domenica 1 novembre 2015

«VOLETE ANDARVENE ANCHE VOI?» FEDE FEDE FEDE

«VOLETE ANDARVENE ANCHE VOI?»
       Augustin Guillerand *


Nato nel 1877 nel Nivernese (Francia), A. Guillerand diventò sacerdote nel 1900. Era cappellano in una piccola parrocchia di campagna, quando, nel 1916, il fascino che provava per la solitudine e la preghiera lo condusse alla Certosa della Valsainte.      Nel 1935, viene nominato priore di Vedana, in Italia. Allo scoppio della seconda guerra mondiale, fece parte del piccolo gruppo di certosini francesi che, non potendo restare in Italia, trovò rifugio nella Grande Certosa i cui edifici erano in completo abbandono. Fu là che scrisse, per sostenere la propria meditazione, degli appunti che furono pubblicati dopo la sua morte avvenuta nel 1945.

Tutto il discorso di Gesù sul pane della vita s'impernia sulla fede, la esige, ne fa la condizione di salvezza e di unione a lui. Ottenere la nostra fede è la ragione della sua venuta e della sua parola. Chiunque gliela concede, fosse pure una Samaritana, lo raggiunge e gli appartiene. Invece, un abisso si scava fra lui e chiunque tale fede gli rifiuti, foss'anche un Giudeo o un seguace assiduo del suo ministero; e la separazione è definitiva.

Gesù resta solo con i Dodici. La folla si è ritirata, incapace di una fede siffatta e del sacrificio ch'essa comporta. Non una parola per trattenerla. Al contrario, s'impone sempre di più l'esigenza divina fino al momento in cui tutti lo abbandonano, circondato soltanto da quel piccolo gruppo scelto nel quale egli già intravvede una defezione. Giovanni non cerca di parlare della sofferenza del suo Maestro di fronte a tale abbandono; egli racconta i fatti, annota le parole. Non descrive gli stati d'animo; li lascia indovinare; e la sua discrezione nel narrare ci permette di andare più in là in quell'immensità di cui egli non parla.

Tuttavia Gesù non vuoi diminuire la portata di questa esigenza che gli causa, in un sol giorno, la perdita completa del frutto del suo ministero e del beneficio dei miracoli più grandi. Non solo; egli addirittura è pronto a vedere scomparire quei pochi che gli restano, piuttosto che ripiegare: Allora Gesù disse ai Dodici: Volete andarvene anche voi?Il Padre, però, non gli chiede questo sacrificio totale. San Pietro, a nome dei Dodici, fa una professione di fede che lo consola nell'abbandono della folla: Simon Pietro Gli rispose: Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna, noi abbiamo creduto conosciuto che Tu sei il Santo di Dio (Gv. 6, 68-69).

Gli apostoli non comprendevano il linguaggio di nostro Signore più degli altri; anche per loro esso era molto enigmatico. 
Non credevano all'evidenza di ciò che veniva loro detto, ma all'autorità di colui che parlava. 
Credevano al Maestro nel quale avevano riconosciuto il Figlio di Dio, il Verbo eterno, la Luce e la Vita. 
Credevano che le parole del Verbo erano parole di vita e che, sebbene sgradevoli al loro spirito, meritavano e dovevano ottenere la loro adesione. 
Essi non aderivano dunque alla luce della loro ragione, ma alla luce che procedeva dal Verbo, riconosciuto tale dalla loro ragione. 
Essi aderivano, perché il Padre generava in loro questa luce, la luce del suo Spirito d'amore, mediante la quale li attirava a vedere nel divino Maestro e nelle sue parole, la verità. 
Era lui, in definitiva, che li metteva in movimento. Era da lui che quel movimento partiva, ed era a lui, mediante il Verbo incarnato, che questo movimento li riconduceva. Ed era per questo che tale movimento era la vita.

Il miracolo e le parole ottenevano il loro effetto: la fedeQuesta è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato (Gv. 6, 29). L'opera di Dio si compiva in quel ristretto numero di cuori. Essi si nutrivano delle parole vivificatrici che il Verbo aveva sparso in loro e che, tramite loro, avrebbe sparso nel mondo.


 Au seuil de l'abîme de Dieu, Benedettine di Priscilla, Roma 1961 - pp. 273-276.

SAN DOSITEO

Evangelizzare è quello che conta
è tanto il vuoto che vi circonda
La vita dei Santi dovete imitare... la loro lettura è assai salutare

VITA DI ABBA[1] DOSITEO



1. Abba Doroteo, uomo veramente beato, con l’aiuto di Dio abbracciò la vita solitaria e si ritirò nel monastero di abba Seridos. Là trovò molti grandi uomini spirituali che praticavano l’esicasmo[2]; tra di essi eccellevano due grandi Anziani, il santissimo Barsanufio e il suo discepolo o meglio il suo compagno d’ascesi, abba Giovanni, soprannominato il Profeta per il dono del discernimento che aveva ricevuto da Dio. Doroteo si abbandonò ad essi con estrema fiducia; era in relazione con il Grande Anziano[3] tramite il santo abba Seridos, e fu stimato degno di servire abba Giovanni il Profeta. Questi santi Anziani decisero dunque di fargli costruire un’infermeria e di affidargliene la cura; infatti i fratelli pativano molto quando si ammalavano perché non c’era nessuno che avesse cura di loro. E Doroteo dunque con l’aiuto di Dio costruì l’infermeria; alle spese provvide il suo fratello secondo la carne – quest’uomo in effetti era un buon cristiano e grande amico dei monaci. E, come dicevo, fu appunto abba Doroteo, insieme a certi altri fratelli pieni di timor di Dio, a curare gli ammalati; era lui ad avere la responsabilità di tale incarico.

2. Un giorno lo mandò a chiamare l’igùmeno, abba Seridos; arriva e trova accanto a lui un ragazzo in abiti militari, dall’aspetto molto delicato e gentile. Questo ragazzo era appena arrivato al monastero, accompagnato da alcuni amici di abba Seridos, gente alle dipendenze del governatore della regione. Come abba Doroteo arriva, abba Seridos lo prende in disparte e gli dice: «Queste persone hanno portato questo ragazzo, dicono che vuole restare qui in monastero. Temo che si tratti di una di queste persone importanti, che ha rubato o fatto qualcosa di male e vuole scappare; ho paura che avremo delle noie. Non ha affatto né l’aria né l’aspetto di uno che voglia farsi monaco»[4].

3. Questo giovane era paggio di un generale ed era vissuto tra lussi e ricchezze; i paggi di queste persone infatti fanno sempre una vita di grande dissipatezza; non aveva neppure mai sentito parola di Dio. Ma quando alcuni uomini a servizio del generale gli avevano fatto una descrizione della Città Santa, gli era nato il desiderio di vederla. E così aveva chiesto al generale di mandarlo a visitare i luoghi santi. Costui non voleva rattristarlo, trovò un amico fidato che vi andava e gli disse: «Fammi il favore di prendere con te questo ragazzo a visitare i Luoghi Santi». Quest’uomo, ricevuto il ragazzo dalle mani di un generale, lo trattò con infiniti riguardi e lo faceva mangiare alla sua tavola con lui e la moglie. Arrivati alla città santa, veneravano i luoghi santi e andarono al Getzemani. C’era là un dipinto che raffigurava l’Inferno. Il ragazzo stava a guardare attento e colpito, e vide accanto a sé una donna maestosa, con una veste di porpora, che gli indicava ciascun condannato e di sua iniziativa gli dava altre spiegazioni. Il ragazzo l’ascoltava silenzioso e stupito; come ho già detto, non aveva mai sentito una parola di Dio e neppure che ci fosse un giudizio. Le disse dunque: «Signora, che bisogna fare per sfuggire a questi castighi?». Gli rispose: «Digiuna, non mangiare carne, prega continuamente e sfuggirai al castigo». Dopo aver ricevuto questi tre comandi, Dositeo non vide più la donna; era scomparsa. Da quel momento il ragazzo, preso da compunzione, osservava i tre comandi che gli erano stati dati. Ma l’amico del generale che lo vedeva digiunare e non mangiare carne, era preoccupato al pensiero del generale, perché sapeva che aveva grande stima di questo ragazzo. I soldati che l’accompagnavano, vedendolo comportarsi in questo modo, gli dissero: «Ragazzo, quel che fai non si addice a chi vuol vivere nel mondo; se vuoi vivere così, entra in monastero ed avrai la salvezza». Ma Dositeo non sapeva niente di Dio, tantomeno che cosa fosse un monastero; osservava semplicemente quel che aveva sentito dire da quella donna. E così disse loro: «Portatemi in quel posto che voi sapete; perché io non so proprio dove andare». Alcuni di questi, come ho già detto, erano amici di abba Seridos e vennero al monastero portando con loro il ragazzo.

4. Il beato Doroteo, dunque, mandato dall’abba a parlare con lui, lo esaminava con attenzione, ma il ragazzo non sapeva dire nient’altro se non: «Voglio essere salvato». Doroteo allora andò dall’abba Seridos e gli disse: «Se sei davvero del parere di accoglierlo, non aver alcun timore; non vi è malvagità in lui». E l’abba gli rispose: «Ebbene, fammi il favore di prenderlo con te affinché ottenga la salvezza, non voglio che stia in mezzo ai fratelli». Ma Doroteo, per timore di Dio supplicava e diceva: «È al di là delle mie possibilità accettare il peso di chiunque; non sono all’altezza di un compito del genere!». Gli disse abba Seridos: «Sono io che porto il tuo e il suo peso; perché ti angosci?». Doroteo allora gli rispose: «Dato che hai proprio deciso così, se pensi sia cosa buona, va a dirlo all’Anziano». E l’abba gli disse: «Benissimo, glielo dico». Se ne andò dunque a riferire la cosa al Grande Anziano, e l’Anziano gli fece dire così: «Accoglilo, perché è attraverso di te che Dio lo salverà». Allora lo accolse con gioia e lo teneva con sé all’infermeria. Il suo nome era Dositeo.

5. Quando poi arrivò il momento di mangiare, gli disse: «Mangia fin che sei sazio, fammi sapere soltanto quanto mangi». E Dositeo tornò a dirgli: «Ho mangiato un pane e mezzo». Il pane pesava quattro libbre. Gli disse: «Ti senti bene, Dositeo?» Gli rispose: «Sì, padre[5], sto bene». Gli chiese: «Non hai fame?» «No, signore, non ho fame». Allora Doroteo gli disse: «Mangia allora un pane e un quarto; dividi l’altro quarto in due parti, mangiane la metà e avanza l’altra». E così fece. Gli chiese: «Hai fame, Dositeo?». Gli rispose: «Sì, padre, un pochino». Alcuni giorni dopo gli domandò di nuovo: «Come stai, Dositeo? Senti ancora fame?». Gli rispose: «No, padre, grazie alle tue preghiere, sto bene». Gli disse: «Avanza allora l’altra metà del quarto di pane». E fece così. Alcuni giorni dopo gli domandò di nuovo: «E adesso come stai? Hai fame?». Gli rispose: «Sto bene, padre». Gli disse: «Dividi in due parti l’altro quarto, mangiane metà e avanza l’altra metà». E così fece. E in questo modo, con l’aiuto di Dio, poco per volta da sei libbre arrivò a sei once; difatti anche la quantità di cibo da mangiare è questione d’abitudine.

6. Il ragazzo era estremamente abile in ogni lavoro che faceva; serviva i malati nell’infermeria e tutti erano contenti di come li serviva perché faceva tutto con precisione. Se gli capitava di esser poco attento ad un malato o di rivolgergli parole di collera, piantava lì tutto e se ne entrava nella cella piangendo. Gli altri che servivano con lui all’infermeria, venivano a consolarlo, ma Dositeo non trovava pace; allora andavano a dire ad abba Doroteo: «Padre, per piacere cerca di capire che ha questo fratello; piange e non ne sappiamo il motivo». E Doroteo entrava e lo trovava steso a terra in lacrime e gli chiedeva: «Che c’è Dositeo? che hai? perché piangi?». E Dositeo diceva: «Perdonami, padre mio, mi sono arrabbiato e ho detto parole cattive al mio fratello». Gli diceva l’abba: «E così, Dositeo, ti sei arrabbiato e non ti vergogni di adirarti e di dire parole cattive al tuo fratello? non sai che lui è Cristo? e tu fai soffrire Cristo?». E Dositeo abbassava gli occhi a terra, piangendo, senza dire nulla. E quando l’abba vedeva che aveva pianto abbastanza, allora gli diceva: «Dio ti perdoni! Alzati, da questo momento ricominciamo da capo. Sforziamoci di fare attenzione e Dio ci aiuterà». Subito, come sentiva queste parole, si alzava e correva con gioia al suo lavoro, certo di aver ricevuto veramente il perdono da Dio. Quelli che lavoravano all’infermeria si abituarono dunque al suo modo di fare e quando lo vedevano piangere, dicevano: «Che ha Dositeo? Ha fatto qualcosa che non va?» E dicevano al beato Doroteo: «Padre, vieni nella cella, perché là c’è lavoro per te». E come entrava e lo trovava steso a terra in lacrime, capiva che aveva detto qualche parola cattiva e gli chiedeva: «Dositeo, che c’è? Hai di nuovo rattristato Cristo? Ti sei di nuovo arrabbiato? Non te ne vergogni? Non riuscirai dunque a correggerti?». E Dositeo continuava a piangere a lungo. Di nuovo come lo vedeva sazio di lacrime, Doroteo gli diceva: «Alzati, Dio ti perdoni; ricomincia di nuovo da capo. Correggiti una buona volta!». E subito si scuoteva di dosso la tristezza, pieno di fiducia e se ne andava al suo lavoro.

7. Rifaceva molto bene i letti dei malati. Ed era così sincero e aperto nello svelare i suoi pensieri che spesso, poiché rifaceva i letti con ogni cura, quando vedeva passare il beato Doroteo gli diceva: «Padre, padre mio, i miei pensieri mi dicono: rifai bene i letti». E quello gli rispondeva: «Oh Signore! ecco: sei un buon servitore, sei diventato un buon lavoratore; ma sei diventato un buon monaco?». E non lasciava mai che si attaccasse ad un lavoro o ad un oggetto qualsiasi. Dositeo infatti accettava ogni cosa con gioia e fiducia e obbediva di buon animo a tutto. Quando aveva bisogno di un mantello, l’abba glielo dava; e Dositeo correva a ricucirlo con grande cura e attenzione. Ma come aveva finito, Doroteo gli domandava: «Dositeo, hai ricucito quel mantello?». Rispondeva: «Sì, padre mio, l’ho riparato per bene». Gli diceva allora: «Su, dallo a quel fratello o a quel malato». E Dositeo correva subito a darlo. Di nuovo Doroteo gliene dava un altro e allo stesso modo dopo che l’aveva ricucito e riparato, gli diceva: «Dallo a quel fratello». E Dositeo glielo dava immediatamente, senza mai rattristarsi né mormorare dicendo: «Dopo tutta la fatica che ho fatto per ricucirlo e ripararlo, me lo prende e lo da ad un altro». Ma si affrettava a fare ogni cosa buona che gli veniva chiesta.

8. Un’altra volta un economo portò un coltello, meraviglioso e molto bello. Dositeo lo prese e lo portò ad abba Doroteo dicendo: «Il tal fratello ha portato questo coltello e io l’ho preso perché, se tu lo ordini, lo teniamo all’infermeria; taglia bene le fette di pane». Il beato Doroteo non acquistava mai oggetti ricercati per l’infermeria, nulla di più di quel che era bene avere. Gli disse dunque: «Portalo, perché veda se è buono». Glielo diede dicendo: «Sì, padre, è ottimo per tagliare il pane». Anche Doroteo vedeva che era proprio adatto per quell’uso ma siccome non voleva che si attaccasse a nessun oggetto, non volle che lo tenesse. Gli disse dunque: «Dositeo, e così ti piace? Vuoi essere servo di questo coltello e non servo di Dio? Davvero, Dositeo, ti piace? e attaccheresti così il tuo cuore a questo coltello? Non ti vergogni di desiderare di avere per signore questo coltello, invece di Dio?» Dositeo ascoltava senza ribattere nulla, e restava in silenzio abbassando gli occhi a terra. E dopo averlo rimproverato a lungo, gli disse: «Su, mettilo qui e non toccarlo». E Dositeo fu così attento a non toccarlo, che non lo prendeva mai neppure per darlo ad un altro, e mentre tutti gli altri ne facevano uso, lui solo non gli si avvicinava. E non disse mai: «Perché tra tutti solo io non lo posso usare?» Ma faceva con gioia tutto quello che gli veniva detto.

9. Così dunque passò quel breve periodo di tempo che trascorse in monastero, – vi restò infatti circa cinque anni – e così visse fino alla fine in obbedienza senza aver mai fatto una sola volta la sua volontà in qualche cosa e senza aver legato a nulla il suo cuore.

Quando si ammalò e sputò sangue (morì infatti di tisi), sentì dire che le uova bollite facevano bene a chi sputa sangue. Anche il beato Doroteo lo sapeva e benché gli stesse a cuore curarlo, era preoccupato e questo fatto delle uova non gli era venuto in mente. Gli disse Dositeo: «Padre, vorrei dirti quel che ho sentito dire su una cosa che mi farebbe bene; ma non voglio che tu me ne dia, perché questo pensiero mi perseguita». Gli dice: «Dimmi, Dositeo, dimmi qual è questa cosa». E Dositeo gli disse: «Dammi la tua parola che non me ne darai; perché te l’ho già detto, questo pensiero mi perseguita». Gli rispose: «Va bene, farò come vuoi». Allora gli disse: «Ho sentito dire che le uova bollite fanno bene quando si sputa sangue; ma per amore del Signore, siccome non è venuto in mente a te di farmele prendere, se sei d’accordo, non darmene a motivo di questi miei pensieri che mi perseguitano». Gli disse: «Va bene, se non vuoi, non te ne do, sta tranquillo». E cercava di dargli altre cose che gli facessero bene al posto delle uova, perché Dositeo gli diceva: «Sono ossessionato dal pensiero delle uova». Ed anche così gravemente ammalato lottava contro la sua volontà.

10. Custodiva sempre anche il ricordo di Dio; Doroteo gli aveva insegnato a ripetere sempre, secondo la tradizione: «Signore Gesù Cristo, abbi pietà di me»[6] e di tanto in tanto: «Figlio di Dio, vieni in mio aiuto». Faceva sempre questa preghiera. Quando si ammalò, Doroteo gli disse: «Dositeo, sta’ attento alla preghiera, guarda di non lasciartela sfuggire». Gli rispose: «Sì, padre, prega per me». E di nuovo quando si aggravò, gli disse: «Che c’è, Dositeo, come va la preghiera? c’è ancora?». Gli disse: «Sì, padre, grazie alle tue preghiere». Quando fu ancora più grave (era così debole che lo si poteva trasportare con un lenzuolo), gli disse: «Come va la preghiera, Dositeo?». A quel punto gli disse: «Perdonami, padre mio, non ho più la forza di custodirla». Gli rispose: «E allora lascia la preghiera; ricordati semplicemente di Dio e pensa che sta davanti a te». Soffriva molto e mandò a dire al Grande Anziano: «Lasciami andare, perché non ne posso più». L’Anziano gli mandò a dire: «Figliolo, abbi pazienza, perché la misericordia di Dio è vicina». Il beato Doroteo lo vedeva sfinito e temeva che la sua anima ne patisse danno. Alcuni giorni dopo Dositeo mandò di nuovo a dire all’Anziano: «Signore mio, non ne posso più». Allora l’Anziano gli rispose: «Va’ in pace, resta davanti alla Santa Trinità e intercedi per noi».

11. I fratelli, sentita la risposta dell’Anziano, incominciarono ad irritarsi e a dire: «Ma insomma che ha fatto, quale opera ha compiuto per sentirsi dire queste cose?». In verità infatti non lo avevano visto digiunare un giorno su due come facevano alcuni in quel monastero né vegliare prima della preghiera notturna; si svegliava per la veglia soltanto dopo le prime due acoluthìe[7]. E non l’avevano mai visto compiere una pratica ascetica, anzi a volte l’avevano visto bere un po’ del brodo riservato ai malati e mangiare una testa di pesce se avanzava o qualche altra cosa del genere. Eppure, come già dicevamo, nel monastero ce n’erano alcuni che digiunavano a giorni alterni e raddoppiavano le veglie e le pratiche ascetiche. Come dunque sentirono la risposta inviata dall’Anziano a quel ragazzo che aveva vissuto in monastero cinque anni, si misero in agitazione; non conoscevano la sua opera, la sua obbedienza in ogni cosa, non sapevano che non aveva mai fatto una sola volta la sua volontà, ignoravano la sua obbedienza così assoluta che se per caso il beato Doroteo gli chiedeva qualcosa per scherzo, subito correva a farlo senza esitare.

Ve ne do un esempio. I primi tempi costui parlava in modo rozzo così come era abituato. Un giorno dunque il beato Doroteo gli disse scherzando: «Hai bisogno di pane inzuppato di vino, Dositeo? Benissimo, vallo a prendere!». E Dositeo come sentì queste parole, se ne andò e ritornò con una coppa di vino e del pane e gliela mise davanti per ricevere la benedizione. Doroteo non capì, lo guardò sbalordito e gli chiese: «Che vuoi?». Gli rispose: «Mi hai ordinato di prendere del pane inzuppato di vino; dammi la benedizione». Allora gli disse: «Sciocco, te l’ho detto perché gridi come i Goti; quelli, infatti, quando si arrabbiano, gridano incolleriti. Per questo ti ho detto ’Prendi del pane inzuppato di vino’, perché anche tu gridi come un Goto». A queste parole fece una metanìa[8] e se ne andò a rimettere al suo posto la coppa.

12. Un’altra volta di nuovo venne ad interrogare Doroteo su una parola delle Scritture; cominciava grazie alla sua purezza a capire qualcosa delle Scritture. Ma Doroteo a quel tempo non voleva che si applicasse alla lettura, voleva piuttosto che fosse al sicuro grazie all’umiltà. E così quando lo interrogò, gli rispose: «Non lo so». Dositeo non comprese il senso della sua risposta e ritornò un’altra volta a interrogarlo su un altro capitolo. Allora gli disse: «Non so, ma va’ a chiederlo all’abba». Ed egli vi andò senza esitare. Ma Doroteo aveva in precedenza detto all’abba, senza che Dositeo ne sapesse niente: «Se viene Dositeo a interrogarti su qualche punto delle Scritture, sii un po’ duro con lui». E così quando venne a interrogarlo, cominciò a rimproverarlo e a dirgli: «Non te ne vuoi star tranquillo, tu che non sai proprio niente! Hai coraggio di chiedere queste cose invece di preoccuparti dei tuoi peccati?». Continuò su questo tono per un po’ e poi lo mandò via dopo avergli dato due schiaffi. E Dositeo ritornò da Doroteo, gli fece vedere le guance arrossate dagli schiaffi e gli disse: «Le ho prese per bene!». E non gli disse: «Perché non mi hai corretto tu, invece di mandarmi dall’abba?»[9]. No, non disse nulla del genere, ma qualsiasi cosa dicesse o facesse Doroteo, la accettava con fiducia senza esitare. E quando qualche pensiero lo tormentava, accettava con tale convinzione quello che gli si diceva e lo faceva suo a tal punto che non ritornava mai due volte sullo stesso pensiero.

13. Alcuni dunque, come già ho detto, ignoravano questa sua opera meravigliosa e mormoravano per il modo con cui l’Anziano l’aveva congedato. Ma quando Dio volle rendere manifesta la gloria preparata per lui a ricompensa di quella sua santa obbedienza e far conoscere il carisma che aveva il beato Doroteo che, pur essendo ancora un discepolo nel compito di guidare gli uomini alla salvezza, l’aveva condotto così direttamente e velocemente a Dio, allora, non molto tempo dopo la sua fine beata, accadde questo: un santo anziano, che si trovava come ospite nel monastero, desiderò vedere i santi che lì erano morti e chiese a Dio di concedergli questa visione. E li vide tutti insieme come in coro e in mezzo a loro c’era un ragazzo; l’anziano chiese: «Ma chi è quel ragazzo che ho visto insieme ai Padri?». E come descrisse i segni che lo caratterizzavano, tutti riconobbero che si trattava di Dositeo[10] e resero gloria a Dio, meravigliati che nonostante la vita che aveva fatto prima di entrare in monastero, fosse stato stimato degno di giungere a tali altezze e in un tempo così breve per aver osservato l’obbedienza e aver spezzato la propria volontà.


Da: DOROTEO DI GAZA, Scritti e insegnamenti spirituali,
(edd L. CREMASCHI), Roma 1980, 50-60.


[1] Conserviamo il termine abba senza tradurlo. In Doroteo la parola abba mantiene il senso antico di monaco avanzato nella vita spirituale; se a volte designa il superiore è perché il superiore è un santo come nel caso di abba Seridos, ma il termine abba non comporta necessariamente l’idea di autorità.
[2] Il termine esicasmo deriva da ησυχία che designa la solitudine, la ricerca di Dio nella contemplazione, lontano dalle distrazioni. In generale l’esicasta è il monaco, che, già avanzato nella vita spirituale, vive in solitudine, a volte ai margini della comunità, a volte in totale e completa reclusione come Barsanufio e Giovanni il profeta.
[3] Così veniva chiamato Barsanufio.
[4] Tutte le regole monastiche antiche invitano a non accettare troppo facilmente nuovi fratelli nella comunità; occorre vigilare e discernere se chi chiede di entrare in monastero è veramente spinto dal desiderio di rispondere alla chiamata di Dio. La regola di Pacomio prescrive: «Se qualcuno si avvicina alla porta del monastero volendo rinunziare al mondo ed essere aggregato al numero dei fratelli, non abbia la libertà di entrare [...] Dia con esattezza prova di sé: se per caso non abbia commesso qualche delitto e, preso da timore, si sia temporaneamente allontanato, o sia sotto il potere di altri e per vedere se può rinunziare ai genitori e non tener conto dei propri beni» (Precetti 49: ed. Studium, Roma 1974, p. 112). Cfr. anche Basilio, Asceticon 6,1-9 e il c. 58 della regola di Benedetto.
[5] Il termine κύριε non è facilmente traducibile in italiano, è un termine usato in segno di rispetto, di deferenza per una persona, a volte è usato dai figli per rivolgersi ai genitori.
[6] Un codice più recente (Parigi gr 1089) riporta la formula: «Signore Gesù Cristo, nostro Dio, abbi pietà di me». Doroteo aveva imparato questa preghiera, che sarà detta preghiera di Gesù o del cuore, dai suoi padri spirituali Giovanni e Barsanufio e l’insegna a sua volta a Dositeo. La preghiera di Gesù o del cuore si svilupperà nel Sinai e sul Monte Athos. Legata a nomi come quelli di san Macario, Diadoco da Fotica, Giovanni Climaco e a tutta la tradizione esicasta, ha origine dalla concezione biblica del Nome: il Nome di Dio è uno dei suoi attributi, il luogo teofanico, il luogo della sua presenza. L’invocazione del Nome di Dio riempie il cuore dell’uomo, trasformandolo in luogo della presenza divina.
[7] L’acoluthìa designa un insieme di salmi, di responsori ecc. che formano una parte dell’ufficio divino. A volte il termine viene usato per indicare l’intero ufficio divino.
[8] La metània (lett. penitenza) è un profondo inchino fino a terra, a volte seguito da un segno di croce; è un segno di pentimento, di richiesta di perdono dopo un peccato oppure è semplicemente un segno di venerazione verso Dio o verso un fratello.
[9] Non dobbiamo dedurre che Doroteo proibisse al suo discepolo di leggere e meditare le Scritture! Tutt’altro! Doroteo è figlio della tradizione monastica dei Padri del deserto che ruminavano le Scritture giorno e notte, ma dai Padri del deserto Doroteo ha anche imparato ad accostare le Scritture con grande timore e venerazione. Doroteo vigila che il suo discepolo ami e obbedisca alla parola, senza farne oggetto di disquisizione.
[10] La festa di san Dositeo l’Ιpotaktikòs è il 13 agosto.

AMDG et BVM

venerdì 30 ottobre 2015

AMMONIZIONI DEL SERAFICO PADRE SAN FRANCESCO

AMMONIZIONI (seconda e ultima parte)

di San Francesco d’Assisi



XIII. La pazienza.

Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio.

Il servo di Dio non può conoscere quanta pazienza e umiltà abbia in sé finché gli si dà soddisfazione. Quando invece verrà il tempo in cui quelli che gli dovrebbero dare soddisfazione gli si mettono contro, quanta pazienza e umiltà ha in questo caso, tanta ne ha e non più.

XIV. La povertà di spirito.

Beati i poveri di spirito perché di essi è il regno dei cieli.

Ci sono molti che, applicandosi insistentemente a preghiere e occupazioni, fanno molte astinenze e mortificazioni corporali, ma per una sola parola che sembri ingiuria verso la loro persona, o per qualche cosa che venga loro tolta, scandalizzati, tosto si irritano. Questi non sono poveri di spirito, poiché chi è veramente povero d ispirito odia se stesso e ama quelli che lo percuotono nella guancia.

XV. I pacifici.

Beati i pacifici, poiché saranno chiamati figli di Dio.

Sono veri pacifici coloro che in tutte le contrarietà che sopportano in questo mondo, per l’amore del Signore nostro Gesù Cristo, conservano la pace nell’anima e nel corpo.

XVI. La purezza di cuore.

Beati i puri di cuore, poiché essi vedranno Dio.

Veramente puri di cuore sono coloro che disdegnano le cose terrene e cercano le cose celesti, e non cessano mai di adorare e vedere il Signore Dio, vivo e vero, con cuore e animo puro.

XVII. L’umile servo di Dio.

Beato quel servo il quale non si inorgoglisce per il bene che il Signore dice e opera per mezzo di lui, più che per il bene che dice e opera per mezzo di un altro. Pecca l’uomo che vuol ricevere dal suo prossimo più di quanto non vuole dare di sé al Signore Dio.

XVIII. La compassione per il prossimo.

Beato l’uomo che offre un sostegno al suo prossimo per la sua fragilità, in quelle cose in cui vorrebbe essere sostenuto da lui, se si trovasse in un caso simile.

Beato il servo che restituisce tutti i suoi beni al Signore Iddio, perché chi riterrà qualche cosa per sé, nasconde dentro di sé il denaro del Signore suo Dio, e gli sarà tolto ciò che credeva di possedere.

XIX. L’umile servo di Dio.

Beato il servo, che non si ritiene migliore, quando viene lodato ed esaltato dagli uomini, di quando è ritenuto vile, semplice e spregevole, poiché quanto l’uomo vale davanti a Dio, tanto vale e non di più. Guai a quel religioso, che è posto dagli altri in alto e per sua volontà non vuol discendere. E beato quel servo, che non viene posto in alto di sua volontà e sempre desidera mettersi sotto i piedi degli altri.

XX. Il buon religioso e il religioso vano.

Beato quel religioso che non ha giocondità e letizia se non nelle santissime parole e opere del Signore e, mediante queste, conduce gli uomini all’amore di Dio con gaudio e letizia. Guai a quel religioso che si diletta in parole oziose e frivole e con esse conduce gli uomini al riso.

XXI. Il religioso leggero e loquace.

Beato il servo che, quando parla, non manifesta tutte le sue cose, con la speranza di una mercede, e non è veloce a parlare, ma sapientemente pondera di che parlare e come rispondere. Guai a quel religioso che non custodisce nel suo cuore i beni che il Signore gli mostra e non li manifesta agli altri nelle opere, ma piuttosto, con la speranza di una mercede, brama manifestarli agli uomini a parole. Questi riceve già la sua mercede e chi ascolta ne riporta poco frutto.

XXII. Della correzione fraterna.

Beato il servo che è disposto a sopportare così pazientemente da un altro la correzione, l’accusa e il rimprovero, come se li facesse a sé. Beato il servo che, rimproverato, di buon animo accetta, si sottomette con modestia, umilmente confessa e volentieri ripara. Beato il servo che non è veloce a scusarsi e umilmente sopporta la vergogna e la riprensione per un peccato, sebbene non abbia commesso colpa.

XXIII. La vera umiltà.

Beato il servo che viene trovato così umile tra i suoi sudditi come quando fosse tra i suoi padroni. Beato il servo che si mantiene sempre sotto la verga della correzione. E’ servo fedele e prudente colui che di tutti i suoi peccati non tarda a punirsi, interiormente per mezzo della contrizione ed esteriormente con la confessione e con opere di riparazione.

XXIV. La vera dilezione.

Beato il servo che tanto è disposto ad amare il suo fratello quando è infermo, e perciò non può ricambiargli il servizio, quanto l’ama quando è sano, e può ricambiarglielo.

XXV. Ancora della vera dilezione.

Beato il servo che tanto amerebbe e temerebbe un suo fratello quando fosse lontano da lui, quanto se fosse accanto a lui, e non direbbe dietro le sue spalle niente che con carità non possa dire in sua presenza.

XXVI. Che i servi di Dio onorino i chierici.

Beato il servo che ha fede nei chierici che vivono rettamente secondo le norme della Chiesa romana. E guai a coloro che li disprezzano. Quand’anche infatti siano peccatori , tuttavia nessuno li deve giudicare, poiché il Signore esplicitamente ha riservato solo a se stesso il diritto di giudicarli.

Invero, quanto più grande è il ministero che essi svolgono del santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo che proprio essi ricevono ed essi soli amministrano agli altri, tanto maggiore peccato commettono coloro che peccano contro di essi, che se peccassero contro tutti gli altri uomini di questo mondo.

XXVII. Come le virtù allontanano i vizi.

Dove è amore e sapienza,
ivi non è timore né ignoranza.
Dove è pazienza e umiltà,
ivi non è ira né turbamento.
Dove è povertà con letizia,
ivi non è cupidigia né avarizia.
Dove è quiete e meditazione,
ivi non è affanno né dissipazione.
Dove è il timore del Signore a custodire la sua casa,
ivi il nemico non può trovare via d’entrata.
Dove è misericordia e discrezione,
ivi non è superfluità né durezza.

XXVIII. Il bene va nascosto perché non si perda.

Beato il servo che accumula nel tesoro del cielo i beni che il Signore gli mostra e non brama di manifestarli agli uomini con la speranza di averne compenso, poiché lo stesso Altissimo manifesterà le sue opere a chiunque gli piacerà. Beato il servo che conserva nel suo cuore i segreti del Signore.


http://www.monasterovirtuale.it/i-classici-della-spiritualita-cattolica/s.-francesco-dassisi-regola-bollata-e-testamento/ammonizioni.html



AVE MARIA!


LUCE NELLE TENEBRE

Ce ne vorrebbero...

L’arcivescovo di Louisville, mons. Joseph Kurtz (classe 1946), Presidente della Conferenza Episcopale Statunitense, in una foto, inginocchiato per strada, mentre recita il rosario dinanzi a una clinica abortista della sua città.