giovedì 6 agosto 2015

"Internet: un nuovo forum per proclamare il Vangelo".


GIOVANNI PAOLO II


<< Carissimi Fratelli e Sorelle!

1. In molti Paesi, tra i quali l'Italia, è stata posticipata ad oggi la solennità dell'Ascensione di Cristo. Con questa festa ricordiamo che Gesù, dopo la sua risurrezione, si mostrò vivo ai discepoli per quaranta giorni (At 1,3), al termine dei quali, avendoli condotti sul monte degli Ulivi, "fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo" (At 1,9). 

Risorto e asceso al Cielo, il Redentore costituisce per i credenti l'àncora di salvezza e di conforto nel quotidiano impegno al servizio della verità e della pace, della giustizia e della libertà. Salendo al Cielo, Egli ci riapre la via verso la Patria beata, non però per alienarci dalla storia, ma per dare al nostro cammino il respiro della speranza.


2. Ogni giorno, infatti, dobbiamo confrontarci con le realtà di questo mondo. Ce lo ricorda anche la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, che quest'oggi celebriamo.

I più recenti progressi nelle comunicazioni e nelle informazioni hanno posto la Chiesa di fronte a inedite possibilità di evangelizzazione. Ho pensato, perciò, di proporre quest'anno un tema di grande attualità: "Internet: un nuovo forum per proclamare il Vangelo".

Dobbiamo entrare in questa moderna e sempre più fitta rete di comunicazione con realismo e fiducia, persuasi che, se viene utilizzata con competenza e consapevole responsabilità, può offrire opportunità valide per la diffusione del messaggio evangelico.

Non si abbia, pertanto, paura di "prendere il largo" nel vasto oceano informatico. Anche attraverso di esso la Buona Notizia può raggiungere il cuore degli uomini e delle donne del nuovo millennio.

3. Non va, tuttavia, mai dimenticato che il segreto di ogni azione apostolica è anzitutto la preghiera. E proprio in intensa preghiera, dopo l'Ascensione, i discepoli vissero nel Cenacolo attendendo lo Spirito Santo promesso da Cristo. In mezzo a loro stava ancheMaria, la Madre di Gesù (At 1,14).

Mentre ci prepariamo a celebrare, domenica prossima, la solenne festa della Pentecoste, invochiamo con Maria lo Spirito Santo, perché infonda nei cristiani rinnovato slancio missionario e guidi i passi dell'umanità sulla via della solidarietà e della pace.>>

REGINA COELI
Solennità dell'Ascensione
Domenica, 12 maggio 2002

AMDG et BVM

Chi sa stare meco nel dolore deve avere parte meco nella gioia.


349. La Trasfigurazione sul monte Tabor e l’epilettico guarito ai piedi del monte.
Un commento per i prediletti. 
Mt 17,1-17; Mc 9,1-26; Lc 9,28-43

Chi mai fra gli uomini non ha visto, almeno per una volta, un’alba serena di marzo? Se quest’uno c’è, è un grande infelice, perché ignora una delle grazie più belle della natura risvegliata da primavera, tornata vergine, fanciulla, quale doveva esserlo nel primo giorno.
In questa grazia, che è pura in ogni suo aspetto e cosa – dalle erbe novelle e rugiadose ai fioretti che si  dischiudono, come bimbi che nascono, al primo ridere della luce del giorno; agli uccelli che si destano con un frullo d’ali e dicono il primo cip? interrogativo, preludio a tutti i loro canori discorsi della giornata;
all’odore stesso dell’aria che ha perduto nella notte, per il lavacro delle rugiade e l’assenza dell’uomo, ogni corruzione di polvere, fumo e sentore di corpi umani – vanno Gesù, gli apostoli e i discepoli. È con essi anche Simone d’Alfeo.
Vanno in direzione sud-est, valicando i colli che fanno corona a Nazaret, superando un torrente, traversando una pianura stretta fra i colli nazareni e un gruppo di monti verso est. Questi monti sono preceduti dal cono semimonco del Tabor che mi ricorda stranamente, nella sua vetta, la lucerna dei nostri carabinieri vista di
profilo.
Lo raggiungono. Gesù si ferma e dice: « Pietro, Giovanni e Giacomo di Zebedeo vengano con Me sul monte.
Voi spargetevi alla sua base, dividendovi verso le strade che la costeggiano, e predicate il Signore. Verso sera voglio essere di nuovo a Nazaret. Non allontanatevi dunque molto. La pace sia con voi ». E volgendosi ai tre chiamati dice: «Andiamo ».
E prende la salita senza più volgersi indietro e con un passo così sollecito che fa faticare Pietro a stargli dietro.
In un momento di sosta Pietro, rosso e sudato, gli chiede col fiato grosso: «Ma dove andiamo? Non ci sono case sul monte. Sulla cima quella vecchia fortezza. Vuoi andare a predicare la? ».
«Avrei preso l’altro versante. Ma tu vedi che gli volgo le spalle. Non andremo alla fortezza, e chi è in essa non ci vedrà neppure. Vado ad unirmi col Padre mio, e vi ho voluti con Me perché vi amo. Su, lesti! ».
«Oh! mio Signore! Non potremo andare un poco più adagio, invece, e parlare di quanto abbiamo sentito e visto ieri, che ci ha tenuti desti tutta la notte per parlarne? ».
«Agli appuntamenti di Dio si va sempre veloci. Forza Simon Pietro! Lassù vi farò riposare ». E riprende a salire…


Dice Gesù:
«Qui innestate la Trasfigurazione avuta il 5 agosto 1944, ma senza il dettato unito alla stessa. Finito di copiare la Trasfigurazione dello scorso anno, P.M. copierà ciò che ti mostro ora ».


Sono col mio Gesù su un alto monte. Con Gesù sono Pietro, Giacomo e Giovanni. Salgono ancor più in alto e l’occhio spazia per aperti orizzonti che un bel giorno sereno rende netti nei particolari fin nelle lontananze.
Il monte non fa parte di un sistema montano come è quello della Giudea; sorge isolato avendo, rispetto al luogo dove ci troviamo, l’oriente in faccia, il nord alla sinistra, il sud a destra e dietro, a ovest, la vetta che si alza di ancora qualche centinaio di passi. È molto elevato e l’occhio è libero di vedere per un largo raggio.

Il lago di Genezaret pare un lembo di cielo sceso a incastonarsi fra il verde della terra, una turchese ovale chiusa da smeraldi di diverse gradazioni, uno specchio che tremula e si increspa a un vento lieve e sul quale scivolano, con agilità di gabbiani, le barche dalle vele spiegate, leggermente curvate verso l’onda azzurrina, proprio con la grazia del volo candido di un alcione, scorrente l’onda in cerca di preda. Poi ecco che dalla vasta turchese esce una vena, di azzurro più pallido là dove il greto è più ampio, e più scuro là dove le rive si stringono e l’acqua è più profonda e cupa per l’ombra che vi gettano gli alberi che crescono vigorosi presso il fiume, nutriti dal suo umore. Il Giordano pare una pennellata quasi rettilinea nel verde della pianura.
Dei paeselli sono sparsi per la pianura al di qua e al di là del fiume. Alcuni sono proprio un pugno di case, altri sono più vasti, già arieggianti a cittadine. Le vie maestre sono rughe giallognole fra il verde. Ma qua, dalla parte del monte, la pianura è molto più coltivata e fertile, molto bella. Si vedono le diverse colture coi loro diversi colori ridere al bel sole che scende dal cielo sereno.
Deve essere primavera, forse marzo, se calcolo la latitudine della Palestina, perché vedo i grani già alti, ma ancora verdi, ondulare come un mare glauco, e vedo i pennacchi dei più precoci fra gli alberi da frutto mettere come delle nuvolette bianche e rosee su questo piccolo mare vegetale, poi prati tutti in fiore per gli alti fieni sui quali pecorelle pascolanti paiono mucchietti di neve ammucchiata qua e là sul verde.

Proprio vicino al monte, sulle colline che ne sono la base, basse e brevi colline, sono due cittadine, una verso sud, una verso nord. La pianura fertilissima si estende specialmente e più ampiamente verso il sud.
Gesù, dopo una breve sosta al fresco di un ciuffo di alberi, certo concessa per pietà di Pietro che nelle salite fatica palesemente, riprende a salire. Va fin quasi sulla vetta, là dove è un pianoro erboso che ha un semicerchio di alberi verso la costa.

«Riposate, amici. Io vado là a pregare ». E accenna con la mano ad un ampio sasso, una roccia che affiora dal monte e che si trova perciò non verso la costa ma verso l’interno, la vetta.
Gesù si inginocchia sulla terra erbosa e appoggia le mani e il capo al masso, nella posa che prenderà anche nella preghiera al Getsemani. Il sole non lo colpisce perché la vetta lo ripara. Ma il resto dello spiazzo erboso è tutto lieto di sole, sino al limite d’ombra dello scrimolo alberato sotto il quale si sono seduti gli apostoli.

Pietro si leva i sandali e se ne scuote via polvere e sassolini e sta così, scalzo, coi piedi stanchi fra l’erba fresca, quasi steso, col capo su un ciuffo smeraldino che sporge più degli altri sulla sua zolla come un guanciale. Giacomo lo imita, ma per stare comodo cerca un tronco d’albero al quale appoggia il suo mantello e su questo le spalle. Giovanni resta seduto e osserva il Maestro. Ma la calma del luogo, il venticello fresco, il silenzio e la stanchezza vincono anche lui, e la testa gli si abbassa sul petto e così le palpebre sugli occhi.
Non dormono profondamente nessuno dei tre, ma sono in quella sonnolenza estiva che intontisce.
Li scuote una luminosità così viva che annulla quella del sole e dilaga e penetra fin sotto il verde dei cespugli e alberi sotto cui si sono messi.
Aprono gli occhi stupiti e vedono Gesù Trasfigurato. 

*

( Nota sulla Trasfigurazione

A stornare le astuzie di Satana e le insidie dei futuri, e non ignoti a Dio Padre, nemici del Verbo Incarnato, Dio avvolse di aspetti comuni a tutti i nati di donna il Cristo non solo sinché fu “il fanciullo e il figlio del falegname” ma anche quando fu il Maestro. Soltanto la sapienza e il miracolo lo distinguevano dagli altri. 

Ma Israele, sebbene in minor misura, conosceva altri maestri (i profeti) e operatori di miracoli. Ciò doveva servire a provare anche
la fede dei suoi eletti: gli apostoli e discepoli. Essi dovevano “credere senza vedere” cose straordinarie e divine. Così vedevano l’Uomo dotto e Santo che faceva anche miracoli ma che per tutto il resto era simile a loro nei suoi bisogni umani. Però, a confermare i tre, dopo che l’annuncio della morte futura di croce li aveva turbati, Egli ora si svela in tutta la gloria della sua Natura Divina. Dopo ciò il dubbio che la predetta morte di croce aveva insinuato nei suoi più prossimi seguaci, non poteva più sussistere. Essi avevano visto Dio. Dio nell’Uomo che sarebbe stato crocifisso. Era la manifestazione delle due Nature ipostaticamente unite.

Manifestazione innegabile che non poteva lasciare dubbi. E al Figlio-Dio che si manifesta tale si unisce il Padre-Dio con le sue parole e il Cielo rappresentato da Mosè ed Elia. Dopo aver scosso la loro fede con il preannuncio del suo morire, Gesù ribadisce, anzi aumenta tal fede col suo trasfigurarsi). 

*

Egli è ora tale e quale come lo vedo nelle visioni del Paradiso. Naturalmente senza le Piaghe e senza il vessillo della Croce.
Ma la Maestà del volto e del corpo è uguale, uguale ne è la luminosità, e uguale la veste che da un rosso cupo si è mutata nel diamantifero e perlifero tessuto immateriale che lo veste in Cielo. Il suo viso è un sole dalla luce siderale ma intensissima, nel quale raggiano gli occhi di zaffiro. Sembra più alto ancora, come la sua
glorificazione ne avesse aumentato la statura. Non saprei dire se la luminosità, che rende perfino fosforescente il pianoro, provenga tutta da Lui o se alla sua propria si mesca quella che ha concentrata sul suo Signore tutta la luce che è nell’universo e nei cieli. So che è qualche cosa di indescrivibile.

Gesù è ora in piedi, direi anzi che è alzato da terra, perché fra lui e il verde del prato vi è come un vaporare di luce, uno spazio dato unicamente da una luce sul quale pare Egli si erga. Ma è tanto viva che potrei anche ingannarmi, e il non vedere più il verde dell’erba sotto le piante di Gesù potrebbe esser provocato da questa luce immensa che vibra e fa onde come si vede talora nei grandi fuochi. Onde, qui, di un colore bianco,incandescente. Gesù sta col Volto alzato verso il cielo e sorride ad una sua visione che lo sublima.
Gli apostoli ne hanno quasi paura e lo chiamano, perché non pare più a loro che sia il loro Maestro tanto è trasfigurato. « Maestro, Maestro », chiamano piano ma con ansia. Egli non sente.
« È in estasi », dice Pietro tremante. « Che vedrà mai? ».
I tre si sono alzati in piedi. Vorrebbero accostarsi a Gesù, ma non osano.
La luce aumenta ancora per due fiamme che scendono dal cielo e si collocano ai lati di Gesù. Quando sono stabilite sul pianoro, il loro velo si apre e ne appaiono due maestosi e luminosi personaggi. L’uno più anziano, dallo sguardo acuto e severo e da una lunga barba bipartita. Dalla sua fronte partono corni di luce che me lo indicano per Mosè. L’altro è più giovane, scarno, barbuto e peloso, su per giù come il Battista, al quale direi assomiglia per statura, magrezza, conformazione e severità. Mentre la luce di Mosè è candida come è quella di Gesù, specie nei raggi della fronte, quella che emana Elia è solare, di fiamma viva.
I due Profeti prendono una posa di riverenza davanti al loro Dio Incarnato e, sebbene Questi parli loro con famigliarità, essi non abbandonano la loro posa riverente. Non comprendo neppure una delle parole dette.
I tre apostoli cadono a ginocchio tremanti, col volto fra le mani. Vorrebbero vedere ma hanno paura.

Finalmente Pietro parla: «Maestro, Maestro. Odimi». Gesù gira lo sguardo con un sorriso verso il suo Pietro, che si rinfranca e dice: «E’ bello stare qui con Te, Mosè e Elia. Se vuoi facciamo tre tende per Te, per Mosè e per Elia, e noi stiamo qui a servirti… ».
Gesù lo guarda ancora e sorride più vivamente. Guarda anche Giovanni e Giacomo. Uno sguardo che li abbraccia con amore. Anche Mosè e Elia guardano i tre fissamente. I loro occhi balenano. Devono essere come raggi che penetrano i cuori.

Gli apostoli non osano dire altro. Intimoriti, tacciono. Sembrano un poco ebbri come chi è sbalordito. Ma quando un velo che non è nebbia, che non è nuvola, che non è raggio, avvolge e separa i Tre gloriosi dietro uno schermo ancor più lucido di quello che già li circondava e li nasconde alla vista dei tre, e una Voce potente e armonica vibra ed empie di sé lo spazio, i tre cadono col volto contro l’erba.

«Questo è il mio Figliuolo diletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo ».
Pietro nel gettarsi bocconi esclama: «Misericordia di me, peccatore! È la Gloria di Dio che scende! ».
Giacomo non fiata. Giovanni mormora con un sospiro, come fosse prossimo a svenire: «Il Signore parla! ».
Nessuno osa alzare la testa anche quando il silenzio si è rifatto assoluto. Non vedono perciò neppure il tornare della luce alla sua naturalezza di luce solare e mostrare Gesù rimasto solo e tornato il Gesù solito nella sua veste rossa.
Egli cammina verso loro sorridendo e li scuote e tocca e chiama per nome.

«Alzatevi. Sono Io. Non temete », dice, perché i tre non osano alzare il volto e invocano misericordia sui loro peccati, temendo che sia l’Angelo di Dio che vuol mostrarli all’Altissimo.
«Levatevi, dunque. Ve lo comando », ripete Gesù con imperio. Essi alzano il volto e vedono Gesù che sorride.
«Oh! Maestro, Dio mio!», esclama Pietro. «Come faremo a viverti accanto ora che abbiamo visto la tua gloria? Come faremo a vivere fra gli uomini, e noi, uomini peccatori, ora che abbiamo udito la voce di Dio?».

«Dovrete vivermi accanto e vedere la mia gloria sino alla fine. Siatene degni perché il tempo è vicino. Ubbidite al Padre mio e vostro. Torniamo ora fra gli uomini, perché sono venuto per stare fra essi e per portare a essi Dio. Andiamo. Siate santi per ricordo di quest’ora, forti, fedeli. Avrete parte alla mia più completa gloria. Ma non parlate ora di questo che avete visto ad alcuno. 

(La prudenza perfetta di Cristo, lo fece così comandare per evitare fanatismi di venerazione e d’odio, entrambi prematuri e nocivi. Poche righe più sotto, a proposito di Elia, Maria Valtorta precisa: L’Elia che “è tornato una volta”, cui allude Gesù, era il Battista). 

Neppure ai compagni. Quando il Figlio dell’uomo sarà risuscitato dai morti e tornato nella gloria del Padre, allora parlerete. Perché 
allora occorrerà credere per aver parte nel mio Regno ».

«Ma non deve venire Elia per preparare al tuo Regno? I rabbi dicono così ».

«Elia è già venuto ed ha preparato le vie al Signore. Tutto avviene come è stato rivelato. Ma coloro che insegnano la rivelazione non la conoscono e non la comprendono, e non vedono e riconoscono i segni dei tempi e i messi di Dio. Elia è tornato una volta. La seconda verrà quando il tempo ultimo sarà vicino per preparare gli ultimi a Dio. Ma ora è venuto per preparare i primi al Cristo, e gli uomini non lo hanno voluto riconoscere e lo hanno tormentato e messo a morte. Lo stesso faranno col Figlio dell’uomo, perché gli
uomini non vogliono riconoscere ciò che è loro bene ».

I tre chinano la testa pensosi e tristi, e scendono per la via dalla quale sono saliti insieme a Gesù.

… Ed è ancora Pietro che dice, in una sosta a mezza via: «Ah! Signore! Dico anche io come tua Madre ieri: “Perché ci hai fatto questo?”; e anche dico: “Perché ci hai detto questo?”. Le tue ultime parole hanno cancellato la gioia della gloriosa vista dai nostri cuori! Gran giorno di paure questo! Prima ci ha fatto paura la grande luce che ci ha destati, più forte che se il monte ardesse o che se la luna fosse scesa a raggiare sul ripiano, sotto i nostri occhi; poi il tuo aspetto e il tuo staccarti dal suolo come fossi per volare via. Ho avuto paura che Tu, disgustato dalle nequizie di Israele, te ne tornassi ai Cieli, magari per ordine dell’Altissimo.
Poi ho avuto paura di vedere apparire Mosè, che i suoi del suo tempo non potevano più vedere senza velo tanto splendeva sul suo volto il riflesso di Dio, e ancora era uomo, mentre ora è spirito beato e acceso di Dio, e Elia… Misericordia divina! Ho creduto essere giunto al mio ultimo momento, e tutti i peccati della mia
vita, da quando rubavo le frutta nella dispensa da piccino, all’ultimo di averti mal consigliato giorni or sono, mi sono venuti alla mente. Con che tremore me ne sono pentito! Poi mi parve che mi amassero quei due giusti… e ho osato parlare. Ma anche il loro amore mi faceva paura, perché io non merito l’amore di simili
spiriti. E dopo… e dopo!… La paura delle paure! La voce di Dio!… Geové che ha parlato! A noi! Ci ha detto: “Ascoltatelo!”. Tu. E ti ha proclamato “suo Figlio diletto nel quale Egli si compiace”. Che paura! Geové!… a noi!… Certo solo la tua forza ci ha tenuti in vita!… Quando Tu ci hai toccato, e le tue dita ardevano come punte di fuoco, io ho avuto l’ultimo spavento. Ho creduto che fosse l’ora di essere giudicato e che l’Angelo mi toccasse per prendermi l’anima e portarla all’Altissimo… Ma come ha fatto tua madre a
vedere… a sentire… a vivere, insomma, quell’ora che Tu hai detto ieri, senza morire, Lei che era sola, giovanetta, senza di Te?

« Maria, la Senza Macchia, non poteva avere paura di Dio. Eva non ne aveva paura finché fu innocente. Ed Io c’ero. Io, il Padre e lo  Spirito, Noi che siamo in Cielo e in Terra e in ogni luogo, e che avevamo il nostro Tabernacolo nel cuore di Maria », dice dolcemente Gesù.

«Che cosa! Che cosa!… Ma dopo che Tu hai parlato di morte… E ogni gioia è finita… Ma perché proprio a noi tre tutto questo? Non era bene darla a tutti questa visione della tua gloria? ».
«Appunto perché tramortite udendo parlare di morte, e morte per supplizio, del Figlio dell’uomo, l’Uomo-Dio vi ha voluto fortificare per quell’ora e per sempre con la precognizione di ciò che Io sarò dopo la Morte.

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Ricordatevi tutto questo, per dirlo a suo tempo… Avete capito? ».

«Oh! si, Signore. Non è possibile dimenticare. E sarebbe inutile raccontare. Ci direbbero “ebbri” ».
Tornano ad andare verso la valle. Ma, giunti ad un punto, Gesù piega per un viottolo ripido in direzione di Endor, ossia dal lato opposto di quello nel quale ha lasciato i discepoli.
«Non li troveremo », dice Giacomo. «Il sole inizia la discesa. Si staranno radunando in tua attesa nel luogo dove li lasciasti ».
«Vieni e non crearti stolti pensieri ».

Infatti, come la boscaglia si apre in una prateria che scende mollemente a toccare la via maestra, vedono tutta la massa dei discepoli, accresciuta da viandanti curiosi, da scribi venuti da non so dove, agitarsi alla base del monte.
«Ohimè! Scribi!… E disputano già! », dice Pietro accennandoli. E scende gli ultimi metri a malincuore.
Ma anche quelli giù in basso li hanno visti e se li accennano e poi si danno a correre verso Gesù, gridando:
«Come mai, Maestro, da questa parte? Stavamo per venire al posto detto. Ma ci hanno trattenuto in dispute gli scribi e in suppliche un padre affannato ».


«Di che disputavate fra voi? ».
«Per un indemoniato. Gli scribi ci hanno scherniti perché non abbiamo potuto liberarlo. Ci si è meso Giuda di Keriot da capo, di puntiglio. Ma fu inutile. Allora abbiamo detto: “Mettetevici voi”. Hanno risposto: “Non siamo esorcisti”. Per caso sono passati alcuni venienti da Caslot-Tabor, fra i quali erano due esorcisti. Ma anche loro niente. Ecco il padre che viene a pregarti. Ascoltalo ».
Un uomo, infatti, viene avanti supplichevole e si inginocchia davanti a Gesù rimasto sul prato in pendenza, di modo che è più alto della via di almeno tre metri e ben visibile a tutti, perciò.

« Maestro », gli dice l’uomo, «io venivo a Cafarnao con il figlio mio per cercare Te. Te lo portavo, l’infelice figlio mio, perché tu lo liberassi, Tu che cacci i demoni e guarisci ogni malattia. Egli è preso spesso da uno spirito muto. Quando lo prende, egli non può più che fare gridi rochi, come una bestia che si strozza. Lo spirito lo butta a terra ed egli la si rotola digrignando i denti, spumando come un cavallo che morda il morso, e si ferisce o rischia di morire affogato o bruciato, oppure sfracellato, perché lo spirito più di una volta lo ha buttato nell’acqua, nel fuoco, o giù dalle scale. I tuoi discepoli ci si sono provati, ma non hanno potuto. Oh! Signore buono! Pietà di me e del mio fanciullo ».

Gesù fiammeggia di potenza mentre grida: «O generazione perversa, o turba satanica, legione ribelle, popolo dell’inferno incredulo e crudele, fino a quando dovrò stare a contatto con te? Fino a quando ti dovrò sopportare? ». È imponente, tanto che si fa un silenzio assoluto e cessano i sogghigni degli scribi.

Gesù dice al padre: «Alzati e portami qui tuo figlio ».
L’uomo va e torna con altri uomini, al centro dei quali è un ragazzo sui dodici-quattordici anni. Un bel fanciullo, ma dallo sguardo un poco ebete, come fosse sbalordito. Sulla fronte rosseggia una lunga ferita e più sotto biancheggia una cicatrice antica. Non appena vede Gesù che lo fissa coi suoi occhi magnetici, ha un grido roco e un contorcimento convulsivo di tutto il corpo, mentre cade a terra spumando e rotando gli occhi, di modo che appare solo il bulbo bianco, mentre si rotola per terra nella caratteristica convulsione epilettica.

Gesù viene avanti qualche passo per giungergli vicino e dice: «Da quando gli avviene ciò? Parla forte, che tutti sentano ».
E l’uomo, urlando, mentre il cerchio della folla si stringe e gli scribi si mettono più in alto di Gesù per dominare la scena, dice: «Fin da bambino. Te l’ho detto: spesso cade nel fuoco, nell’acqua o giù dalle scale e dagli alberi, perché lo spirito lo assale all’improvviso e lo scaraventa così per finirlo. È tutto pieno di
cicatrici e di bruciature. Molto è se non è rimasto accecato dalle fiamme del focolare. Nessun medico, nessun esorcista, neppure i tuoi discepoli lo hanno potuto guarire. Ma Tu, se, come credo fermamente, puoi qualche cosa, abbi pietà di noi e soccorrici ».
«Se puoi credere così, tutto mi è possibile, perché tutto è concesso a chi crede ».
«Oh! Signore, se io credo! Ma se ancora non credo a sufficienza, aumenta Tu la mia fede, perché sia completa e ottenga il miracolo », dice l’uomo piangendo, inginocchiato presso il figlio più che mai in convulsione.

Gesù si raddrizza, si tira in dietro due passi e, mentre la folla più che mai stringe il suo cerchio, grida forte:
«Spirito maledetto, che fai sordo e muto il fanciullo e lo tormenti, Io te lo comando: esci da lui e non entrarvi mai più! ».
Il fanciullo, pur stando coricato al suolo, fa dei balzi paurosi, puntando testa e piedi ad arco, e ha gridi disumani; poi, dopo un ultimo balzo, nel quale si rivolta bocconi battendo la fronte e la bocca su un masso emergente dall’erba, che si fa rossa di sangue, resta immoto.
« È morto! », gridano in molti. «Povero fanciullo! », «Povero padre! », compiangono i migliori. E gli scribi, ghignando: «Ti ha servito bene il Nazareno! », oppure: « Maestro, come è? Questa volta belzebù ti ha fatto fare brutta figura… », e ridono velenosamente.
Gesù non risponde a nessuno. Neppure al padre, che ha rivoltato il figlio e gli asciuga il sangue della fronte e delle labbra ferite, gemendo, invocando Gesù. Ma si china, il Maestro, e prende per mano il fanciullo. E questo apre gli occhi con un sospirone, come si destasse da un sonno, si siede e sorride. Gesù lo attira a Sé, lo fa alzare in piedi e lo consegna al padre, mentre la folla grida di entusiasmo e gli scribi fuggono, inseguiti dalle beffe della folla…
«E ora andiamo », dice Gesù ai suoi discepoli. E, congedata la folla, gira il fianco del monte portandosi sulla via fatta al mattino.

Dice Gesù:
«E ora qui P.M. può mettere il commento alla visione del 5 agosto 1944 (quaderno A930) cominciando dalle parole: 
“Non ti eleggo soltanto a conoscere le tristezze del tuo Maestro e i suoi dolori. Chi sa stare meco nel dolore deve avere parte meco nella gloria”. E tu riposa, fedele, piccolo Giovanni, ché il tuo riposo è ben meritato. La mia pace sia gioia in te ».

Dice Gesù:

«Ti ho preparata a meditare la mia Gloria. Domani la chiesa la celebra. Ma Io voglio che il mio piccolo Giovanni la veda nella sua verità per comprenderla meglio. Non ti eleggo soltanto a conoscere le tristezze del tuo Maestro e i suoi dolori. Chi sa stare meco nel dolore deve avere parte meco nella gioia.
Voglio che tu, davanti al tuo Gesù che ti si mostra, abbia gli stessi sentimenti di umiltà e pentimento dei miei apostoli.
Mai superbia. Saresti punita perdendomi.
Continuo ricordo di Chi sono Io e di chi sei tu.
Continuo pensiero alle tue manchevolezze e alla mia perfezione per avere un cuore lavato dalla contrizione.
Ma insieme anche tanta fiducia in Me.

Io ho detto: “Non temete. Alzatevi. Andiamo. Andiamo fra gli uomini perché sono venuto per stare con essi. Siate santi, forti e fedeli per ricordo di quest’ora”. Lo dico anche a te e a tutti i miei prediletti fra gli uomini, a quelli che mi hanno in maniera speciale.
Non temete di Me. Mi mostro per elevarvi, non per incenerirvi.
Alzatevi: la gioia del dono vi dia vigoria e non vi ottunda nel sopore del quietismo, credendovi già salvi perché vi ho mostrato il Cielo.

Andiamo insieme fra gli uomini. Vi ho inviati a sovrumane opere con sovrumane visioni e lezioni perché possiate essermi di maggiore aiuto. Vi associo alla mia opera. Ma Io non ho conosciuto e non conosco riposo. Perché il male non riposa mai e il bene deve essere sempre attivo per annullare il più che si può l’opera del nemico. Riposeremo quando il Tempo sarà compiuto. Ora occorre andare instancabilmente, operare continuamente, consumarsi indefessamente per la messe di Dio. Il mio contatto continuo vi
santifichi, la mia lezione continua vi fortifichi, il mio amore di predilezione vi faccia fedeli contro ogni insidia.
Non siate come gli antichi rabbini che insegnavano la rivelazione e poi non le credevano al punto da non riconoscere il segno dei tempi e i messi di Dio. Riconoscete i precursori del Cristo nel suo secondo avventopoiché le forze dell’anticristo sono in marcia e, facendo eccezione alla misura che mi sono imposta, perché conosco che bevete a certe verità non per spirito soprannaturale ma per sete di curiosità umana, vi dico in verità che quello che molti crederanno vittoria sull’anticristo, la pace ormai prossima, non sarà che sosta per dare tempo al nemico del Cristo di ritemprarsi, medicarsi le ferite, riunire il suo esercito per una più crudele lotta.

Riconoscete, voi che siete le “voci” di questo nostro Gesù, del Re dei re, del Fedele e Verace che giudica e combatte con giustizia e sarà il Vincitore della bestia e dei suoi servi e profeti, riconoscete il vostro Bene e seguitelo sempre. Nessun bugiardo aspetto vi seduca e nessuna persecuzione vi atterri. La vostra “voce” dica le mie parole. La vostra vita sia per quest’opera. E se avrete sorte, sulla Terra, comune al Cristo, al suo precursore e ad Elia, sorte cruenta o sorte tormentata da sevizie morali, sorridete alla vostra sorte futura e sicura che avrete comune con Cristo, con il suo Precursore, col suo Profeta.
Pari nel lavoro, nel dolore e nella gloria. Qui Io Maestro ed Esempio. Io Premio e Re. Avermi sarà la vostra beatitudine. Sarà dimenticare il dolore. Sarà quanto ogni rivelazione è ancora insufficiente a farvi capire, perché troppo superiore è la gioia della vita futura alla possibilità di immaginare della creatura ancora unita alla carne ».






350. Lezione ai discepoli sul potere di vincere i demoni. Mt 17, 18-20; Mc 9, 27-28

Sono ora nella casa di Nazaret, nuovamente. Anzi, per essere più precisi, sono sparsi sul balzo degli ulivi in
attesa di separarsi per il riposo. E hanno acceso un piccolo falò per rischiarare la notte, perché è già sera e la
luna si alza tardi. Ma la sera è tiepida « fin troppo », sentenziano i pescatori prevedendo prossime pioggie, ed
è bello stare lì, tutti uniti, le donne nell’orto fiorito intorno a Maria, gli uomini quassù; e sullo scrimolo del
balzo, di modo da essere ugualmente di questi e di quelle, Gesù, che risponde a questo o a quello, mentre le
discepole ascoltano attente. Deve essere stato raccontato del lunatico guarito ai piedi del monte e ancora ne
durano i commenti.

«Ci sei voluto proprio Tu! », esclama il cugino Simone.
«Oh! ma neppure vedendo che anche i loro esorcisti non potevano nulla, pure confessando di avere usato le
formule più forti, li ha persuasi quei gheppi! », dice crollando il capo il traghettatore Salomon.
«E neppure dicendo agli scribi le loro conclusioni, li persuaderanno ».
«Già! Mi pareva che parlassero bene, non è vero? », domanda uno che non conosco.
«Molto bene. Hanno escluso ogni sortilegio demoniaco nel potere di Gesù, dicendo che essi si sono sentiti
invasi da pace profonda quando il Maestro fece il miracolo, mentre, dicevano, quando esce, da uno, potere
malvagio essi lo sentono come una sofferenza », risponde Erma.
«Però, eh? Che spirito forte! Non se ne voleva andare! Ma come mai, poi, non lo teneva sempre? Era uno
spirito scacciato, sperduto, oppure è tanto santo il fanciullo che di suo lo cacciava? », chiede un altro
discepolo del quale non so il nome.

Gesù risponde di spontanea volontà: «Ho più volte spiegato che ogni malattia, essendo un tormento e un
disordine, può celare satana, e satana può celarsi in una malattia, usarla, crearla per tormentare e fare
bestemmiare Dio. (Spiegato, per esempio al Vol 2 Cap 122) Il fanciullo era un malato, non un posseduto.
Un’anima pura. Per questo tanto con gioia l’ho liberata dall’astutissimo demonio, che voleva dominarla tanto
da renderla impura ».
«E perché, allora, se era una semplice malattia, noi non ci siamo riusciti? », chiede Giuda di Keriot.
«Già! Gli esorcisti si capisce che non potessero nulla se non era un indemoniato! Ma noi… », osserva Tommaso.

E Giuda di Keriot, al quale non va giù lo scacco di aver provato molte volte sul fanciullo, ottenendo soltanto
di farlo cadere in smanie se non in convulsioni, dice: «Ma noi, anzi, sembrava gli si facesse peggio. Ti ricordi, Filippo? Tu che mi aiutavi hai sentito e visto i lazzi che egli mi faceva. Mi ha persino detto: “Và via! Fra me e te il più demonio sei tu”. Il che ha fatto ridere alle mie spalle gli scribi ».

«E te ne sei dispiaciuto? », chiede Gesù come con non curanza.
«Certo! Non è bello essere beffati. E non è utile quando si è tuoi apostoli. Ci si perde di autorità ». 
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mercoledì 5 agosto 2015

IL CUORE DEL VANGELO


...b. Beatitudini. (inizio) 

Con le b., Gesù è sceso al centro di questa nostra umanità per dare un senso a tutto ciò che tormenta l'uomo e lo riempie di paura. Perché le sue parole non fossero vane, egli stesso ha assunto la condizione di povertà, fame, dolore, persecuzione: è l'itinerario di abbassamento e di totale " svuotamento " descritto da Paolo (cf Fil 2,4ss.). 

Le b. poste all'inizio del discorso inaugurale di Gesù offrono, secondo Mt 5,3-12, il programma della felicità cristiana. Nella recensione di Luca esse sono abbinate a delle constatazioni di sventura, esaltando in tal modo il valore superiore di certe condizioni di vita (cf Lc 6,20-26). 
Le otto (o nove) b. di Matteo sono una catechesi di vita nuova nello Spirito, che egli descriverà nei capitoli 5-7 (Discorso della Montagna): una pagina che evidenzia sia gli atteggiamenti sia le disposizioni interiori richieste dal Vangelo del regno. 
Luca, invece, riporta solo quattro b. nel suo " discorso della pianura " (6,20-47) annunciando la felicità a coloro che vivono in particolari situazioni dolorose. Gesù è venuto da parte di Dio a pronunciare un solenne sì alle promesse dell'AT. 
Le b. sono un sì detto da Dio in Gesù, il quale si presenta come colui che porta a compimento l'aspirazione alla felicità: il regno dei cieli è presente in lui. Più ancora, Gesù ha voluto incarnare le b. vivendole perfettamente, mostrandosi " mite ed umile di cuore " (Mt 11,29). 

Con Gesù i beati di questo mondo non sono più i ricchi, i pasciuti, gli adulati, ma coloro che hanno fame e che piangono, i poveri e i perseguitati. Questo rovesciamento dei valori era possibile ad opera di colui che è ogni valore. Le b. vogliono essere il ritratto dell'uomo progettuale, verso cui dobbiamo tendere, che non è ancora realizzato, ma che noi speriamo di poter attuare in pienezza; sono la carta d'identità del cittadino del regno di Dio, così come lo sogna Cristo e come vuole che noi lo incarniamo, perché il regno di Dio è già in mezzo a noi!


Lo spirito delle b. è sintetizzato in una frase che Matteo colloca alla fine del discorso della montagna: " Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste " (Mt 5,48). La perfezione è qualcosa che non possediamo, è una meta a cui arrivare, un monte da salire, ma nello stesso tempo è qualcosa di dinamico, che si va facendo. Questo il nucleo portante delle b. Esse sono lo specchio di un atteggiamento evangelico radicale, non la descrizione di un comportamento di alcune ore o di alcuni momenti; sono l'appello alla struttura di fondo che deve per sempre permanere e tutto abbracciare. 
Con le b. e tutto il Discorso della Montagna, Gesù ci invita all'" amore totale ", ci richiama allo " spirito ", cioè alla radice dell'essere; esse sono l'eco della legge dell'amore al fratello e al nemico in quanto fratello in Cristo. 
Dando " carne " alle b., la vita cristiana diviene slancio evangelico inedito, misteriosa corrente di radicalità profetica in continuo dialogo con il mutare dei tempi e l'emergere di nuove sfide. La vita cristiana deve reinventare la contestazione evangelica e vivere con fedeltà dinamica e creativa la fede, deve saper raccontare la fedeltà e le meraviglie del Dio-con-noi, sapendo " mostrare Dio " e " dire la fede " in termini innovativi e significativi, facendosi carico di una nuova cultura della speranza. 

Le b. sono la trasparenza di Dio nella vita del mistico che si manifesta in segni immediatamente percepibili come maturità umana, solidarietà fattiva, compassione e tenerezza, fraternità e pace, fede che sa rischiare. Il mistico, che vive in pienezza le singole b., manifesta la felicità possibile già qui ed ora posseduta da chi ormai vive nel cuore di Dio e l'impegno costruttivo a favore di un'umanità nuova.

III. Lo spirito delle b. 

a. Felicità dei poveri di spirito. Nel testo greco di Mt 5,3 viene usato il termine ptochos: mendicante, misero, incapace di provvedere alle proprie necessità per indicare colui che attende dagli altri i mezzi di sussistenza e manca del necessario. In ebraico abbiamo due termini quasi simili: 'anî e 'anaw
Il primo indica colui che cede, si piega, l'uomo che si abbassa, si curva, si sottomette: è l'oppresso. 
Il secondo, quasi sempre usato al plurale, indica persone discrete, umili, sottomesse, miti, la cui umile sottomissione si trasforma spontaneamente in atteggiamento di fiduciosa adesione a Dio. Per l'ebraico dunque il " povero " è l'uomo senza difesa. 

La prima b. rimanda all'oracolo di Is 61,1-3, ripreso anche da Luca nel discorso inaugurale di Gesù alla sinagoga di Nazaret e offerto quale risposta ai discepoli del Battista: " ...Ai poveri è predicata la buona novella " (Mt 11,5). Con l'avvento definitivo del regno di Dio i poveri godranno veramente e pienamente degli effetti della sollecitudine di Dio, che colmerà di beni gli affamati e rimanderà i ricchi a mani vuote (cf Lc 1,52-53). 
Ecco perché l'annuncio dell'imminenza del regno di Dio non può che riempire di gioia i poveri: Dio stesso sta per prendersi cura di loro, facendone l'oggetto della sua regale sollecitudine. Colui che ha uno spirito da poveri [ossia: il vero povero di spirito] vive la sua totale adesione a Cristo con uno stile di vita umile: " Se uno vuole essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti " (Mc 9,35). Avere uno spirito da poveri, essere un povero di spirito significa avere il coraggio di piegarsi con umiltà nel servizio, sull'esempio di Cristo che non è venuto per essere servito, ma per servire e che " da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché diventaste ricchi per mezzo della sua povertà " (2 Cor 8,9). Significa, altresì, diventare sacramento della sollecitudine di Dio, segno eloquente di speranza verso tutti coloro che vivono nell'oppressione e nell'ignoranza della Verità

b. Felicità degli afflitti. Secondo il testo di Is 61,1-3 l'inviato del Signore viene anche per " fasciare le piaghe dei cuori spezzati... per consolare tutti gli afflitti, per allietare gli afflitti di Sion... ". Gesù proclama beati oi penthountes: quelli che si affliggono. Panthein, infatti, significa " affliggersi-addolorarsi ". Questo verbo, molte volte, è connesso con klaiein (piangere) perché l'afflizione interna spesso si mostra esternamente nelle lacrime. In Lc 6,21 si legge: " Beati voi che ora piangete, perché riderete " e in Lc 6,25: " Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete ".
Nell'AT, l'afflizione è causata dalla partecipazione alle disgrazie altrui (cf Gn 23,2; 50,3). Nel Sal 35,13ss. si descrive la solidarietà con la malattia altrui, solidarietà espressa con il dolore paragonato al lutto che si porta per la morte della propria madre: l'esperienza dell'impotenza umana di fronte alla necessità e il desiderio di aiutare il prossimo sofferente conducono alla preghiera, alla richiesta dell'aiuto di Dio, richiesta che viene intensificata con la penitenza e il digiuno. Nell'elenco delle opere di misericordia in Sir 7,31-36 troviamo anche la partecipazione al dolore altrui: " Non evitare coloro che piangono e con gli afflitti mostrati afflitto " (cf Rm 12,15). 
Anche il peccato altrui è causa di afflizione (cf Esd 10,6; Ne 9,1). Ebbene, coloro che sanno affliggersi partecipando al dolore altrui saranno consolati da Dio, Padre di ogni consolazione. S. Paolo usa frequentemente il verbo " consolare ". Il testo più esplicito è 2 Cor 1,1-7: " Dio... Padre di ogni consolazione, il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio... ". Il verbo si trova venti volte in Isaia (40-66) e quasi sempre riferito a JHWH. 
Dio è il vero consolatore; questo è il suo nome: " Io, Io sono il tuo consolatore " (Is 51,12-13); " Come una madre consola un figlio... " (Is 66,13): in Dio potenza e tenerezza " materna " sono un tutt'uno. Il cristiano fa esperienza della consolazione divina ed è chiamato ad essere portatore di speranza e di consolazione; pur facendosi carico delle situazioni di afflizioni, non si lascia abbattere da esse, ma le trasforma con la tenerezza protesa verso il prossimo. La sua felicità sta nel partecipare al dolore altrui, nel vivere in intima comunione con gli uomini suoi contemporanei, non ignaro del carico di sofferenze che questo comporta. Dio lo chiama alla solidarietà con l'umanità peccatrice, ammalata, sofferente, facendosi portavoce della gioiosa consolazione divina. Sperimentando nel quotidiano la consolazione di Dio deve a sua volta farsi consolazione.

c. Felicità dei miti. Nel Sal 37,1-11 i miti sono confrontati con le azioni e il successo dei malvagi contro i quali sarebbero portati a reagire negativamente. Essi però devono evitare quattro cose: non adirarsi, non invidiare, desistere dall'ira, deporre lo sdegno. Con otto imperativi i miti sono chiamati a porre la loro speranza nel Signore: confidare, fare il bene, abitare la terra, cercare la gioia nel Signore, manifestare al Signore la propria via, confidare in lui, stare in silenzio davanti al Signore, sperare in lui! Ne segue che solo una forte e globale direzione verso Dio rende possibile la mitezza. L'uomo che non si pone in direzione di Dio, da solo, di fronte ai malfattori e alle ingiustizie, non riesce ad evitare l'ira e l'invidia. Il mite sa dominare le emozioni negative, come l'ira, e ne evita le manifestazioni che, in realtà, provocano altrettante opposte reazioni e creano divisioni. Anche la correzione fraterna richiede mitezza (cf 1 Cor 4,21; 2 Cor 10,1; Gal 6,1; 1 Tm 2,25). 
Il mite, consapevole della propria debolezza, non si sente e non si presenta come migliore e superiore rispetto agli altri e corregge colui che ha mancato da pari a pari, da fratello a fratello. Secondo Gc 1,19-21 la mitezza sembra essere la libertà da " ogni impurità ed ogni resto di malizia ", ovvero la libertà da ogni emozione e tendenza oscura e sbagliata che disturba l'ascolto della Parola di Dio. Secondo Matteo la mitezza è un tratto particolarmente caratteristico di Gesù e, infatti, nessun'altra sua qualità viene così rimarcata. Gesù non è un Maestro duro e presuntuoso, ma mite ed umile di cuore (cf Mt 11,29; 21,5). 
La mitezza di cui parla Mt 5,5 qualifica un atteggiamento e un comportamento molto importante per le relazioni con gli altri. Tale mitezza è caratterizzata dal dominio dei propri impulsi e delle proprie emozioni nonché dal pieno rispetto per la persona dell'altro; è un presupposto essenziale per un agire giusto e sapiente. Soltanto su questa base è possibile una conoscenza serena e indisturbata della volontà di Dio come anche un trattamento rispettoso e amorevole del prossimo. La mitezza comprende e determina le tre relazioni essenziali: con se stessi, con Dio, con il prossimo. E una disposizione interiore che non può essere realizzata solo con uno sforzo umano; richiede dunque una profonda relazione filiale con Dio.

d. Felicità dei giusti. Mt 5,6 dice che della giustizia bisogna avere fame-avere sete. Nel NT questi due verbi, quando sono collegati, esprimono un bisogno naturale ed un desiderio elementare che afferra e penetra la totalità dell'uomo. I due verbi, in senso metaforico, possono esprimere un forte desiderio di Dio e della sua Parola: " L'anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente... " (Sal 41,3); " O Dio, tu sei il mio Dio, all'aurora ti cerco, di te ha sete l'anima mia... " (Sal 62,2); " Ecco verranno giorni - dice il Signore - in cui manderò la fame nel paese, non fame di pane, nè sete di acqua, ma d'ascoltare la parola del Signore " (Am 8,11). Giustizia indica l'atteggiamento e l'agire secondo una norma retta e valida. Dio viene chiamato " giusto " specialmente in quanto, nella sua misericordia, è fedele alla sua volontà salvifica, adempie le sue promesse, realizza la salvezza degli uomini. 
L'uomo è " giusto " in quanto agisce secondo le norme stabilite dalla volontà di Dio. " Adempiere la giustizia " (cf Mt 3,15) significa agire perfettamente secondo la volontà di Dio. La b. di Mt 5,10, ripresa e applicata all'uditorio di Gesù in Mt 5,11, parla di " persecuzione " non solo " per causa della giustizia ", ma " per causa mia ": la " giustizia " e Gesù sono strettamente connessi. La superiorità della giustizia dei discepoli (cf Mt 5,20) consiste nel loro agire fedelmente non secondo le norme dei farisei, ma secondo quelle di Gesù; e questo è causa di persecuzione. 
Fare la giustizia - fare la volontà del Padre (cf Mt 7,21) - fare queste mie parole (cf Mt 7,24), nel Discorso della Montagna, designano la stessa realtà, cioè l'agire umano necessario per entrare nel regno dei cieli: " Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta " (Mt 6,33): si oppone alla cura ansiosa del cibo, della bevanda e del vestito. La preoccupazione necessaria ed essenziale è il Regno di Dio! Secondo il Sal 16,15 la giustizia è il presupposto della sazietà. A causa della giustizia, il salmista spera di poter vedere il volto di Dio, di essere saziato da questa contemplazione. Coloro che hanno fame e sete della giustizia possono rinunciare ad ogni affanno nella loro vita perché essa è garantita, in modo assoluto, da Dio (cf Gv 6,35; Ap 7,16-17). 
Amare Dio e giungere alla piena b. esige il fare la sua volontà e il coraggio di passare attraverso prove e tribolazioni per " causa di Gesù Cristo ". Ma Dio e la sua volontà coincidono, per cui camminare nella divina volontà è camminare in Dio.

e. Felicità dei misericordiosi. La Lettera agli Ebrei (2,17-18) presenta Gesù sommo sacerdote, misericordioso e degno di fede. La sua misericordia è radicata nella sua propria esperienza di sofferenza e di prova e si mostra nell'aiuto effettivo agli uomini che vengono provati (cf Eb 4,15-16). Nell'AT Dio stesso si presenta a Mosè come il " misericordioso e pietoso " (Es 34,6-7). I due termini sono sinonimi (cf Lc 6,36). Misericordia (in ebraico rahamîm da rehem, che significa " grembo materno ") è il legame di grazia, di tenerezza e di amore che c'è fra Dio e l'umanità sua creatura. La b. di Mt 5,7 dichiara felice colui che si fa sacramento della divina misericordia nei confronti del prossimo (cf Mt 9,13; 12,7; 23,23). Anzi, alla luce della parabola di Lc 10,30-37, il samaritano definito come " colui che ebbe misericordia " richiama il cristiano al dovere di " farsi prossimo " di chiunque è nel bisogno. Elementi essenziali della misericordia sono dunque la necessità del prossimo e del farsi prossimo, la compassione e l'aiuto efficace. 
Per Giacomo (3,17) la misericordia appare come elemento essenziale della vera sapienza e si mostra nelle opere buone. Matteo 18,33 è un prezioso commento alla quinta b., in quanto opera il collegamento fra la misericordia divina e la misericordia umana: la relazione con gli uomini determina la relazione con Dio. Misericordia indica il giusto comportamento dell'uomo nei confronti del suo prossimo che versa in una situazione di necessità e sofferenza e chiede un aiuto che si è in grado di offrire. La beatitudine di Mt 5,7, con cui inizia la seconda metà delle b. riprende e precisa il tema della prima b. La " povertà di spirito " significa il riconoscimento della propria totale dipendenza da Dio. A tale dipendenza appartiene il fatto che noi peccatori, per la nostra salvezza e vita, dipendiamo dalla misericordia di Dio. A questa si aggiunge la dipendenza del prossimo da noi. Se l'aiuto decisivo di Dio verso di noi, che siamo deboli e poveri, ci raggiunge, esso diviene definitivamente efficace solo quando ci siamo sforzati di aiutare i nostri fratelli in necessità. Questa b. pone in risalto gli aspetti positivi della fisionomia del discepolo, cioè come egli deve agire. La misericordia è la passione di Dio per l'uomo, e la stessa passione nel dono dell'amore viene richiesta da Dio all'uomo nei confronti del prossimo.

f. Felicità dei puri di cuore. Per la Bibbia il termine cuore indica la sede dei pensieri (cf Mt 9,4; 24,28), della comprensione (cf Mt 13,15), del riconoscimento dei valori (cf Mt 6,21), delle aspirazioni e delle attività (cf Mt 15,19), degli atteggiamenti verso gli altri (cf Mt 11,29; 18,35) e del rapporto con Dio (cf Mt 15,8; 22,37). E il centro della vita intellettiva, volitiva ed emozionale dell'uomo, il luogo di origine, di riferimento e di unità di tutti i suoi rapporti con Dio e con gli altri. E felice, secondo Mt 5,8, colui che mantiene il cuore - così inteso - puro. Puro è ciò che è conforme a Dio, che appartiene alla sfera di Dio. Il cuore è decisivo per la purezza dell'uomo; dal cuore dipende se l'uomo appartiene alla sfera di Dio e piace a Dio. Il cuore puro è quello conforme alla parola di Dio, libero da tendenze ed impulsi che spingono ad azioni contrarie alla volontà di Dio (cf Es 20,13-16). I puri di cuore sono coloro che, proprio a partire da tale centro interno, sono conformi alla volontà di Dio. Secondo il Sal 24, si può avvicinare a Dio " chi ha mani innocenti e cuore puro ": le mani indicano l'agire esterno, il cuore i movimenti interni (pensieri, intenzioni, emozioni). All'innocenza delle mani e alla purezza del cuore è collegato il desiderio della presenza di Dio, desiderio saziato con la visione escatologica (cf Mt 5,8). Anche l'orante del Sal 51, dopo il riconoscimento della misericordia divina e del proprio peccato, chiede un cuore puro perchè non sia respinto dalla presenza di Dio; anche in Is 6,5-6 la purezza appare come la condizione per " vedere " Dio. Chi ha un " cuore puro " è anche capace di amore fraterno (cf 1 Tm 1,5). Il cuore puro, infatti, è la fonte da cui proviene la carità (cf 1 Pt 1,22).

g. Felicità degli operatori di pace. La b. di Mt 5,9 pone nuovamente, come le prime tre, l'attenzione sull'agire esterno. Secondo il testo di Mt 10,12ss., essere " operatori di pace " significa mettere sempre Gesù al primo posto, anche a costo di " perdere la pace " con le persone più care. La pace ama la franchezza e la schiettezza, la mormorazione invece distrugge la pace e causa dolore. Per s. Paolo, Gesù Figlio del Padre è l'operatore di pace per eccellenza, avendoci liberati dal peccato e ristabilito la pace con Dio (cf Col 1,20). Cristo è talmente operatore di pace da venire chiamato in Ef 2,14-17 " nostra pace ". Lo spirito di servizio (cf Mc 9,35) deve dare sostanza e sostenere nei discepoli sia il loro comportamento che i loro rapporti i quali devono avere, come misura e punto di orientamento, la pace. La pace fra i membri della comunità designa lo stato perfetto delle loro mutue relazioni (cf 2 Cor 13,11). La pace è frutto dell'amore di Dio e presuppone l'amore (cf Gal 5,22). Gli operatori di pace sono coloro che fanno la pace e, per essa, s'impegnano. L'impegno per la pace racchiude in sé tutti gli atteggiamenti delle b. precedenti e si esprime anche con un atteggiamento " sereno ". A questo punto, pace assume anche il significato di riappacificazione con il creato, con se stesso e con Dio, pacificazione interiore interrotta dal peccato, ma ora recuperata da e in Gesù Cristo (cf Ef 2,14ss.).

IV. Conclusione. 

Le b. esprimono la promessa di un futuro che manifesta l'avvenuto regno di Dio in ogni uomo che vive il Vangelo di Gesù Cristo come lui, unito indissolubilmente alla volontà del Padre. Tale testimonianza è tipica del mistico che esprime in sé il cammino della storia nel segno di una positività verso la realtà ultima, ove ogni uomo di buona volontà raggiungerà la sua pienezza in Dio.

Bibl. Aa.Vv., Alle fonti della spiritualità cristiana. Le otto Beatitudini, Assisi (PG) 1981; Aa.Vv., Il mondo dell'uomo nascosto. Le Beatitudini, Roma 1991; D. Buzy, s.v., in DSAM I, 1298-1310; J. Castellano, Beatitudine, in DES I, 292-294; G. Ciravegna, Le Beatitudini del Vangelo, Milano 1992; G. Colzani, Beatitudine, in DTI I, 491-503; J. Dupont, Beatitudine-Beatitudini, in NDTB, 155-161; Id., Le Beatitudini, Roma 1979; G. Helewa, Beatitudini evangeliche, in DES I, 294-333; M.J. Le Guillou, Quale felicità? Riflessioni sulle Beatitudini, Padova 1992; G. Lohfink, Per chi vale il Discorso della Montagna?, Brescia 1990; C.M. Martini, Le Beatitudini, Milano 1990; S.A. Panimolle, Il Discorso della Montagna, Milano 1986; M. Russotto, Le Beatitudini evangeliche, Città del Vaticano 1991; L. Serenthà, Il regno di Dio è qui. Il Discorso della Montagna, Milano 1988; C. Stock, Gesù annuncia la beatitudine, Roma 1989.


M. Russotto

IL BACIO


BACIO. (inizio)


I. La nozione. La letteratura mistica, ispirandosi al Cantico dei Cantici interpretato religiosamente, ha attribuito al b. una valenza soprannaturale massima.

S. Giovanni della Croce scrive: " Mi baci con il b. della sua bocca... affinché con la bocca della mia anima ti baci... Questo avviene quando l'anima gode di quei beni divini (le verità divine) con gustosa e intima pace e con grande libertà di spirito, senza che la parte sensitiva o il demonio, per mezzo di questa, valgano ad impedirlo ".1

Il b. tra l'anima e Dio, " sola a solo ", ha luogo di solito nel matrimonio spirituale. Allora viene sperimentata la fruizione della sapienza e scienza dell'amore teandrico. Anche Teresa d'Avila chiede: " Signor mio, l'unica cosa che chiedo in questa vita è che tu mi baci con il b. della tua bocca, poiché - ella spiega - il b. è segno di pace e di amicizia ".2

II. Nella terminologia mistica c'è un duplice significato. Può essere un tocco sostanziale di Dio all'anima che le fa sperimentare il più alto grado di orazione contemplativa; però è una grazia attuale di tempo limitato e che si esaurisce, lasciando la persona nel desiderio di risperimentarlo. 

Quando il b. invece designa uno stato di intimità vitale tra l'anima e Cristo, tra l'anima e Dio, allora può essere descritto come una condizione stabile di pace e di rapporto amoroso che rende la persona estranea alle turbolenze del mondo, tranquilla nell'area della propria sensualità, felice in Dio. S. Giovanni della Croce 3 lo riconosce come l'elemento più significativo del matrimonio spirituale, la cui essenziale componente è l'unione tra lo Sposo (Cristo, Dio) e la sposa (la persona in grazia contemplativa). 

Nel b. lo Sposo comunica direttamente alla sposa l'effluvio silenzioso dell'amore divinizzante, persuadendola che tutto le è stato perdonato, che è fatta oggetto di predilezione ed è elevata ad efficace strumento di salvezza dei fratelli; le fa gustare la bellezza delle verità che si riferiscono alla vita di Cristo e della Chiesa.

Note: 1 Notte oscura II, 2.8.12; 2 Pensieri dell'amor di Dio, 3,15; 3 Cantico spirituale 22,7.

Bibl. 
S. Bernardo, Sermone III: Del bacio del piede, della mano e della bocca del Signore, in Id., Sermoni sul Cantico dei Cantici, Torino 1947, 85-89; R. Giachetti, Il bacio, Milano 1984; A. Solignac, Osculum, in DSAM XI, 1012-1026.

G.G. Pesenti