domenica 20 luglio 2014

Croce e Santa Messa, un'unica realtà

Croce e Santa Messa, un'unica realtà



Prima dell'avvento di Cristo la sofferenza era giustificata, per gli ebrei, dal peccato originale: era il castigo che Dio aveva inflitto all'uomo per essersi ribellato alle Sue disposizioni. Per tutti gli altri uomini della terra, la sofferenza avveniva per volere degli dei o degli spiriti maligni. Con l'avvento del Figlio di Dio la sofferenza ha assunto (fermo restando il castigo seguito al peccato originale) un significato anche redentivo: l'uomo può salvarsi eternamente grazie alla Croce sulla quale Cristo è salito volontariamente, con l'unico scopo di aprire le porte del Paradiso alle anime battezzate nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. 

Fuori dalla Croce di Cristo non c'è Salvezza, fuori dalla Chiesa non c'è salvezza. Grazie al Santissimo Sacrificio di Nostro Signore noi possiamo ogni giorno averlo sull'altare, presente, in Corpo e Sangue, e attraverso la sua Croce vivere di Fede, di Speranza, di Carità e portare con pace e armonia le nostre croci. 

Unica protagonista, nella Santa Messa, è la Croce: Gesù è sull'altare (non intorno all'altare per banchettare, come credono i protestanti) per essere ancora, fino alla fine dei tempi, innalzato sulla Croce, redimendo e salvando le anime che vogliono essere salvate. L'editoriale di Don Alberto Secci lo ricorda con vivida chiarezza. (C.S.)

O CRUX, AVE, SPES UNICA:
DUNQUE LA MESSA 
DELLA TRADIZIONE.

Editoriale di "Radicati nella fede"
Luglio 2014


  Lo scorso mese, parlando della solennità del Corpus Domini, ricordavamo il pericolosissimo oblio del carattere sacrificale della Messa cattolica. Oblio che conduce lentamente ma inesorabilmente all'eresia. Su questo punto non dovremmo mai dimenticare il grande lavoro di Michael Davies sulla Riforma anglicana, che sottolinea il pericolo dei “taciuti” in liturgia: la riforma anglicana di Cranmer, togliendo dalla Messa tutti i riferimenti espliciti al Sacrificio propiziatorio, introdusse vincente, nel giro di una generazione, il Protestantesimo in Inghilterra, portandola definitivamente all'eresia.
  Ma nel mese scorso ci spingevamo più in là dicendo che, col dimenticare che la Messa è il Sacrificio di Cristo sulla Croce, si perde inesorabilmente la coscienza della Presenza sostanziale di Cristo nella Santissima Eucarestia: se non c'è più la Vittima, non c'è nemmeno più la Presenza di Gesù Cristo, perché Cristo si rende presente nell'Eucarestia come Vittima. Una Messa percepita sempre più come ricordo dell'Ultima Cena rischia veramente di non essere più la Messa cattolica. Innegabilmente l'ultima riforma della messa, quella del 1969, l'ha fatta assomigliare sempre più alla Santa Cena protestante, anglicana o luterana che sia.
  C'è però di più: una Messa sempre più protestantizzata, ha protestantizzato il popolo cristiano con la sua missione, tanto da farlo assomigliare ogni giorno di più ad un insieme di congregazioni protestanti impegnate nella loro presenza in mezzo al mondo.
  Se non c'è più la Vittima, non c'è nemmeno più la Presenza di Cristo. È vero per la Messa, per il Santissimo Sacramento, ma è vero anche per tutta l'opera della Chiesa. Se al centro di tutta la predicazione dottrinale, se al centro di tutta la pastorale della Chiesa non c'è più Cristo Crocifisso, tutta la missione della Chiesa rischia di essere spaventosamente vuota. Mai come in questi ultimi decenni si sono moltiplicati gli sforzi pastorali, si sono affinate le tecniche per un annuncio efficace, mai si è parlato come in questi ultimi cinquant'anni di missione, e si è raccolto quasi nulla. Si è andati verso il mondo annunciando e annunciando ancora, e si è registrata la sua inesorabile scristianizzazione.
  Chi avrebbe mai pensato, tra i Padri del Concilio, che la fede cattolica sarebbe quasi scomparsa nel giro di mezzo secolo? Chi avrebbe mai pensato, tra i vescovi del Vaticano II, all'avvento di una società così anti-cattolica e immorale come quella di oggi, dove ogni legge sembra fatta apposta per essere contro il disegno di Dio sull'uomo?

  Eppure, ed è innegabile, questo disastro è sotto i nostri occhi.

  Se non c'è più Gesù-Vittima, non c'è nemmeno più Gesù-presente.
  Sì, una Chiesa che entusiasticamente, a partire dagli anni '60, è andata incontro al mondo mettendo in secondo piano la Croce di Cristo, ha perso Cristo stesso e non ha portato nulla o quasi alla società. Sì perché, occorre dirlo con chiarezza, senza la centralità della Croce, senza la centralità di Cristo crocifisso, tu perdi Cristo stesso. È terribile l'illusione di chi vuol parlare di Gesù senza la sua Croce, senza anzi la centralità della sua Croce. Chi mette la Croce di Cristo “tra le tante cose” della vita di Gesù, ma non ne considera la centralità, in verità non parla nemmeno di Cristo. Parla di un Gesù “confezionato” apposta per il mondo moderno che, come i giudei e i gentili di San Paolo, giudicavano Cristo Crocifisso scandalo o stoltezza.

  Si è voluti andare al mondo per dialogare amichevolmente con esso, evitando le condanne della Chiesa del passato; per dialogare amichevolmente si sono dovuti “velare” o “nascondere” la Croce e il Sacrificio di Cristo, perché il dialogo con la società moderna, con le sue religioni, restasse sereno e amichevole; con il risultato doppiamente tragico di non aver portato nulla agli uomini del tempo e, peggio, di aver devastato il santuario della presenza di Dio che è la Chiesa.

  Non c'è niente da fare, per primi dobbiamo accettare e abbracciare lo scandalo della Croce, riconoscerlo come il contenuto centrale della dottrina, della vita e della missione della Chiesa, e allora, non calcolando gli esiti, ma fiduciosi nell'infinita potenza della grazia di Dio, andare verso il mondo, perché dalla Croce di Cristo sia convertito e sanato.

  Guai a quei Cristiani, guai a quella Chiesa che voglia portare un altro Gesù, senza la Croce, guai! Perderà la sua essenza, perderà la sua forza, perderà la sua anima, perderà l'efficacia unica della grazia. E risulterà sempre più inutile e insopportabile a quel mondo che voleva raggiungere. Odiosamente insopportabile al mondo è una Chiesa senza il Sacrificio e la Croce.
E il mondo, una Chiesa così vuota, è già pronto ad azzannarla.

  In hoc signo vinces, non è solo il ricordo di una storia passata, è la verità di ogni istante: la vittoria è della Croce e di chi, la Croce, la porta e la mostra al mondo, senza calcolo umano.

  O Crux, ave, spes unica, salve o Croce, unica speranza: se non si tornerà a questa chiarezza in tutto, veramente in tutto nella Chiesa, il disastro sarà inevitabile.

  Ma questo ritorno inizia dal Santo Sacrificio della Messa.
  Se di fronte a questo quadro di devastante confusione ci sentiamo impotenti; se impotenti ci domandiamo cosa fare e soprattutto da dove iniziare, ricordiamoci che la riedificazione della Chiesa partirà sempre dal Santo Sacrificio della Messa. Non facciamo calcoli umani, non commettiamo l'errore degli anni '60, non andiamo al mondo, nemmeno per riedificare la Tradizione, con le nostre tecniche, ma ri-iniziamo dalla Messa.

  Torniamo subito alla Messa della Tradizione, lo diciamo ai sacerdoti prima e poi ai fedeli. Torniamo al corretto rito del Santo Sacrificio della Messa e da lì ripartiamo per un lavoro paziente di riedificazione della fede. Non commettiamo l'errore di fare l'inverso, prima il lavoro pastorale, poi il ritorno alla Messa di sempre, sarebbe in fondo un nascondere ancora la Croce di Cristo, attendendo tempi migliori, così come fecero gli illusi missionari degli anni post-conciliari.

  La verità invece è Cristo.

 La verità è invece il fatto del suo Sacrificio redentore, perpetuato dalla Messa cattolica. Primo compito dei sacerdoti è celebrarla. Primo compito di tutti è vivere di essa, perché la vita, quella vera, continui.

"Quoties 
hujus Hostiae commemoratio recolitur, 
toties 
opus nostrae Redemptionis exercetur" 
Orat. in Missa Dom. post Pent.

Importanza dei sacramenti – Matrimonio e Prima Santa Comunione


6 luglio 2011 – Importanza dei sacramenti – Matrimonio e Prima Santa Comunione

Mia amata figlia prediletta, osserva adesso come la fede dei Miei figli comincia a crescere e a fiorire.
Mentre nel mondo vi è molta oscurità, la luce dei Miei seguaci diventa di giorno in giorno più luminosa a causa della fiamma dello Spirito Santo che è disceso su tutto il mondo.
Oggi, figlia Mia, vorrei ricordare a tutti i Miei seguaci l’importanza della preghiera nell’alleviare la sofferenza nel mondo. Le vostre preghiere adesso stanno aiutando a scongiurare molti dei disastri globali profetizzati. La preghiera è il più potente lenitivo, e quando viene recitata per conto di altri, questi avranno una risposta.
Mentre sono felice per coloro che hanno una fede salda, sono ancora impaurito per coloro che sono ostili alla Mia Luce Divina. E’ la verità. Molte persone stanno vagando per il mondo come in uno stato di torpore. Nulla dà loro pace. Nulla dà loro gioia. Nessuna quantità di benessere materiale allevia il loro dolore. Le loro anime vuote sono perse. Vi chiedo di pregare per loro.
Figlia Mia, ti chiedo di pregare per il Mio Vicario Papa Benedetto perché è circondato da forze massoniche che ora stanno facendo di tutto per detronizzarlo; queste forze del male si sono infiltrate nella Mia Chiesa sin dal Concilio Vaticano II e hanno indebolito i Miei insegnamenti. Sono state approvate molte leggi che Mi offendono, in particolare la presentazione della Mia Santa Eucarestia da parte di laici. La mancanza di rispetto mostrata a Me e al Mio Eterno Padre attraverso nuove leggi intese ad agevolare la società moderna, Mi hanno fatto piangere di tristezza.
La Santissima Eucaristia deve essere ricevuta sulla lingua e non contaminata da mani umane. Eppure, questo è esattamente ciò che i Miei Servi Sacri hanno fatto. Queste leggi non sono state approvate da Me nello Spirito. I Miei servi sacri sono stati condotti lungo un sentiero non in linea con gli insegnamenti dei Miei apostoli. Oggi i Miei sacramenti non sono presi molto sul serio, soprattutto da coloro che chiedono i sacramenti del Matrimonio e della Prima Comunione.
Il voto del Matrimonio è molto serio perché, ricordatelo, è un sacramento ed è fatto in presenza di Dio Padre. Eppure, per molti è tutto un fatto di materialismo e di orpelli esteriori. Molti di coloro che ricevono il Sacramento del Matrimonio non riconoscono in seguito la sua importanza. Molti rompono i loro voti così facilmente. Perché lo fanno? Perché si impegnano a parole in questa Unione Santissima e solo in parte subito dopo? Questa è un oltraggio a una delle più importanti unioni benedette dalla Mano del Mio Padre Eterno. Molte persone non prestano alcuna attenzione alla volontà del Padre Mio secondo la quale nessun uomo osi fare a pezzi una tale unione in seguito. Eppure molti ricorrono al divorzio, che è una legge non riconosciuta dal Padre Mio. Il divorzio è un modo semplice per fuggire dalle vostre responsabilità. Tutti i matrimoni sono celebrati in Cielo. Nessun uomo può distruggere un matrimonio senza offendere il Padre Mio.

Prima Comunione
Il modo di ricevere il Mio corpo nel Sacramento dell’Eucaristia per la prima volta, è un altro esempio di come Io vengo deriso. Così tanti sono i genitori che non tengono conto dell’importanza per i loro bambini di ricevere il Pane della Vita. Sono più interessati a come i loro figli sono ben vestiti piuttosto che al dono meraviglioso che stanno ricevendo. Questo dono li porterà alla salvezza. Ma il materialismo che circonda l’evento non ha nulla a che fare con le loro anime. 

Per Me il lato più triste è che a questi bambini non viene detto nulla su di Me. L’amore che Io ho per i bambini è onnicomprensivo. Quando ricevono la Santa Eucaristia, nella piena consapevolezza di ciò che stanno ricevendo, allora le loro anime diventano pure. Più Mi ricevono in questo modo, più sarà forte la loro fede.

Ricordate che senza i sacramenti la vostra fede si indebolisce. Se la vostra anima per un po’ di tempo resta priva delle Mie benedizioni speciali, diventa dormiente: tutta la fede in Me e nel Mio Eterno Padre scompare nel tempo lasciando solo un piccolo lumicino di riconoscimento a divampare di volta in volta.
Ritornate a Me attraverso i sacramenti. Mostrate il dovuto rispetto per i Sacramenti e riuscirete veramente a sentire la Mia presenza di nuovo.
Ricordate che i sacramenti stanno lì per un motivo: perché sono il nutrimento necessario per la vita eterna dell’anima. Senza di essi la vostra anima morirà.
Vi amo tutti. Vi chiedo di abbracciarMi nel modo giusto, rispettando i sacramenti che vi sono stati dati come un dono da Dio Padre Onnipotente.
Il Vostro Salvatore che vi ama
Re dell’Umanità
Gesù Cristo

SURSUM CORDA! = IN ALTO I NOSTRI CUORI!

Il divino eloquentissimo silenzio del canone

di don Alfredo M. Morselli 

Ave Maria! 

"Noi ordiniamo a tutti i Vescovi e ai sacerdoti di non più fare in silenzio, ma in modo da essere uditi dal popolo fedele, la divina oblazione, così come la preghiera che accompagna il battesimo: lo spirito degli uditori ne potrà ricavare una maggior devozione, un nuovo ardore per lodare e benedire Dio. 
Questo è l'insegnamento del divino Apostolo, nella sua prima lettera ai Corinti" 
No, non è il Vaticano II - che non ha prescritto di recitare il canone diversamente da come si e fatto per secoli e secoli - (anche il canone a voce alta è una delle tante cose che si attribuiscono spesso al Concilio e che il Concilio non ha mai detto, al pari dell'abolizione del latino, della celebrazione cosiddetta verso il popolo, della S. Comunione in mano e non in ginocchio, delle chitarre, della creatività liturgica etc.). 

Il testo suddetto è uno stralcio di un decreto dell'imperatore Giustiniano, il quale, inascoltato in vita, sembra essersi ripreso la rivincita 1400 anni dopo la sua morte (cit. in L. Thomassin, Traité de l'Office divin dans ses rapports avec l'oraison mentale, 1688; abbiamo consultato l'edizione del 1894, a c. dei benedettini di Ligugé: il testo citato è a p. 105-106). 

Questo decreto conferma l'antica prassi, così ben descritta nelle Costituzioni apostoliche, secondo la quale al momento in cui "il sacrifico comincia… i fedeli pregano nel segreto del loro cuore; poi, quando la preghiera è terminata, sono ammessi alla partecipazione al Corpo e al Sangue del Signore".
Del resto, Giustiniano non ha argomenti o esempi di prassi precedente su cui appoggiarsi: egli cita, fuori luogo, San Paolo, precisamente 1 Cor 14; in questo passo l'Apostolo mette in guardia uomini di parlare ad altri uomini in modo loro incomprensibile, ma non si tratta qui delle preghiera eucaristica, bensì di fraterna esortazione vicendevole o parola carismatica.
Il grande teologo oratoriano francese Luis Thomassin (1619-1695) così spiega: "Se un uomo non deve esortare un fratello in modo incomprensibile, Dio infinito e ineffabile ha bene il diritto e la gioia di donarci, nel più augusto dei sacramenti, delle cose superiori alla nostra intelligenza, a cui dobbiamo prestare particolare ossequio" (Traité de l'Office divin, p. 106). 
Lo stesso Thomassin nota che Giustiniano non aveva altri argomenti se non quello debolissimo di 1 Cor: se avesse avuto una pezza di appoggio nella prassi di qualche importante chiesa, la avrebbe senz'altro usata.

Ma che cosa ha spinto i santi Padri a non seguire il decreto di Giustiniano? 
Perché contravvennero platealmente il decreto del potente imperatore? 
Qual era la loro forma mentis? 
Quali i loro argomenti?

I motivi erano sostanzialmente due: da una parte l'idea della preghiera come azione divina nell'uomo, piuttosto che azione umana; vedremo in seguito come non era ancora avvenuta la frattura - tutta moderna - tra liturgia e orazione mentale.
Dall'altra, la consapevolezza della sublimità del mistero che si attua nel Sacrificio Eucaristico.
Vediamo ora il primo punto, e partiamo dall'invito rivolto ai fedeli dal celebrante all'inizio della preghiera eucaristica: sursum corda, in alto i cuori. 
Qui non si tratta dei cuori intesi come sede del sentimento, bensì della mens, ovvero della parte alta o fondo dell'anima. 
La partecipazione alla liturgia non può essere disgiunta dall'orazione mentale, da quello stato in cui si trova l'anima che vuol essere obbediente al comandamento del Signore secondo il quale è necessario pregare sempre.
Così afferma s. Clemente Alessandrino: "Sia che si trovi in cammino, sia che parli, sia che lavori secondo le luci e le norme della legge eterna, [il giusto] prega continuamente. Giacché il santuario più abituale della sua orazione è il fondo del suo cuore, dove custodisce i gemiti e i desideri che s'innalzano fino al trono del Padre celeste" (Stromata, VII, MG IX, 470, cit. in Traité de l'Office divin, p. 16-17).

E San Basilio chiedendosi come sia possibile, stando al versetto semper laus eius in ore meo (Ps 33,2), che la nostra bocca faccia sempre risuonare la lode del Signore, afferma che noi abbiamo una sorta di bocca interiore e spirituale attraverso la quale possiamo assimilare la parola divina, la verità e il Verbo stesso: è questa la bocca che Dio ci ordina di tenere sempre aperta, per ricevere il cibo incorruttibile della verità eterna.
L'impressione che la verità e la carità di Dio hanno compiuto nei nostri cuori sussiste stabilmente nella nostra anima, e ne costituisce veramente una santissima preghiera (In Ps. XXXIII, MG XXIX, 354, cit. in Traité de l'Office divin, p. 18) .
Questa preghiera, secondo S. Agostino, non è altro che lo Spirito Santo, Carità che prega in noi, che abita nei nostri cuori, da dove fa salire verso il cielo un'orazione ininterrotta (In Ep. Joann., tract. VI, ML XXXV, 2024, cit. in Traité de l'Office divin, p. 24)
La predicazione e la salmodia hanno il compito di risvegliare questa preghiera muta, ma il cui silenzio permette che si realizzi nella sua profonda e massima attività, in quanto attività divina in noi.

Allora cosa significa sursum corda?
 
Che la vostra anima ora si inabissi nel mistero, che sia la bocca spirituale che si nutre delle grazie del Sacrificio e che non lasci fuoriuscire parole umane, ma solo l'inesprimibile gemito dello Spirito Santo, Carità increata diffusa nei nostri cuori. 
Che non ci sia parola umana frammezzo alla Grazia del mistero che discende da Dio e che a Lui risale dai nostri cuori… 

Hai dilatato il mio cuore - dice il Salmo 118,32 -, perché l'orecchio di carne non può intendere (occhio non vide e orecchio non udì) il mistero che si celebra, e qualunque suono entri, in questo momento, nell'orecchio naturale, toglierebbe spazio al nutrimento celeste. 

Non è forse questo l'orecchio che il Signore ci ha aperto toccando quello del sordomuto? 
E non è forse la lingua del cuore - ovvero la possibilità al nostro cuore di essere la lingua dei gemiti inesprimibili dello Spirito Santo -, quella che Gesù ci ha sciolto, intimando effatá alla vecchia lingua annodata dal peccato originale?
E non si dica che il popolo non capisce!
Proprio perché si capisce quel poco che si può capire della sublimità del mistero, ci si rifiuta di ingabbiarlo o di ridurlo a mera comprensione discorsiva; la ragione non è però affatto esclusa quando comprende che deve fermarsi e cedere il passo a una conoscenza intuitiva, sempre razionale, ma più simile quella degli angeli e dei beati in Paradiso. 

Amare conclusioni. 

1) Mai come in questo caso è vera quella battuta che dice che mentre Gesù ha fatto il discorso della montagna, i preti fanno una montagna di discorsi; e passino tutti i consigli pastorali, presbiterali, vicariali, inter-qui, inter-là, inter-su e jnter-giù. 
Anche se talvolta è tempo rubato all'Adorazione Eucaristica, almeno il popolo di Dio non è defraudato della possibilità di ascoltare quel Dio che parla non in commotione, ma nel silenzio: si tratta infatti di riunione di addetti ai lavori e operatori pastorali, che se la raccontano tra di loro, mentre fuori dalla sala delle riunioni il mondo va a rotoli. Invece, le tante monizioni abusive e la recita ad alta voce delle poche preghiere che dovrebbero essere recitate in silenzio anche nella nuova Messa, uniti al canone a voce alta, mostrano la frattura post-conciliare tra liturgia e orazione mentale, la riduzione razionalista e giansenista della liturgia. 

2) Una delle parole d'ordine del post-concilio è ressourcement, termine a ragione usato da De Lubac e dal pur discutibile movimento della Nouvelle Théologie: in sé il termine è giustissimo se inteso come necessità della sacra doctrina di ritornare incessantemente alle fonti, pena scadere in una teologia razionalisteggiante. 
Ma, in pratica a quale ressourcement abbiamo assistito? 
Che l'esegesi mette dubbi sulla storicità di Gesù Cristo (monumentale la fatica di Benedetto XVI - vero Davide contro Golia, fionda contro le atomiche dell'intellighenzia - scarsa - accademica dominante: con quei suoi tre preziosi volumetti su Gesù ha dettato le linee per i veri esegeti del futuro), e che - per quanto riguarda i Padri -, questi vengono ignorati e declassati a uomini del loro tempo quando sono in contrasto con l'ideologia dominante neomodernista.
Fanno comodo solo quando una qualche loro frase fuori contesto può essere usata contro la Tradizione. 

3) È cambiata la liturgia, perché è cambiata la teologia della preghiera: non si prega più come prima non solo perché sono state anacquate e rimodernate tante preghiere dell'antico messale (nel nuovo benedizionale non si nomina una volta sola il demonio, e l'acqua benedetta è solo un ricordo del battesimo: anacquata in tutti i sensi), ma perché si è ridotta la preghiera a prodotto dell'uomo a lui comprensibile. 
Ed è cambiata la teologia della preghiera perché è cambiata la teologia della grazia. 
Ma questo è un argomento che richiede ben altri approfondimenti, che spero altri più competenti di me possano fare, pur proponendomi di fare la mia modesta parte nei prossimi mesi.

sabato 19 luglio 2014

I santi Martiri di Gorcum

I santi Martiri di Gorcum, testimoni della Presenza Reale di Cristo nell'Eucaristia e dell'Autorità della Chiesa di Roma

Il 9 luglio la Chiesa commemora i 19 Martiri, sacerdoti e religiosi, martirizzati in questo giorno nell'anno 1572 dagli eretici calvinisti in odio alla fede nell'Eucaristia ed alla Chiesa di Roma, canonizzati dal Beato Pio IX nel 1867.

Anthonius Brouwer, Gli ultimi momenti dei martiri di Gorkum, 1879 circa, Biblioteca Nazionale dei Paesi Bassi



Cesare Fracassini, Martiri di Gorcum, 1858, Musei Vaticani, Città del Vaticano, Roma


J. Zier Neels, Martiri di Gorcum, 1675

Abraham van Diepenbeeck - Jacob Neefs, Martiri di Gorcum, 1620-60, Biblioteca Nazionale dei Paesi Bassi

Johan Zierneels, Apoteosi dei martiri di Gorcum, 1675, Rijksmuseum Amsterdam



Luis Berrueco, Martiri di Gorcum, 1731, Puebla, Messico

Domenica 20 Luglio 2014, XVI Domenica del Tempo Ordinario - Anno A



"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta

Domenica 20 Luglio 2014, XVI Domenica del Tempo Ordinario - Anno A

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 13, 24-43.
Un'altra parabola espose loro così: «Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo.
Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò.
Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania.
Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania?
Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo. E i servi gli dissero: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla?
No, rispose, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano.
Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio».
Un'altra parabola espose loro: «Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo.
Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami».
Un'altra parabola disse loro: «Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti».
Tutte queste cose Gesù disse alla folla in parabole e non parlava ad essa se non in parabole,
perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta: Aprirò la mia bocca in parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo.
Poi Gesù lasciò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si accostarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo».
Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell'uomo.
Il campo è il mondo. Il seme buono sono i figli del regno; la zizzania sono i figli del maligno,
e il nemico che l'ha seminata è il diavolo. La mietitura rappresenta la fine del mondo, e i mietitori sono gli angeli.
Come dunque si raccoglie la zizzania e si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo.
Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità
e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti.
Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, intenda!
Traduzione liturgica della Bibbia


Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" 
di Maria Valtorta : Volume 3 Capitolo 181 pagina 171.

Un’alba chiara imperla il lago e fascia i colli di una nebbia leggera come velo di mussola da cui appaiono, ingentiliti, ulivi e noci, e case e dossi dei paesi del lago. Le barche scivolano quiete e silenziose, dirette verso Cafarnao. Ma ad un certo punto Pietro piega la barra del timone così rudemente che la barca si inchina da un lato.
“Che fai?”, chiede Andrea.
“C’è la barca di un gufo. Esce ora da Cafarnao. Ho buoni occhi e, da ieri sera, fiuto di segugio. Non voglio che ci vedano. Torno al fiume. Andremo a piedi”.
Anche l’altra barca ha seguito la manovra, ma Giacomo, che regge il timone, chiede a Pietro: “Perché fai questo?”.
“Te lo dirò. Vienimi dietro”.
Gesù, che è seduto a poppa, si riscuote quando è quasi al-l’altezza del Giordano. “Ma che fai, Simone?”, chiede.
“Si scende qui. C’è uno sciacallo in giro. Non si può andare a Cafarnao oggi. Prima vado io a sentire un poco. Io con Simone e Natanaele. Tre degne persone contro tre indegne persone… se pure le indegne non saranno di più”.
“Non vedere insidie da tutte le parti, ora! Quella non è la barca di Simone il fariseo?”.
“È proprio quella”.
“Non c’era alla cattura di Giovanni”.
“Non so niente io”.
“È sempre rispettoso verso di Me”.
“Non so niente io”.
“Mi fai parere vile”.
“Non so niente io”.
Per quanto Gesù non abbia voglia di ridere, deve sorridere per la santa cocciutaggine di Pietro.
“Ma a Cafarnao dovremo pure andare. Se non oggi, più tardi…”.
“Ti ho detto che vado prima io e sento e… all’occorrenza… farò anche questa… sarà una grossa spina da inghiottire… ma lo farò per amore di Te… Andrò… andrò dal centurione a chiedere protezione…”.
“Ma no! Non occorre!”.
La barca si arresta sulla spiaggetta deserta, opposta a Betsaida. Scendono tutti.
“Venite voi due. Vieni anche te, Filippo. Voi giovani state qui. Faremo presto”.
Il neo discepolo Elia prega: “Vieni in casa mia, Maestro. Ne sarei tanto felice di ospitarti…”.
“Vengo. Simone, mi raggiungerai alla casa di Elia. Addio, Simone. Va’. Ma sii buono, prudente e misericordioso. Vieni, che ti baci e benedica”.
Pietro non assicura di essere né buono, né paziente, né misericordioso. Tace e scambia il bacio col suo Maestro. Anche lo Zelote, Bartolomeo e Filippo scambiano il bacio di addio e le due comitive si separano andando in opposta direzione.
Entrano in Corozim che l’aurora è già finita in giorno pieno. Non vi è stelo che non brilli per gemme di rugiada. Gli uccelli cantano per ogni dove. Vi è un’aria pura, fresca, che pare sappia persino di latte, di un latte più vegetale che animale. L’odore dei grani che si formano nelle spighe, dei mandorleti carichi di frutti… un odore che ho sentito nelle fresche mattine nei campi opimi della pianura padana.
La casa di Elia è presto raggiunta. Ma già molti in Corozim sanno che è giunto il Maestro e, mentre Gesù sta per porre piede sulla soglia, una madre accorre gridando: “Gesù, Figlio di Davide, pietà della mia creatura!”. Ha sulle braccia una fanciulla di un dieci anni circa, cerea e magrissima. Più che cerea, giallastra.
“Che ha tua figlia?”.
“Le febbri. Le ha prese alla pastura lungo il Giordano. Perché siamo i pastori di un ricco. Io sono stata chiamata dal padre presso la bambina ammalata. Egli ora è tornato ai monti. Ma Tu sai che con questo male non si può passare in luoghi alti. Come posso stare qui? Il padrone mi ha lasciata fino ad ora. Ma io sono alle lane e alle figliate. Viene il tempo del lavoro per noi pastori. Saremo licenziati o divisi se io resto. Vedrò morire la figlia se vado all’Hermon”.
“Hai fede che Io possa?”.
“Ho parlato con Daniele pastore di Eliseo. Mi ha detto: “Il nostro Bambino guarisce ogni male. Vai dal Messia”. Da oltre Meron sono venuta con questa fra le braccia cercando Te. Avrei sempre camminato fino a trovarti…”.
“Non camminare più altro che per tornare a casa, al lavoro sereno. Tua figlia è guarita perché Io lo voglio. Va’ in pace”.
La donna guarda la figlia e guarda Gesù. Forse spera di vedere tornare grassa e colorita la fanciulla all’istante. Anche la fanciulla sgrana i suoi occhi stanchi, che prima teneva chiusi, in volto a Gesù e sorride.
“Non temere, donna. Non ti inganno. La febbre è sparita per sempre. Di giorno in giorno ella tornerà fiorente. Lasciala andare. Non barcollerà più e non sentirà stanchezza”.
La madre posa al suolo la fanciulla, che sta ben ritta e sorride sempre più giuliva. Infine trilla con la sua voce argentina: “Benedici il Signore, mamma! Sono ben guarita! Lo sento”, e nella sua semplicità di pastorella e di fanciulla si lancia al collo di Gesù e lo bacia. La madre, riservata come l’età insegna, si prostra e bacia la veste benedicendo il Signore.
“Andate. Ricordatevi del beneficio avuto da Dio e siate buone. La pace sia con voi”.
Ma la gente si affolla già nell’orticello della casa di Elia e reclama la parola del Maestro. E per quanto Gesù non abbia molta voglia di farlo, addolorato come è per la cattura, e per il modo come è avvenuta, del Battista, pure si arrende e all’ombra degli alberi inizia a parlare.
“Ancora in questo bel tempo di grani che spigano, Io vi voglio proporre una parabola presa dai grani. Udite.
Il Regno dei Cieli è simile ad un uomo che seminò buon seme nel suo campo. Ma, mentre l’uomo e i suoi servi dormivano, venne un suo nemico e sparse seme di loglio sui solchi e poi se ne andò. Nessuno sul principio si accorse di nulla. Venne l’inverno con le piogge e le brine, venne la fine di tebet e germogliò il grano. Un verde tenero di foglioline appena spuntate. Parevano tutte uguali nella loro infanzia innocente. Venne scebat e poi adar e si formarono le piante e poi granirono le spighe. Si vide allora che il verde non era tutto grano ma anche loglio, ben avviticchiato coi suoi vilucchi sottili e tenaci agli steli del grano.
I servi del padrone andarono alla sua casa e dissero: “Signore, che seme hai seminato? Non era seme eletto, mondo da ogni altro seme che grano non fosse?”.
“Certo che lo era. Io ne ho scelto i chicchi tutti uguali di formazione. E avrei visto se vi fossero stati altri semi”.
“E come allora è nato tanto loglio fra il tuo grano?”.
Il padrone pensò, poi disse: “Qualche nemico mio mi ha fatto questo per farmi danno”.
I servi chiesero allora: “Vuoi che andiamo fra i solchi e con pazienza liberiamo le spighe dal loglio, strappando quest’ultimo? Ordina e lo faremo”.
Ma il padrone rispose: “No. Potreste nel farlo estirpare anche il grano e quasi sicuramente offendere le spighe ancora tenerelle. Lasciate che l’uno e l’altro stiano insieme fino alla mietitura. Allora io dirò ai mietitori: ‘Falciate tutto insieme; poi, avanti di legare i covoni, ora che il seccume ha fatto friabili i vilucchi del loglio mentre più robuste e dure sono le serrate spighe, scegliete il loglio dal grano e fatene fasci a parte. Li brucerete poi e faranno concime al suolo. Mentre il buon grano lo porterete nei granai e servirà ad ottimo pane con scorno del nemico, che avrà guadagnato solo di esser abbietto a Dio col suo livore’”.
Ora riflettete fra voi quanto sovente avvenga e numerosa sia la semina del Nemico nei vostri cuori. E comprendete come occorra vigilare con pazienza e costanza per fare sì che poco loglio si mescoli al grano eletto. La sorte del loglio è di ardere. Volete voi ardere o divenire cittadini del Regno? Voi dite che volete essere cittadini del Regno. Ebbene, sappiatelo essere. Il buon Dio vi dà la Parola. Il Nemico vigila per renderla nociva, poiché farina di grano mescolata a farina di loglio dà pane amaro e nocivo al ventre. Sappiate col buon volere, se loglio è nell’anima vostra, sceglierlo per gettarlo onde non essere indegni di Dio.
Andate, figli. La pace sia con voi”.
La gente sfolla lentamente. Nell’orto restano gli otto apostoli più Elia, suo fratello, la madre e il vecchio Isacco, che si pasce l’anima nel guardarsi il suo Salvatore.
“Venitemi intorno e udite. Vi spiego il senso completo della parabola, che ha due aspetti ancora, oltre quello detto alla folla.
Nel senso universale la parabola ha questa applicazione: il campo è il mondo. Il buon seme sono i figli del Regno di Dio, seminati da Dio sul mondo in attesa di giungere al loro limite ed essere recisi dalla Falciatrice e portati al Padrone del mondo, perché li riponga nei suoi granai. Il loglio sono i figli del Maligno, sparsi a loro volta sul campo di Dio nell’intento di dare pena al Padrone del mondo e di nuocere anche alle spighe di Dio. Il Nemico di Dio li ha, per un sortilegio, seminati apposta, perché veramente il Diavolo snatura l’uomo fino a farne una sua creatura, e questa semina, per traviare altri che non ha potuto asservire altrimenti. La mietitura, anzi la formazione dei covoni e il trasporto degli stessi ai granai, è la fine del mondo, e coloro che la compiono sono gli angeli. A loro è ordinato di radunare le falciate creature e separare il grano dal loglio e, come nella parabola questo si brucia, così verranno bruciati nel fuoco eterno i dannati, all’Ultimo Giudizio.
Il Figlio dell’uomo manderà a togliere dal suo Regno tutti gli operatori di scandali e di iniquità. Perché allora il Regno sarà e in Terra e in Cielo, e fra i cittadini del Regno sulla Terra saranno mescolati molti figli del Nemico. Questi raggiungeranno, come è detto anche dai Profeti, la perfezione dello scandalo e dell’abominio in ogni ministero della Terra, e daranno fiera noia ai figli dello spirito. Nel Regno di Dio, nei Cieli, già saranno stati espulsi i corrotti, perché corruzione non entra in Cielo. Ora dunque gli angeli del Signore, menando la falce fra le schiere dell’ultimo raccolto, falceranno e separeranno il grano dal loglio e getteranno questo nella fornace ardente dove è pianto e stridor di denti, portando invece i giusti, l’eletto grano, nella Gerusalemme eterna dove essi splenderanno come soli nel Regno del Padre mio e vostro.
Questo nel senso universale. Ma per voi ve ne è un altro ancora, che risponde alle domande che più volte, e specie da ieri sera, vi fate. Voi vi chiedete: “Ma dunque fra la massa dei discepoli possono essere dei traditori?”, e fremete in cuor vostro di orrore e di paura. Ve ne possono essere. Ve ne sono certo.
Il seminatore sparge il buon seme. In questo caso, più che spargere, si potrebbe dire: “coglie”. Perché il maestro, sia che sia Io o sia che fosse il Battista, aveva scelto i suoi discepoli. Come allora si sono traviati? No, anzi. Male ho detto dicendo “seme” i discepoli. Voi potreste capire male. Dirò allora “campo”. Tanti discepoli tanti campi, scelti dal maestro per costituire l’area del Regno di Dio, i beni di Dio. Su essi il maestro si affatica per coltivarli, acciò diano il cento per cento. Tutte le cure. Tutte. Con pazienza. Con amore. Con sapienza. Con fatica. Con costanza. Vede anche le loro tendenze malvagie. Le loro aridità e le loro avidità. Vede le loro testardaggini e le loro debolezze. Ma spera, spera sempre e corrobora la sua speranza con la preghiera e la penitenza, perché li vuole portare alla perfezione.
Ma i campi sono aperti. Non sono un chiuso giardino cinto da mura di fortezza, di cui sia padrone solo il maestro e in cui solo lui possa penetrare. Sono aperti. Messi al centro del mondo, fra il mondo, tutti li possono avvicinare, tutti vi possono penetrare. Tutti e tutto. Oh! non è il loglio solo il mal seme seminato! Il loglio potrebbe essere simbolo della leggerezza amara dello spirito del mondo. Ma vi nascono, gettati dal Nemico, tutti gli altri semi. Ecco le ortiche. Ecco le gramigne. Ecco le cuscute. Ecco i vilucchi. Ecco infine le cicute e i tossici. Perché? Perché? Che sono?
Le ortiche: gli spiriti pungenti, indomabili, che feriscono per sovrabbondanza di veleni e danno tanto disagio. Le gramigne: i parassiti che sfiniscono il maestro senza saper fare altro che strisciare e succhiare, godendo del lavoro di lui e nuocendo ai volonterosi, che veramente trarrebbero maggior frutto se il maestro fosse non turbato e distratto dalle cure che esigono le gramigne. I vilucchi inerti che non si alzano da terra che fruendo degli altri. Le cuscute: tormento sulla via già penosa del maestro e tormento ai discepoli fedeli che lo seguono. Si uncinano, si conficcano, lacerano, graffiano, mettono diffidenza e sofferenza. I tossici: i delinquenti fra i discepoli, coloro che giungono a tradire e a spegnere la vita come le cicute e le altre piante tossiche. Avete mai visto come sono belle coi loro fiorellini che poi divengono palline bianche, rosse, celeste-viola? Chi direbbe che quella corolla stellare, candida o appena rosata, col suo cuoricino d’oro, chi che quei coralli multicolori, tanto simili ad altri frutticini che sono la delizia degli uccelli e dei pargoli, possano, giunti a maturazione, dare morte? Nessuno. E gli innocenti ci cascano. Credono tutti buoni come loro… e ne colgono e muoiono.
Credono tutti buoni come loro! Oh! che verità che sublima il maestro e che condanna il suo traditore! Come? La bontà non disarma? Non rende il malvolere innocuo? No. Non lo rende tale, perché l’uomo caduto preda del Nemico è insensibile a tutto ciò che è superiore. E ogni superiore cosa cambia per lui aspetto. La bontà diviene debolezza che è lecito calpestare e acuisce il suo malvolere come acuisce la voglia di sgozzare, in una fiera, il sentire l’odore del sangue. Anche il maestro è sempre un innocente… e lascia che il suo traditore lo avveleni, perché non vuole e non può lasciar pensare agli altri che un uomo giunga ad essere micidiale a chi è innocente.
Nei discepoli, i campi del maestro, vengono i nemici. Sono tanti. Il primo è Satana. Gli altri i suoi servi, ossia gli uomini, le passioni, il mondo e la carne. Ecco, ecco il discepolo più facile ad essere percosso da essi perché non sta tutto presso al maestro, ma sta a cavaliere fra il maestro e il mondo. Non sa, non vuole separarsi tutto da ciò che è mondo, carne, passioni e demonio, per essere tutto di chi lo porta a Dio. Su questo spargono i loro semi e mondo e carne, e passioni e demonio. L’oro, il potere, la donna, l’orgoglio, la paura di un mal giudizio del mondo e lo spirito di utilitarismo. “I grandi sono i più forti. Ecco che io li servo per averli amici”. E si diventa delinquenti e dannati per queste misere cose!…
Perché il maestro, che vede l’imperfezione del discepolo, anche se non vuole arrendersi al pensiero: “Costui sarà il mio uccisore”, non lo estirpa subito dalle sue file? Questo voi vi chiedete.
Perché è inutile farlo. Se lo facesse non impedirebbe di averlo nemico, doppiamente e più sveltamente nemico per la rabbia o il dolore di essere scoperto o di essere cacciato. Dolore. Sì. Perché delle volte il cattivo discepolo non si avvede di essere tale. È tanto sottile l’opera demoniaca che egli non l’avverte. Si indemonia senza sospettare di essere soggetto a questa operazione. Rabbia. Sì. Rabbia per essere conosciuto per quello che è, quando egli non è incosciente del lavoro di Satana e dei suoi adepti: gli uomini che tentano il debole nelle sue debolezze per levare dal mondo il santo che li offende, nelle loro malvagità, con il paragone della sua bontà.
E allora il santo prega e si abbandona a Dio. “Ciò che Tu permetti si faccia, sia fatto”, dice. Solo aggiunge questa clausola: “purché serva al tuo fine”. Il santo sa che verrà l’ora in cui verranno espulsi dalle sue messi i logli malvagi. Da chi? Da Dio stesso, che non permette oltre di quanto è utile al trionfo della sua volontà d’amore”.
“Ma se Tu ammetti che sempre è Satana, e gli adepti di lui… mi sembra che la responsabilità del discepolo scemi”, dice Matteo.
“Non te lo pensare. Se il Male esiste, esiste anche il Bene, ed esiste nell’uomo il discernimento e con esso la libertà”.
“Tu dici che Dio non permette oltre di quanto è utile al trionfo della sua volontà d’amore. Dunque anche questo errore è utile, se Egli lo permette, e serve ad un trionfo di volontà divina”, dice l’Iscariota.
“E tu arguisci, come Matteo, che ciò giustifica il delitto del discepolo. Dio aveva creato il leone senza ferocia e il serpente senza veleno. Ora l’uno è feroce e l’altro è velenoso. Ma Dio li ha separati dall’uomo per ciò. Medita su questo e applica. Andiamo nella casa. Il sole è già forte, troppo. Come per inizio di temporale. E voi siete stanchi della notte insonne”.
“La casa ha la stanza alta, ampia e fresca. Potrete riposare”, dice Elia.
Salgono per la scala esterna. Ma solo gli apostoli si stendono sulle stuoie per riposare. Gesù esce sulla terrazza, ombreggiata in un angolo da un altissimo rovere, e si assorbe nei suoi pensieri.

Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/