domenica 20 luglio 2014

Importanza dei sacramenti – Matrimonio e Prima Santa Comunione


6 luglio 2011 – Importanza dei sacramenti – Matrimonio e Prima Santa Comunione

Mia amata figlia prediletta, osserva adesso come la fede dei Miei figli comincia a crescere e a fiorire.
Mentre nel mondo vi è molta oscurità, la luce dei Miei seguaci diventa di giorno in giorno più luminosa a causa della fiamma dello Spirito Santo che è disceso su tutto il mondo.
Oggi, figlia Mia, vorrei ricordare a tutti i Miei seguaci l’importanza della preghiera nell’alleviare la sofferenza nel mondo. Le vostre preghiere adesso stanno aiutando a scongiurare molti dei disastri globali profetizzati. La preghiera è il più potente lenitivo, e quando viene recitata per conto di altri, questi avranno una risposta.
Mentre sono felice per coloro che hanno una fede salda, sono ancora impaurito per coloro che sono ostili alla Mia Luce Divina. E’ la verità. Molte persone stanno vagando per il mondo come in uno stato di torpore. Nulla dà loro pace. Nulla dà loro gioia. Nessuna quantità di benessere materiale allevia il loro dolore. Le loro anime vuote sono perse. Vi chiedo di pregare per loro.
Figlia Mia, ti chiedo di pregare per il Mio Vicario Papa Benedetto perché è circondato da forze massoniche che ora stanno facendo di tutto per detronizzarlo; queste forze del male si sono infiltrate nella Mia Chiesa sin dal Concilio Vaticano II e hanno indebolito i Miei insegnamenti. Sono state approvate molte leggi che Mi offendono, in particolare la presentazione della Mia Santa Eucarestia da parte di laici. La mancanza di rispetto mostrata a Me e al Mio Eterno Padre attraverso nuove leggi intese ad agevolare la società moderna, Mi hanno fatto piangere di tristezza.
La Santissima Eucaristia deve essere ricevuta sulla lingua e non contaminata da mani umane. Eppure, questo è esattamente ciò che i Miei Servi Sacri hanno fatto. Queste leggi non sono state approvate da Me nello Spirito. I Miei servi sacri sono stati condotti lungo un sentiero non in linea con gli insegnamenti dei Miei apostoli. Oggi i Miei sacramenti non sono presi molto sul serio, soprattutto da coloro che chiedono i sacramenti del Matrimonio e della Prima Comunione.
Il voto del Matrimonio è molto serio perché, ricordatelo, è un sacramento ed è fatto in presenza di Dio Padre. Eppure, per molti è tutto un fatto di materialismo e di orpelli esteriori. Molti di coloro che ricevono il Sacramento del Matrimonio non riconoscono in seguito la sua importanza. Molti rompono i loro voti così facilmente. Perché lo fanno? Perché si impegnano a parole in questa Unione Santissima e solo in parte subito dopo? Questa è un oltraggio a una delle più importanti unioni benedette dalla Mano del Mio Padre Eterno. Molte persone non prestano alcuna attenzione alla volontà del Padre Mio secondo la quale nessun uomo osi fare a pezzi una tale unione in seguito. Eppure molti ricorrono al divorzio, che è una legge non riconosciuta dal Padre Mio. Il divorzio è un modo semplice per fuggire dalle vostre responsabilità. Tutti i matrimoni sono celebrati in Cielo. Nessun uomo può distruggere un matrimonio senza offendere il Padre Mio.

Prima Comunione
Il modo di ricevere il Mio corpo nel Sacramento dell’Eucaristia per la prima volta, è un altro esempio di come Io vengo deriso. Così tanti sono i genitori che non tengono conto dell’importanza per i loro bambini di ricevere il Pane della Vita. Sono più interessati a come i loro figli sono ben vestiti piuttosto che al dono meraviglioso che stanno ricevendo. Questo dono li porterà alla salvezza. Ma il materialismo che circonda l’evento non ha nulla a che fare con le loro anime. 

Per Me il lato più triste è che a questi bambini non viene detto nulla su di Me. L’amore che Io ho per i bambini è onnicomprensivo. Quando ricevono la Santa Eucaristia, nella piena consapevolezza di ciò che stanno ricevendo, allora le loro anime diventano pure. Più Mi ricevono in questo modo, più sarà forte la loro fede.

Ricordate che senza i sacramenti la vostra fede si indebolisce. Se la vostra anima per un po’ di tempo resta priva delle Mie benedizioni speciali, diventa dormiente: tutta la fede in Me e nel Mio Eterno Padre scompare nel tempo lasciando solo un piccolo lumicino di riconoscimento a divampare di volta in volta.
Ritornate a Me attraverso i sacramenti. Mostrate il dovuto rispetto per i Sacramenti e riuscirete veramente a sentire la Mia presenza di nuovo.
Ricordate che i sacramenti stanno lì per un motivo: perché sono il nutrimento necessario per la vita eterna dell’anima. Senza di essi la vostra anima morirà.
Vi amo tutti. Vi chiedo di abbracciarMi nel modo giusto, rispettando i sacramenti che vi sono stati dati come un dono da Dio Padre Onnipotente.
Il Vostro Salvatore che vi ama
Re dell’Umanità
Gesù Cristo

SURSUM CORDA! = IN ALTO I NOSTRI CUORI!

Il divino eloquentissimo silenzio del canone

di don Alfredo M. Morselli 

Ave Maria! 

"Noi ordiniamo a tutti i Vescovi e ai sacerdoti di non più fare in silenzio, ma in modo da essere uditi dal popolo fedele, la divina oblazione, così come la preghiera che accompagna il battesimo: lo spirito degli uditori ne potrà ricavare una maggior devozione, un nuovo ardore per lodare e benedire Dio. 
Questo è l'insegnamento del divino Apostolo, nella sua prima lettera ai Corinti" 
No, non è il Vaticano II - che non ha prescritto di recitare il canone diversamente da come si e fatto per secoli e secoli - (anche il canone a voce alta è una delle tante cose che si attribuiscono spesso al Concilio e che il Concilio non ha mai detto, al pari dell'abolizione del latino, della celebrazione cosiddetta verso il popolo, della S. Comunione in mano e non in ginocchio, delle chitarre, della creatività liturgica etc.). 

Il testo suddetto è uno stralcio di un decreto dell'imperatore Giustiniano, il quale, inascoltato in vita, sembra essersi ripreso la rivincita 1400 anni dopo la sua morte (cit. in L. Thomassin, Traité de l'Office divin dans ses rapports avec l'oraison mentale, 1688; abbiamo consultato l'edizione del 1894, a c. dei benedettini di Ligugé: il testo citato è a p. 105-106). 

Questo decreto conferma l'antica prassi, così ben descritta nelle Costituzioni apostoliche, secondo la quale al momento in cui "il sacrifico comincia… i fedeli pregano nel segreto del loro cuore; poi, quando la preghiera è terminata, sono ammessi alla partecipazione al Corpo e al Sangue del Signore".
Del resto, Giustiniano non ha argomenti o esempi di prassi precedente su cui appoggiarsi: egli cita, fuori luogo, San Paolo, precisamente 1 Cor 14; in questo passo l'Apostolo mette in guardia uomini di parlare ad altri uomini in modo loro incomprensibile, ma non si tratta qui delle preghiera eucaristica, bensì di fraterna esortazione vicendevole o parola carismatica.
Il grande teologo oratoriano francese Luis Thomassin (1619-1695) così spiega: "Se un uomo non deve esortare un fratello in modo incomprensibile, Dio infinito e ineffabile ha bene il diritto e la gioia di donarci, nel più augusto dei sacramenti, delle cose superiori alla nostra intelligenza, a cui dobbiamo prestare particolare ossequio" (Traité de l'Office divin, p. 106). 
Lo stesso Thomassin nota che Giustiniano non aveva altri argomenti se non quello debolissimo di 1 Cor: se avesse avuto una pezza di appoggio nella prassi di qualche importante chiesa, la avrebbe senz'altro usata.

Ma che cosa ha spinto i santi Padri a non seguire il decreto di Giustiniano? 
Perché contravvennero platealmente il decreto del potente imperatore? 
Qual era la loro forma mentis? 
Quali i loro argomenti?

I motivi erano sostanzialmente due: da una parte l'idea della preghiera come azione divina nell'uomo, piuttosto che azione umana; vedremo in seguito come non era ancora avvenuta la frattura - tutta moderna - tra liturgia e orazione mentale.
Dall'altra, la consapevolezza della sublimità del mistero che si attua nel Sacrificio Eucaristico.
Vediamo ora il primo punto, e partiamo dall'invito rivolto ai fedeli dal celebrante all'inizio della preghiera eucaristica: sursum corda, in alto i cuori. 
Qui non si tratta dei cuori intesi come sede del sentimento, bensì della mens, ovvero della parte alta o fondo dell'anima. 
La partecipazione alla liturgia non può essere disgiunta dall'orazione mentale, da quello stato in cui si trova l'anima che vuol essere obbediente al comandamento del Signore secondo il quale è necessario pregare sempre.
Così afferma s. Clemente Alessandrino: "Sia che si trovi in cammino, sia che parli, sia che lavori secondo le luci e le norme della legge eterna, [il giusto] prega continuamente. Giacché il santuario più abituale della sua orazione è il fondo del suo cuore, dove custodisce i gemiti e i desideri che s'innalzano fino al trono del Padre celeste" (Stromata, VII, MG IX, 470, cit. in Traité de l'Office divin, p. 16-17).

E San Basilio chiedendosi come sia possibile, stando al versetto semper laus eius in ore meo (Ps 33,2), che la nostra bocca faccia sempre risuonare la lode del Signore, afferma che noi abbiamo una sorta di bocca interiore e spirituale attraverso la quale possiamo assimilare la parola divina, la verità e il Verbo stesso: è questa la bocca che Dio ci ordina di tenere sempre aperta, per ricevere il cibo incorruttibile della verità eterna.
L'impressione che la verità e la carità di Dio hanno compiuto nei nostri cuori sussiste stabilmente nella nostra anima, e ne costituisce veramente una santissima preghiera (In Ps. XXXIII, MG XXIX, 354, cit. in Traité de l'Office divin, p. 18) .
Questa preghiera, secondo S. Agostino, non è altro che lo Spirito Santo, Carità che prega in noi, che abita nei nostri cuori, da dove fa salire verso il cielo un'orazione ininterrotta (In Ep. Joann., tract. VI, ML XXXV, 2024, cit. in Traité de l'Office divin, p. 24)
La predicazione e la salmodia hanno il compito di risvegliare questa preghiera muta, ma il cui silenzio permette che si realizzi nella sua profonda e massima attività, in quanto attività divina in noi.

Allora cosa significa sursum corda?
 
Che la vostra anima ora si inabissi nel mistero, che sia la bocca spirituale che si nutre delle grazie del Sacrificio e che non lasci fuoriuscire parole umane, ma solo l'inesprimibile gemito dello Spirito Santo, Carità increata diffusa nei nostri cuori. 
Che non ci sia parola umana frammezzo alla Grazia del mistero che discende da Dio e che a Lui risale dai nostri cuori… 

Hai dilatato il mio cuore - dice il Salmo 118,32 -, perché l'orecchio di carne non può intendere (occhio non vide e orecchio non udì) il mistero che si celebra, e qualunque suono entri, in questo momento, nell'orecchio naturale, toglierebbe spazio al nutrimento celeste. 

Non è forse questo l'orecchio che il Signore ci ha aperto toccando quello del sordomuto? 
E non è forse la lingua del cuore - ovvero la possibilità al nostro cuore di essere la lingua dei gemiti inesprimibili dello Spirito Santo -, quella che Gesù ci ha sciolto, intimando effatá alla vecchia lingua annodata dal peccato originale?
E non si dica che il popolo non capisce!
Proprio perché si capisce quel poco che si può capire della sublimità del mistero, ci si rifiuta di ingabbiarlo o di ridurlo a mera comprensione discorsiva; la ragione non è però affatto esclusa quando comprende che deve fermarsi e cedere il passo a una conoscenza intuitiva, sempre razionale, ma più simile quella degli angeli e dei beati in Paradiso. 

Amare conclusioni. 

1) Mai come in questo caso è vera quella battuta che dice che mentre Gesù ha fatto il discorso della montagna, i preti fanno una montagna di discorsi; e passino tutti i consigli pastorali, presbiterali, vicariali, inter-qui, inter-là, inter-su e jnter-giù. 
Anche se talvolta è tempo rubato all'Adorazione Eucaristica, almeno il popolo di Dio non è defraudato della possibilità di ascoltare quel Dio che parla non in commotione, ma nel silenzio: si tratta infatti di riunione di addetti ai lavori e operatori pastorali, che se la raccontano tra di loro, mentre fuori dalla sala delle riunioni il mondo va a rotoli. Invece, le tante monizioni abusive e la recita ad alta voce delle poche preghiere che dovrebbero essere recitate in silenzio anche nella nuova Messa, uniti al canone a voce alta, mostrano la frattura post-conciliare tra liturgia e orazione mentale, la riduzione razionalista e giansenista della liturgia. 

2) Una delle parole d'ordine del post-concilio è ressourcement, termine a ragione usato da De Lubac e dal pur discutibile movimento della Nouvelle Théologie: in sé il termine è giustissimo se inteso come necessità della sacra doctrina di ritornare incessantemente alle fonti, pena scadere in una teologia razionalisteggiante. 
Ma, in pratica a quale ressourcement abbiamo assistito? 
Che l'esegesi mette dubbi sulla storicità di Gesù Cristo (monumentale la fatica di Benedetto XVI - vero Davide contro Golia, fionda contro le atomiche dell'intellighenzia - scarsa - accademica dominante: con quei suoi tre preziosi volumetti su Gesù ha dettato le linee per i veri esegeti del futuro), e che - per quanto riguarda i Padri -, questi vengono ignorati e declassati a uomini del loro tempo quando sono in contrasto con l'ideologia dominante neomodernista.
Fanno comodo solo quando una qualche loro frase fuori contesto può essere usata contro la Tradizione. 

3) È cambiata la liturgia, perché è cambiata la teologia della preghiera: non si prega più come prima non solo perché sono state anacquate e rimodernate tante preghiere dell'antico messale (nel nuovo benedizionale non si nomina una volta sola il demonio, e l'acqua benedetta è solo un ricordo del battesimo: anacquata in tutti i sensi), ma perché si è ridotta la preghiera a prodotto dell'uomo a lui comprensibile. 
Ed è cambiata la teologia della preghiera perché è cambiata la teologia della grazia. 
Ma questo è un argomento che richiede ben altri approfondimenti, che spero altri più competenti di me possano fare, pur proponendomi di fare la mia modesta parte nei prossimi mesi.

sabato 19 luglio 2014

I santi Martiri di Gorcum

I santi Martiri di Gorcum, testimoni della Presenza Reale di Cristo nell'Eucaristia e dell'Autorità della Chiesa di Roma

Il 9 luglio la Chiesa commemora i 19 Martiri, sacerdoti e religiosi, martirizzati in questo giorno nell'anno 1572 dagli eretici calvinisti in odio alla fede nell'Eucaristia ed alla Chiesa di Roma, canonizzati dal Beato Pio IX nel 1867.

Anthonius Brouwer, Gli ultimi momenti dei martiri di Gorkum, 1879 circa, Biblioteca Nazionale dei Paesi Bassi



Cesare Fracassini, Martiri di Gorcum, 1858, Musei Vaticani, Città del Vaticano, Roma


J. Zier Neels, Martiri di Gorcum, 1675

Abraham van Diepenbeeck - Jacob Neefs, Martiri di Gorcum, 1620-60, Biblioteca Nazionale dei Paesi Bassi

Johan Zierneels, Apoteosi dei martiri di Gorcum, 1675, Rijksmuseum Amsterdam



Luis Berrueco, Martiri di Gorcum, 1731, Puebla, Messico

Domenica 20 Luglio 2014, XVI Domenica del Tempo Ordinario - Anno A



"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta

Domenica 20 Luglio 2014, XVI Domenica del Tempo Ordinario - Anno A

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Matteo 13, 24-43.
Un'altra parabola espose loro così: «Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo.
Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò.
Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania.
Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania?
Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo. E i servi gli dissero: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla?
No, rispose, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano.
Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio».
Un'altra parabola espose loro: «Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo.
Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami».
Un'altra parabola disse loro: «Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti».
Tutte queste cose Gesù disse alla folla in parabole e non parlava ad essa se non in parabole,
perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta: Aprirò la mia bocca in parabole, proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo.
Poi Gesù lasciò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si accostarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo».
Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell'uomo.
Il campo è il mondo. Il seme buono sono i figli del regno; la zizzania sono i figli del maligno,
e il nemico che l'ha seminata è il diavolo. La mietitura rappresenta la fine del mondo, e i mietitori sono gli angeli.
Come dunque si raccoglie la zizzania e si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo.
Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità
e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti.
Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, intenda!
Traduzione liturgica della Bibbia


Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" 
di Maria Valtorta : Volume 3 Capitolo 181 pagina 171.

Un’alba chiara imperla il lago e fascia i colli di una nebbia leggera come velo di mussola da cui appaiono, ingentiliti, ulivi e noci, e case e dossi dei paesi del lago. Le barche scivolano quiete e silenziose, dirette verso Cafarnao. Ma ad un certo punto Pietro piega la barra del timone così rudemente che la barca si inchina da un lato.
“Che fai?”, chiede Andrea.
“C’è la barca di un gufo. Esce ora da Cafarnao. Ho buoni occhi e, da ieri sera, fiuto di segugio. Non voglio che ci vedano. Torno al fiume. Andremo a piedi”.
Anche l’altra barca ha seguito la manovra, ma Giacomo, che regge il timone, chiede a Pietro: “Perché fai questo?”.
“Te lo dirò. Vienimi dietro”.
Gesù, che è seduto a poppa, si riscuote quando è quasi al-l’altezza del Giordano. “Ma che fai, Simone?”, chiede.
“Si scende qui. C’è uno sciacallo in giro. Non si può andare a Cafarnao oggi. Prima vado io a sentire un poco. Io con Simone e Natanaele. Tre degne persone contro tre indegne persone… se pure le indegne non saranno di più”.
“Non vedere insidie da tutte le parti, ora! Quella non è la barca di Simone il fariseo?”.
“È proprio quella”.
“Non c’era alla cattura di Giovanni”.
“Non so niente io”.
“È sempre rispettoso verso di Me”.
“Non so niente io”.
“Mi fai parere vile”.
“Non so niente io”.
Per quanto Gesù non abbia voglia di ridere, deve sorridere per la santa cocciutaggine di Pietro.
“Ma a Cafarnao dovremo pure andare. Se non oggi, più tardi…”.
“Ti ho detto che vado prima io e sento e… all’occorrenza… farò anche questa… sarà una grossa spina da inghiottire… ma lo farò per amore di Te… Andrò… andrò dal centurione a chiedere protezione…”.
“Ma no! Non occorre!”.
La barca si arresta sulla spiaggetta deserta, opposta a Betsaida. Scendono tutti.
“Venite voi due. Vieni anche te, Filippo. Voi giovani state qui. Faremo presto”.
Il neo discepolo Elia prega: “Vieni in casa mia, Maestro. Ne sarei tanto felice di ospitarti…”.
“Vengo. Simone, mi raggiungerai alla casa di Elia. Addio, Simone. Va’. Ma sii buono, prudente e misericordioso. Vieni, che ti baci e benedica”.
Pietro non assicura di essere né buono, né paziente, né misericordioso. Tace e scambia il bacio col suo Maestro. Anche lo Zelote, Bartolomeo e Filippo scambiano il bacio di addio e le due comitive si separano andando in opposta direzione.
Entrano in Corozim che l’aurora è già finita in giorno pieno. Non vi è stelo che non brilli per gemme di rugiada. Gli uccelli cantano per ogni dove. Vi è un’aria pura, fresca, che pare sappia persino di latte, di un latte più vegetale che animale. L’odore dei grani che si formano nelle spighe, dei mandorleti carichi di frutti… un odore che ho sentito nelle fresche mattine nei campi opimi della pianura padana.
La casa di Elia è presto raggiunta. Ma già molti in Corozim sanno che è giunto il Maestro e, mentre Gesù sta per porre piede sulla soglia, una madre accorre gridando: “Gesù, Figlio di Davide, pietà della mia creatura!”. Ha sulle braccia una fanciulla di un dieci anni circa, cerea e magrissima. Più che cerea, giallastra.
“Che ha tua figlia?”.
“Le febbri. Le ha prese alla pastura lungo il Giordano. Perché siamo i pastori di un ricco. Io sono stata chiamata dal padre presso la bambina ammalata. Egli ora è tornato ai monti. Ma Tu sai che con questo male non si può passare in luoghi alti. Come posso stare qui? Il padrone mi ha lasciata fino ad ora. Ma io sono alle lane e alle figliate. Viene il tempo del lavoro per noi pastori. Saremo licenziati o divisi se io resto. Vedrò morire la figlia se vado all’Hermon”.
“Hai fede che Io possa?”.
“Ho parlato con Daniele pastore di Eliseo. Mi ha detto: “Il nostro Bambino guarisce ogni male. Vai dal Messia”. Da oltre Meron sono venuta con questa fra le braccia cercando Te. Avrei sempre camminato fino a trovarti…”.
“Non camminare più altro che per tornare a casa, al lavoro sereno. Tua figlia è guarita perché Io lo voglio. Va’ in pace”.
La donna guarda la figlia e guarda Gesù. Forse spera di vedere tornare grassa e colorita la fanciulla all’istante. Anche la fanciulla sgrana i suoi occhi stanchi, che prima teneva chiusi, in volto a Gesù e sorride.
“Non temere, donna. Non ti inganno. La febbre è sparita per sempre. Di giorno in giorno ella tornerà fiorente. Lasciala andare. Non barcollerà più e non sentirà stanchezza”.
La madre posa al suolo la fanciulla, che sta ben ritta e sorride sempre più giuliva. Infine trilla con la sua voce argentina: “Benedici il Signore, mamma! Sono ben guarita! Lo sento”, e nella sua semplicità di pastorella e di fanciulla si lancia al collo di Gesù e lo bacia. La madre, riservata come l’età insegna, si prostra e bacia la veste benedicendo il Signore.
“Andate. Ricordatevi del beneficio avuto da Dio e siate buone. La pace sia con voi”.
Ma la gente si affolla già nell’orticello della casa di Elia e reclama la parola del Maestro. E per quanto Gesù non abbia molta voglia di farlo, addolorato come è per la cattura, e per il modo come è avvenuta, del Battista, pure si arrende e all’ombra degli alberi inizia a parlare.
“Ancora in questo bel tempo di grani che spigano, Io vi voglio proporre una parabola presa dai grani. Udite.
Il Regno dei Cieli è simile ad un uomo che seminò buon seme nel suo campo. Ma, mentre l’uomo e i suoi servi dormivano, venne un suo nemico e sparse seme di loglio sui solchi e poi se ne andò. Nessuno sul principio si accorse di nulla. Venne l’inverno con le piogge e le brine, venne la fine di tebet e germogliò il grano. Un verde tenero di foglioline appena spuntate. Parevano tutte uguali nella loro infanzia innocente. Venne scebat e poi adar e si formarono le piante e poi granirono le spighe. Si vide allora che il verde non era tutto grano ma anche loglio, ben avviticchiato coi suoi vilucchi sottili e tenaci agli steli del grano.
I servi del padrone andarono alla sua casa e dissero: “Signore, che seme hai seminato? Non era seme eletto, mondo da ogni altro seme che grano non fosse?”.
“Certo che lo era. Io ne ho scelto i chicchi tutti uguali di formazione. E avrei visto se vi fossero stati altri semi”.
“E come allora è nato tanto loglio fra il tuo grano?”.
Il padrone pensò, poi disse: “Qualche nemico mio mi ha fatto questo per farmi danno”.
I servi chiesero allora: “Vuoi che andiamo fra i solchi e con pazienza liberiamo le spighe dal loglio, strappando quest’ultimo? Ordina e lo faremo”.
Ma il padrone rispose: “No. Potreste nel farlo estirpare anche il grano e quasi sicuramente offendere le spighe ancora tenerelle. Lasciate che l’uno e l’altro stiano insieme fino alla mietitura. Allora io dirò ai mietitori: ‘Falciate tutto insieme; poi, avanti di legare i covoni, ora che il seccume ha fatto friabili i vilucchi del loglio mentre più robuste e dure sono le serrate spighe, scegliete il loglio dal grano e fatene fasci a parte. Li brucerete poi e faranno concime al suolo. Mentre il buon grano lo porterete nei granai e servirà ad ottimo pane con scorno del nemico, che avrà guadagnato solo di esser abbietto a Dio col suo livore’”.
Ora riflettete fra voi quanto sovente avvenga e numerosa sia la semina del Nemico nei vostri cuori. E comprendete come occorra vigilare con pazienza e costanza per fare sì che poco loglio si mescoli al grano eletto. La sorte del loglio è di ardere. Volete voi ardere o divenire cittadini del Regno? Voi dite che volete essere cittadini del Regno. Ebbene, sappiatelo essere. Il buon Dio vi dà la Parola. Il Nemico vigila per renderla nociva, poiché farina di grano mescolata a farina di loglio dà pane amaro e nocivo al ventre. Sappiate col buon volere, se loglio è nell’anima vostra, sceglierlo per gettarlo onde non essere indegni di Dio.
Andate, figli. La pace sia con voi”.
La gente sfolla lentamente. Nell’orto restano gli otto apostoli più Elia, suo fratello, la madre e il vecchio Isacco, che si pasce l’anima nel guardarsi il suo Salvatore.
“Venitemi intorno e udite. Vi spiego il senso completo della parabola, che ha due aspetti ancora, oltre quello detto alla folla.
Nel senso universale la parabola ha questa applicazione: il campo è il mondo. Il buon seme sono i figli del Regno di Dio, seminati da Dio sul mondo in attesa di giungere al loro limite ed essere recisi dalla Falciatrice e portati al Padrone del mondo, perché li riponga nei suoi granai. Il loglio sono i figli del Maligno, sparsi a loro volta sul campo di Dio nell’intento di dare pena al Padrone del mondo e di nuocere anche alle spighe di Dio. Il Nemico di Dio li ha, per un sortilegio, seminati apposta, perché veramente il Diavolo snatura l’uomo fino a farne una sua creatura, e questa semina, per traviare altri che non ha potuto asservire altrimenti. La mietitura, anzi la formazione dei covoni e il trasporto degli stessi ai granai, è la fine del mondo, e coloro che la compiono sono gli angeli. A loro è ordinato di radunare le falciate creature e separare il grano dal loglio e, come nella parabola questo si brucia, così verranno bruciati nel fuoco eterno i dannati, all’Ultimo Giudizio.
Il Figlio dell’uomo manderà a togliere dal suo Regno tutti gli operatori di scandali e di iniquità. Perché allora il Regno sarà e in Terra e in Cielo, e fra i cittadini del Regno sulla Terra saranno mescolati molti figli del Nemico. Questi raggiungeranno, come è detto anche dai Profeti, la perfezione dello scandalo e dell’abominio in ogni ministero della Terra, e daranno fiera noia ai figli dello spirito. Nel Regno di Dio, nei Cieli, già saranno stati espulsi i corrotti, perché corruzione non entra in Cielo. Ora dunque gli angeli del Signore, menando la falce fra le schiere dell’ultimo raccolto, falceranno e separeranno il grano dal loglio e getteranno questo nella fornace ardente dove è pianto e stridor di denti, portando invece i giusti, l’eletto grano, nella Gerusalemme eterna dove essi splenderanno come soli nel Regno del Padre mio e vostro.
Questo nel senso universale. Ma per voi ve ne è un altro ancora, che risponde alle domande che più volte, e specie da ieri sera, vi fate. Voi vi chiedete: “Ma dunque fra la massa dei discepoli possono essere dei traditori?”, e fremete in cuor vostro di orrore e di paura. Ve ne possono essere. Ve ne sono certo.
Il seminatore sparge il buon seme. In questo caso, più che spargere, si potrebbe dire: “coglie”. Perché il maestro, sia che sia Io o sia che fosse il Battista, aveva scelto i suoi discepoli. Come allora si sono traviati? No, anzi. Male ho detto dicendo “seme” i discepoli. Voi potreste capire male. Dirò allora “campo”. Tanti discepoli tanti campi, scelti dal maestro per costituire l’area del Regno di Dio, i beni di Dio. Su essi il maestro si affatica per coltivarli, acciò diano il cento per cento. Tutte le cure. Tutte. Con pazienza. Con amore. Con sapienza. Con fatica. Con costanza. Vede anche le loro tendenze malvagie. Le loro aridità e le loro avidità. Vede le loro testardaggini e le loro debolezze. Ma spera, spera sempre e corrobora la sua speranza con la preghiera e la penitenza, perché li vuole portare alla perfezione.
Ma i campi sono aperti. Non sono un chiuso giardino cinto da mura di fortezza, di cui sia padrone solo il maestro e in cui solo lui possa penetrare. Sono aperti. Messi al centro del mondo, fra il mondo, tutti li possono avvicinare, tutti vi possono penetrare. Tutti e tutto. Oh! non è il loglio solo il mal seme seminato! Il loglio potrebbe essere simbolo della leggerezza amara dello spirito del mondo. Ma vi nascono, gettati dal Nemico, tutti gli altri semi. Ecco le ortiche. Ecco le gramigne. Ecco le cuscute. Ecco i vilucchi. Ecco infine le cicute e i tossici. Perché? Perché? Che sono?
Le ortiche: gli spiriti pungenti, indomabili, che feriscono per sovrabbondanza di veleni e danno tanto disagio. Le gramigne: i parassiti che sfiniscono il maestro senza saper fare altro che strisciare e succhiare, godendo del lavoro di lui e nuocendo ai volonterosi, che veramente trarrebbero maggior frutto se il maestro fosse non turbato e distratto dalle cure che esigono le gramigne. I vilucchi inerti che non si alzano da terra che fruendo degli altri. Le cuscute: tormento sulla via già penosa del maestro e tormento ai discepoli fedeli che lo seguono. Si uncinano, si conficcano, lacerano, graffiano, mettono diffidenza e sofferenza. I tossici: i delinquenti fra i discepoli, coloro che giungono a tradire e a spegnere la vita come le cicute e le altre piante tossiche. Avete mai visto come sono belle coi loro fiorellini che poi divengono palline bianche, rosse, celeste-viola? Chi direbbe che quella corolla stellare, candida o appena rosata, col suo cuoricino d’oro, chi che quei coralli multicolori, tanto simili ad altri frutticini che sono la delizia degli uccelli e dei pargoli, possano, giunti a maturazione, dare morte? Nessuno. E gli innocenti ci cascano. Credono tutti buoni come loro… e ne colgono e muoiono.
Credono tutti buoni come loro! Oh! che verità che sublima il maestro e che condanna il suo traditore! Come? La bontà non disarma? Non rende il malvolere innocuo? No. Non lo rende tale, perché l’uomo caduto preda del Nemico è insensibile a tutto ciò che è superiore. E ogni superiore cosa cambia per lui aspetto. La bontà diviene debolezza che è lecito calpestare e acuisce il suo malvolere come acuisce la voglia di sgozzare, in una fiera, il sentire l’odore del sangue. Anche il maestro è sempre un innocente… e lascia che il suo traditore lo avveleni, perché non vuole e non può lasciar pensare agli altri che un uomo giunga ad essere micidiale a chi è innocente.
Nei discepoli, i campi del maestro, vengono i nemici. Sono tanti. Il primo è Satana. Gli altri i suoi servi, ossia gli uomini, le passioni, il mondo e la carne. Ecco, ecco il discepolo più facile ad essere percosso da essi perché non sta tutto presso al maestro, ma sta a cavaliere fra il maestro e il mondo. Non sa, non vuole separarsi tutto da ciò che è mondo, carne, passioni e demonio, per essere tutto di chi lo porta a Dio. Su questo spargono i loro semi e mondo e carne, e passioni e demonio. L’oro, il potere, la donna, l’orgoglio, la paura di un mal giudizio del mondo e lo spirito di utilitarismo. “I grandi sono i più forti. Ecco che io li servo per averli amici”. E si diventa delinquenti e dannati per queste misere cose!…
Perché il maestro, che vede l’imperfezione del discepolo, anche se non vuole arrendersi al pensiero: “Costui sarà il mio uccisore”, non lo estirpa subito dalle sue file? Questo voi vi chiedete.
Perché è inutile farlo. Se lo facesse non impedirebbe di averlo nemico, doppiamente e più sveltamente nemico per la rabbia o il dolore di essere scoperto o di essere cacciato. Dolore. Sì. Perché delle volte il cattivo discepolo non si avvede di essere tale. È tanto sottile l’opera demoniaca che egli non l’avverte. Si indemonia senza sospettare di essere soggetto a questa operazione. Rabbia. Sì. Rabbia per essere conosciuto per quello che è, quando egli non è incosciente del lavoro di Satana e dei suoi adepti: gli uomini che tentano il debole nelle sue debolezze per levare dal mondo il santo che li offende, nelle loro malvagità, con il paragone della sua bontà.
E allora il santo prega e si abbandona a Dio. “Ciò che Tu permetti si faccia, sia fatto”, dice. Solo aggiunge questa clausola: “purché serva al tuo fine”. Il santo sa che verrà l’ora in cui verranno espulsi dalle sue messi i logli malvagi. Da chi? Da Dio stesso, che non permette oltre di quanto è utile al trionfo della sua volontà d’amore”.
“Ma se Tu ammetti che sempre è Satana, e gli adepti di lui… mi sembra che la responsabilità del discepolo scemi”, dice Matteo.
“Non te lo pensare. Se il Male esiste, esiste anche il Bene, ed esiste nell’uomo il discernimento e con esso la libertà”.
“Tu dici che Dio non permette oltre di quanto è utile al trionfo della sua volontà d’amore. Dunque anche questo errore è utile, se Egli lo permette, e serve ad un trionfo di volontà divina”, dice l’Iscariota.
“E tu arguisci, come Matteo, che ciò giustifica il delitto del discepolo. Dio aveva creato il leone senza ferocia e il serpente senza veleno. Ora l’uno è feroce e l’altro è velenoso. Ma Dio li ha separati dall’uomo per ciò. Medita su questo e applica. Andiamo nella casa. Il sole è già forte, troppo. Come per inizio di temporale. E voi siete stanchi della notte insonne”.
“La casa ha la stanza alta, ampia e fresca. Potrete riposare”, dice Elia.
Salgono per la scala esterna. Ma solo gli apostoli si stendono sulle stuoie per riposare. Gesù esce sulla terrazza, ombreggiata in un angolo da un altissimo rovere, e si assorbe nei suoi pensieri.

Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Carissimo Amico/a: Un giorno del 1915, a Roma, un uomo maturo vocifera davanti a fra Massimiliano Maria Kolbe, contro il Papa e la Chiesa.



Carissimo Amico/a,

Un giorno del 1915, a Roma, un uomo maturo vocifera davanti a fra Massimiliano Maria Kolbe, contro il Papa e la Chiesa. Il giovane francescano intavola la discussione. «Me ne intendo, giovincello! Sono dottore in filosofia», esclama lo sconosciuto. «E anch'io», replica il fraticello di ventun anni, che ne dimostra sedici. Stupefatto, l'uomo cambia tono. Allora, pazientemente, con una logica inesorabile, il frate riprende uno per uno gli argomenti del suo interlocutore e li ritorce contro di lui. «Verso la fine della discussione, racconta un testimone, il miscredente tacque. Sembrava riflettere profondamente». Chi è mai questo apostolo ardente, descritto da Papa Paolo VI come un «tipo d'uomo cui possiamo conformare la nostra arte di vivere, riconoscendogli il privilegio dell'apostolo Paolo, quello cioè di poter dire al popolo cristiano: Siate miei imitatori, come anch'io lo sono di Cristo (1 Cor. 11, 1)»?


Le due corone

Raimondo Kolbe, il futuro San Massimiliano Maria (canonizzato da Papa Giovanni Paolo II, il 10 ottobre 1982), è nato il 7 gennaio 1894, da modesti tessitori polacchi. Suo padre è molto dolce, un po' taciturno. Sua madre, Maria, è energica e laboriosa. Oltre a due figli morti in tenera età, la famiglia conta tre ragazzi, Francesco, Raimondo e Giuseppe. Raimondo è violento, indipendente, intraprendente e testardo. Di indole vivace e impulsiva, mette spesso a dura prova la pazienza di sua madre, che un giorno gli grida: «Povero figlio mio, che fine farai?»
Il rimprovero provoca nel piccolo una vera e propria conversione. Diventa bravo ed ubbidiente. La mamma si accorge che scompare spesso dietro l'armadio, dove c'è un altarino di Nostra Signora di Czestochowa. Lì, egli prega e piange. «Andiamo, Raimondo, gli dice sua madre, perchè piangi come una ragazzina? - Quando tu mi hai detto: «Raimondo, che fine farai?» ho provato un grosso dispiacere e sono andato a domandare alla Santa Vergine che fine avrei fatto... La Santa Vergine mi è apparsa, tenendo due corone, una bianca e l'altra rossa. Mi ha guardato con amore e mi ha chiesto quale scegliessi; quella bianca significa che sarò sempre puro e quella rossa che morirò martire. Ho risposto: «Le scelgo tutte e due!»».

A partire da quell'incontro, l'anima del fanciullo conserverà un amore indefettibile per la Santa Vergine. La lettura degli scritti di San Luigi Maria Grignion de Monfort gli insegna che «Dio vuol rivelare e far scoprire Maria, il capolavoro delle sue mani, in questi ultimi tempi... Maria deve brillare, più che mai, in misericordia, in forza ed in grazia» (Trattato della vera devozione alla Santa Vergine). Fa dono della sua vita alla Santa Vergine. La consacrazione mariana è un dono d'amore che offre tutto se stesso e unisce all'Immacolata. «Come l'Immacolata appartiene a Gesù, a Dio, così ogni anima, attraverso Lei e in Lei, apparterrà a Gesù, a Dio, e ciò molto meglio che senza di Lei», scriverà San Massimiliano. «La Chiesa cattolica ha sempre affermato che l'imitazione della Vergine Maria, non solo non distoglie dallo sforzo di seguire fedelmente Cristo, ma lo rende anzi più amabile e più facile» (Paolo VI, Esortazione Apostolica Signum Magnum, 13 maggio 1967, n. 8).

Attirato da Maria, Raimondo Kolbe abbraccia la vita religiosa. Il 4 settembre 1910, indossa l'abito francescano, e assume il nome di «fra Massimiliano Maria». Nell'autunno del 1912, i superiori lo mandano all'università gregoriana di Roma. Gli studi non lo distolgono dal suo ideale di santità: vuol procurare a Dio la più grande gloria possibile. «La gloria di Dio consiste nella salvezza delle anime. La salvezza delle anime e la santificazione perfetta di esse, già riscattate ad un prezzo molto elevato dalla morte in croce di Gesù, cominciando naturalmente dalla propria anima, è dunque il nostro nobile ideale». Ma la via della salvezza si trova nel compimento della volontà di Dio. Così il giovane frate scrive a sua madre: «Non ti augurerò nè la salute, nè la prosperità. Perchè? Perchè vorrei augurarti qualcosa di meglio, qualcosa di talmente buono che Dio stesso non saprebbe augurarti di più: che in tutte le cose sia fatta in te, mamma, la volontà di questo ottimo Padre, che tu sappia in tutte le cose compiere la volontà di Dio! È tutto quel che posso augurarti di meglio».




Sotto i piedi di Lucifero

È a Roma che la Santa Vergine gli ispira di fondare la «Milizia o Missione dell'Immacolata»: "MI". All'epoca, la massoneria esultava nella città eterna. «Quando i massoni cominciarono a darsi da fare sempre più sfrontatamente, spiega fra Massimiliano, ed ebbero spiegato il loro stendardo sotto le finestre del Vaticano, quello stendardo in cui, su sfondo nero, Lucifero calpestava l'arcangelo San Michele, quando si misero a distribuire manifestini che inveivano contro il Santo Padre, nacque in me l'idea di fondare un'associazione che avesse come scopo quello di combattere i massoni e gli altri tizzoni d'inferno».
La massoneria è una società segreta dalle mille ramificazioni, che si sforza di dirigere il mondo secondo principi che escludono l'autorità di Dio e la Rivelazione. «Siccome la missione assolutamente propria e specifica della Chiesa cattolica consiste nel ricevere nella loro pienezza e nel conservare in una purezza incorruttibile le dottrine rivelate da Dio, nonché l'autorità costituita per insegnarle, con gli altri soccorsi forniti dal cielo in vista della salvezza degli uomini, è contro di essa che i massoni spiegano il massimo accanimento e dirigono i loro attacchi più violenti» (Leone XIII, Enciclica Humanum genus, 20 aprile 1884). Ma la massoneria distrugge pure la società civile, poiché i suoi principi contraddicono la legge naturale e minano «i fondamenti della giustizia e dell'onestà» (id.). Molto spesso, essa propone all'uomo, come sola regola d'azione, la soddisfazione dei suoi desideri. D'altro canto, la pretesa di rendere lo Stato completamente estraneo alla religione e di amministrare gli affari pubblici come se Dio non esistesse, è «una temerarietà senza pari» (id.). Infatti, come ogni uomo ha l'obbligo «di offrire a Dio il culto di una pia riconoscenza, perchè dobbiamo a Lui la vita ed i beni che la accompagnano, così un dovere analogo si impone ai popoli ed alle società» (id.).

La Congregazione per la Dottrina della Fede, con una notifica in data 26 novembre 1983, ha confermato l'insegnamento di Leone XIII: «Il giudizio della Chiesa sulle associazioni massoniche rimane invariato, perchè i loro principi sono stati sempre considerati come inconciliabili con la dottrina della Chiesa, e l'iscrizione a tali associazioni rimane vietata dalla Chiesa. I fedeli che appartengono alle associazioni massoniche sono in stato di peccato grave e non possono accedere alla santa comunione».

Minacce programmate scientificamente

Oggi, la massoneria esalta una «cultura di morte», favorendo la contraccezione, l'aborto e l'eutanasia. Contribuisce così alla rovina della famiglia. Per il massone Pierre Simon, che scriveva, nel 1979, «il mio vero essere, non è più il mio corpo, ma la mia loggia (massonica)», la vita è «non più un dono di Dio, ma un materiale che si gestisce... Perde il carattere di assolutezza che aveva nella Genesi». La si può dunque manipolare come si vuole. Così, «la sessualità sarà dissociata dalla procreazione, e la procreazione dalla paternità. È tutto il concetto di famiglia che si sta capovolgendo». Principi analoghi animano attualmente numerosi organismi che, senza esser sempre infeudati apertamente alla massoneria, operano nello stesso spirito. Per questo, Papa Giovanni Paolo II poteva dire a Denver, il 4 agosto 1993: «Le minacce contro la vita non scemano col passar del tempo. Al contrario, prendono dimensioni enormi... Sono minacce programmate scientificamente e sistematicamente».

In presenza delle stesse forze del male, già operanti alla sua epoca, San Massimiliano offre alla nostra vista un bell'esempio di zelo apostolico. Come San Paolo, si applica a vincere il male con il bene (Rom. 12, 21). Forte della sua fede e di una teologia molto sicura, si rivolge alla Vergine Maria ed al di Lei divino Figlio. Per venire a salvarci, il Verbo di Dio ha degnato di farsi uomo, e di scegliere per Madre una vergine promessa ad un uomo di nome Giuseppe, della casa di Davide, e il nome della vergine era Maria (Luca 1, 26-27). La Madre del Salvatore, Maria, fu dotata da Dio di doni all'altezza di una tanto grande responsabilità. L'angelo Gabriele, all'atto dell'Annunciazione, la saluta quale piena di grazia (Luca 1, 28). Esplicitando quest'espressione, Papa Pio IX ha proclamato, nel 1854, il dogma dell'Immacolata Concezione: «La beata Vergine Maria, nel primo istante della sua concezione, per una grazia ed un privilegio singolare di Dio Onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo, Salvatore del genere umano, è stata preservata intatta da ogni macchia del peccato originale». Non avendo mai conosciuto il peccato, l'Immacolata ha un potere immenso contro qualsiasi male ed è divenuta la «Madre di tutte le Grazie».


Salvare tutte le anime

Potente contro il male, Nostra Signora trionfa sul demonio. Così, fra Massimiliano fonda la «Missione dell'Immacolata», sulla base della parola di Dio al serpente (il diavolo): Essa (la Santa Vergine) ti schiaccerà il capo (Gen. 3, 15 - Vulgata). Il santo collega questa divina profezia con l'affermazione della liturgia: «Da te sola, o Maria, sono state vinte tutte le eresie». Lo scopo della sua opera è quello di ottenere «la conversione dei peccatori, degli eretici, degli scismatici, ecc., ed, in particolare, dei massoni; e la santificazione di tutti gli uomini sotto la direzione e per il tramite della Beata Vergine Maria Immacolata». Nel suo ardore, egli desidera la conversione di tutti i peccatori, poiché il santo non dirà mai «salvare anime», ma «tutte le anime». Questo desiderio corrisponde al disegno di Dio. Dio ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figlio Unigenito, perchè chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna (Giov. 3, 16). È Dio che ha amato noi ed ha mandato suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati (1 Giov. 4, 10).È lui la vittima espiatrice per i nostri peccati, e non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo (1 Giov. 2, 2).

I membri della «Milizia o Missione» faranno l'offerta totale di se stessi alla Beata Vergine Maria Immacolata, come strumenti nelle sue mani, e porteranno la Medaglia Miracolosa. Reciteranno, almeno una volta al giorno, la seguente preghiera: «O Maria, concepita senza peccato, prega per noi che ricorriamo a Te e per tutti coloro che non ricorrono a Te, in particolare per i massoni e per tutti quelli che ti sono raccomandati».


Cristianizzare la cultura

La salute di fra Massimiliano non è vigorosa. Malgrado ciò, egli si applica con coraggio allo studio, supera brillantemente gli esami, e diventa, nel 1915, dottore in filosofia. Quattro anni più tardi, ottiene, con pari successo, un dottorato di teologia. Nel frattempo, è stato ordinato sacerdote, il 28 aprile 1918. Progetta la propria formazione intellettuale con lo scopo di istruire il prossimo e di contribuire in questo modo alla salvezza delle anime.

Il suo desiderio è quello di «far servire qualsiasi progresso per la gloria di Dio», vale a dire cristianizzare la cultura moderna. 
«I nuovi problemi e le ricerche suscitate dal progresso del mondo moderno, dichiara, alla nostra epoca, il Concilio Vaticano II, saranno esaminati con la massima cura. Si afferrerà più profondamente come la fede e la ragione si uniscano per raggiungere l'unica verità...In tal modo, si realizzerà come una presenza pubblica, duratura ed universale, del pensiero cristiano in qualsiasi sforzo intellettuale verso la cultura più elevata; e gli studenti presso tali istituti (scuole superiori, università e facoltà) saranno formati in modo da diventare uomini eminenti per il loro sapere, pronti ad assumere gli incarichi più gravosi in seno alla società, e nello stesso tempo, testimoni della fede nel mondo» (Gravissimum educationis, 10).

Ma il santo deve sperimentare che il bene non si fa senza la croce. Infatti, come ricorda Santa Teresa di Gesù Bambino, «solo la sofferenza genera le anime». Verso la fine del 1919, viene inviato a Zakopane, in un sanatorio, in cui mancano i soccorsi religiosi. Benchè ammalato, intraprende un difficile apostolato presso gli altri degenti, aiutandosi con medaglie miracolose. Conquista i cuori e le menti ad uno ad uno, e il suo successo è tale, che lo si invita a tenere conferenze. L'apostolo di Maria non aspettava che quello. Molti increduli si convertono.




Il veleno dell'indifferenza

Poi, Padre Massimiliano inaugura una serie di «incontri apologetici», sull'esistenza di Dio e la divinità di Cristo. L'amore che manifesta per la verità traspare in una lettera scritta al fratello Giuseppe: «Ai giorni nostri, il veleno peggiore è l'indifferenza, che trova le sue vittime non solo fra la borghesia, ma anche fra i monaci, a gradi diversi, naturalmente». «Tutti i cristiani, dice Papa Pio XII, dovrebbero avere, per quanto possibile, un'istruzione religiosa profonda ed organica. Sarebbe, infatti, pericoloso sviluppare tutte le altre conoscenze e lasciare il patrimonio religioso senza cambiamenti, tale quale esso era nella prima infanzia. Per forza di cose incompleto e superficiale, sarebbe soffocato e forse distrutto, dalla cultura areligiosa e dalle esperienze della vita adulta, come testimoniano tutti coloro la cui fede naufragò, a causa di dubbi rimasti nell'ombra, di problemi restati senza soluzione. Siccome è necessario che il fondamento della fede sia razionale, uno studio sufficiente dell'apologetica diventa indispensabile» (24 marzo 1957).

Nel 1927, Padre Massimiliano fonda la città mariana francescana di Niepokalanow (letteralmente: la città dell'Immacolata). Tutto ivi è dedicato a Maria. Numerosi sono coloro che chiedono di essere ammessi al noviziato, a tal punto che il convento conterà fino a mille monaci. «A Niepokalanow, dice Padre Massimiliano, viviamo con un'idea fissa, se ci si può esprimere così, scelta volontariamente ed amata: l'Immacolata!» La stampa, la cui influenza non cessa di crescere, gli sembra un terreno di apostolato privilegiato. Lancia, in vista dell'evangelizzazione, la rivista «Il Cavaliere dell'Immacolata», che diventerà ben presto la più importante pubblicazione della Polonia. Nel 1939, la tiratura raggiungerà il milione di esemplari.




«Conosce il giapponese?»

Lungi dall'essere l'unico obiettivo di Padre Massimiliano, la Polonia è soltanto un trampolino. Appena tre anni dopo la fondazione di Niepokalanow, incontra, in un treno, degli studenti giapponesi. La conversazione si avvia, e il monaco offre delle medaglie miracolose. In cambio, gli studenti gli danno degli elefantini di legno che servono loro da feticci. Da allora, il santo non cessa di pensare alla grande pena di quelle anime senza Dio. Perciò, un bel giorno, si presenta al suo provinciale e gli chiede il permesso di andare in Giappone per fondarvi una Niepokalanow giapponese. «Ha denaro? domanda il Padre Provinciale - No. - Conosce il giapponese? - No. - Ha almeno amici laggiù, qualche appoggio? - Non ancora, ma ne troverò, con l'aiuto di Dio».

Una volta ottenute tutte le autorizzazioni, Padre Massimiliano parte per il Giappone, nel 1930, con quattro fratelli. A forza di lavoro, di audacia, di preghiere e di fiducia nell'Immacolata, essi riescono a creare la «Mugenzai no Sono», testualmente: il giardino dell'Immacolata. Due anni dopo la fondazione in Giappone, Padre Massimiliano s'imbarca, per andare a fondare una città in India. Alle prese con grosse difficoltà, prega Santa Teresa di Lisieux: non aveva convenuto con lei, un tempo, a Roma, che avrebbe pregato tutti i giorni per la sua canonizzazione, ma che, in cambio, essa sarebbe stata la patrona delle sue opere? Santa Teresa onora il contratto. Tutti gli ostacoli spariscono come per incanto. Ma, spossato e consunto dalla febbre, l'apostolo di Maria Immacolata deve rientrare in Polonia, nel 1936.


L'amore o il peccato

Settembre 1939: la guerra si abbatte sul paese. San Massimiliano si dedica all'apostolato con più ardore che mai. «Se il bene consiste nell'amore di Dio ed in tutto ciò che scaturisce dall'amore, il male, nella sua essenza, è una negazione dell'amore», si legge nell'ultimo articolo da lui pubblicato. Ecco il vero conflitto. In fondo ad ogni anima, vi sono questi due avversari: il bene ed il male, l'amore ed il peccato. Sant'Agostino ha espresso tale conflitto in questi termini: «Due amori hanno costruito due città: l'amore di sè fino al disprezzo di Dio ha costruito la città terrestre; l'amore di Dio fino al disprezzo di sè ha costruito la città celeste» (De civitate Dei, XIV, 28).

Il 17 febbraio 1941, poliziotti della Gestapo catturano Padre Massimiliano e quattro altri frati e li conducono, inizialmente, nella prigione di Pawiak, a Varsavia. Padre Massimiliano viene picchiato violentemente, in quanto religioso e prete. Scrive ai suoi discepoli rimasti a Niepokalanow: «L'Immacolata, Madre tanto amante, ci ha sempre circondati di tenerezza e veglierà sempre... Lasciamoci guidare da Lei, in modo sempre più perfetto, dove Essa vorrà portarci, e qualunque sia la sua volontà, affinchè, compiendo fino in fondo il nostro dovere, possiamo, per amore, salvare tutte le anime». Qualche giorno più tardi, Padre Kolbe viene trasferito al campo di concentramento di Auschwitz.

Ben presto ricoverato all'ospedale, a causa delle sevizie subite, passa tutte le notti a confessare, malgrado il divieto e la minaccia di rappresaglie. Sa convertire in bene il male stesso, e spiega un giorno ad un malato: «L'odio non è una forza creatrice. Solo l'amore è creatore. Questi dolori non ci faranno cedere, ma devono aiutarci, sempre di più, ad esser forti. Sono necessari, con altri sacrifici, perchè coloro che rimarranno dopo di noi siano felici». Fa condividere ai suoi compagni l'esperienza del mistero pasquale, in cui la sofferenza vissuta nella fede, si trasforma in gaudio. «Il paradosso della condizione cristiana chiarisce singolarmente quello della condizione umana: nè la prova, nè la sofferenza sono eliminate da questo mondo, ma assumono un senso nuovo, nella certezza di partecipare alla Redenzione operata dal Signore e di condividere la sua gloria» (Paolo VI, Esortazione Apostolica Sul gaudio cristiano, 9 maggio 1975).




Lavorare con tutte e due le mani

Alla fine di luglio del 1941, un prigioniero del blocco 14, quello di Padre Massimiliano, è evaso. Il capo del campo di concentramento aveva avvertito che, per ogni evaso, dieci uomini sarebbero stati condannati a morire di fame e di sete. Uno degli infelici designati per morire, grida: «Oh! povera moglie mia, figli miei, non vi rivedrò più!» Allora, in mezzo ai compagni interdetti, Padre Massimiliano si fa strada ed esce dalle file. «Vorrei morire al posto di uno di questi condannati», e designa quello che si era lamentato. «Chi sei?» chiede il capo. «Prete cattolico», risponde Padre Massimiliano. Poichè è come prete cattolico che vuol dare la propria vita. L'ufficiale, stupefatto, rimane in silenzio per un istante, poi accetta l'eroica proposta.

I carcerieri si rendono conto che, nel blocco della morte, succede qualcosa di nuovo. Invece delle grida abituali di disperazione, sentono alzarsi canti. La presenza di Padre Massimiliano ha cambiato l'atmosfera dell'orribile cella. La disperazione ha lasciato il posto ad un'aspirazione verso il cielo, verso la Madre della Misericordia, un'aspirazione piena di speranza, di accettazione e di amore. Alla vigilia dell'Assunzione, solo Padre Massimiliano è pienamente cosciente. Quando le guardie entrano per dargli il colpo di grazia, è in preghiera. Vedendo la siringa, tende da sè il braccio scarno all'iniezione mortale.

In vita, San Massimiliano Kolbe amava ripetere: «Su questa terra, non possiamo lavorare che con una sola mano, perchè con l'altra dobbiamo aggrapparci, per non cadere. Ma in Cielo, sarà diverso! Nessun pericolo di scivolare, di cadere! Allora, lavoreremo ancora di più, con tutte e due le mani!» Gli chiediamo di intercedere per Lei e per tutti coloro che Le sono cari, vivi e defunti, presso la Vergine Immacolata e San Giuseppe.
Dom Antoine Marie osb