venerdì 25 dicembre 2015

L'unico vero Volto di GESU' e MARIA SANTISSIMA

Puer natus est nobis!

Puer natus est nobis,
et filius datus est nobis!
Cantate domino

Canticum novum

Laetentur caeli...

"Cristo nasce; rendete gloria. Cristo discende dai cieli; andategli incontro. Cristo è sulla terra; uomini, alzatevi. Tutta la terra canta il Signore! E per riunire tutto in una sola parola: Si rallegrino i cieli ed esulti la terra, per Colui che è insieme del cielo e della terra.


IL SANTO GIORNO DI NATALE

Il lieto giorno della Vigilia di Natale volge al termine. La santa Chiesa ha già chiuso i divini Uffici dell'Attesa del Salvatore con la celebrazione del grande Sacrificio. Nella sua materna indulgenza, ha permesso ai suoi figli di rompere, a mezzogiorno, il digiuno di preparazione; i fedeli si sono seduti alla tavola frugale, con una gioia spirituale che fa loro presentire quella che inonderà i loro cuori nella notte che darà loro l'Emmanuele.
Ma una solennità sì grande come quella di domani deve, secondo l'usanza della Chiesa nelle sue feste, avere un preludio nel giorno che la precede tra pochi istanti, l'Ufficio dei Primi Vespri nel quale si offre a Dio l'incenso della sera, chiamerà i cristiani alla Chiesa; e lo splendore delle cerimonie, la magnificenza dei canti apriranno tutti i cuori alle emozioni d'amore e di riconoscenza che li debbono disporre, a ricevere le grazie del momento supremo.
Aspettando il sacro segnale che chiamerà alla casa di Dio, impieghiamo gli istanti che ci restano a meglio penetrare il mistero di sì grande giorno, i sentimenti della santa Chiesa in questa solennità e le tradizioni cattoliche mediante le quali i nostri antenati la hanno così degnamente celebrata.

Sermone di san Gregario Nazianzeno.
Innanzitutto, ascoltiamo la voce dei santi Padri che risuonò con un'enfasi e una forza capaci di ridestare qualsiasi anima. Ecco per primo san Gregorio, il Teologo, il Vescovo, di Nazianzo, che inizia così il suo trentottesimo discorso, consacrato alla Teofania, o nascita del Salvatore. Chi potrebbe ascoltarlo e rimanere freddo davanti alle sue parole?
"Cristo nasce; rendete gloria. Cristo discende dai cieli; andategli incontro. Cristo è sulla terra; uomini, alzatevi. Tutta la terra canta il Signore! E per riunire tutto in una sola parola: Si rallegrino i cieli ed esulti la terra, per Colui che è insieme del cielo e della terra. Cristo riveste la nostra carne: siate ripieni di timore e di gaudio: di timore a motivo del peccato; di gaudio a motivo della speranza. Cristo nasce da una Vergine: o donne, onorate la verginità per diventare madri di Cristo.
Chi non adorerebbe Colui che era fin dal principio? chi non loderebbe e non celebrerebbe Colui che è nato? Ecco che le tenebre svaniscono; è creata la luce; l'Egitto rimane sotto le ombre, Israele è illuminata da una lucente nube. Il popolo che era seduto nelle tenebre dell'ignoranza, scorge il lume d'una scienza profonda. Le cose antiche sono finite; tutto è ridiventato nuovo. Fugge la lettera e trionfa lo spirito; le ombre sono passate, e la verità fa il suo ingresso. La natura vede le sue leggi violate: è giunto il momento di popolare il mondo celeste: Cristo comanda; guardiamoci bene dal resistere.
Genti tutte, battete le mani; perché ci è nato un Bambino, ci è stato dato un Figlio. Il segno del suo principio è sulla sua spalla: perché la croce sarà il mezzo della sua elevazione; il suo nome è l'Angelo del grande consiglio, cioè del consiglio paterno.
Esclami pure Giovanni: Preparate le vie del Signore! Per me, voglio far anche risuonare la potenza di sì gran giorno: Colui che è senza carne s'incarna; il Verbo prende un corpo; l'Invisibile si mostra agli occhi, l'Impalpabile si lascia toccare; Colui che non conosce tempo prende un principio; il Figlio di Dio è diventato figlio dell'uomo. Gesù Cristo era ieri, è oggi, e sarà sempre. Si senta pure offeso il Giudeo; se ne rida il Greco; e la lingua dell'eretico si agiti nella sua bocca impura. Crederanno quando lo vedranno, questo Figlio di Dio, salire al cielo; e se anche in quel momento si rifiutano, crederanno quando ne discenderà e comparirà sul tribunale di giudice.

Sermone di san Bernardo.
Ascoltiamo ora, nella Chiesa Latina, il devoto san Bernardo, che effonde una soave letizia in queste melodiose parole, nel iv sermone per la Vigilia di Natale.
"Abbiamo ricevuto una notizia piena di grazia e fatta per essere accolta con trasporto: Gesù Cristo, Figlio di Dio, nasce in Betlemme di Giuda. La mia anima si è sciolta a queste parole: lo spirito ribolle in me, spinto come sono ad annunciarvi tanta felicità. Gesù significaSalvatore. Che cosa è più necessario di un Salvatore a quelli che erano perduti, più desiderabile a degli infelici, più vantaggioso per quelli che erano accasciati dalla disperazione? Dov'era la salvezza dov'era perfino la speranza della salvezza, per quanto debole, sotto la legge del peccato, in quel corpo di morte, in mezzo alla perversità, nella dimora d'afflizione, se questa salvezza non fosse nata d'un tratto e contro ogni speranza? O uomo, tu desideri, è vero, la tua guarigione; ma, avendo coscienza della tua debolezza e della tua infermità, temi il rigore del trattamento. Non temere dunque: Cristo è soave e dolce; la sua misericordia è immensa; come Cristo, egli ha ricevuto in eredità l'olio, ma per effonderlo sulle tue piaghe. E se ti dico che è dolce, non temere che il tuo Salvatore manchi di potenza; perché è anche Figlio di Dio. Esultiamo dunque, riflettendo in noi stessi, e facendo risplendere al di fuori quella dolce sentenza, quelle soavi parole: Gesù Cristo. Figlio di Dio, nasce in Betlemme di Giuda!".

Sermone di sant'Efrem.
È dunque veramente un grande giorno quello della Nascita del Salvatore: giorno atteso dal genere umano per migliaia di anni, atteso dalla Chiesa nelle quattro settimane dell'Avvento che ci lasciano così cari ricordi; atteso da tutta la natura che riceve ogni anno sotto i suoi auspici, il trionfo del sole materiale sulle tenebre sempre crescenti. Il grande Dottore della Chiesa Sira, sant'Efrem, celebra con entusiasmo la bellezza e la fecondità di questo giorno misterioso; prendiamo qualche brano dalla sua divina poesia, e diciamo con lui:
"Degnati, o Signore, di permettere che celebriamo oggi il giorno stesso della tua nascita, che la presente solennità ci ricorda. Quel giorno è simile a tè; è amico degli uomini. Esso ritorna ogni anno attraverso i tempi; invecchia con i vecchi, e si rinnova con il bambino che è nato. Ogni anno, ci visita e passa; quindi ritorna pieno di attrattive. Sa che la natura umana non potrebbe fare a meno di lui; come te, esso viene in aiuto alla nostra razza in pericolo. Il mondo intero, o Signore, ha sete del giorno della tua nascita; questo giorno beato racchiude in sé i secoli futuri; esso è uno e molteplice. Sia dunque anche quest'anno simile a tè, e porti la pace fra il cielo e la terra. Se tutti i giorni sono segnati della tua liberalità, non è giusto forse che essa trabocchi in questo?
Gli altri giorni dell'anno traggono la loro bellezza da questo, e le solennità che seguiranno debbono ad esso la dignità e lo splendore di cui brillano. Il giorno della tua nascita è un tesoro, o Signore, un tesoro destinato a soddisfare il debito comune. Benedetto il giorno che ci ha ridato il sole, a noi erranti nella notte oscura; che ci ha recato il divino manipolo dal quale è stata diffusa l'abbondanza; che ci ha dato la vite che contiene il vino della salvezza che deve dare a suo tempo. Nel cuore dell'inverno che priva gli alberi dei loro frutti la vigna si è rivestita d'una divina vegetazione; nella stagione glaciale, un pollone è spuntato dal ceppo di Jesse. È in dicembre, in questo mese che trattiene nel grembo della terra il seme che le fu affidato, che la spiga della nostra salvezza, spunta dal seno della Vergine dove era disceso nei giorni di primavera, quando gli agnelli vanno belando nei prati".
Non è dunque da stupire che questo giorno il quale è caro a Dio stesso sia privilegiato nell'economia dei tempi; e conforta vedere le genti pagane presentire nei loro calendari la gloria che Dio gli riservava nella successione delle età. Abbiamo visto del resto che i Gentili non sono stati i soli a prevedere misteriosamente le relazioni del divino Sole di giustizia con l'astro mortale che illumina e riscalda il mondo; i santi Dottori e tutta la Liturgia sono molto prodighi riguardo a questa ineffabile armonia.

Il battesimo di Clodoveo.
Per incidere più profondamente l'importanza di un giorno così santo nella memoria dei popoli cristiani dell'Europa, stirpi preferite nei consigli della misericordia divina, il supremo Signore degli eventi ha voluto che il regno dei Franchi nascesse appunto il giorno di Natale (496) allorché nel Battistero di Reims, tra le pompe di tale solennità, Clodoveo, il fiero Sicambro, divenuto mite come l'agnello, fu immerso da san Remigio nel fonte della salvezza, dal quale uscì per inaugurare la prima monarchia cattolica fra le monarchie nuove, quel regno di Francia, il più bello - è stato detto - dopo quello dei cieli.

La conversione dell'Inghilterra.
Un secolo più tardi (597), era la volta della razza anglosassone. L'Apostolo dell'Isola dei Bretoni, il monaco sant'Agostino, dopo aver convertito al vero Dio il re Eteiredo, avanzò alla conquista delle anime. Essendosi diretto verso York, vi fece risuonare la parola di vita, e un intero popolo si unì per chiedere il Battesimo. Il giorno di Natale è fissato per la rigenerazione di quei nuovi discepoli di Cristo; e il fiume che scorre sotto le mura della città viene scelto per servire da fonte battesimale a quell'armata di catecumeni. Diecimila uomini, non contando le donne e i bambini, scendono nelle acque la cui corrente deve portar via l'immondezza delle loro anime. Il rigore della stagione non arresta i nuovi e ferventi discepoli del Bambino di Betlemme che appena pochi giorni prima ignoravano perfino il suo nome. Dalle acque gelide esce piena di gaudio e risplendente d'innocenza tutta un'armata di neofiti; e nel giorno stesso della sua nascita, Cristo conta una nazione di più sotto il suo impero.
Ma non era ancora abbastanza per il Signore che vuole onorare il giorno della nascita del suo Figliuolo.

L'incoronazione di Carlo Magno.
Un'altra illustre nascita doveva ancora abbellire questo lieto anniversario. A Roma, nella basilica di San Pietro, nella solennità di Natale dell'800, nasceva il Sacro Romano Impero al quale era riservata la missione di propagare il regno di Cristo nelle regioni barbare del Nord, e di mantenere l'unità europea, sotto la direzione del Romano Pontefice. In quel giorno, san Leone III poneva la corona imperiale sul capo di Carlo Magno; e la terra attonita rivedeva un Cesare, un Augusto, non più successore dei Cesari e degli Augusti della Roma pagana, ma investito di quei titoli gloriosi dal Vicario di Colui che si chiama, nei santi Oracoli, il Re dei re, il Signore dei signori.

La gloria del giorno di Natale.
Così Dio ha fatto, risplendere agli occhi degli uomini la gloria del regale Bambino che nasce oggi; così egli ha preparato, di epoca in epoca attraverso i secoli, ricchi anniversari di quella Natività che da gloria a Dio e pace agli uomini. Il susseguirsi dei tempi farà vedere al mondo in che modo l'Altissimo si riserva ancora di glorificare, in questo giorno, se stesso e il suo Emmanuele.
Nell'attesa, le nazioni dell'Occidente, colpite dalla dignità di tale festa, e considerandola con ragione come il principio di tutte le cose nell'era della rigenerazione del mondo, contarono a lungo gli anni cominciando dal Natale, come si vede su antichi Calendari, sui Martirologi di Usuardo e di Adone, e su un gran numero di Bolle, di Costituzioni e di Diplomi. Un concilio di Colonia, nel 1320, ci dimostra che tale usanza ancora esisteva a quell'epoca. Parecchi popoli dell'Europa cattolica, soprattutto gli Italiani, hanno conservato l'usanza di festeggiare il nuovo anno alla Natività del Salvatore. Si augura il buon Natale come altrove al primo gennaio il buon anno. Ci si scambiano i complimenti e i regali; si scrive agli amici lontani: preziose vestigia delle antiche usanze, di cui la fede era il principio e il baluardo invincibile.
Ma è tale agli occhi della santa Chiesa la gioia che deve riempire i fedeli nella Nascita del Salvatore che, associandosi con una particolare indulgenza a così legittima allegrezza, abolisce per il giorno di domani il precetto dell'astinenza dalla carne, se il Natale cade il venerdì o il sabato. Questa dispensa risale al Papa Onorio III, che occupava la sede di Pietro nel 1216; ma già fin dal IX secolo san Nicola I, nella sua risposta ai quesiti dei Bulgari, aveva mostrato simile condiscendenza, per incoraggiare la gioia dei fedeli nella celebrazione non solo della solennità di Natale, ma anche nelle feste di santo Stefano, di san Giovanni Evangelista, dell'Epifania, della Assunzione della Vergine, di san Giovanni Battista e dei santi Pietro e Paolo. Ma questa indulgenza non fu universale, e l'abolizione non si è conservata che per la festa di Natale di cui accresce la popolare allegrezza.
La legislazione civile medievale intese, a suo modo, mettere in risalto l'importanza di questa festa così cara a tutta la cristianità concedendo ai debitori la facoltà di sospendere il pagamento dei loro creditori durante tutta la settimana di Natale, che appunto per questo era, chiamata settimana di remissione, come quelle di Pasqua e della Pentecoste.
Ma sospendiamo per un poco questi ricordi familiari, che ci piace raccogliere sulla gloriosa solennità il cui avvicinarsi commuove così dolcemente i nostri cuori. È tempo di dirigere i nostri passi verso la casa di Dio, dove ci chiama l'Ufficio solenne dei Primi Vespri. Durante il tragitto, rivolgiamo il pensiero a Betlemme, dove Giuseppe e Maria sono già arrivati. Il sole materiale volge rapidamente al tramonto; e il divino Sole di giustizia rimane nascosto ancora per qualche istante sotto la nube, nel seno della più pura delle vergini. La notte è vicina; Giuseppe e Maria percorrono le strade della città di David, cercando un asilo per mettersi al riparo. Che i cuori fedeli siano dunque attenti, e si uniscano ai due incomparabili pellegrini. È giunta ormai l'ora in cui il canto di gloria e di riconoscenza deve levarsi da ogni bocca umana. Accogliamo con sollecitudine, per la nostra, la voce della santa Chiesa: essa non è certo inferiore a così nobile compito.

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 113-119

"Vieni, Spirito Santo, vieni, 
per mezzo della potente intercessione 
del  Cuore Immacolato di Maria
Tua Sposa amatissima"

giovedì 24 dicembre 2015

Alcuni pastori ... vegliava­no di notte e custodivano il loro gregge” (Lc 2,8).


8. “C’erano in quella regione alcuni pastori che vegliava­no di notte e custodivano il loro gregge” (Lc 2,8).
Le “veglie” si chiamano anche excubiae o stazioni. In antico i romani dividevano la notte in quattro veglie (quattro turni di guardia) e a turno custodivano la città. La notte raffigura la vita presente, nella quale camminiamo a tastoni come di notte. Non ci vediamo neanche tra di noi, cioè non vediamo la nostra coscienza; spesso inciampiamo con i piedi, cioè con i nostri sentimenti ed affetti. Chi vuole custodire validamente la sua città durante questa notte (della vita), deve stare alzato e vegliare attentamente per tutti i quattro turni, fare cioè le quttro veglie.
La prima veglia raffigura l’impurità della nostra nascita, la seconda raffigura la malizia e la cattiveria che ci accompagnano, la terza raffigura lo stato miserando del nostro peregrinare e la quarta il pensiero della morte. Nella prima l’uomo deve vegliare per umiliare e disprezzare se stesso, nella seconda per mortificarsi, nella terza per piangere e nella quarta per suscitare un salutare timore. Beati quei pastori che fanno questo durante le quattro veglia di questa notte, perché così difendono veramente il loro gregge.
Osserva che il pastore veglia sul suo gregge per due motivi: per non essere derubato dai predoni, e perché il gregge non venga assalito dal lupo. Tutti noi siamo pastori, e il nostro gregge è formato dai nostri buoni pensieri e dai nostri santi desideri. Su questo gregge dobbiamo fare un’attenta guardia durante le quattro veglie suddette, perché il predone, cioè il diavolo non ci derubi con le sue maligne suggestioni, e il lupo, cioè la concupiscenza della carne, non ci assalga strappandoci il consenso. A coloro che vegliano in questo modo viene annunziata la gioia di questa natività.

9. “E l’angelo disse ai pastori: Ecco, io vi annunzio una grande gioia, perché oggi vi è nato il Salvatore...” (Lc 2,10.11). Con questo concordano le parole della Genesi: “Nacque Isacco. E Sara disse: Il Signore mi ha dato il sorriso e chiunque lo saprà, sorriderà con me “ (Gn 21,5-6). Sara s’interpreta “principessa” o “carbone”, ed è figura della gloriosa Vergine, principessa e regina nostra, infiammata dallo Spirito Santo come il carbone dal fuoco. Oggi Dio le ha dato il sorriso, perché da lei è nato il nostro sorriso. “Io vi annunzio una grande gioia”, perché è nato il sorriso, perché è nato Cristo.
Questo abbiamo udito oggi dall’angelo: “Chiunque lo sentirà, sorriderà insieme con me”. Sorridiamo dunque ed esultiamo insieme con la beata Vergine, perché Dio ci ha dato il sorriso, cioè il motivo di sorridere e di gioire con lei e in lei: “Oggi vi è nato il Salvatore”. Se uno si trovasse in punto di morte o fosse condannato all’ergastolo, e gli venisse annunziato: Ecco, è arrivato uno che ti salverà! Forse che non sorriderebbe, forse che non esulterebbe? Certamente! Esultiamo quindi anche noi, nella serenità della coscienza e nell’amore autentico (cf. 2Cor 6,6), perché oggi ci è nato il Salvatore, colui che ci salverà dalla schiavitù del diavolo e dall’ergastolo dell’inferno.

10. E per trovare questa gioia ci è dato un segno, quando l’angelo soggiunge: “Questo sarà per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia” (Lc 2,12). Qui dobbiamo osservare due cose: l’umiltà e la povertà. Beato colui che avrà questo segno nella fronte e nella mano, cioè nella professione di fede e nelle opere. Che cosa significa dire: “Troverete un bambino”, se non che troverete la sapienza che balbetta, la potenza resa debole, la maestà abbassata, l’immenso fatto bambino, il ricco fattosi poverello, il re degli angeli che giace in una stalla, il cibo degli angeli divenuto quasi fieno per gli animali, colui che da nulla può essere contenuto, adagiato in una stretta mangiatoia? “Questo dunque sarà per voi il segno”, perché non andiate in rovina insieme con gli Egiziani e gli abitanti di Gerico.
Per il Verbo incarnato, per il parto verginale, per il Salvatore nato sia gloria a Dio Padre nei cieli altissimi, e sia pace in terra agli uomini che egli ama (cf. Lc 2,14). Si degni di concederci questa pace colui che è benedetto nei secoli. Amen.

IV. sermone allegorico

11. “Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio; sulle sue spalle è stato posto il potere; e il suo nome sarà: ammirabile, consigliere, Dio, forte, Padre del secolo futuro, principe della pace” (Is 9,6). E ancora: “Ecco la vergine concepirà e darà alla luce un figlio, che sarà chiamato Emanuele” (Is 7,14), cioè “Dio con noi”.
Questo Dio si è fatto per noi bambino e oggi per noi è nato. Cristo ha voluto essere chiamato “bambino” per molte ragioni, ma per brevità ne illustro una sola. Se fai un’ingiuria a un bambino, se lo provochi con un insulto, se lo percuoti, ma poi gli mostri un fiore, una rosa o qualco­sa del genere, e mentre gliela mostri fai l’atto di dar­gliela, non si ricorda più dell’ingiuria ricevuta, gli passa l’ira e corre ad abbracciarti. Così, se offendi Cristo con il peccato mortale e gli fai qualsiasi altra ingiuria, ma poi gli offri il fiore della contrizione o la rosa di una confessione bagnata dalle lacrime – le lacrime sono il sangue dell’anima –, egli non si ricorda più della tua offesa, perdona la colpa e corre ad abbracciarti e a baciarti. Dice infatti Ezechiele: “Se l’empio farà penitenza di tutti i peccati che ha commesso, io non mi ricorderò più di tutte le sue iniquità” (Ez 18,21.22). E Luca, parlando del figlio prodigo: “Lo vide suo padre e, mosso a pietà, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò” (Lc 15,20). E nel secondo libro dei Re si racconta che Davide accolse con benevolenza Assalonne, che aveva ucciso il fratello, e lo baciò (cf. 2Re 14,33).
Oggi dunque ci è nato un bambino. E quali vantaggi ci sono venuti dalla nascita di questo bambino? Grandissimi vantaggi sotto ogni aspetto. Senti Isaia: “Il lattante si trastullerà sulla buca dell’aspide, il bambino metterà la sua mano nel covo del regolo (serpente velenoso); non nuoceranno più e non uccideranno più in tutto il mio santo monte” (Is 11,8-9).
Il regolo, (che significa piccolo re), perché si pensava fosse il re dei serpenti; questo serpente velenoso, detto anche aspide, raffigura il diavolo, e la sua buca e il suo covo sono i cuori dei cattivi, nei quali il nostro bambino ha messo la sua mano quando con la potenza della sua divinità ne ha estratto il diavolo stesso. Dice Giobbe: “Dalla sua mano, che operava da ostetrica, fu estratto il tortuoso serpente” (Gb 26,12).
È compito dell’ostetrica estrarre dalle tenebre il frutto del parto, e portarlo alla luce. Così Cristo, con la mano della sua potenza, strappò l’antico serpente, il diavolo, dai cuori tenebrosi dei reprobi: e così quel serpente e i suoi satelliti non potranno più recare danno ai corpi, se non con il suo permesso; infatti i diavoli non poterono entrare nei porci se non dopo il suo permesso (cf. Mc 5,13); e non potranno più colpire le anime di morte eterna. Prima della venuta del Salvatore, i diavoli avevano sul genere umano tanto potere, da infierire turpemente sui corpi degli uomini e da trascinare miseramente le anime all’inferno. Ma d’ora in poi non potranno più fare danni “in tutto il mio santo monte”, cioè in tutta la mia chiesa, nella quale io stesso dimoro.

12. “Ci è stato dato un figlio”. Concorda con questo ciò che leggiamo nel secondo libro dei Re: “A Gob ci fu, contro i Filistei, la terza battaglia, nella quale Adeodato, il betlemita che tesseva stoffe variopinte, figlio di Salto, uccise Golia di Get” (2Re 21,19). Osserva che la prima battaglia avvenne nel deserto: “Gesù fu condotto nel deserto...” (Mt 4,1); la seconda avvenne nella pianura, cioè in pubblico: “Gesù stava scacciando un demonio” (Lc 11,14) [davanti alla folla]; la terza avvenne sul legno [della croce]: inchiodato su di essa, Cristo sconfisse i filistei, cioè le potenze dell’a­ria (cf. Ef 2,2).
Questa terza battaglia avvenne a Gat, nome che significa “lago”: avvenne cioè nelle piaghe del Salvatore, e soprat­tutto nella piaga del costato, dalla quale scaturirono i due fiumi della nostra redenzione. In questo lago, Gesù ci è stato dato unicamente dalla misericordia di Dio Padre, per essere il nostro campione. Egli fu “figlio di Salto” perché, come dice Marco, stava nel deserto con le fiere (cf. Mc 1,13); oppure “figlio di Salto”, perché fu coronato di spine8.
“Che tesseva stoffe variopinte”: Cristo si preparò nel grembo verginale di Maria la veste variopinta, cioè l’uma­nità, ornata dei doni della grazia settiforme; “fu betlemita” perché oggi è nato dalla Vergine a Betlemme. O anche: fu “figlio di Salto” nella passione; sarà “tessitore di stoffe variopinte” nella risurrezione finale, perché allora ci rivestirà della veste variopinta, ornata delle quattro doti dei corpi glorificati; sarà infine “betlemita” nell’eterno convito. Così il nostro campione, il nostro atleta, colpito nel lago della passione, sconfisse e debellò Golia di Get, cioè il diavolo.

13. “E fu posto sulle sue spalle il potere”. E anche qui abbiamo la concordanza con ciò che dice la Genesi: “Abramo prese la legna per l’olocausto e la pose sulle spalle di Isacco, suo figlio” (Gn 22,6). E dice Giovanni: “ [Gesù], portando la croce, si avviò verso il luogo chiamato Calvario” (Gv 19,17).
O umiltà del nostro Redentore! O pazienza del nostro Salvatore! Egli, da solo, porta per tutti il legno al quale sarà appeso, inchiodato; sul quale dovrà morire e, come dice Isaia, “il Giusto perisce e non c’è alcuno che mediti nel suo cuore” (Is 57,1).
“E fu posto sulle sue spalle il potere”. Dice il Padre, per bocca di Isaia: “Porrò sulla sua spalla la chiave della casa di Davide” (Is 22,22). La chiave è la croce di Cristo, con la quale egli ci ha aperto la porta del cielo. E osserva che la croce è detta “chiave” e “potere”: chiave perché apre il cielo agli eletti, potere perché con la sua potenza precipita i demoni all’inferno.

14. “E sarà chiamato ammirabile nella nascita, consigliere nella predicazione, Dio nell’operare i miracoli, forte nella passione, Padre del secolo futuro nella risurrezione. Infatti quando risuscitò, lasciò a noi, come eredità ai figli dopo di sé, la sicura speranza della risurrezione. E nell’eternità sarà per noi il principe della pace.
Si degni di prepararci questa pace lui stesso che è benedetto nei secoli. Amen.

V. sermone morale

15. “È nato per noi un bambino”. Di questo bambino, dice il vangelo: Se non vi convertirete e non diventerete come questo bambino, ecc. (cf. Mt 18,3). Osserva: il bambino quando è sveglio, nella sua culla, piange; se è nudo non arrossisce; se è sculacciato si riguia in braccio alla mamma. La mamma, quando vuole svezzarlo, si unge di amaro le mammelle; il bambino non sa nulla della malizia del mondo; è incapace di fare peccati; non fa del male al prossimo; non serba rancore; non odia nessuno; non cerca ricchezze; non è sedotto dalla bellezza di questo mondo; non fa preferenza di persone.
Il bambino simboleggia il penitente convertito che, dopo essere stato una volta con il cuore gonfio di superbia, altero e borioso nelle parole, tronfio nella sua ricchezza, ora è diventato piccolo, umile e spregevole ai propri occhi. Quando è sveglio, quando cioè richiama alla mente il suo precedente modo di vivere, piange amaramente; divenuto nudo e povero per amore di Cristo non arrossisce, e neppure si vergogna di denudare se stesso nella confessione; se subisce un’ingiuria non si offende, ma corre alla chiesa e prega per coloro che lo calunniano e lo perseguitano.La chiesa lo ha, per così dire, svezzato quando con l’amarezza dei castighi e delle pene gli ha cosparso la mammella del piacere carnale, alla quale era solito succhiare.
Le altre analogie sono chiare, e quindi vanno intese alla lettera.
Quando perciò un mondano si converte e diventa “bambino” di Cristo, con il giubilo del cuore e l’allegria nella voce, dobbiamo prorompere dicendo: “Ci è nato un bambino”. E Giovanni: “La donna”, cioè la chiesa, “quando partorisce” con la predicazione o con la misericordia verso i peccato­ri, “è afflitta; ma quando ha dato alla luce” con la contrizione e con la confessione “il bambino”, cioè il neoconvertito, “ non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo” (Gv 16,21). E di Giovanni “grazia di Dio” [il Battista] è detto: “Molti si rallegreranno della sua nascita” (Lc 1,14).

16. “Ci è stato dato un figlio”. Siano rese grazia a Dio, perché da uno schiavo del mondo e del diavolo abbiamo ricevuto un figlio di Dio, il quale dice nel salmo: “Il Signore mi ha detto: Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato” per mezzo della grazia, tu che ieri eri schiavo a causa della colpa; e giacché sei figlio “chiedi a me, ti darò in possesso le genti”, cioè i pensieri ribelli, “e in eredità e in dominio i confini della terra” (Sal 2,7-8), cioè i sensi del tuo corpo, perché tu sappia dominarli.
“Figlio”, del quale è detto nella Genesi: “Figlio che cresce, Giuseppe, figlio che cresce, e bello di aspetto” (Gn 49,22). “Che cresce” per la povertà, come dice Giuseppe stesso: “Dio mi fece crescere nella terra della mia povertà” (dov’ero povero) (Gn 41,52). “Bello d’aspetto” per l’umil­tà: infatti è detto nella Genesi che “Rachele”, nome che s’interpreta “pecora”, e quindi umile, era “bella nel volto e avvenente di aspetto” –(Gn 29,17). “Ci è stato dato”. “Infatti era morto ed è ritornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15,24). E a che scopo ci è stato dato? E a che scopo è stato ritrovato? Proprio per l’esercizio della peniten­za.

17. “Ed è stato posto il potere sopra le sue spalle”. Concordano le parole della Genesi: “Issacar è un asino robusto, sdraiato entro i confini. Ha visto che il riposo era bello e che la terra era ottima. Ha piegato le spalle a portare pesi” (Gn 49,14-15).
Issacar, che s’interpreta “uomo della ricompensa”, raffigura il penitente che lavora virilmente per l’eterna ricompensa, ed è quindi chiamato “asino robusto”. Di lui è detto nell’Ecclesiastico: “Cibarie, bastone e soma per l’asino” (Eccli 33,25). Cibo qualunque, perché non venga meno; il bastone della povertà perché non insolentisca e non recaltrici; la soma, il peso dell’obbedienza perché non si disabitui alla fatica. Con queste tre rimedi si prepara la medicina per il penitente.
“È sdraiato entro i confini”. I due confini sono l’ingresso alla vita e l’uscita da essa, la nascita e la morte. È tra questi confini colui che pensando alla sua nascita si umilia, e pensando alla morte piange. Lo stolto non sta entro i due confini, ma piuttosto si sistema al centro di essi. È detto perciò nel libro dei Giudici: “Perché te ne stai tra i due confini per sentire i belati dei greggi?” (Gdc 5,16).
Il centro tra la nascita e la morte è la vanità del secolo, di questo tempo; i greggi sono gli stimoli della carne; ne ascolta i belati, cioè i lusinghieri richiami, colui che si adagia nella vanità del secolo. Invece il penitente, che dimora entro i confini, alza gli occhi della mente e contempla il riposo della gloria beata: quanto sia perfetta nella glorificazione del corpo, come sia veramente una terra di eterna sicurezza, quanto sia insuperata nella contemplazio­ne della Trinità; piega la sua spalla a reggere il potere, cioè il giogo della penitenza, per mezzo della quale domina se stesso e vince le tentazioni. Dice infatti l’Ecclesiastico: “Piega la tua spalla e pòrtala! (Eccli 6,26), la penitenza.

18. “E sarà chiamato ammirabile, consigliere, Dio, forte, Padre del secolo futuro, principe della pace”. In questi sei nomi è compendiata la perfezione del penitente, o del giusto.
Infatti è ammirabile nel diligente esame e nella frequente revisione di se stesso, e vede quindi cose meravigliose nel profondo del suo cuore. Per questo è mirabile anche Giobbe, la cui pazienza tutto il mondo ammira: “Io – diceva – non terrò chiusa la mia bocca: parlerò nell’angoscia del mio spirito, converserò nell’amarezza della mia anima” (Gb 7,11). L’angoscia dello spirito e l’amarezza dell’anima non lasciano nulla fuori discussione, quando tutto viene esaminato e vagliato con la massima diligenza.
È consigliere nelle necessità corporali e spirituali del prossimo, come dice Giobbe: “Fui occhio per il cieco, piede per lo zoppo” (Gb 29,15). Il cieco è colui che non vede nella sua coscienza; lo zoppo è colui che devia dal retto sentiero della giustizia. Ma il giusto è buon consigliere per entrambi, perché al primo è occhio nell’insegnargli a scoprire il guasto della sua coscienza; al secondo è piede, sostenendolo e guidandolo affinché compia i passi delle opere nella via della giustizia.
È Dio. Nel governare i sudditi, il giusto è chiamato “dio” solo di nome, in quanto fa le veci di Dio. Infatti il Signore dice a Mosè: “Ecco che io ti ho costituito “dio” del faraone” (Es 7,1). E anche: “Se non viene scoperto il ladro, il padrone di casa si accosterà a Dio”, cioè ai sacerdoti, e giurerà che non ha allungato la mano sulle cose del suo prossimo” (Es 22,8). E ancora: “Io ho detto: voi siete Dei” (Sal 81,6). In altro senso: Dio si dice in greco Theòs, vale a dire “che guarda” – in quanto deriva da theorèo, guardare – perché guarda tutte le cose; thèo vuol dire anche corro, perché Dio percorre, passa in rassegna tutte le cose. Il penitente è detto “dio”, cioè che guarda e che percorre: guarda infatti le cose superiori con la contemplazione, e perciò corre con la mente a quelle passate solo per impegnarsi alla penitenza.
È forte nel combattere le tentazioni. Si legge nel libro dei Giudici: “Comparve un giovane leone infuriato, che correva ruggendo verso Sansone. Ma lo Spirito del Signore investì Sansone, il quale squartò il leone come si fosse trattato di fare a pezzi un capretto” (Gdc 14,5-6). Il giovane leone raffigura lo spirito di superbia o di lussuria e simili: infuria con la sua insistenza, rugge con l’astuzia; compare all’improvviso e assale con violen­za. Ma quando lo spirito della contrizione, dell’amore e del timore di Dio investe il penitente, questi squarta lo spirito di superbia simboleggiato nel leone, e fa a pezzi lo spirito di lussuria, simboleggiato nel capretto, a motivo del suo fetore: distrugge meticolosamente quel peccato e le sue circostanze.
È padre del secolo futuro, nella predicazione della parola e in quella dell’esempio. Dice l’Apostolo: “Figlioli miei, che io di nuovo partorisco, finché in voi non sia formato Cristo” (Gal 4,19). E anche: “Io vi ho generato in Cristo, mediante il vangelo” (1Cor 4,15), per l’eterna vita.
È principe della pace nell’armoniosa coabitazione dello spirito e del corpo. Dice Giobbe: “Le fiere della terra”, cioè gli impulsi della tua carne, “ saranno in pace con te; e constaterai che anche la tua tenda gode della pace” (Gb 5,23-24). E anche: “Sepolto”, cioè nascosto al mondo per mezzo della contemplazione, “dormirai sicuro. Riposerai e non ci sarà chi ti spaventi” (Gb 11,18-19).
Si degni di concederci tutto questo, colui che è benedetto nei secoli. Amen.