro dei novizi e tornò nel convento di Valenza. Mancava di esperienza e sicuramente non era dotto come altri padri del convento, ma fu scelto per la stima che avevano delle sue virtù.



Sentendosi indegno e inadatto a tale compito, fra Ludovico accettò l’obbedienza in spirito di fede e capì che doveva supplire all’inesperienza invocando con più insistenza l’aiuto di Dio e diventando un modello vivente di osservanza regolare, perché non sono le parole che convincono, ma gli esempi; solo essendo lui un perfetto osservante nella vita religiosa domenicana, avrebbe potuto chiedere ai novizi altrettanta esattezza nel vivere la Regola. Essendo alto l’ideale da raggiungere e grande il sacrificio richiesto alla natura con veglie, digiuni e penitenze, egli ne correggeva con severità le trasgressioni, perché provassero a loro stessi se si sentivano in grado di perseverare in tale stile di vita.




L’umiltà profonda del suo cuore — che rendeva la sua severità segno di vero amore — traspariva in ogni suo gesto, soprattutto nella riconoscenza dimostrata ai novizi che gli manifestavano, forzati dalla sua richiesta, una qualche sua imperfezione. Dopo ogni Capitolo delle colpe egli si flagellava ben più spietatamente di quanto avesse imposto ai suoi giovani, sia per riparare le colpe commesse, sia per dimostrare il suo amore a Cristo crocifisso. Le sue flagellazioni erano tali che spesso le pareti e il pavimento della cella restavano macchiati di sangue.



Nelle sue esortazioni insisteva sulla povertà e sull’obbedienza, combattendo le pur minime trasgressioni al silenzio, alla puntualità, alla perfezione della preghiera corale. Era premuroso verso i novizi che si ammalavano, voleva che le ore di ricreazione fossero trascorse in allegria, raccomandava con insistenza lo studio delle scienze sacre, indispensabile fondamento della vita domenicana. Egli stesso, ritenendo troppo manchevole la sua preparazione teologica, ottenne dal Maestro Generale il permesso di recarsi a completare i suoi studi all’Università di Salamanca, nonostante il parere contrario del priore P. Micon con tutta la comunità e la costernazione dei novizi nel vedersi abbandonati: tutti pensavano che fosse sufficiente insegnare la virtù, non la scienza! Risoluto nel suo proposito, partì per Salamanca, ma lungo il tragitto volle consultare un religioso rinomato per santità e prudenza e ne ebbe come risposta che stava allontanandosi dalla volontà di Dio per cedere ad un’illusione. Fra Ludovico chiese maggior luce nella preghiera e capì che doveva tornare sui suoi passi. A Valenza fu accolto con gran sollievo da tutti ed egli tornò serenamente al suo compito di formatore.



Nel 1556 poté assistere la mamma morente ed accompagnarla con le sue fervide preghiere all’incontro con Dio.

Nel 1557 si diffuse in Spagna la peste che subito colpì anche il convento domenicano di Valenza, per cui i frati furono distribuiti in varie parti: fra Ludovico fu mandato quale Vicario al convento di Albaida. Qui dimostrò le sue eccellenti qualità come responsabile della comunità e come apostolo della carità presso gli appestati e presso tutti i poveri che ricorrevano al convento, mantenendo la sua intensa vita interiore e di colloquio con Dio con frequenti ore di preghiera notturna. Dava fino all’ultimo quanto il convento possedeva per sovvenire i bisognosi, fiducioso nel soccorso della Provvidenza, nonostante le apprensioni dell’economo. La risposta del Cielo fu sempre generosa, tantoché il numero dei religiosi raddoppiò, senza causare maggiori difficoltà economiche.


Si dedicò con zelo alla predicazione al popolo e al ministero sacerdotale con la confessione e la direzione delle anime, ottenendo con la sua preghiera interventi miracolosi; in molte occasioni rivelò il suo spirito profetico a beneficio del prossimo. Tra i tanti prodigi operati, ricordiamo quello in cui trasformò in crocifisso la canna di un fucile puntato su di lui per vendetta da un signorotto che si era sentito offeso dall’invito del predicatore a cambiare vita; spesso nell’iconografia il Santo è rappresentato con questo simbolo.



Per non attirare l’attenzione su di sé, egli attribuiva il potere miracoloso al Rosario, alla cui devozione invitava sempre i fedeli.



Dopo tre anni, cessata la peste, tornò a Valenza e fu nuovamente incaricato di seguire i novizi, ma continuò anche la sua attività di predicatore, così fruttuosamente iniziata ad Albaida: non bastando le chiese a contenere i fedeli che desideravano ascoltarlo, egli spargeva la Parola di Dio nelle piazze.



Fu di questo periodo il contatto epistolare che ebbe con Santa Teresa d’Avila, la quale gli aveva chiesto se era nei disegni di Dio il suo piano di riforma per l’Ordine Carmelitano. Il Domenicano le scrisse: «...A nome di Dio, vi dico di intraprendere coraggiosamente la grande opera che vi si offre. Iddio stesso vi aiuterà e vi benedirà. A nome suo vi assicuro che, prima di cinquant’anni, il vostro Ordine sarà uno dei più illustri nella Chiesa di Dio».

*
Intanto per il nostro Santo si preparava un grande cambiamento di vita. L’evangelizzazione del Nuovo Mondo, che proseguiva tra gli ostacoli posti dallo sfruttamento dei conquistatori spagnoli e dalle credenze superstiziose degli indigeni, divenne un desiderio impellente del suo cuore, specialmente quando tra i suoi novizi fu ammesso un indios proveniente dalla Colombia, che non corrispondeva alla sua guida di maestro ormai esperto. Fu questo il mezzo con il quale conobbe l’estrema necessità di missionari per quelle popolazioni primitive ed intuì che avrebbe potuto anche avere l’occasione di versare il suo sangue per Cristo. Spinto da questo ardente amore di carità, supplicò intensamente Dio per conoscere la sua volontà e ritenne di aver ottenuto la risposta nell’arrivo a Valenza di due missionari domenicani autorizzati dal Maestro Generale ad arruolare nuovi religiosi come zelanti apostoli delle regioni recentemente scoperte.


Ancora una volta incontrò l’opposizione di tutti: il priore non volle dargli nulla per il viaggio e neppure la sua benedizione; i novizi e i confratelli manifestarono la loro desolazione e i loro dubbi su tale scelta; i familiari tentarono di dissuaderlo. Ma egli, sicuro della benedizione di Dio, partì a piedi per Siviglia dove si sarebbe imbarcato con un confratello, confidando nel Signore che avrebbe sorretto la sua salute cagionevole e indirizzato ogni cosa al bene delle anime da salvare.

Durante la traversata dell’Oceano si dedicò alla preghiera e all’istruzione catechistica dei marinai, che impararono ben presto a ricorrere alla sua potente intercessione presso Dio nei pericoli delle burrasche e che lo videro guarire miracolosamente il confratello, ferito gravemente alla testa dalla caduta dell’albero del vascello.


Aveva trentasei anni quando sbarcò a Cartagena e prese dimora nel convento domenicano di San Giuseppe, da dove iniziò i suoi viaggi missionari nei villaggi vicini e poi in diversi paesi dell’attuale Colombia. Con la sua predicazione, accompagnata da segni prodigiosi, riuscì ad aprire le menti di quegli indigeni alla realtà dell’esistenza di un Dio unico e provvidente e del suo Figlio Gesù morto in croce per la salvezza di tutti gli uomini. Oltre che con le guarigioni e l’avveramento di tante profezie, contribuì molto alla conversione di un gran numero di pagani il dono delle lingue, per il quale egli, che parlava spagnolo, veniva compreso dalla gente nella propria lingua locale. 


Ma, soprattutto, le conversioni furono il frutto della sua continua penitenza: fame, sete, caldo, viaggi estenuanti in mezzo ai pericoli delle foreste, erano il mezzo col quale chiedeva a Dio le anime; per loro continuava a flagellarsi, a digiunare, a pregare incessantemente. Il nemico di ogni bene, però, suscitò contro di lui insinuazioni malevole, calunnie diffamanti e veri attentati alla sua vita: due volte gli fu dato a sua insaputa del veleno, che non ebbe effetti letali per intervento divino, ma che gli causò comunque forti dolori.

Dopo sette anni di infaticabile lavoro missionario, fra Ludovico chiese al Maestro Generale di essere richiamato in patria perché la crudele tirannia dei governatori spagnoli sugli indios che tanto amava aveva turbato profondamente il suo animo; inoltre un’ispirazione soprannaturale gli aveva fatto capire che Dio lo voleva nuovamente in Europa ad infondere il suo zelo missionario in un numero maggiore di confratelli, che avrebbero continuato la sua opera nel tempo.

Sbarcò a Siviglia il 18 ottobre 1569 e subito si incamminò verso il convento di Valenza, dove fu accolto con la gioia più grande. Per un anno rimase libero da impegni particolari per poter riposare, ed egli considerò questo tempo come un anno che il Signore gli concedeva di passare in una più perfetta osservanza della Regola e tutto dedito alla preghiera e alla contemplazione. Fece amicizia con P. Nicola Factor, un francescano favorito di estasi, vero imitatore di San Francesco nella povertà, nella carità e nella vita di unione con Dio: l’uno ammirava l’altro, disprezzando se stesso.

Nell’ottobre del 1570 fu eletto priore del convento di Sant’Onofrio, che era povero, bisognoso di restauri e aggravato di debiti: sotto il suo governo non solo scomparve la miseria e furono pagati i debiti, ma si poterono attuare molti miglioramenti ed accogliere un maggior numero di frati. Come avvenne ciò? Con le sue abbondanti elemosine P. Bertràn si era reso debitore il buon Dio, il quale interveniva o con la generosità altrui o direttamente, come quando comparve sul suo tavolo la somma che il libraio gli stava chiedendo ed egli spiegò: «Prima non avevo la somma con cui pagarvi, ma il Padrone l’aveva e ora, grazie a Lui, il debito è saldato».

Naturalmente più di tutto il santo priore si preoccupava del bene spirituale della comunità e dei singoli fratelli, anche usando con discrezione il dono della chiaroveggenza soprannaturale, per cui due frati conversi ebbero a dire: «Il nostro priore è quasi cieco e sordo, passa molto tempo nella sua cella, eppure conosce tutto quanto succede...». Insisteva soprattutto sulla necessità di allontanare lo spirito mondano, evitando ogni uscita dal convento non motivata dalla predicazione o dalla carità. Egli stesso, nonostante una gamba ulcerata che gli procurava forti dolori, si affrettava a tornare tra i confratelli dopo una predicazione, anche se era già sera tardi.

Al termine del suo triennio la disciplina religiosa al Sant’Onofrio era rifiorita e le sacre funzioni erano frequentate da numerosi fedeli d’ogni ceto sociale.

Il Santo, tornando a Valenza, sperava di potersi dedicare ad una vita di silenzio e di preghiera e pensò di ritirarsi nella Certosa di Portacoeli, ma il suo amico P. Factor lo dissuase, rendendolo certo che era nei piani di Dio che continuasse a servirLo nella vita apostolica domenicana. 
Fu eletto nuovamente Maestro dei novizi, ma in tale ufficio durò poco più di un anno, perché il 15 maggio 1575, nonostante il suo palese indebolimento fisico, fu eletto priore del convento di Valenza. 

In questa responsabilità veramente onerosa, poiché la comunità era formata da oltre cento frati, egli si affidò all’aiuto di Dio e pregò San Vincenzo Ferrer che governasse lui la comunità, dichiarandosi suo «vicesuperiore». Continuò, secondo quanto gli consentivano le forze e le frequenti malattie, la predicazione al popolo, la direzione delle anime con la confessione, il soccorso generoso ai poveri e si dedicò con particolare compassione a visitare i carcerati.


Al termine del suo mandato, il 15 maggio 1578, P. Bertràn iniziò una vita di nascondimento e di preghiera, con penitenze sempre rigorose per conformarsi meglio al Dio Crocifisso ed espiare con la compunzione del cuore le proprie colpe.

Usciva dalla pace beata della sua cella per confessare, per visitare e confortare i malati, per predicare.

Prodigi, profezie e visioni celesti accompagnarono anche quest’ultimo periodo della sua vita, compreso il vaticinio della propria morte fatto nell’ottobre del 1580 al P. Pietro da Salamanca, mentre con lui andava a visitare un condannato a morte: «Padre, ricordate questo giorno, poiché tra un anno preciso io morirò!».

Il suo ultimo anno di vita fu colmo di acute sofferenze fisiche che egli accettò con eroica pazienza, e con profonda umiltà si adattò a tutti i rimedi imposti dai medici, pur conoscendone l’inutilità; solo una volta, sentendone il bisogno, chiese che gli dessero un po’ di pane, interrompendo la dieta a base di liquidi che gli avevano prescritto. Si mostrava estremamente grato ai visitatori che gli promettevano il soccorso spirituale della preghiera.
Morì, come aveva predetto, nella festa di San Dionigi, il 9 ottobre del 1581.

Il suo corpo fu conservato nella chiesa di Santo Stefano fino alla rivoluzione spagnola del 1936, quando venne distrutto.
Fu beatificato da Papa Paolo V nel 1608 e canonizzato da Papa Clemente X il 12 aprile 1671.




AMDG et BVM

13 GENNAIO - BATTESIMO DI CRISTO


13 GENNAIO
BATTESIMO DI CRISTO [1]

Il secondo Mistero dell'Epifania, il Mistero del Battesimo di Cristo nel Giordano, attira oggi in modo speciale l'attenzione della Chiesa. L'Emmanuele si è manifestato ai Magi dopo essersi mostrato ai pastori; ma questa manifestazione è avvenuta nel ristretto spazio d'una stalla a Betlemme, e gli uomini di questo mondo non l'hanno conosciuta. Nel mistero del Giordano, Cristo si manifesta con maggior splendore. La sua venuta è annunciata dal Precursore; la folla che accorre al Battesimo del fiume ne fa testimonianza, e Gesù esordisce alla vita pubblica. Ma chi potrebbe descrivere la grandiosità delle cose che accompagnano questa seconda Epifania?

Il mistero dell'acqua.
Essa ha per oggetto, al pari della prima, il bene e la salvezza del genere umano; ma seguiamo il progredire dei Misteri. La stella ha condotto i Magi verso Cristo. Prima essi aspettavano e speravano; ora, credono. La fede nel Messia venuto comincia in seno alla Gentilità. Ma non basta credere per essere salvi; è necessario che la macchia del peccato sia lavata nell'acqua. "Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo" (Mc 16,16): è tempo dunque che avvenga una nuova manifestazione del Figlio di Dio, per inaugurare il grande rimedio che deve dare alla Fede la virtù di produrre la vita eterna.
Ora, i decreti della divina Sapienza avevano scelto l'acqua come strumento di questa sublime rigenerazione della razza umana. Già all'origine delle cose lo Spirito di Dio ci è rappresentato mentre sorvola sulle acque, affinché, come canta la Chiesa il Sabato Santo, la loro natura concepisse già un principio di santificazione. Ma le acque dovevano servire alla giustizia contro il mondo colpevole, prima di essere chiamate a compiere i disegni della misericordia. Ad eccezione d'una sola famiglia, il genere umano per un terribile decreto, scomparve sotto le acque del diluvio.
Tuttavia, alla fine di quella terribile scena, si manifestò un nuovo indizio della futura fecondità di questo elemento predestinato. La colomba, uscita per un momento dall'arca della salvezza, vi rientrò con un ramoscello d'ulivo, simbolo della pace ridata alla terra dopo l'effusione dell'acqua. Ma il compimento del mistero annunciato era ancora lontano.
Nell'attesa del giorno in cui il mistero sarebbe stato manifestato, Dio moltiplicò le immagini destinate a sostenere l'attesa del suo popolo. Così, fu attraversando le acque del Mar Rosso che il popolo arrivò alla Terra promessa; e durante il misterioso tragitto, una colonna di nube copriva insieme il cammino d'Israele e le acque benedette alle quali questi doveva la sua salvezza.
Ma il solo contatto delle membra umane d'un Dio incarnato poteva dare alle acque la virtù purificatrice che ogni uomo colpevole sospirava. Dio aveva dato il Figlio suo non al mondo soltanto come Legislatore, Redentore e Vittima di Salvezza, ma perché fosse anche il Santificatore delle acque; e appunto in seno a questo sacro elemento doveva rendergli una testimonianza divina, manifestarlouna seconda volta.

Il battesimo di Gesù.
Gesù dunque, all'età di trent'anni, va verso il Giordano, fiume già famoso per le meraviglie profetiche operate nelle sue acque. Il popolo ebreo, risvegliato dalla predicazione di Giovanni Battista, accorreva in massa per ricevere il Battesimo che poteva produrre il pentimento del peccato, ma non cancellarlo. Il nostro divino Re va anch'egli al fiume, non per cercarvi la santificazione, poiché egli è il principio di ogni giustizia, ma per dare finalmente alle acque la virtù di produrre, come canta la Chiesa, una razza nuova e santa. Scende nel letto del Giordano, non più come Giosuè per attraversarlo a piedi asciutti, ma affinché il Giordano lo cinga delle sue acque, e riceva da lui, per comunicarla a tutto l'elemento, quella virtù santificatrice che esso non perderà mai più. Riscaldate dai divini ardori del Sole di giustizia, le acque divengono feconde, nel momento in cui il sacro capo del Redentore viene immerso nel loro seno dalla mano tremante del Precursore.
Ma in questo preludio di una nuova creazione, è necessario che intervenga tutta la Trinità. Si aprono i cieli, e ne scende la Colomba, non più come simbolo e figura, ma per annunciare la presenza dello Spirito d'amore che dà la pace e trasforma i cuori. Essa si ferma e si posa sul capo dell'Emmanuele, scendendo insieme sull'umanità del Verbo e sulle acque che bagnano le sue auguste membra.

La testimonianza del Padre.
Tuttavia il Dio-Uomo non era manifestato ancora con abbastanza splendore; bisognava che la parola del Padre risonasse sulle acque, e le agitasse fin nella profondità dei loro abissi. Allora si fece sentire quella Voce che aveva cantata David: Voce del Signore che risuona sulle acque, tuono del Dio di maestà che spezza i cedri del Libano, l'orgoglio dei demoni, che spegne il fuoco dell'ira celeste, che scuote il deserto, che annuncia un nuovo diluvio (Sal 28), un diluvio di misericordia; e quella voce che diceva: Questi è il mio Figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto.
Così fu manifestata la Santità dell'Emmanuele dalla presenza della divina Colomba e dalla voce del Padre, come era stata manifestatala sua Regalità dalla muta testimonianza della Stella. Compiuto il divino mistero e investito della virtù purificatrice l'elemento delle acque, Gesù esce dal Giordano e torna a riva, portando con sé - secondo l'opinione dei Padri - rigenerato e santificato il mondo di cui lasciava sotto le acque i delitti e le immondezze.

Usanze.
Come è grande la festa dell'Epifania, che ha per oggetto di onorare così sublimi misteri! E come non c'è da stupire se la Chiesa Orientale ha fatto di questo giorno una delle date per l'amministrazione solenne del Battesimo. Gli antichi monumenti della Chiesa delle Gallie ci mostrano che l'usanza esisteva anche presso i nostri avi; e più d'una volta - stando a quanto riferisce Giovanni Mosch - si vide il santo battistero riempirsi d'un'acqua miracolosa il giorno di questa grande festa, e asciugarsi da sé dopo l'amministrazione del Battesimo. La Chiesa Romana, fin dal tempo di san Leone, insisté per riservare alle feste di Pasqua e di Pentecoste l'onore di essere gli unici giorni consacrati alla celebrazione solenne del primo fra i Sacramenti; ma in parecchi luoghi dell'Occidente si conservò e dura ancora oggi l'usanza di benedire l'acqua con una solennità del tutto speciale nel giorno dell'Epifania.
La Chiesa d'Oriente ha conservato inviolabilmente tale usanza. La funzione ha luogo, ordinariamente, nella Chiesa, ma talvolta il Pontefice si reca sulle rive di un fiume, accompagnato dai sacerdoti e dai ministri rivestiti dei più ricchi paramenti e seguito da tutto il popolo. Dopo alcune magnifiche preghiere, che ci dispiace di non poter riportare qui, il Pontefice immerge nelle acque una croce rivestita di pietre preziose che significa il Cristo, imitando così l'azione del Precursore. Un tempo, a Pietroburgo, la cerimonia aveva luogo sulla Neva, e attraverso un'apertura praticata nel ghiaccio il Metropolita faceva scendere la croce nelle acque. Questo rito si osserva parimenti nelle Chiese dell'Occidente che hanno conservato l'usanza di benedire l'acqua nella Festa dell'Epifania.
I fedeli si affrettano ad attingere nella corrente del fiume quell'acqua consacrata; e san Giovanni Crisostomo - nella sua ventiquattresima Omelia sul Battesimo di Cristo - attesta, chiamando a testimone il suo uditorio, che quell'acqua non si corrompevamai. Lo stesso prodigio è stato riconosciuto molte volte in Occidente.
Glorifichiamo dunque Cristo per questa seconda manifestazione del suo divino carattere, e rendiamogli grazie, insieme con la santa Chiesa, per averci dato, dopo la Stella della fede che ci illumina, l'Acqua potente che toglie le nostre immondezze. Nella nostra riconoscenza, ammiriamo l'umiltà del Salvatore che si curva sotto la mano di un uomo mortale al fine di compiere ogni giustizia, come dice egli stesso; poiché, avendo assunto la forma del peccato era necessario che sopportasse l'umiliazione per risollevarci dal nostro abbassamento. Ringraziamolo per questa grazia del Battesimo che ci ha aperto le porte della Chiesa terrena e della Chiesa celeste. Infine, rinnoviamo gli impegni che abbiamo contratti sul sacro fonte, e che sono stati la condizione di questa nuova nascita.

SANTA MESSA
La Messa è quella dell'Epifania, eccetto le Orazioni ed il Vangelo.

VANGELO (Gv 1,29-34). - In quel tempo Giovanni vide Gesù venire a lui, ed esclamò: Ecco l'Agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati dal mondo. Egli è colui del quale ho detto: dopo di me viene uno che è avanti di me, perché era prima di me. Ed io non lo conoscevo; ma affinché egli sia conosciuto in Israele, io venni a battezzare con acqua. E Giovanni rese la sua testimonianza dicendo: Ho veduto lo Spirito scendere dal cielo a guisa di colomba e posarsi su di lui. Ed io nulla sapevo di lui; ma chi mi inviò a battezzare con acqua mi disse: Colui sul quale vedrai scendere e fermarsi lo Spirito, è colui che battezza con lo Spirito. Ed io ho veduto, ed ho attestato che egli è il Figlio di Dio.

Celeste Agnello, tu sei sceso nel fiume per purificarlo; la divina Colomba è venuta dalle altezze del cielo ad unire la sua dolcezza alla tua, e sei tornato a riva. Ma - oh prodigio della tua misericordia! - dopo di te sono scesi i lupi nelle acque santificate: ed ecco che essi tornano verso di te trasformati in agnelli. Noi tutti, immondi per il peccato, diventiamo, uscendo dal sacro fonte, le candide pecorelledel tuo divino Cantico, che tornano dal lavatoio tutte feconde, non una sterile; quelle caste colombe che sembra si siano bagnate nel latte, e che hanno fissato la propria dimora presso chiare fontane: tanto è potente la virtù purificatrice che il tuo divino contatto ha dato a quelle acque! Mantieni in noi il candore che deriva da te, o Gesù, e se l'abbiamo perduto, ridonacelo con il battesimo della Penitenza, il quale soltanto può ridare il candore del nostro primo abito! Spandi ancor più quel fiume d'amore, o Emmanuele! Che le sue acque vadano a cercare nel più profondo dei loro selvaggi deserti quelli che finora non hanno raggiunto; inonda la terra, come tu hai promesso. Ricordati della gloria nella quale fosti manifestato in mezzo al Giordano; dimentica i delitti che da troppo tempo ritardano la predicazione del tuo Vangelo su quelle plaghe desolate. Il Padre celeste comanda ad ogni creatura di ascoltarti: parla ad ogni creatura, o Emmanuele!


[1] Col decreto della Congregazione dei Riti del 22 marzo 1955, abolita l'Ottava dell'Epifania, venne istituita al 13 gennaio la "Commemorazione del Battesimo di Gesù Cristo" (n. 16 del decreto) con le stesse prerogative e riti dell'abolito giorno ottavo. Tuttavia, nel caso che in questo giorno cadesse la festa della Sacra Famiglia, si celebra questa, senza commemorazione del Battesimo di Cristo.

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 235-240


PUBLICATIO FESTORVM A.D. MMXVI



PVBLICATIO  FESTORVM 2016

Novéritis, fratres caríssimi, quod annuénte Dei misericórdia, sicut de Nativitáte Dómini Nostri Jesu Christi gavísi sumus, ita et de Resurrectióne ejúsdem Salvatóris nostri gáudium vobis annuntiámus:


Die Vigésima quarta Januárii erit Domínica in Septuagésima.



Décima Februárii dies Cínerum, et inítium jejúnii sacratíssimæ Quadragésimæ.



Vigésima séptima Mártii sanctum Pascha Dómini Nostri Jesu Christi cum gáudio celebrábitis.



Quinta Maji erit Ascénsio Dómini Nostri Jesu Christi.



Décima quinta ejúsdem erit Festum Pentecóstes.



Vigésima séxta ejúsdem Festum sacratíssimi Córporis Christi.



Vigésima séptima Novémbris Domínica prima Advéntus Dómini Nostri Jesu Christi, cui est honor et glória, in saécula sæculórum. Amen.


<<SPIRITO SANTO, ISPIRAMI.
AMORE DI DIO, CONSUMAMI.
NEL VERO CAMMINO, CONDUCIMI.
MARIA MADRE MIA, GUARDAMI.
CON GESU’ BENEDICIMI.
DA OGNI MALE, DA OGNI ILLUSIONE,
DA OGNI PERICOLO, PRESERVAMI>>

“CUORE AMOROSISSIMO DI GESÙ, 
PER LA TUA SOFFERENZA DI CROCE, 
IN QUEST’ORA DI OSCURITÀ, 
SII TU LA LUCE PER L’UMANITÀ”

AVE MARIA!

domenica 10 gennaio 2016

A SAN JOSE. Devoción de los siete domingos de San José

Devoción de los siete domingos 

de San José



A SAN JOSÉ
Sé devoto del santo Patriarca y recuerda el grande poder que tiene en el cielo. De él dice Santa Teresa: "No recuerdo haberle pedido cosa alguna que no me la haya concedido".
Se le invoca especialmente como protector de la pureza, maestro de la vida espiritual y abogado de la buena muerte.
Invoquémosle siempre, ya que es Patrón de la Iglesia Universal.

Los Siete Domingos de San José
Se pueden hacer en cualquier tiempo del año.
Si no pueden rezarse las oraciones prescritas, basta rezar siete Padrenuestros, Avemarías y Gloria.
Puédese ganar indulgencia partial estando en gracia de Dios.
Primero.
GLORIOSO San José, Esposo purísimo de María Santísima! A la manera que fue grande la angustia y el dolor de vuestro corazón en la duda de abandonar a vuestra Purísima Esposa, así fue Inexplicable la alegría cuando os fue revelado por el Angel el Misterio soberano de la Redención.
Por este dolor y gozo os rogamos nos consoléis en las angustias de nuestra última hora y nos concedáis una santa muerte, después de haber vívido una vida semejante a la vuestra en medio de Jesús y de María.
Padrenuestro, Avemaría y Gloria.
Segundo
¡Felicísimo Patriarca San José elegido para cumplir los oficios de Padre cerca del Verbo Humanado! Grande fue vuestro dolor al ver nacido a Jesús en tan extremada pobreza, el cual súbitamente se trocó en júbilo celestial al oír las angélicas armonías y contemplar el resplandor de tan luminosa noche.
Por este dolor y gozo os suplicamos nos alcancéis la gracia de que, después de haber seguido vuestro camino aquí en la tierra, podamos oír las armonías angelicales y gozar de la vista de la gloria celestial.
Padrenuestro, Avemaría, y Gloría
Tercero.
¡Glorioso San José, ejecutor obedientísimo de la Ley de Dios! La Sangre preciosísima que en la Circuncisión derramó el divino Redentor os traspasó el corazón; pero el Nombre de Jesús, que le fue impuesto, lo llenó de consuelo.
Por este dolor y gozo os rogamos que nos obtengáis la gracia de que, quitado de nuestro corazón todo vicio en la vida, tengamos la dicha de morir con el Santísimo Nombre de Jesús en los labios y en el corazón.
Padrenuestro, Avemaría y Gloria.
Cuarto.
¡Fidelísimo San José que tan gran parte tuvisteis en los misterios de nuestra Redención! grande dolor sentisteis al saber por la profecía de Simeón que Jesús y María estaban destinados a padecer; mas este dolor se convirtió en gozo al saber que los padecimientos de Jesús y María habían de ser seguidos de la salvación de innumerables almas.
Por este dolor y gozo os rogamos que seamos del número de aquellos que, por los méritos de Jesús y de María, han de resucitar gloriosamente.
Padrenuestro, Avemaría y Gloría.
Quinto.
¡Vígilantísimo San José, Custodio y familiar íntimo del Hijo de Dios encarnado! Cuan grande fue vuestro sufrimiento para alimentar y servir al Hijo del Altísimo, sobre todo en la huida a Egipto, otro tanto fue grande vuestro contento y alegría, de tener siempre en vuestra compañía al mismo Dios y ver cómo caían en tierra los ídolos de los egipcios.
Por este dolor y gozo os rogamos que nos alcancéis la gracia de que, teniendo lejos de nosotros al tirano infernal, mediante la huida de las ocasiones, caiga de nuestro corazón todo ídolo de terrenas aficiones y, ocupados totalmente en el servicio de Jesús y de María, vivamos solamente por ellos y tengamos una muerte feliz.
Padrenuestro, Avemaría y Gloria.
Sexto.
¡Oh ángel de la tierra, glorioso San José, que visteis con admiración sujeto a vuestras órdenes al Rey del Cielo! sí fue turbada vuestra satisfacción al regresar de Egipto por el miedo de Arquelao, al ser asegurado por el Angel, vivisteis tranquilo con Jesús y María en Nazaret.
Por este dolor y gozo alcanzadnos la gracia de vernos libres de temores nocivos, gozando de la paz de conciencia, vivamos seguros con Jesús y María y muramos en su compañía.
Padrenuestro, Avemaría y Gloría.
Séptimo.
¡Oh glorioso San José, ejemplar de toda santidad! Grande fue vuestro dolor al perder sin culpa al Niño Jesús, debiendo buscarle con gran pena por espacio de tres días; pero mayor fue vuestro gozo cuando al cabo de ellos lo hallasteis en el templo en medio de los Doctores.
Por este dolor y gozo os suplicamos nos alcancéis la gracia de no perder jamás a Jesús por el pecado mortal; mas si, desgraciadamente, lo perdiésemos, que lo busquemos con gran dolor para vivir siempre en su amistad hasta que con Vos logremos gozar de El en la gloria y cantar allí eternamente sus divinas misericordias.
Padrenuestro, Avemaría y Gloría.
ANTÍFONA
El mismo Jesús, al comenzar los treinta años de su edad, era tenido por hijo de José.
V. Rogad por nosotros, San José.
R. Para que seamos dignos de las promesas de Cristo.
ORACIÓN
Oh Dios, que en vuestra inefable providencia os dignasteis elegir al bienaventurado San José para Esposo de vuestra Santísima Madre!, os pedimos nos concedáis que, pues le honramos como protector nuestro en la tierra, merezcamos tenerle por intercesor en los cielos, donde vivís y reináis por los siglos de los siglos. Amén.

ORACIÓN
Del Papa León XIII A San José para implorar su auxilio en todas las necesidades.
"A Vos, bienaventurado José, acudimos en nuestra tribulación, y después de implorar el auxilio de vuestra Santísima Esposa, solicitamos también confiadamente vuestro patrocinio. Por aquella caridad que con la Inmaculada Virgen María, Madre de Dios, os tuvo unido y por el paterno amor con que abrazasteis al Niño Jesús, humildemente os suplicamos que volváis benigno los ojos a la herencia que, con su sangre, adquirió Jesucristo, y con vuestro poder y auxilio socorráis nuestras necesidades.
Proteged, oh providentísimo Custodio de la Divina Familia, la escogida descendencia de Jesucristo; apartad de nosotros toda mancha de error y de corrupción; asistidnos propicio desde el cielo, fortísimo libertador nuestro, en esta lucha con el poder de las tinieblas; y como en otro tiempo librasteis al Niño Jesús de inminente peligro de la vida, así ahora defended la Iglesia santa de Dios de las asechanzas de sus enemigos y de toda adversidad, y a cada uno de nosotros protegednos con perpetuo patrocinio para que a ejemplo vuestro y sostenidos por vuestro auxilio, podamos santamente vivir, piadosamente morir, y alcanzar en los cielos la eterna bienaventuranza. Amén."

ORACION POR DIVERSAS NECESIDADES
"SANTO Patriarca, dignísimo esposo de la Virgen María y Padre adoptivo de Nuestro Redentor Jesús, que por vuestras heroicas virtudes, dolores y gozos merecisteis tan singulares títulos; y por ellos, especialísimos privilegios para interceder por vuestros devotos; suplico, Santo mío, os alcancéis la fragante pureza a los jóvenes y doncellas, castidad a los casados, continencia a los viudos, santidad y celo a los sacerdotes, paciencia a los confesores, obediencia a los religiosos, fortaleza a los perseguidos, discreción y consejo a los superiores, auxilios poderosos a los pecadores e infieles para que se conviertan, perseverancia a los penitentes, y que todos logremos ser devotos de vuestra amada Esposa, María Santísima, para que por su intercesión y la vuestra podamos vencer a nuestros enemigos, por los méritos de Jesús, y conseguir las gracias y favores que os hemos pedido para santificar nuestras almas hasta conseguir dichosa muerte, y gozar de Dios eternamente en el Cielo.
Amén."

AMDG et BVM