"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
mercoledì 17 settembre 2014
LE SACRE STIMMATE
LE SACRE STIMMATE
LEZIONE I
Il servitore e ministro veramente fedele di Cristo, Francesco, due anni prima di rendere lo spirito al cielo, incominciò un digiuno di quaranta giorni ad onore dell'arcangelo Michele, nel segreto di un luogo eccelso.
Inondato dall'alto dalla dolcezza celeste della contemplazione con maggior abbondanza del solito e acceso da una più ardente fiamma di celesti desideri, incominciò a sentire con maggior profusione i doni delle divine elargizioni.
L'ardore serafico del desiderio, dunque, lo sopraelevava in Dio e un tenero sentimento di compassione lo trasformava in colui, al quale piacque, per eccesso di carità, di essere crocifisso. Un mattino, all'appressarsi della festa dell'Esaltazione della santa Croce, mentre pregava sul fianco del monte, vide come la figura di un serafino, con sei ali tanto luminose quanto infocate, discendere dalle sublimità dei cieli: esso, con rapidissimo volo, giunse, tenendosi librato nella aria, vicino all'uomo di Dio, e allora apparve non soltanto alato, ma anche crocifisso. Aveva le mani e i piedi stesi e confitti sulla croce e le ali disposte, da una parte e dall'altra, in così meravigliosa maniera, che due ne drizzava sopra il capo, due le stendeva per volare e con le due rimanenti avvolgeva e velava tutto il corpo.
LEZIONE II
Ciò vedendo, stupì fortemente e sentì riversarsi nella anima gaudio e dolore: provava in sé un eccesso di letizia all'aspetto cortese di Cristo che gli si mostrava in forma così meravigliosa e pur così familiare, ma la cruda visione dell'affissione alla croce trapassava la sua anima con la spada dolorosa della compassione.
Ammaestrato interiormente da colui che gli si mostrava anche esteriormente, comprese che, certo, l'infermità della passione non si addice in alcuna maniera alla natura immortale e spirituale del serafino; ma che, tuttavia, tale visione era stata offerta ai suoi sguardi per questo scopo: fargli conoscere anticipatamente che lui, l'amico di Cristo, stava per essere trasformato tutto nel ritratto visibile di Cristo Gesù crocifisso, non mediante il martirio della carne, ma mediante l'incendio dello spirito.
La visione, che scomparve dopo un colloquio arcano e familiare, lo infiammò di ardore serafico nell'interno dell'anima e impresse, all'esterno, come un sigillo, sulla sua carne l'immagine perfettamente somigliante del Crocifisso: come se la potenza divina prima l'avesse fatto liquefare e poi vi avesse stampato il suo sigillo.
LEZIONE III
Subito, nelle sue mani e nei piedi incominciarono ad apparire i segni dei chiodi: le loro capocchie si vedevano nella parte interna delle mani e nella parte superiore dei piedi e le punte emergevano dalla parte opposta.
E le capocchie dei chiodi, nelle mani e nei piedi, erano rotonde e nere, mentre le punte erano allungate, piegate all'indietro e ribattute, ed uscivano dalla carne stessa, sporgendo sopra il resto della carne.
La ribattitura dei chiodi, sotto i piedi, era così prominente e sporgeva tanto all'infuori, che non permetteva di appoggiare liberamente la pianta del piede al suolo.
Inoltre si poteva facilmente far passare un dito dentro l'incurvatura arcuata delle punte stesse, come ho sentito dire io stesso da coloro che avevano osservato con i propri occhi.
Il fianco destro, poi, era come trafitto da una lancia ed era ricoperto da una cicatrice rossa, che spesso emetteva sacro sangue e cospargeva abbondantemente la tonaca e le mutande. Tanto che quando poi i suoi compagni, a tempo opportuno, le lavavano, potevano costatate senza alcun dubbio che il servitore di Cristo portava impressa visibilmente l'immagine rassomigliante del Crocifisso anche nel costato, così come nelle mani e nei piedi.
LEZIONE IV
Vedeva, l'uomo pieno di Dio, che le stimmate impresse così palesemente nella carne non potevano restare nascoste ai compagni più intimi; temeva, non di meno, di mettere in pubblico il sacramento del Signore ed era combattuto da un grande dubbio: se dire quanto aveva visto oppure tacere. Spinto, finalmente, dallo stimolo della coscienza, riferì ad alcuni tra i frati a lui più familiari, con molto timore, lo svolgimento della visione che abbiamo raccontato. Colui che gli era apparso--aggiunse--gli aveva detto alcune cose che egli non avrebbe mai svelato a nessuno, finché era in vita.
Dopo che il verace amore di Cristo ebbe trasformato l'Amante nell''' immagine perfetta dell'Amato, si compì il numero dei quaranta giorni, che egli aveva stabilito di trascorrere su quel monte di solitudine e sopravvenne anche la solennità dell'arcangelo Michele. L'uomo angelico, Francesco, scese dal monte: e portava con sé l'effigie del Crocifisso, non raffigurata su tavole di pietra o di legno dalla mano di un artefice, ma scritta nelle membra della carne dal dito del Dio vivo.
LEZIONE V
L'uomo santo e umile si sforzava con ogni diligenza di nascondere quei sacri sigilli; piacque, tuttavia, al Signore, a propria gloria, di mostrare per mezzo di essi alcune evidenti meraviglie, affinché la potenza occulta di essi si rivelasse palesemente per chiari segni ed egli risplendesse come astro fulgentissimo fra le dense tenebre del secolo oscuro.
Per esempio, nel territorio intorno al predetto monte della Verna, prima che il Santo vi avesse soggiornato, di solito una violenta tempesta, provocata da una nube fosca che si alzava dalla montagna stessa, distruggeva i raccolti. Ma dopo quella beata apparizione, non senza ammirazione e gioia degli abitanti, la grandine consueta scomparve: anche l'aspetto stesso del cielo, divenuto sereno in maniera inusitata, dichiarava così l'eccellenza di quella visione celeste e la potenza delle stimmate, che proprio là erano state impresse .
Per esempio, nel territorio intorno al predetto monte della Verna, prima che il Santo vi avesse soggiornato, di solito una violenta tempesta, provocata da una nube fosca che si alzava dalla montagna stessa, distruggeva i raccolti. Ma dopo quella beata apparizione, non senza ammirazione e gioia degli abitanti, la grandine consueta scomparve: anche l'aspetto stesso del cielo, divenuto sereno in maniera inusitata, dichiarava così l'eccellenza di quella visione celeste e la potenza delle stimmate, che proprio là erano state impresse .
LEZlONE VI
Sempre in quel periodo, infierì nella provincia di Rieti una epidemia molto grave e incominciò a colpire con tale violenza ovini e bovini, che sembravano quasi tutti destinati a morte irrimediabilmente. Però un uomo timorato di Dio, una notte, si sentì esortare per mezzo di una visione a recarsi in fretta nel romitorio dei frati, dove allora il beato padre dimorava, e a chiedere ai frati suoi compagni l'acqua con la quale egli aveva lavato le mani e i piedi: doveva spruzzarla sugli animali colpiti--e così tutta quella epidemia sarebbe cessata .
Quell'uomo eseguì tutto questo con premura e Dio conferì all'acqua, che aveva toccato le sacre piaghe, tanta potenza, che, aspersa anche in piccola quantità sui greggi ammalati, debellava totalmente il contagio, e gli animali, ricuperato il vigore primitivo, correvano al pascolo, come se prima non avessero provato proprio nessun malanno.
Quell'uomo eseguì tutto questo con premura e Dio conferì all'acqua, che aveva toccato le sacre piaghe, tanta potenza, che, aspersa anche in piccola quantità sui greggi ammalati, debellava totalmente il contagio, e gli animali, ricuperato il vigore primitivo, correvano al pascolo, come se prima non avessero provato proprio nessun malanno.
LEZIONE VII
Insomma, da allora quelle mani acquistarono tale potenza che, con il loro contatto serafico, restituivano la salute agli infermi, sensibilità e vita alle membra ormai paralizzate e inaridite e, cosa maggiore di tutte, la vita e l'integrità agli uomini mortalmente feriti.
Ricordo due dei suoi molti prodigi, anticipando e insieme abbreviando alcune circostanze. Ad Ilerda, un uomo di nome Giovanni, devoto di san Francesco, una sera fu massacrato con ferite così orrende da far credere che a stento sarebbe sopravvissuto fino all'indomani. Ma gli apparve, in modo meraviglioso, il padre santissimo; toccò quelle ferite con le sacre mani e sull'istante lo rese perfettamente sano ed integro: tutta quella regione proclamò che l'ammirabile alfiere della Croce era degnissimo di ogni venerazione.
Chi, infatti, potrebbe, senza stupirsi, vedere una persona, che conosce bene, straziata da ferite crudelissime e, quasi nel medesimo istante, sana e salva? Chi ripensare a questo, senza elevare ringraziamenti? Chi, infine, potrebbe esaminare con spirito di fede un miracolo così pietoso, potente e luminoso, senza provare devozione?
Ricordo due dei suoi molti prodigi, anticipando e insieme abbreviando alcune circostanze. Ad Ilerda, un uomo di nome Giovanni, devoto di san Francesco, una sera fu massacrato con ferite così orrende da far credere che a stento sarebbe sopravvissuto fino all'indomani. Ma gli apparve, in modo meraviglioso, il padre santissimo; toccò quelle ferite con le sacre mani e sull'istante lo rese perfettamente sano ed integro: tutta quella regione proclamò che l'ammirabile alfiere della Croce era degnissimo di ogni venerazione.
Chi, infatti, potrebbe, senza stupirsi, vedere una persona, che conosce bene, straziata da ferite crudelissime e, quasi nel medesimo istante, sana e salva? Chi ripensare a questo, senza elevare ringraziamenti? Chi, infine, potrebbe esaminare con spirito di fede un miracolo così pietoso, potente e luminoso, senza provare devozione?
LEZIONE VIII
A Potenza, città della Puglia, un chierico di nome Ruggero, siccome nutriva «pensieri vani » a proposito delle sacre stimmate del beato padre, improvvisamente si sentì colpito nella mano sinistra, sotto il guanto: pareva un colpo di freccia scagliata da una balestra. Eppure il guanto era rimasto perfettamente intatto.
Per tre giorni fu tormentato dal dolore, forte e trafiggente.
Ormai pentito nel cuore, invocava il beato e scongiurava Francesco che lo soccorresse in nome di quelle stimmate gloriose: ottenne un risanamento così perfetto che ogni dolore scomparve e non rimase assolutamente segno alcuno del colpo subito.
Da questo appare luminosamente come quei sacri sigilli furono impressi dalla « potenza » e sono dotati della virtù di Colui che può procurare le piaghe, apprestare il rimedio, colpire gli ostinati e risanare i contriti di cuore.
Per tre giorni fu tormentato dal dolore, forte e trafiggente.
Ormai pentito nel cuore, invocava il beato e scongiurava Francesco che lo soccorresse in nome di quelle stimmate gloriose: ottenne un risanamento così perfetto che ogni dolore scomparve e non rimase assolutamente segno alcuno del colpo subito.
Da questo appare luminosamente come quei sacri sigilli furono impressi dalla « potenza » e sono dotati della virtù di Colui che può procurare le piaghe, apprestare il rimedio, colpire gli ostinati e risanare i contriti di cuore.
LEZIONE IX
Davvero era giusto che quest'uomo beato apparisse insignito di questo privilegio singolare, giacché tutta la sua opera, pubblica e privata, aveva di mira la croce del Signore.
Anche quella meravigliosa dolcezza, mansuetudine ed austerità di vita; quell'umiltà profonda, quell'obbedienza pronta, quella povertà esimia, quella castità illibata, quella amara contrizione di cuore, quel profluvio di lacrime, quella pietà appassionata, quello zelo ardente, quel desiderio di martirio, quell'eccesso di carità; insomma, quel patrimonio così vario di virtù cristiformi, che altro mostra in lui, se non un progressivo assimilarsi a Cristo e, per così dire, un predisporsi alle sue sacre stimmate?
Per questa ragione, come tutta la sua vita, dalla conversione in poi, era stata abbellita dai misteri luminosi della Croce, cosi, alla fine, alla vista del Serafino sublime e dell'umile Crocifisso, egli fu tutto trasformato nell'immagine di colui che gli era apparso, mediante la forza di un fuoco deiformante.
Così hanno testimoniato coloro che hanno veduto e hanno toccato con mano e hanno baciato: essi, giurando sul Vangelo, che così era stato e così avevano visto, ci hanno confermato in una più ricca certezza.
Anche quella meravigliosa dolcezza, mansuetudine ed austerità di vita; quell'umiltà profonda, quell'obbedienza pronta, quella povertà esimia, quella castità illibata, quella amara contrizione di cuore, quel profluvio di lacrime, quella pietà appassionata, quello zelo ardente, quel desiderio di martirio, quell'eccesso di carità; insomma, quel patrimonio così vario di virtù cristiformi, che altro mostra in lui, se non un progressivo assimilarsi a Cristo e, per così dire, un predisporsi alle sue sacre stimmate?
Per questa ragione, come tutta la sua vita, dalla conversione in poi, era stata abbellita dai misteri luminosi della Croce, cosi, alla fine, alla vista del Serafino sublime e dell'umile Crocifisso, egli fu tutto trasformato nell'immagine di colui che gli era apparso, mediante la forza di un fuoco deiformante.
Così hanno testimoniato coloro che hanno veduto e hanno toccato con mano e hanno baciato: essi, giurando sul Vangelo, che così era stato e così avevano visto, ci hanno confermato in una più ricca certezza.
PREGARE IL SILENZIO
PREGARE IL SILENZIO
“....Mentre il silenzio avvolgeva ogni cosa
e la notte era a metà del suo corso
la Tua Parola onnipotente, o Signore,
venne dal Tuo trono regale....” (Sapienza 18, 14-15)
Il silenzio è il canto più perfetto
“ La preghiera ha per padre il silenzio e per madre la
solitudine” ha detto Girolamo Savonarola.
Solo il silenzio, infatti, rende possibile l'ascolto, cioè
l'accoglienza in sé non solo della Parola, ma anche della presenza di Colui che
parla.
Così il silenzio apre il cristiano all'esperienza
dell'inabitazione di Dio: il Dio che noi cerchiamo seguendo nella fede il
Cristo risorto, è il Dio che non è esterno a noi, ma abita in noi.
Dice Gesù nel Vangelo di Giovanni: “...Se uno mi ama.
osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e
prenderemo dimora presso di lui...” (Gv. 14,23).
Il silenzio è linguaggio di amore, di profondità di presenza
dell'altro.
Del resto, nell'esperienza amorosa, il silenzio è spesso
linguaggio molto più eloquente, intenso e comunicativo di una parola.
Purtroppo oggi il silenzio è raro, è la cosa che più manca
all'uomo moderno assordato dai rumori, bombardato dai messaggi sonori e visivi,
derubato della sua interiorità, quasi scalzato via da essa.
Non stupisce pertanto l'indirizzarsi di molti verso vie di
spiritualità estranee al cristianesimo.
Dobbiamo confessarlo: abbiamo bisogno del silenzio!
Sul monte Oreb, il profeta Elia, sentì prima un vento
impetuoso, poi un terremoto, quindi un fuoco, e infine “....la voce di
un silenzio sottile..” (1 Re 19,12): come udì quest'ultima, Elia si coprì
il volto con il mantello e si mise alla presenza di Dio.
Dio si fa presente ad Elia nel silenzio, un silenzio
eloquente.
La rivelazione del Dio biblico non passa solo attraverso la
parola, ma avviene anche nel silenzio.
Il Dio che si rivela nel silenzio e nella parola esige
dall'uomo l'ascolto, e all'ascolto è essenziale il silenzio.
Certo, non si tratta semplicemente dell'astenersi dal
parlare, ma del silenzio interiore, quella dimensione che ci restituisce a noi
stessi, ci pone sul piano dell'essere, di fronte all'essenziale.
E' dal silenzio che può nascere una parola acuta, penetrante,
comunicativa, sensata, luminosa, perfino, oserei dire, terapeutica, capace di
consolare.
Il silenzio è custode dell'interiorità.
Certo, si tratta di un silenzio definito sì negativamente
come sobrietà e disciplina nel parlare e perfino come astensione da parole,ma
che da questo primo momento passa ad una dimensione interiore: cioè al far
tacere i pensieri, le immagini, le ribellioni, i giudizi, le mormorazioni che
nascono nel cuore.
Infatti è “...dal di dentro, cioè dal cuore umano,
che escono i pensieri malvagi..” (Marco 7,21).
E' il difficile silenzio interiore quello che si gioca nel
cuore, luogo della lotta spirituale, ma proprio questo silenzio profondo genera
la carità, l'attenzione all'altro, l'accoglienza dell'altro.
Sì, il silenzio scava nel nostro profondo uno spazio
per farvi abitare l'Altro, per farvi rimanere la Sua Parola, per radicare in
noi l'amore per il Signore; al tempo stesso, e in connessione con ciò, esso ci
dispone all'ascolto intelligente, alla parola misurata, E così, il doppio
comando dell'amore di Dio e del prossimo, è ottemperato da chi sa custodire il
silenzio.
Può dire Basilio: “Il silenzioso diventa fonte di grazia per
chi ascolta”.
A quel punto si può ripetere, senza timore di cadere nella
retorica, l'affermazione di E. Rostand: “Il silenzio è il canto più
perfetto, la preghiera più alta”.
In quanto conduce all'ascolto di Dio e all'amore del
fratello, alla carità autentica, cioè alla vita in Cristo, allora il silenzio è
preghiera autenticamente cristiana e gradita a Dio.
Tacere e ascoltare
Dice la Legge:
“Ascolta, Israele, il Signore Dio tuo” (Dt.
6,3).
Non dice: “Parla”, ma “Ascolta”.
La prima parola che Dio dice è questa: “Ascolta”.
Se ascolti, proteggerai le tue vie; e se cadrai, subito ti
correggerai.
Come ritroverà il proprio cammino il giovane che ha smarrito
la strada?
Meditando le parole del Signore.
Anzitutto taci, e ascolta..... (S. Ambrogio)
martedì 16 settembre 2014
"Divina Pastora de las Almas"
"Divina Pastora de las Almas,
ruega por nosotros"
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lunedì 15 settembre 2014
Sacramentum Caritatis, di papa Benedetto XVI
61. L'Assemblea sinodale si è soffermata a considerare la qualità della partecipazione nelle grandi celebrazioni che avvengono in circostanze particolari, in cui vi sono, oltre ad un grande numero di fedeli, anche molti sacerdoti concelebranti.(181) Da una parte, è facile riconoscere il valore di questi momenti, specialmente quando presiede il Vescovo attorniato dal suo presbiterio e dai diaconi. Dall'altra, in tali circostanze possono verificarsi problemi quanto all'espressione sensibile dell'unità del presbiterio, specialmente nella preghiera eucaristica, e quanto alla distribuzione della santa Comunione. Si deve evitare che tali grandi concelebrazioni creino dispersione. A ciò si provveda con strumenti adeguati di coordinamento e sistemando il luogo di culto in modo da consentire ai presbiteri e ai fedeli la piena e reale partecipazione. Comunque, occorre tener presente che si tratta di concelebrazioni d'indole eccezionale e limitate a situazioni straordinarie.
62. Quanto affermato non deve, tuttavia, mettere in ombra il valore di queste grandi liturgie. Penso in questo momento, in particolare, alle celebrazioni che avvengono durante incontri internazionali, oggi sempre più frequenti. Esse devono essere giustamente valorizzate. Per meglio esprimere l'unità e l'universalità della Chiesa, vorrei raccomandare quanto suggerito dal Sinodo dei Vescovi, in sintonia con le direttive del Concilio Vaticano II: (182) eccettuate le letture, l'omelia e la preghiera dei fedeli, è bene che tali celebrazioni siano in lingua latina; così pure siano recitate in latino le preghiere più note(183) della tradizione della Chiesa ed eventualmente eseguiti brani in canto gregoriano. Più in generale, chiedo che i futuri sacerdoti, fin dal tempo del seminario, siano preparati a comprendere e a celebrare la santa Messa in latino, nonché a utilizzare testi latini e a eseguire il canto gregoriano; non si trascuri la possibilità che gli stessi fedeli siano educati a conoscere le più comuni preghiere in latino, come anche a cantare in gregoriano certe parti della liturgia.(184)
Celebrazioni eucaristiche in piccoli gruppi
63. Una situazione assai diversa è quella che si viene a creare in alcune circostanze pastorali in cui, proprio per una partecipazione più consapevole, attiva e fruttuosa, si favoriscono le celebrazioni in piccoli gruppi. Pur riconoscendo la valenza formativa sottesa a queste scelte, è necessario precisare che esse devono essere armonizzate con l'insieme della proposta pastorale della Diocesi. Infatti, tali esperienze perderebbero il loro carattere pedagogico, se fossero sentite in antagonismo o in parallelo rispetto alla vita della Chiesa particolare. A tale proposito, il Sinodo ha evidenziato alcuni criteri ai quali attenersi: i piccoli gruppi devono servire a unificare la comunità, non a frammentarla; ciò deve trovare convalida nella prassi concreta; questi gruppi devono favorire la partecipazione fruttuosa dell'intera assemblea e preservare, per quanto possibile, l'unità della vita liturgica delle singole famiglie.(185)
Mater Boni Consilii, ora pro nobis.
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