lunedì 5 maggio 2014

Simpatico, simpaticissimo.






Nel tedio di una serata uggiosa, mentre cerco di arrivare allo scaffale in cui è riposto un libro che vorrei leggere per conciliarmi il riposo, un altro volume mi scivola quasi in testa e si apre ai miei piedi. Mentre lo raccolgo, gli occhi mi cadono su queste parole:

L’uomo coglie e riconosce gli imperativi della legge divina attraverso la sua coscienza, che egli è tenuto a seguire fedelmente in ogni sua attività, per raggiungere il suo fine che è Dio. Non lo si deve quindi costringere ad agire contro la sua coscienza. Ma non si deve neppure impedirgli di operare in conformità ad essa, soprattutto in campo religioso”.  

Chi ha dimestichezza con questo linguaggio untuoso e doppio avrà certamente riconosciuto il passo della Dignitatis humanae. Irritato dal contrasto con le sane letture cui sono abituato, sento un moto di avversione e ripulsa, e richiudo con sdegno il tristo libello - Acta Concilii Oecumenici Vaticani II - rimettendolo sull'alto scaffale in cui, polveroso, giaceva da tempo 

Prendo dunque un tomo della edizione Oudin dei discorsi del Cardinal Pie, lascio che il gatto mi si accovacci sulle ginocchia, e mi pregusto una sana lettura prima di terminare la giornata recitando Compieta. Ma quella frase mi riecheggia nelle orecchie, mi tormenta, mi distrae. 

E così, sorseggiando del buon Pedro Ximenez, rifletto tra me e mi chiedo: se i miei confratelli, i giovani chierici, gli anziani parroci e fors'anche qualche Vescovo e Cardinale prendessero alla lettera questa frase e, sulla base di essa, pretendessero dai loro Superiori il rispetto della propria decisione di non celebrare la Messa riformata? se chiedessero che li si lasci vestire l'abito talare, ornare la propria chiesa in modo decoroso, predicare secondo dottrina, confessare devotamente, usare quei paramenti che il predecessore ha confinato nelle soffitte della sacristia? 

Immaginate l'espressione del Vescovo che, dopo aver fatto fare mezz'ora di anticamera al giovane viceparroco denunziato in Curia da qualche fedele per aver detto la Messa tridentina, e dopo avergli intimato di desistere e rientrare nei ranghi senza fare storie, si sentisse rispondere: 

Eccellenza, io lo farei volentieri; ma vede, io sono tenuto a seguire fedelmente la mia coscienza in ogni mia attività: lo chiede il Concilio - Lei m'insegna - e chiede a Lei di non costringermi ad agire contro la mia coscienza, e di non impedirmi di operare in conformità ad essa, soprattutto in campo religioso. 

Immaginate quale strumento per il seminarista che usa la talare rimproverato dal Rettore; per il Francescano cui è intimato di non celebrare la Messa di San Pio V; per il Monsignore che scrive su Sì Sì No No convocato dall'Arciprete; per il Vescovo che incoraggia i suoi sacerdoti ad avvalersi del Summorum Pontificum richiamato dalla Conferenza Episcopale; per il Cardinale redarguito dalla Segreteria di Stato perché ordina decine di sacerdoti in rito antico e predica contro l'aborto e le coppie gay: potrebbero appellarsi alla Dignitatis humanae, forse con un mezzo sorriso sornione sulle labbra, e metter finalmente a tacere la boria autoritaria di chi abusa del proprio potere per demolire la Chiesa. 

Ma proprio mentre le ultime gocce di Pedro Ximenez stillano dal bicchierino di cristallo, mi dico con amarezza che costoro, dai quali ci aspettiamo coerenza e onestà morale, si avvalgono del Concilio solo a proprio vantaggio, e non sono disposti a tollerare che ci si appelli ad esso in un senso che a loro non è gradito. Esso è uno dei tanti grimaldelli - e nemmeno il più efficace, ormai - per scardinare l'ortodossia e diffondere l'errore morale, dottrinale e spirituale. 

Sono gli stessi, non dimenticatelo, che inneggiano a parole alla democrazia nella Chiesa e ad un maggior coinvolgimento dei laici nel suo governo, ma che appena questi laici chiedono la Messa cattolica, o alzano la voce in difesa dei Frati dell'Immacolata, o protestano perché il loro parroco insegna eresie dal pulpito, ecco che ritornano ad essere più realisti del Re, si ergono furibondi nella loro Sacra ed Inviolabile Autorità, si cingono il capo della mitria gemmata e impugnano il pastorale per colpire con gli strali della loro ira apostolica i sudditi disobbedienti. Altro che democrazia, altro che Concilio! 

Forse, se questa protesta avesse molti seguaci; se questa forma di obiezione di coscienza trovasse seguito nei chierici e nel basso Clero, magari addirittura in qualche coraggioso Prelato, lassù qualcuno dovrebbe far buon viso a cattivo giuoco, temendo le attenzioni della stampa e dell'opinione pubblica. D'altra parte, con la penuria di sacerdoti che vi è nelle Diocesi postconciliari, avere dieci o venti parroci obiettori di coscienza che celebrano esclusivamente nel Rito antico non consente a nessun Vescovo di sospenderli tutti a divinis... 

E se dieci, venti o cento Vescovi agissero similmente dinanzi alle loro Conferenze Episcopali; se dieci o venti Cardinali si comportassero analogamente davanti al Vaticano, chi potrebbe censurarli, punirli, rimuoverli? 


Uno spunto per conciliare i sogni di questa notte.

Jube Dómine benedícere. Noctem quiétam et finem perféctum concédat nobis Dóminus omnípotens. Amen.

***

PAOLO VESCOVO 
SERVO DEI SERVI DI DIO 
UNITAMENTE AI PADRI DEL SACRO CONCILIO 
A PERPETUA MEMORIA

DICHIARAZIONE SULLA LIBERTÀ RELIGIOSA 
DIGNITATIS HUMANAE



IL DIRITTO DELLA PERSONA UMANA 
E DELLE COMUNITÀ ALLA LIBERTÀ SOCIALE 
E CIVILE IN MATERIA DI RELIGIONE
PROEMIO
1. Nell'età contemporanea gli esseri umani divengono sempre più consapevoli della propria dignità di persone (1) e cresce il numero di coloro che esigono di agire di loro iniziativa, esercitando la propria responsabile libertà, mossi dalla coscienza del dovere e non pressati da misure coercitive. Parimenti, gli stessi esseri umani postulano una giuridica delimitazione del potere delle autorità pubbliche, affinché non siano troppo circoscritti i confini alla onesta libertà, tanto delle singole persone, quanto delle associazioni. Questa esigenza di libertà nella convivenza umana riguarda soprattutto i valori dello spirito, e in primo luogo il libero esercizio della religione nella società. Considerando diligentemente tali aspirazioni, e proponendosi di dichiarare quanto e come siano conformi alla verità e alla giustizia, questo Concilio Vaticano rimedita la tradizione sacra e la dottrina della Chiesa, dalle quali trae nuovi elementi in costante armonia con quelli già posseduti.
Anzitutto, il sacro Concilio professa che Dio stesso ha fatto conoscere al genere umano la via attraverso la quale gli uomini, servendolo, possono in Cristo trovare salvezza e pervenire alla beatitudine. Questa unica vera religione crediamo che sussista nella Chiesa cattolica e apostolica, alla quale il Signore Gesù ha affidato la missione di comunicarla a tutti gli uomini, dicendo agli apostoli: « Andate dunque, istruite tutte le genti battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto quello che io vi ho comandato » (Mt 28,19-20). E tutti gli esseri umani sono tenuti a cercare la verità, specialmente in ciò che concerne Dio e la sua Chiesa, e sono tenuti ad aderire alla verità man mano che la conoscono e a rimanerle fedeli.
Il sacro Concilio professa pure che questi doveri attingono e vincolano la coscienza degli uomini, e che la verità non si impone che per la forza della verità stessa, la quale si diffonde nelle menti soavemente e insieme con vigore. E poiché la libertà religiosa, che gli esseri umani esigono nell'adempiere il dovere di onorare Iddio, riguarda l'immunità dalla coercizione nella società civile, essa lascia intatta la dottrina tradizionale cattolica sul dovere morale dei singoli e delle società verso la vera religione e l'unica Chiesa di Cristo. Inoltre il sacro Concilio, trattando di questa libertà religiosa, si propone di sviluppare la dottrina dei sommi Pontefici più recenti intorno ai diritti inviolabili della persona umana e all'ordinamento giuridico della società.
I.
ASPETTI GENERALI DELLA LIBERTÀ RELIGIOSA

Oggetto e fondamento della libertà religiosa

2. Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa. Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata. Inoltre dichiara che il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana quale l'hanno fatta conoscere la parola di Dio rivelata e la stessa ragione (2). Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell'ordinamento giuridico della società.
A motivo della loro dignità, tutti gli esseri umani, in quanto sono persone, dotate cioè di ragione e di libera volontà e perciò investiti di personale responsabilità, sono dalla loro stessa natura e per obbligo morale tenuti a cercare la verità, in primo luogo quella concernente la religione. E sono pure tenuti ad aderire alla verità una volta conosciuta e ad ordinare tutta la loro vita secondo le sue esigenze. Ad un tale obbligo, però, gli esseri umani non sono in grado di soddisfare, in modo rispondente alla loro natura, se non godono della libertà psicologica e nello stesso tempo dell'immunità dalla coercizione esterna. Il diritto alla libertà religiosa non si fonda quindi su una disposizione soggettiva della persona, ma sulla sua stessa natura. Per cui il diritto ad una tale immunità perdura anche in coloro che non soddisfano l'obbligo di cercare la verità e di aderire ad essa, e il suo esercizio, qualora sia rispettato l'ordine pubblico informato a giustizia, non può essere impedito.

Libertà religiosa e rapporto dell'uomo con Dio

3. Quanto sopra esposto appare con maggiore chiarezza qualora si consideri che norma suprema della vita umana è la legge divina, eterna, oggettiva e universale, per mezzo della quale Dio con sapienza e amore ordina, dirige e governa l'universo e le vie della comunità umana. E Dio rende partecipe l'essere umano della sua legge, cosicché l'uomo, sotto la sua guida soavemente provvida, possa sempre meglio conoscere l'immutabile verità. Perciò ognuno ha il dovere e quindi il diritto di cercare la verità (3) in materia religiosa, utilizzando mezzi idonei per formarsi giudizi di coscienza retti e veri secondo prudenza.

La verità, però, va cercata in modo rispondente alla dignità della persona umana e alla sua natura sociale: e cioè con una ricerca condotta liberamente, con l'aiuto dell'insegnamento o dell'educazione, per mezzo dello scambio e del dialogo con cui, allo scopo di aiutarsi vicendevolmente nella ricerca, gli uni rivelano agli altri la verità che hanno scoperta o che ritengono di avere scoperta; inoltre, una volta conosciuta la verità, occorre aderirvi fermamente con assenso personale.

L'uomo coglie e riconosce gli imperativi della legge divina attraverso la sua coscienza, che è tenuto a seguire fedelmente in ogni sua attività per raggiungere il suo fine che è Dio. Non si deve quindi costringerlo ad agire contro la sua coscienza. E non si deve neppure impedirgli di agire in conformità ad essa, soprattutto in campo religioso. Infatti l'esercizio della religione, per sua stessa natura, consiste anzitutto in atti interni volontari e liberi, con i quali l'essere umano si dirige immediatamente verso Dio: e tali atti da un'autorità meramente umana non possono essere né comandati, né proibiti (4). Però la stessa natura sociale dell'essere umano esige che egli esprima esternamente gli atti interni di religione, comunichi con altri in materia religiosa e professi la propria religione in modo comunitario.

Si fa quindi ingiuria alla persona umana e allo stesso ordine stabilito da Dio per gli esseri umani, quando si nega ad essi il libero esercizio della religione nella società, una volta rispettato l'ordine pubblico informato a giustizia.
Inoltre gli atti religiosi, con i quali in forma privata e pubblica gli esseri umani con decisione interiore si dirigono a Dio, trascendono per loro natura l'ordine terrestre e temporale delle cose. Quindi la potestà civile, il cui fine proprio è di attuare il bene comune temporale, deve certamente rispettare e favorire la vita religiosa dei cittadini, però evade dal campo della sua competenza se presume di dirigere o di impedire gli atti religiosi.

La libertà dei gruppi religiosi
4. La libertà religiosa che compete alle singole persone, compete ovviamente ad esse anche quando agiscono in forma comunitaria. I gruppi religiosi, infatti, sono postulati dalla natura sociale tanto degli esseri umani, quanto della stessa religione.
A tali gruppi, pertanto, posto che le giuste esigenze dell'ordine pubblico non siano violate, deve essere riconosciuto il diritto di essere immuni da ogni misura coercitiva nel reggersi secondo norme proprie, nel prestare alla suprema divinità il culto pubblico, nell'aiutare i propri membri ad esercitare la vita religiosa, nel sostenerli con il proprio insegnamento e nel promuovere quelle istituzioni nelle quali i loro membri cooperino gli uni con gli altri ad informare la vita secondo i principi della propria religione.
Parimenti ai gruppi religiosi compete il diritto di non essere impediti con leggi o con atti amministrativi del potere civile di scegliere, educare, nominare e trasferire i propri ministri, di comunicare con le autorità e con le comunità religiose che vivono in altre regioni della terra, di costruire edifici religiosi, di acquistare e di godere di beni adeguati.
I gruppi religiosi hanno anche il diritto di non essere impediti di insegnare e di testimoniare pubblicamente la propria fede, a voce e per scritto. Però, nel diffondere la fede religiosa e nell'introdurre pratiche religiose, si deve evitare ogni modo di procedere in cui ci siano spinte coercitive o sollecitazioni disoneste o stimoli meno retti, specialmente nei confronti di persone prive di cultura o senza risorse: un tale modo di agire va considerato come abuso del proprio diritto e come lesione del diritto altrui.
Inoltre la libertà religiosa comporta pure che i gruppi religiosi non siano impediti di manifestare liberamente la virtù singolare della propria dottrina nell'ordinare la società e nel vivificare ogni umana attività. Infine, nel carattere sociale della natura umana e della stessa religione si fonda il diritto in virtù del quale gli esseri umani, mossi dalla propria convinzione religiosa, possano liberamente riunirsi e dar vita ad associazioni educative, culturali, caritative e sociali.
La libertà religiosa della famiglia
5. Ad ogni famiglia--società che gode di un diritto proprio e primordiale--compete il diritto di ordinare liberamente la propria vita religiosa domestica sotto la direzione dei genitori. A questi spetta il diritto di determinare l'educazione religiosa da impartire ai propri figli secondo la propria persuasione religiosa. Quindi deve essere dalla potestà civile riconosciuto ai genitori il diritto di scegliere, con vera libertà, le scuole e gli altri mezzi di educazione, e per una tale libertà di scelta non debbono essere gravati, né direttamente né indirettamente, da oneri ingiusti. Inoltre i diritti dei genitori sono violati se i figli sono costretti a frequentare lezioni scolastiche che non corrispondono alla persuasione religiosa dei genitori, o se viene imposta un'unica forma di educazione dalla quale sia esclusa ogni formazione religiosa.
Cura della libertà religiosa
6. Poiché il bene comune della società--che si concreta nell'insieme delle condizioni sociali, grazie alle quali gli uomini possono perseguire il loro perfezionamento più riccamente o con maggiore facilità --consiste soprattutto nella salvaguardia dei diritti della persona umana e nell'adempimento dei rispettivi doveri (5), adoperarsi positivamente per il diritto alla libertà religiosa spetta tanto ai cittadini quanto ai gruppi sociali, ai poteri civili, alla Chiesa e agli altri gruppi religiosi: a ciascuno nel modo ad esso proprio, tenuto conto del loro specifico dovere verso il bene comune.
Tutelare e promuovere gli inviolabili diritti dell'uomo è dovere essenziale di ogni potere civile (6). Questo deve quindi assicurare a tutti i cittadini, con leggi giuste e con mezzi idonei, l'efficace tutela della libertà religiosa, e creare condizioni propizie allo sviluppo della vita religiosa, cosicché i cittadini siano realmente in grado di esercitare i loro diritti attinenti la religione e adempiere i rispettivi doveri, e la società goda dei beni di giustizia e di pace che provengono dalla fedeltà degli uomini verso Dio e verso la sua santa volontà (7).
Se, considerate le circostanze peculiari dei popoli nell'ordinamento giuridico di una società viene attribuita ad un determinato gruppo religioso una speciale posizione civile, è necessario che nello stesso tempo a tutti i cittadini e a tutti i gruppi religiosi venga riconosciuto e sia rispettato il diritto alla libertà in materia religiosa.
Infine il potere civile deve provvedere che l'eguaglianza giuridica dei cittadini, che appartiene essa pure al bene comune della società, per motivi religiosi non sia mai lesa, apertamente o in forma occulta, e che non si facciano fra essi discriminazioni.
Da ciò segue che non è permesso al pubblico potere imporre ai cittadini con la violenza o con il timore o con altri mezzi la professione di una religione qualsivoglia oppure la sua negazione, o di impedire che aderiscano ad un gruppo religioso o che se ne allontanino. Tanto più poi si agisce contro la volontà di Dio e i sacri diritti della persona e il diritto delle genti quando si usa, in qualunque modo, la violenza per distruggere o per comprimere la stessa religione o in tutto il genere umano oppure in qualche regione o in un determinato gruppo.
I limiti della libertà religiosa
7. Il diritto alla libertà in materia religiosa viene esercitato nella società umana; di conseguenza il suo esercizio è regolato da alcune norme.
Nell'esercizio di ogni libertà si deve osservare il principio morale della responsabilità personale e sociale: nell'esercitare i propri diritti i singoli esseri umani e i gruppi sociali, in virtù della legge morale, sono tenuti ad avere riguardo tanto ai diritti altrui, quanto ai propri doveri verso gli altri e verso il bene comune. Con tutti si è tenuti ad agire secondo giustizia ed umanità.
Inoltre, poiché la società civile ha il diritto di proteggersi contro i disordini che si possono verificare sotto pretesto della libertà religiosa, spetta soprattutto al potere civile prestare una tale protezione; ciò però va compiuto non in modo arbitrario o favorendo iniquamente una delle parti, ma secondo norme giuridiche, conformi all'ordine morale obiettivo: norme giuridiche postulate dall'efficace difesa dei diritti e dalla loro pacifica armonizzazione a vantaggio di tutti i cittadini, da una sufficiente tutela di quella autentica pace pubblica che consiste in una vita vissuta in comune sulla base di una onesta giustizia, nonché dalla debita custodia della pubblica moralità. Questi sono elementi che costituiscono la parte fondamentale del bene comune e sono compresi sotto il nome di ordine pubblico. Per il resto nella società va rispettata la norma secondo la quale agli esseri umani va riconosciuta la libertà più ampia possibile, e la loro libertà non deve essere limitata, se non quando e in quanto è necessario.

Educazione all'esercizio della libertà
8. Nella nostra età gli esseri umani, a motivo di molteplici fattori, vivono in un'atmosfera di pressioni e corrono il pericolo di essere privati della facoltà di agire liberamente e responsabilmente. D'altra parte non sembrano pochi quelli che, sotto il pretesto della libertà, respingono ogni dipendenza e apprezzano poco la dovuta obbedienza.
Ragione per cui questo Concilio Vaticano esorta tutti, ma soprattutto coloro che sono impegnati in compiti educativi, ad adoperarsi per formare esseri umani i quali, nel pieno riconoscimento dell'ordine morale, sappiano obbedire alla legittima autorità e siano amanti della genuina libertà, esseri umani cioè che siano capaci di emettere giudizi personali nella luce della verità, di svolgere le proprie attività con senso di responsabilità, e che si impegnano a perseguire tutto ciò che è vero e buono, generosamente disposti a collaborare a tale scopo con gli altri.
La libertà religiosa, quindi, deve pure essere ordinata e contribuire a che gli esseri umani adempiano con maggiore responsabilità i loro doveri nella vita sociale.
II.
LA LIBERTÀ RELIGIOSA ALLA LUCE DELLA RIVELAZIONE
La dottrina della libertà religiosa affonda le radici nella Rivelazione
9. Quanto questo Concilio Vaticano dichiara sul diritto degli esseri umani alla libertà religiosa ha il suo fondamento nella dignità della persona, le cui esigenze la ragione umana venne conoscendo sempre più chiaramente attraverso l'esperienza dei secoli. Anzi, una tale dottrina sulla libertà affonda le sue radici nella Rivelazione divina, per cui tanto più va rispettata con sacro impegno dai cristiani. Quantunque, infatti, la Rivelazione non affermi esplicitamente il diritto all'immunità dalla coercizione esterna in materia religiosa, fa tuttavia conoscere la dignità della persona umana in tutta la sua ampiezza, mostra il rispetto di Cristo verso la libertà umana degli esseri umani nell'adempimento del dovere di credere alla parola di Dio, e ci insegna lo spirito che i discepoli di una tale Maestro devono assimilare e manifestare in ogni loro azione. Tutto ciò illustra i principi generali sopra cui si fonda la dottrina della presente dichiarazione sulla libertà religiosa. E anzitutto, la libertà religiosa nella società è in piena rispondenza con la libertà propria dell'atto di fede cristiana.
Libertà dell'atto di fede
10. Un elemento fondamentale della dottrina cattolica, contenuto nella parola di Dio e costantemente predicato dai Padri (8), è che gli esseri umani sono tenuti a rispondere a Dio credendo volontariamente; nessuno, quindi, può essere costretto ad abbracciare la fede contro la sua volontà (9). Infatti, l'atto di fede è per sua stessa natura un atto volontario, giacché gli essere umani, redenti da Cristo Salvatore e chiamati (10) in Cristo Gesù ad essere figli adottivi, non possono aderire a Dio che ad essi si rivela, se il Padre non li trae (11) e se non prestano a Dio un ossequio di fede ragionevole e libero. È quindi pienamente rispondente alla natura della fede che in materia religiosa si escluda ogni forma di coercizione da parte degli esseri umani. E perciò un regime di libertà religiosa contribuisce non poco a creare quell'ambiente sociale nel quale gli esseri umani possono essere invitati senza alcuna difficoltà alla fede cristiana, e possono abbracciarla liberamente e professarla con vigore in tutte le manifestazioni della vita.
Modo di agire di Cristo e degli apostoli
11. Dio chiama gli esseri umani al suo servizio in spirito e verità; per cui essi sono vincolati in coscienza a rispondere alla loro vocazione, ma non coartati. Egli, infatti, ha riguardo della dignità della persona umana da lui creata, che deve godere di libertà e agire con responsabilità. Ciò è apparso in grado sommo in Cristo Gesù, nel quale Dio ha manifestato se stesso e le sue vie in modo perfetto. Infatti Cristo, che è Maestro e Signore nostro (12), mite ed umile di cuore (13) ha invitato e attratto i discepoli pazientemente (14). Certo, ha sostenuto e confermato la sua predicazione con i miracoli per suscitare e confortare la fede negli uditori, ma senza esercitare su di essi alcuna coercizione (15). Ha pure rimproverato l'incredulità degli uditori, lasciando però la punizione a Dio nel giorno del giudizio (16). Mandando gli apostoli nel mondo, disse loro: « Chi avrà creduto e sarà battezzato, sarà salvo. Chi invece non avrà creduto sarà condannato » (Mc 16,16). ma conoscendo che la zizzania è stata seminata con il grano, comandò di lasciarli crescere tutti e due fino alla mietitura che avverrà alla fine del tempo (17). Non volendo essere un messia politico e dominatore con la forza (18) preferì essere chiamato Figlio dell'uomo che viene « per servire e dare la sua vita in redenzione di molti » (Mc 10,45). Si presentò come il perfetto servo di Dio (19) che « non rompe la canna incrinata e non smorza il lucignolo che fuma » (Mt 12,20). Riconobbe la potestà civile e i suoi diritti, comandando di versare il tributo a Cesare, ammonì però chiaramente di rispettare i superiori diritti di Dio: « Rendete a Cesare quello che è di Cesare, e a Dio quello che è di Dio » (Mt 22,21). Finalmente ha ultimato la sua rivelazione compiendo nella croce l'opera della redenzione, con cui ha acquistato agli esseri umani la salvezza e la vera libertà. Infatti rese testimonianza alla verità (20), però non volle imporla con la forza a coloro che la respingevano. Il suo regno non si erige con la spada (21) ma si costituisce ascoltando la verità e rendendo ad essa testimonianza, e cresce in virtù dell'amore con il quale Cristo esaltato in croce trae a sé gli esseri umani (22).
Gli apostoli, istruiti dalla parola e dall'esempio di Cristo, hanno seguito la stessa via. Fin dal primo costituirsi della Chiesa i discepoli di Cristo si sono adoperati per convertire gli esseri umani a confessare Cristo Signore, non però con un'azione coercitiva né con artifizi indegni del Vangelo, ma anzitutto con la forza della parola di Dio (23), Con coraggio annunziavano a tutti il proposito di Dio salvatore, « il quale vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino alla conoscenza della verità » (1 Tm 2,4); nello stesso tempo, però, avevano riguardo per i deboli, sebbene fossero nell'errore, mostrando in tal modo come «ognuno di noi renderà conto di sé a Dio» (Rm 14,12) (24) e sia tenuto ad obbedire soltanto alla propria coscienza. Come Cristo, gli apostoli hanno sempre cercato di rendere testimonianza alla verità di Dio, arditamente osando dinanzi al popolo e ai principi di « annunziare con fiducia la parola di Dio » (At 4,31) (25). Con ferma fede ritenevano che lo stesso Vangelo fosse realmente la forza di Dio per la salvezza di ogni credente (26). Sprezzando quindi tutte « le armi carnali » (27) seguendo l'esempio di mansuetudine e di modestia di Cristo, hanno predicato la parola di Dio (28) pienamente fiduciosi nella divina virtù di tale parola del distruggere le forze avverse a Dio e nell'avviare gli esseri umani alla fede e all'ossequio di Cristo (29), Come il Maestro, così anche gli apostoli hanno riconosciuto la legittima autorità civile: « Non vi è infatti potestà se non da Dio », insegna l'Apostolo, il quale perciò comanda: « Ognuno sia soggetto alle autorità in carica... Chi si oppone alla potestà, resiste all'ordine stabilito da Dio » (Rm 13,1-5) (30). Nello stesso tempo, però, non hanno avuto timore di resistere al pubblico potere che si opponeva alla santa volontà di Dio: « È necessario obbedire a Dio prima che agli uomini » (At 5,29) (31). La stessa via hanno seguito innumerevoli martiri e fedeli attraverso i secoli e in tutta la terra.
La Chiesa segue le tracce di Cristo e degli apostoli
12. La Chiesa pertanto, fedele alla verità evangelica, segue la via di Cristo e degli apostoli quando riconosce come rispondente alla dignità dell'uomo e alla rivelazione di Dio il principio della libertà religiosa e la favorisce. Essa ha custodito e tramandato nel decorso dei secoli la dottrina ricevuta da Cristo e dagli apostoli. E quantunque nella vita del popolo di Dio, pellegrinante attraverso le vicissitudini della storia umana, di quando in quando si siano avuti modi di agire meno conformi allo spirito evangelico, anzi ad esso contrari, tuttavia la dottrina della Chiesa, secondo la quale nessuno può essere costretto con la forza ad abbracciare la fede, non è mai venuta meno.
Il fermento evangelico ha pure lungamente operato nell'animo degli esseri umani e molto ha contribuito perché gli uomini lungo i tempi riconoscessero più largamente e meglio la dignità della propria persona e maturasse la convinzione che la persona nella società deve essere immune da ogni umana coercizione in materia religiosa.
La libertà della Chiesa
13. Fra le cose che appartengono al bene della Chiesa, anzi al bene della stessa città terrena, e che vanno ovunque e sempre conservate e difese da ogni ingiuria, è certamente di altissimo valore la seguente: che la Chiesa nell'agire goda di tanta libertà quanta le è necessaria per provvedere alla salvezza degli esseri umani (32). È questa, infatti, la libertà sacra, di cui l'unigenito Figlio di Dio ha arricchito la Chiesa acquistata con il suo sangue. Ed è propria della Chiesa, tanto che quanti l'impugnano agiscono contro la volontà di Dio. La libertà della Chiesa è principio fondamentale nelle relazioni fra la Chiesa e i poteri pubblici e tutto l'ordinamento giuridico della società Civile.
Nella società umana e dinanzi a qualsivoglia pubblico potere, la Chiesa rivendica a sé la libertà come autorità spirituale, fondata da Cristo Signore, alla quale per mandato divino incombe l'obbligo di andare nel mondo universo a predicare il Vangelo ad ogni creatura (33). Parimenti, la Chiesa rivendica a sé la libertà in quanto è una comunità di esseri umani che hanno il diritto di vivere nella società civile secondo i precetti della fede cristiana (34).
Ora, se vige un regime di libertà religiosa non solo proclamato a parole né solo sancito nelle leggi, ma con sincerità tradotto realmente nella vita, in tal caso la Chiesa, di diritto e di fatto, usufruisce di una condizione stabile per l'indipendenza necessaria all'adempimento della sua divina missione: indipendenza nella società, che le autorità ecclesiastiche hanno sempre più vigorosamente rivendicato (35). Nello stesso tempo i cristiani, come gli altri uomini godono del diritto civile di non essere impediti di vivere secondo la propria coscienza. Vi è quindi concordia fra la libertà della Chiesa e la libertà religiosa che deve essere riconosciuta come un diritto a tutti gli esseri umani e a tutte le comunità e che deve essere sancita nell'ordinamento giuridico delle società civili.
La missione della Chiesa
14. La Chiesa cattolica per obbedire al divino mandato: « Istruite tutte le genti (Mt 28,19), è tenuta ad operare instancabilmente «affinché la parola di Dio corra e sia glorificata» (2 Ts 3,1).
La Chiesa esorta quindi ardentemente i suoi figli affinché « anzitutto si facciano suppliche, orazioni, voti, ringraziamenti per tutti gli uomini... Ciò infatti è bene e gradito al cospetto del Salvatore e Dio nostro, il quale vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino alla conoscenza della verità» (1 Tm 2, 1-4).
I cristiani, però, nella formazione della loro coscienza, devono considerare diligentemente la dottrina sacra e certa della Chiesa (36). Infatti per volontà di Cristo la Chiesa cattolica è maestra di verità e sua missione è di annunziare e di insegnare autenticamente la verità che è Cristo, e nello stesso tempo di dichiarare e di confermare autoritativamente i principi dell'ordine morale che scaturiscono dalla stessa natura umana. Inoltre i cristiani, comportandosi sapientemente con coloro che non hanno la fede, s'adoperino a diffondere la luce della vita con ogni fiducia (37) e con fortezza apostolica, fino all'effusione del sangue, « nello Spirito Santo, con la carità non simulata, con la parola di verità» (2 Cor 6,6-7).
Infatti il discepolo ha verso Cristo Maestro il dovere grave di conoscere sempre meglio la verità da lui ricevuta, di annunciarla fedelmente e di difenderla con fierezza, non utilizzando mai mezzi contrari allo spirito evangelico. Nello stesso tempo, però, la carità di Cristo lo spinge a trattare con amore, con prudenza e con pazienza gli esseri umani che sono nell'errore o nell'ignoranza circa la fede (38). Si deve quindi aver riguardo sia ai doveri verso Cristo, il Verbo vivificante che deve essere annunciato, sia ai diritti della persona umana, sia alla misura secondo la quale Dio attraverso il Cristo distribuisce la sua grazia agli esseri umani che vengono invitati ad accettare e a professare la fede liberamente.
CONCLUSIONE
15. È manifesto che oggi gli esseri umani aspirano di poter professare liberamente la religione sia in forma privata che pubblica; anzi la libertà religiosa nella maggior parte delle costituzioni è già dichiarata diritto civile ed è solennemente proclamata in documenti internazionali (39).
Non mancano però regimi i quali, anche se nelle loro costituzioni riconoscono la libertà del culto religioso, si sforzano di stornare i cittadini dalla professione della religione e di rendere assai difficile e pericolosa la vita alle comunità religiose.
Il sacro Sinodo, mentre saluta con lieto animo quei segni propizi di questo tempo e denuncia con amarezza questi fatti deplorevoli, esorta i cattolici e invita tutti gli esseri umani a considerare con la più grande attenzione quanto la libertà religiosa sia necessaria, soprattutto nella presente situazione della famiglia umana.
È infatti manifesto che tutte le genti si vanno sempre più unificando, che si fanno sempre più stretti i rapporti fra gli esseri umani di cultura e religione diverse, mentre si fa ognora più viva in ognuno la coscienza della propria responsabilità personale. Per cui, affinché nella famiglia umana si instaurino e si consolidino relazioni di concordia e di pace, si richiede che ovunque la libertà religiosa sia munita di una efficace tutela giuridica e che siano osservati i doveri e i diritti supremi degli esseri umani attinenti la libera espressione della vita religiosa nella società.
Faccia Dio, Padre di tutti, che la famiglia umana, diligentemente elevando a metodo nei rapporti sociali l'esercizio della libertà religiosa, in virtù della grazia di Cristo e per l'azione dello Spirito Santo pervenga alla sublime e perenne « libertà della gloria dei figli di Dio» (Rm 8,21).
7 dicembre 1965
Tutte e singole le cose stabilite in questo Decreto sono piaciute ai Padri del Sacro Concilio. E Noi, in virtù della potestà Apostolica conferitaci da Cristo, unitamente ai Venerabili Padri, nello Spirito Santo le approviamo, le decretiamo e le stabiliamo; e quanto stato così sinodalmente deciso, comandiamo che sia promulgato a gloria di Dio.
Roma, presso San Pietro
7 dicembre 1965.
Io PAOLO Vescovo della Chiesa Cattolica
† Ego FRANCISCUS titulo Ss. Ioannis et Pauli Presbyter Cardinalis SPELLMAN, Archiepiscopus Neo-Eboracensis.
† Ego IACOBUS titulo Ss. Bonifacii et Alexii Presbyter Cardinalis DE BARROS CÂMARA, Archiepiscopus S. Sebastiani Fluminis Ianuarii.
† Ego IOSEPHUS titulo S. Ioannis ante Portam Latinam Presbyter Cardinalis FRINGS, Archiepiscopus Coloniensis.
† Ego ERNESTUS titulo S. Sabinae Presbyter Cardinalis RUFFINI, Archiepiscopus Panormitanus.
† Ego ANTONIUS titulo S. Laurentii in Panisperna Presbyter Cardinalis CAGGIANO, Archiepiscopus Bonaërensis.
Ego PETRUS titulo S. Praxedis Presbyter Cardinalis CIRIACI.
† Ego MAURITIUS titulo S. Mariae de Pace Presbyter Cardinalis FELTIN, Archiepiscopus Parisiensis.
† Ego IOSEPHUS titulo S. Mariae de Victoria Presbyter Cardinalis SIRI, Archiepiscopus Ianuensis.
† Ego STEPHANUS titulo S. Mariae Trans Tiberim Presbyter Cardinalis WYSZYNSKI, Archiepiscopus Gnesnensis et Varsaviensis, Primas Poloniae.
† Ego BENIAMINUS titulo S. Vitalis Presbyter Cardinalis DE ARRIBA Y CASTRO, Archiepiscopus Tarraconensis.
† Ego FERDINANDUS titulo S. Augustini Presbyter Cardinalis QUIROGA Y PALACIOS, Archiepiscopus Compostellanus.
† Ego PAULUS AEMILIUS titulo S. Mariae Angelorum in Thermis Presbyter Cardinalis LEGER, Archiepiscopus Marianopolitanus.
† Ego IOSEPHUS HUMBERTUS titulo Ss. Andreae et Gregorii ad Clivum Scauri Presbyter Cardinalis QUINTERO, Archiepiscopus Caracensis.
† Ego ALOISIUS titulo S. Mariae Novae Presbyter Cardinalis CONCHA, Archiepiscopus Bogotensis.
Ego IOSEPHUS titulo S. Priscae Presbyter Cardinalis DA COSTA NUNES.
Ego HILDEBRANDUS titulo S. Sebastiani ad Catacumbas Presbyter Cardinalis ANTONIUTTI.
Ego EPHRAEM titulo S. Crucis in Hierusalem Presbyter Cardinalis FORNI.
† Ego IOANNES titulo S. Mariae de Aracoeli Presbyter Cardinalis LANDAZURI RICKETTS, Archiepiscopus Limanus, Primas Peruviae.
† Ego RADULFUS titulo S. Bernardi ad Thermas Presbyter Cardinalis SILVA HENRIQUEZ, Archiepiscopus S. Iacobi in Chile.
† Ego LEO IOSEPHUS titulo S. Petri ad Vincula Presbyter Cardinalis SUENENS, Archiepiscopus Mechliniensis-Bruxellensis.
† Ego IOSEPHUS titulo S. Athanasii Presbyter Cardinalis SLIPYI, Archiepiscopus Maior Ucrainorum.
† Ego LAURENTIUS titulo S. Leonis I Presbyter Cardinalis JAEGER, Archiepiscopus Paderbornensis.
† Ego IOSEPHUS titulo S. Crucis in via Flaminia Presbyter Cardinalis BERAN, Archiepiscopus Pragensis.
† Ego MAURITIUS titulo D.nae N.ae de SS. Sacramento et Martyrum Canadensium Presbyter Cardinalis ROY, Archiepiscopus Quebecensis, Primas Canadiae.
† Ego IOSEPHUS titulo S. Teresiae Presbyter Cardinalis MARTIN, Archiepiscopus Rothomagensis.
† Ego AUDOËNUS titulo S. Praxedis Presbyter Cardinalis MCCANN, Archiepiscopus Civitatis Capitis.
† Ego LEO STEPHANUS titulo S. Balbinae Presbyter Cardinalis DUVAL, Archiepiscopus Algeriensis.
† Ego ERMENEGILDUS titulo Reginae Apostolorum Presbyter Cardinalis FLORIT, Archiepiscopus Florentinus.
† Ego FRANCISCUS titulo Ss. Petri et Pauli in via Ostiensi Presbyter Cardinalis ŠEPER, Archiepiscopus Zagrabiensis.
Ego CAROLUS S. Mariae in Porticu Diaconus Cardinalis JOURNET.
† Ego ALBERTUS GORI, Patriarcha Hierosolymitanus Latinorum.
† Ego PAULUS II CHEIKHO, Patriarcha Babylonensis Chaldaeorum.
† Ego IGNATIUS PETRUS XVI BATANIAN, Patriarcha Ciliciae Armenorum.
† Ego IOSEPHUS VIEIRA ALVERNAZ, Patriarcha Indiarum Orientalium.
† Ego IOANNES CAROLUS MCQUAID, Archiepiscopus Dublinensis, Primas Hiberniae.
† Ego ANDREAS ROHRACHER, Archiepiscopus Salisburgensis, Primas Germaniae.
† Ego DEMETRIUS MOSCATO, Archiepiscopus Primas Salernitanus et Administrator Perpetuus Acernensis.
† Ego HUGO CAMOZZO, Archiepiscopus Pisanus et Primas Sardiniae et Corsicae.
† Ego ALEXANDER TOKI , Archiepiscopus Antibarensis et Primas Serbiae.
† Ego MICHAEL DARIUS MIRANDA, Archiepiscopus Mexicanus, Primas Mexici.
† Ego FRANCISCUS MARIA DA SILVA, Archiepiscopus Bracharensis, Primas Hispaniarum.
† Ego PAULUS GOUYON, Archiepiscopus Rhedonensis, Primas Britanniae.
† Ego ERNESTUS SENA DE OLIVEIRA, Archiepiscopus Conimbricensis.
Sequuntur ceterae subsignationes.
Ita est.
† Ego PERICLES FELICI

Archiepiscopus tit. Samosatensis
Ss. Concilii Secretarius Generalis

† Ego IOSEPHUS ROSSI

Episcopus tit. Palmyrenus
Ss. Concilii Notarius

† Ego FRANCISCUS HANNIBAL FERRETTI

Ss. Concilii Notarius



NOTE
(1) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, 11 aprile 1963: AAS 55 (1963), p. 279; ibid., p. 265; PIO XII, Messaggio radiofonico, 24 dic. 1944: AAS 37 (1945), p. 14.
(2) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, 11 aprile 1963: AAS 55 (1963), pp. 260-261 [Dz 3961]; PIO XII, Messaggio radiofonico, Con sempre nuova freschezza, 24 dic. 1942: AAS 35 (1943), p. 19; PIO XI, Encicl. Mit brennender Sorge, 14 marzo 1937: AAS 29 (1937), p. 160; LEONE XIII, Encicl. Libertas praestantissimum, 20 giugno 1888: Acta Leonis XIII 8 (1888), pp. 237-238 [Dz 3250-51].
(3) Cf. S. TOMMASO, Summa Theol., I-II, q. 91, a. 1; q. 93, a. 1-2.
(4) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, 11 aprile 1963: AAS 55 (1963), p. 270 [Dz 3980]; PAOLO VI, Messaggio radiofonico, 22 dic. 1964: AAS 57 (1965), pp. 181-182; S. TOMMASO, Summa Theol., I-II, q. 91, a. 4 c.
(5) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Mater et Magistra, 15 maggio 1961: AAS 53 (1961), p. 417; IDEM., Encicl. Pacem in terris, 11 aprile 1963: AAS 55 (1963), p. 273 [Dz 3984].
(6) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, 11 apr. 1963: AAS 55 (1963), pp. 273-274 [Dz 3985]; PIO XII, Messaggio radiofonico, 1° giugno 1942: AAS 33 (1941), p. 200.
(7) Cf. LEONE XIII, Encicl. Immortale Dei, 1o nov. 1885: ASS 18 (1885), p. 161.
(8) Cf. LATTANZIO, Divinarum Institutionum, Lib. V, 19: CSEL 19, pp. 463-464, 465; PL 6, 614 e 616 (capp. 20); S. AMBROGIO, Epistola ad Valentinianum Imp., Lett. 21: PL 16, 1005; S. AGOSTINO, Contra litteras Petiliani, lib. II, cap. 83: CSEL 52, p. 112; PL 43, 315; cf. C. 23, q. 5, c. 33 (ed. Friedberg, col. 939); IDEM, Ep. 23: PL 33, 98; IDEM, Ep. 34: PL 33,132; IDEM, Ep. 35: PL 33,135; S. GREGORIO MAGNO, Epistola ad Virgilium et Theodorum Episcopos Massiliae Galliarum, Registrum Epistolarum I, 45: MGH, Ep. I, p. 72; PL 77,510-511 (lib. I, ep. 47): IDEM, Epistola ad Iohannem Episcopum Constantinopolitanum, Registrum Epistolarum III, 52: MGH, Ep. I, p. 210; PL 77,649 (lib. III, ep. 53); cf. D. 45, c. 1 (ed. Friedberg, col. 160); SIN. DI TOLEDO IV, c. 57: MANSI 10, 633; cf. D. 45, c. 5 (ed. Friedberg, col. 161-162); CLEMENTE III: X, V, 6, 9: (ed. Friedberg, col. 774); INNOCENZO III, Epistola ad Arelatensem Archiepiscopum, X, III, 42, (ed. Friedberg, col. 646).
(9) Cf. CIC, can. 1351 [nel nuovo Codice can. 748 § 2]: PIO XII, Discorso ai Prelati Uditori e agli altri ufficiali e impiegati del Tribunale della S. Romana Rota, 6 ott. 1946: AAS 38 (1946), p. 394; IDEM, Encicl. Mystici Corporis, 29 giugno 1943: AAS 35 (1943), p. 243 [Dz 3822].
(10) Cf. Ef 1,5.
(11) Cf. Gv 6,44.
(12) Cf. Gv 13,13.
(13) Cf. Mt 11,29.
(14) Cf. Mt 11,28-30; Gv 6,67-68.
(15) Cf. Mt 9,28-29; Mc 9,23-24; 6,5-6; PAOLO VI, Encicl. Ecclesiam suam, 6 ag. 1964: AAS 56 (1964), pp. 642-643.
(16) Cf. Mt 11,20-24; Rm 12,19-20; 2 Ts 1,8.
(17) Cf. Mt 13,30.40-42.
(18) Cf. Mt 4,8-10; Gv 6,15.
(19) Cf. Is 42,1-4.
(20) Cf. Gv 18,37.
(21) Cf. Mt 26,51-53; Gv 18,36.
(22) Cf. Gv 12,32.
(23) Cf. 1 Cor 2,3-5; 1 Ts 2,3-5.
(24) Cf. Rm 14,1-23; 1 Cor 8,9-13; 10,23-33.
(25) Cf. Ef 6,19-20.
(26) Cf. Rm 1,16.
(27) Cf. 2 Cor 10,4; 1 Ts 5,8-9.
(28) Cf. Ef 6,11-17.
(29) Cf. 2 Cor 10,3-5.
(30) Cf. 1 Pt 2,13-17.
(31) Cf. At 4,19-20.
(32) Cf. LEONE XIII, Lettera Officio sanctissimo, 22 dic. 1887: ASS 20 (1887), p. 269; IDEM, Lettera Ex litteris, 7 aprile 1887: ASS 19 (1886), p. 465.
(33) Cf. Mc 16,15; Mt 28,18-20; PIO XII, Encicl. Summi Pontificatus, 20 ott. 1939: AAS 31 (1939), pp. 445-446.
(34) Cf. PIO XI, Lettera Firmissimam constantiam, 28 marzo 1937: AAS 29 (1937), p. 196.
(35) Cf. PIO XII, Discorso Ci riesce, 6 dic. 1953: AAS 45 (1953), p. 802.
(36) Cf. PIO XII, Messaggio radiofonico, 23 marzo 1952: AAS 44 (1952), pp. 270-278.
(37) Cf. At 4,29.
(38) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, 11 aprile 1963: AAS 55 (1963), pp. 299-300 [in parte Dz 3996].
(39) Cf. GIOVANNI XXIII, Encicl. Pacem in terris, 11 aprile 1963: AAS 55 (1963), pp. 295-296.



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I bicchieri: Semel mel , bis si vis, ter libenter, quater cave, frater! ....



Capita, anche se è sempre più raro, cercando aiuto per una scarpa rotta in una vecchia bottega di calzolaio, di trovarci un ometto simpatico, un po' laconico e sornione, che, seduto al suo deschetto canticchia una canzone dei tempi di Pipino il Breve e, tra arnesi e trabiccoli, che si trovano dietro la sua schiena appesi al muro, ha una vecchia mattonella di ceramica colorata dove sta scritto:


Le cose possibili si fanno subito.


Quelle impossibili con un po' di tempo.

Per i miracoli ci stiamo attrezzando.


È un esempio di tante mattonelle d'avvertimenti e di consigli: spesso vi si trovano frasi profonde che fanno pensare, riflessioni che svelano un aspetto insospettato del mondo. Le iscrizioni sulle mattonelle sono un uso antichissimo e si ritrovano un po' dovunque: dalle taverne pompeiane agli scavi di altre città scomparse. Il periodo di splendore è finito con i mercati in cui i banchi esponevano varie riflessioni e massime: ognuno prendeva per quattro soldi quella che faceva al caso suo e se l'appendeva dove gli serviva. Frasi anche serie, ma sempre spiritose, ben congegnate, nelle quali rifulge soprattutto l'agudeza. Spesso sono cose arcaiche che si sono tramandate fino a noi, passando di fornace in fornace, di figulo in figulo.
Il pensiero, l'ammonimento, il consiglio, la riflessione, l'avvertimento, si trovano scritti anche sopra un oggetto artistico, su una superficie smaltata, ovvero intagliati su un legno, stampati su un cartiglio. La sede propria, più usata, è una ceramica che in genere prende forma di mattonella quadra o rettangolare, da appendere, o da murare. Si differenza dallo statuto che ha forma verticale e ha come caratteristica l'elencazione, come il seguente.
Lo stato felice è quello dove:

1 le scuole son grandi e le prigioni piccole

2 gli aratri sono lucenti e le armi rugginose

3 i granai sono pieni e i tribunali vuoti

4 i medici vanno a piedi e i fornai a cavallo


5 le scale delle chiese sono consumate
6 e su quelle dei patiboli ci nasce il muschio.


Altri oggetti ospitano oggi scritte di vario argomento: le cartoline si sono impadronite di questo genere di comunicazione ed è assai comodo comunicare: una persona lontana riceve un messaggio, un consiglio senza che venga espresso direttamente, trovandosi sul verso del cartoncino. Ci sono anche le magliette, sulle quali appaiono frasi e messaggi d'ogni genere. Non è comunque cosa nuova. 

Il Muratori riferisce che già Castruccio Castracani, signore di Lucca, usava andare in giro con due motti ricamati sul petto e sulle spalle: davanti stava scritto: È quello che Dio vuole, mentre di dietro si leggeva: È quello che Dio vorrà. Cosa intendesse comunicare con queste scritte è rimasto un enigma: poteva anche alludere al destino dei cani che gli sarebbero capitato a tiro. Col Rinascimento si diffuse la moda di portare scritti sulle maniche motti e imprese che avevano funzione d'ornamento, di esternazione di una condotta di vita e anche di comunicazione segreta tra innamorati e amanti, quando le occasioni d'incontrarsi e parlare erano più rare.
L'uso si è trasformato, ma non è stato travolto dalla civiltà industriale, segno che questa comunicazione individuale si adatta bene anche al nostro tempo, anzi è un ottimo mezzo col quale l'individuo può far sentire la sua voce flebile in mezzo a quelle tonanti dei media. Oggi è tornato in auge e una scritta si pone in ufficio, accanto alla scrivania e contiene la filosofia spicciola della vita, osservazioni, arguzie, detti famosi, e anche messaggi più complessi, mediante i quali si vuol manifestare il proprio modo di essere o di pensare. Di solito vuol rappresentare il nocciolo del pensiero di chi lo espone: qualcosa come il suo motto, il suo blasone, quando non è un avvertimento al prossimo riguardo ai suoi eventuali comportamenti.
Oggi le scritte appaiono sui cristalli delle automobili, dei camion, delle varie macchine; su strofinacci da cucina dove, oltre alle ricette si trovano spesso frasi spiritose, massime, proverbi; su boccali, piatti e tegami di coccio, nel fondo dei quali si scrivono ricette gastronomiche e consigli dietetici; infine su oggetti vari: barometri, meridiane, termometri, cioccolatini, perfino carta igienica e sui pacchetti di sigarette, dove, per legge, i fumatori possono leggere consigli e minacce terrificanti.
Certo non è più il mondo dei pianetini della fortuna, con le loro massime miti e sagge, né quello delle immagini devote, dei tabernacoli, dove c'era sempre un invito all'amore e alla bontà.


Tutt'altra cosa lo slogan che ricorda l'azione di una macchina, continua, cieca, inesorabile: esso parte da un'intenzione esterna di penetrare nella mente altrui con forza, senza far appello a un consenso, a una riflessione, a un coinvolgimento.
Per questo la filosofia delle mattonelle si pone nel campo dei perdenti, perché non grida, non alza barricate, non presume né impone. Lo slogan dilaga e sommerge queste flebili voci, ma per poco: le scritte sui cocci durano da secoli, da millenni, gli slogan tramontano nel volgere di pochi anni.

Elementi necessari


per vincere una causa



I Signori Clienti che vogliono aprire un contenzioso in tribunale sono pregati di fornirsi prima della presentazione della citazione delle seguenti cose:

1 Portafoglio da banchiere
2 Pazienza di certosino
3 Ragioni da vendere
4 Capacità di esporle
5 Giudici che le intendano
6 Debitori disposti a pagare
7 Testimoni che giurino
8 Santi che proteggano
9 Fortuna che assista
10 Buone gambe per fuggire (se necessario)
Allorché i signori Clienti si siano forniti di queste cose, si presentino all'Avvocato per l'inizio della pratica.


I bicchieri



Semel  mel

bis  si vis

ter  libenter

quater  cave, frater!
quinque  relinque
sex  prohibet lex
septem  reddit ineptem
octo  non convenit cum viro docto
novem  facit bovem
decem  ducit ad necem.

Una volta è miele
due, se vuoi
tre, volentieri
quattro, stai attento, amico
cinque, lascia perdere
sei, lo proibisce la legge
sette, rende incapace
otto, non lo si fa con un uomo saggio
nove, ti rende un bove
dieci, t'incammina alla morte.



AMDG et DVM

La Mia Promessa di tornare si compirà nel corso della vita di questa generazione. - 1° maggio 2014 -


1° maggio 2014 – La Mia Promessa di tornare si compirà nel corso della vita di questa generazione

Mia amata figlia prediletta, la Mia Promessa di venire di nuovo si compirà nel corso della vita di questa generazione. Molte persone nel mondo, in questo momento, sono ignare delle profezie contenute nella Santissima Bibbia riguardanti il Grande Giorno del Signore. Per prepararsi a questo momento, Mio Padre Mi ha incaricato di informarvi che la data per la Mia Seconda Venuta è stata fissata, ma solo Dio, il Padre Eterno, conosce questa data. Anche Io, il Suo Figlio unigenito, non ho alcuna conoscenza di questa data – so solo che sarà presto.
Molti eventi dovranno avvenire prima, prima del grande rinnovamento, ma sappiate che tutti si svolgeranno velocemente e in rapida successione. Coloro che temono il Grande Giorno devono, invece, avere fiducia in Me e pregare per le anime di quelli che faranno tutto il possibile per impedire la Mia Ricerca delle anime. Il Mio Progetto consiste nel portare anche il più ostinato tra voi nel Mio Regno, perché esso è destinato al mondo. Il Mio Regno verrà perché questo è il piano di Dio, e completerà l’Alleanza Finale secondo la Divina Volontà di Dio.
Pregate con generosità nel vostro cuore per le anime di coloro che hanno maggiormente bisogno della Mia Misericordia e Io li coprirò con il Mio Preziosissimo Sangue. Tutto quello che era in principio si compirà alla fine e allora esisterà un mondo senza fine. Tutto inizia e finisce con il Padre Mio.
Nulla impedirà la Mia Seconda Venuta. A nessun uomo che si oppone a Me o che cerca di attirare le anime lontano da Me, sarà consentito di sfidarmi, perché quando Io verrò, tutti i Miei nemici verranno eliminati. Io salverò i deboli, i timorosi, i pentiti, gli eretici, i pagani, i bugiardi, i ladri, gli assassini – tutti i peccatori. Nessuno di voi è escluso dalla Mia Misericordia. Io vi amo tutti. 
Il vostro Gesù

domenica 4 maggio 2014

Perdona

LA MORTE DI DON RODRIGO E LA MISERICORDIA

In piena epidemia di peste, Renzo incontra Fra’ Cristoforo al Lazzaretto, dove è ricoverato anche Don Rodrigo, malato terminale. Renzo, convinto dal confessore di Lucia, superato il primo moto d’ira, perdona il suo persecutore morente.
di Giovanni Fighera (04-05-2014)
Giunto a Milano, dopo aver assistito a scene pietose, Renzo si reca a casa di donna Prassede e di don Ferrante per conoscere lo stato di salute di Lucia. Trovato l’indirizzo dei due signori, solo dopo alcune vicissitudini, e appreso della malattia dell’amata, sconfortato, si reca nel lazzaretto alla ricerca di lei. Ivi, incontra un frate sporco ed emaciato in cui riconosce Fra Cristoforo. Morto il Conte zio di peste, il frate chiese ed ottenne di essere trasferito a Milano per curare gli ammalati.
Con parole piene di commozione e di genuina curiosità, ignaro di tutto quanto sia capitato ai due giovani, il frate chiede a Renzo dove si trovi Lucia e se sia sua moglie. Il racconto di Renzo, che sintetizza le disavventure dell’amata, il suo rapimento e la liberazione da parte dell’Innominato, riempiono di dolore il frate che si sente in parte colpevole per quanto accaduto. Ora, cerca di avvertire Renzo dell’evenienza che Lucia sia ammalata o addirittura già morta. Il giovane manifesta tutta la sua rabbia nei confronti di colui che è sentito come il responsabile di tutte le sue disavventure. Vorrebbe vendicarsi uccidendolo, ma il frate lo sprona a perdonare e a considerare che nulla è in mano nostra. 
Gli mostra lo scenario del lazzaretto dicendogli: «Guarda chi è Colui che castiga! Colui che giudica, e non è giudicato! Colui che flagella e che perdona! Ma tu, verme della terra, tu vuoi far giustizia! Tu lo sai, tu, quale sia la giustizia! Va’, sciagurato, vattene! Io, speravo… sì, ho sperato che, prima della mia morte, Dio m’avrebbe data questa consolazione di sentir che la mia povera Lucia fosse viva; forse di vederla, e di sentirmi prometter da lei che rivolgerebbe una preghiera là verso quella fossa dov’io sarò. Va’, tu m’hai levata la mia speranza. Dio non l’ha lasciata in terra per te; e tu, certo, non hai l’ardire di crederti degno che Dio pensi a consolarti. Avrà pensato a lei, perché lei è una di quell’anime a cui son riservate le consolazioni eterne. Va’! non ho più tempo di darti retta». 
Poi, gli ricorda la sua stessa storia personale, il rimorso di coscienza che da anni lo ha attanagliato dopo l’omicidio del nobile. Solo quando Renzo si è mostrato disposto a perdonare don Rodrigo («Ah gli perdono! gli perdono davvero, gli perdono per sempre!»), il frate lo accompagna in una capanna, dove giace un uomo febbricitante e morente. Renzo vi riconosce il nemico spocchioso e aristocratico. «Stava l’infelice, immoto; spalancati gli occhi, ma senza sguardo; pallido il viso e sparso di macchie nere; nere ed enfiate le labbra: l’avreste detto il viso d’un cadavere, se una contrazione violenta non avesse reso testimonio d’una vita tenace. Il petto si sollevava di quando in quando, con un respiro affannoso; la destra, fuor della cappa, lo premeva vicino al cuore, con uno stringere adunco delle dita, livide tutte, e sulla punta nere».
Un rapido flashback ci permette di ricostruire come don Rodrigo abbia contratto la malattia. In seguito alla morte del conte Attilio don Rodrigo ha tessuto una laudatio funebris di fronte a parenti ed amici invitati ad un banchetto. Non credendo al rischio del contagio per contatto, in maniera incauta, sottrae alcuni oggetti del defunto. La notte stessa ha un incubo. In preda alla febbre sogna di trovarsi in chiesa, vicino a tanti appestati. Ad un certo punto sente una spada che lo colpisce sotto l’ascella e vede un frate che predica da un pulpito. Vi riconosce fra Cristoforo che ad alta voce esclama: «Verrà un giorno…», la stessa frase con cui il religioso ha cercato di dissuaderlo dall’infastidire Lucia. Svegliatosi ed avvedutosi che si tratta solo di un sogno, don Rodrigo si accorge della presenza di un bubbone sotto l’ascella. Ammalato, chiama il fidato bravo Griso chiedendogli di cercare l’aiuto ad un medico che non denuncia i contagiati. Griso, però, si reca dai monatti che accompagnano don Rodrigo nel lazzaretto. Il bravo deruba don Rodrigo e così, contratta la peste, muore poco dopo.
Ritorniamo ora a don Rodrigo che è in punto di morte. Renzo e fra Cristoforo pregano per lui e chiedono a Dio il perdono dei suoi peccati. Il frate arriva ad affermare che quella malattia non è la vendetta di Dio, ma il momento in cui Dio manifesta la sua misericordia, perché permette al peccatore di convertirsi e di ravvedersi: «Può esser castigo, può esser misericordia. Il sentimento che tu proverai ora per quest’uomo che t’ha offeso, sì; lo stesso sentimento, il Dio, che tu pure hai offeso, avrà per te in quel giorno. Benedicilo, e sei benedetto. Da quattro giorni è qui come tu lo vedi, senza dar segno di sentimento. Forse il Signore è pronto a concedergli un’ora di ravvedimento; ma voleva esserne pregato da te: forse vuole che tu ne lo preghi con quella innocente; forse serba la grazia alla tua sola preghiera, alla preghiera d’un cuore afflitto e rassegnato. Forse la salvezza di quest’uomo e la tua dipende ora da te, da un tuo sentimento di perdono, di compassione… d’amore!».
Poi, il frate saluterà Renzo: «Va’ ora, va’ preparato, sia a ricevere una grazia, sia a fare un sacrifizio; a lodar Dio, qualunque sia l’esito delle tue ricerche. E qualunque sia, vieni a darmene notizia; noi lo loderemo insieme». Renzo cercherà Lucia da un’altra parte della città, dove sono ricoverate le donne. La ritroverà che, ammalatasi, è in via di guarigione, ma rimane nel lazzaretto per accudire una vedova, la mercantessa. Renzo è convinto che ormai non ci siano più ostacoli al loro matrimonio. Non è così, però. Lucia ha, infatti, fatto voto alla Madonna di non sposarsi, se fosse stata liberata dall’Innominato. Di fronte alla volontà della giovane di rispettare il voto, Renzo protesta affermando che Lucia si è prima promessa a lui. Renzo chiederà consiglio a fra Cristoforo che scioglierà la ragazza dal voto. Renzo, allora, abbandonerà Milano in cerca di Agnese, futura suocera, per comunicarle che ormai non vi è più alcun impedimento al matrimonio.
© LA NUOVA BUSSOLA QUOTIDIANA
AMDG et BVM

Significato dell'abito dei chierici



PARTE II – DELLA COTTA

Il santo vescovo, parlando dell'abito dei chierici, lo chiama l'abito della santa religione (60) come noi lo abbiamo già detto.


Questo abito significa due cose: la morte a se stesso ed al peccato, e la vita dedicata a Dio. «Consideratevi, – dice S. Paolo, – come morti al peccato e non vivendo più che per Dio in nostro Signore Gesù Cristo» (61).

Questo doppio stato di vita e di morte ci è comunicato nel santo battesimo, per il quale noi moriamo come Gesù e risuscitiamo come Lui alla nuova vita (62); Di ciò facciamo solenne e speciale professione nella tonsura, quando noi dichiariamo di morire al mondo ed alle creature (63) per non vivere che di Dio, della sua gloria e del servizio della sua Chiesa (64).

S. Giacomo, esprime la nostra religione in questi due effetti: Religio munda, dice egli, et inmaculata apud Deum et Patrem, haec est visitare pupillos et viduas in tribulatione eorum et inmaculatum se custodire ab hoc saeculo(65). La nostra santa religione consiste innanzi tutto nell'essere completamente morti pel mondo, di modo che nulla resti in noi delle sue macchie, della corruzione delle sue massime e della impurità del suo amore.
In secondo luogo, essa consiste nel compiere santamente le opere di carità e di vita divina, come soccorrere il prossimo nelle sue necessità, in vista di Dio, per l'amore del quale noi serviamo anche e soprattutto quelli da cui non possiamo aspettarci niente (66).

L'abito, come la religione, è duplice: esterno e interiore. Per essere universale, completo, la religione deve essere tale, imperocchè l'uomo è composto di corpo e di anima e deve quindi rendere palese in tutto se stesso e al di fuori e nell'intimo suo, il suo culto e la sua religione (67).

L'abito esteriore consiste dapprima nella nera sottana di cui abbiamo testè parlato che significa la morte al mondo e a tutti gli istinti, i sentimenti di Adamo, in unione con la morte e sepoltura del Figliuolo di Dio, che il chierico deve manifestare al mondo con le sue opere e con tutta la sua condotta. In secondo luogo, consiste nella cotta, che rappresenta la vita nuova di Gesù Cristo, stabilita in noi in seguito alla morte del peccato; la sua risurrezione e la sua vita divina, resa sensibile ai figli della Chiesa per mezzo della purezza, della santità e di tutte le virtù che devono risplendere nei chierici (68).

Questo abito è stato imitato da quasi tutti gli ordini, dei Carmelitani, dei frati di S. Bernardo, degli Agostiniani e dei Domenicani che hanno diviso il loro abito fra il nero il bianco per esprimere esteriormente ciò che devono interiormente praticare, vale dire la mortificazione della carne la vita dello spirito (69).

Questi due santi esprimono due principali misteri dellnostra religione: San Bruno, col candore del suo abito, rappresenta la risurrezione di Nostro Signore, mentre S. Benedetto aveva dapprima raffigurato nel color nero del suoil santo mistero della sua morte (70).

Questi due misteri questi due stati del Figlio di Dioesprimono nei chierici la veste talare la cotta di cui sono rivestiti.

L'abito interiore dei chierici è Gesù Cristo stesso. Questo abito è ben diverso da quelli esteriori che non hanno che un legame morale con i corpi che ne sono rivestiti e che li coprono soltanto, senza penetrarli (71); mentre questi penetra e s'insinua nell'anima che ne è rivestita. Ed è Cristo stesso in noi, che in certo modo, si confonde con noi, riempiendoci delle sue perfezioni e della sua sostanza, compenetrandoci di tutto se stesso e manifestando in noi le sue qualità divine (72); di modo che, per mezzo della sua sostanza, si forma come una stessa cosa di lui e di noi.

È di questo abito che S. Paolo voleva fossero vestiti tutti i cristiani, quando diceva: Induimini Dominum Jesum Christum (73).
 Il vescovo, dando ai chierici la cotta, che rappresenta la perfezione e il compimento della nostra religione mostra loro l'impegno formale e l'obbligo speciale che hanno nel rivestirla, dicendo a ciascuno di essi: Induat te Dominus novum hominem, qui secundum Deum creatus est, in justitia et sanctitate veritatis. Il Signore ti rivesta dell'uomo nuovo, che fu creato da Dio nella vera giustizia e santità. Parole misteriose (74) che ci denotano la condotta invisibile di Dio nella sua Chiesa e la santità che Egli esige dai chierici. Per comprenderle, bisogna considerare che l'uomo, riabilitato da Gesù Cristo nel battesimo, non è conforme ad Adamo nello stato della sua innocenza, poiché questi era stato creato in uno stato di universale santità, vale a dire santo nell'anima e santo nel corpo (75).

L'uomo rinnovato e rifugiato nella Chiesa, che è il vero paradiso terrestre, non è creato in questa santità universale, ma in uno stato di santità e di giustizia, in justitia et sanctitate; di santità, perché è fatto figlio di Dio; di giustizia perché l'uomo battezzato, che porta una carne ribelle e pesante che per lui è giogo penoso e sensibilissimo peso, deve avere in sé lo spirito di zelo e di giustizia contro se stesso per castigare questa carne, per ridurla in servitù crocifiggendola con la giustizia e punendola del suo orgoglio e della sua insolenza.

Bisogna che, per virtù dello spirito di Cristo che lo anima, egli la sottometta alla legge di Dio, che la costringa, suo malgrado, a servire il prossimo, che la riduca a un totale annientamento di se stessa. In questo, il nuovo uomo differisce dall'antico che era stato creato in un tal grado di santità, che la carne e i sensi seguivano le disposizioni dello spirito, col quale vivevano in perfetta intelligenza, essendo sempre d'accordo nei loro movimenti e sempre egualmente portati ad azioni di santità e di giustizia: ciò che non avviene più nell’uomo nuovo e nei cristiani la cui carne non è santificata (76). La seconda differenza fra la santità del cristiano rinnovato e riformato in Gesù Cristo, e quella dell'uomo primitivo nello stato d'innocenza, è che la santità del cristiano lo porta senza posa a privarsi, più che può, delle creature (77) che, dopo il peccato, non gli sono che soggetti di tentazione (78) per dedicarsi a Dio con una fede pura, sciolto da ogni legame umano (79). Invece la santità del primo uomo e la grazia dell'innocenza non lo separavano in tal modo dalle creature, anzi ad esse lo avvicinavano per ammirarne le bellezze divine espresse in esse, ciò che lo innalzava a Dio, pur trattandosi di forme visibili che cadevano sotto i suoi sensi.

Questa differenza dimostra la grande purezza del nostro stato rinnovato in Gesù Cristo, che ci santifica e ci consacra al Padre in un distacco universale delle cose, dedicandoci a lui nella sua verità e scorgendolo al lume della fede pura, senza soffermarci alle esteriorità di tutto questo mondo. Sanctifica eos in veritate (80), diceva altra volta Nostro Signore al Padre suo. O Signore, santificate i servi vostri nella verità, e cioè uniteli al vostro essere divino, e non solo figuratamente come facevate altra volta (81). Poiché la religione dei veri adoratori è di adorare Dio in spirito e verità (82) e non più solamente sotto delle ombre. (del Ven. Jean-Jacques Olier)

cfr: http://cristianesimocattolico.tumblr.com/post/72433476374/labito-dei-chierici-talare-e-clergyman-non-sono-la

NOTE

(60) Habitum sacrae religionis. Pontifical. Rom.
(6t) Existimate vos mortuos quidem esse peccato, viventes autem Deo in Christo Jesu. Rom ., 6, 11.
(62) Consepulti ei in baptismo, in quo et resurrexistis per fidem operationis Dei, qui suscitavit illum a mortuis, Coloss., 2, 12.E se S. Benedetto, per una devozione particolare alla morte ed alla sepoltura di Gesù, si è rivestito completamente di nero, doveva nascere da lui un altro santo, l'umile san Bruno che, compiendo i disegni di Dio sul suo ordine, scelse l'abito bianco.
(63) Mortuum sibi deputet mundum, ac se mundi blandienltis illecebris exhibeat crucifixum. 
Jul. Pomer., de Vita Contempl., lib. 1, c. 8.
(64) Mercenarii sumus conducti… et ideo vocati a Christo, ut haec sola operemur, quae pertinent ad gloriam Dei... proximique profectum. S. Chrysost., hom. 34 oper. imp. inMatth.
(65) Jacob. 1, 27. – Visitare pupillos et viduas, etc., id est, exercere se in operibus misericordiae erga proximum, et in operibus munditiae erga seipsum. Lyran., hic. – Per sacculum, intelligit mundum et omnia quae sunt in mundo. Qui (enim) mundum diligit, immaculatum se a saeculo non custodit. Gloss.
(66) Puritas cordis in duobus consistit, in quaerenda gloria Dei, et utilitate proximi, ut in omnibus... nihil suum quaerat... sed tantum aut Dei honorem, aut salutem proximorum, aut utrumque. S. Bernard. Ep. 42, ad Henr. Sen., seu. de Offic. Episc., cap. 3, IL 10.
(67) Duplex est cultus Dei, interior et exterior. Cum enim homo sit compositus et anima et corpore, utrumque debet applicari ad colendum Deum, ut scilicet anima colat interiori cultu, et corpus exteriori. D. Thom., 1, 2, q. 101, a. 2, in corp.
(68) Ad hoc a Deo dati estis, ut depravatos mores ac leges mundi, verbo et exemplis viriiiter impugnetis. Barth. a Martyr., Stim. Past. p. 2, c. 6. –Superpelliceum primo propter sui candorem, munditiam seu puritatem castitatis designat... Tertio denotat innocentiam; et ideo ante omnes alias vestes sacras induitur; quia divino cultui deputati, innocentia vitae, cunctis virtutum actibus superpollere debent, juxta illud Psalmi: Innocentes et recti adhaeserunt mihi. Durand., Rat. divin. Offic., lib. 3, cap. 1, n. 10, 11.
(69) Visum est, ut mihi videtur, magnis Patribus illis nigrum colorem magis humilitati, magis poenitentiae, magis luctui convenire... Vestes candidas magis gloriam quam abjectionem, magis gaudium quam moerorem antiquitus designasse. Petr. Cluniac. ab. ad S. Bernard abb. Claraval., lib. 4, Ep. 17.
(70) Veteres Palres candida veste ad spiritualium genesim indicandam usi sunt; cum albus color vitae symbolum sit, et alter mortis. Vicecomes, de Baptism., lib. 5, c. 9.
(71) Vestis ad honorem et gloriam pIane sacrati sanctique generis, Christus est: atque praeclarum ac supernum sanctarum animarum ornamentum. S. Cyril. Alex., de Ador. in spirit. et verit., lib. 11, qui est de Sac.
(72) David ex persona Dei, de eis qui in ecclesiis sacerdotali munere funguntur, dicit: Sacerdotes ejus induam salutari. Paulus induere Dominum Jesum praccepit; hoc illud est de caelo habitaculum, illa exultationis tunica, et indumentum salutis. Ibid.
(73) Rom., 13, 14.
(74) Dicitur iuduere Christum qui Christum imitatur; quia sicut homo continetur vestimento, et sub ejus colore videtur, ita in eo qui Christum imitatur, opera Christi apparent.D. Thom., in Ep. ad Rom. c. 13, v. 14.
(75) Adam non opus habebat eo adjutorio quod implorant sancti in hac vita, ad quos perlinet liberationis gratia, cum dicunt: Video aliam legem in membris meis pugnantem legi mentis meae, etc., quoniam in eis caro concupiscit adversns spiritum, et spiritus adversus carnem... Ille vero nulla tali rlxa a seipso adversus seipsum tentatus atque turbatus, in illo beatitudinis loco sua secum pace fruebatur, S. Aug. de Corrept. et Grat. 11, n. 29.
(76) Byssus est genus lini candidissimi, et ad summum candorem multa vexatione et ablutione perductum. Significat autem perfectam carnis munditiam, secundum illud quod in Apocalypsi legitur; Byssus sunt justifìcationes sanctorum. Hac munditia caro sacerdotis ex se non habet; sicut nec linum ex se est candidum; sed, sicut dictum est, multis castigationibus et ablutionibus redditur candidum, ut aptum fiat indumentis pontificum. Forma est sacerdotalis munditiae, ut secundum Apostolum sacerdotes carnem suam castigent, et in servitntem redigant; at praeunte gratia habeant per industriam, quod non potuerunt habere per naturam. Ivo Carnot., de Signif. indum. sacerd., serm. 3 in Synod. – Hugo a S. Victor., de Sacram. Christi fid., lib. 2, p. 4, c. 2.
(77) Qui non renuntiat omnibus quae possidet, non potest meus esse discipulus. Luc., 14, 33.
(78) Creaturae Dei in odium factae sunt et in temptationem animis hominum et in muscipulum pedibus insipientium. Sap. 14, 11.
(79) Oportet Christianum, abnegato mundo, transferri ex hoc saeculo, in quo versatur animus illecebris illectus a tempore transgressionis Adam, in alterurn saeculum, et intellectu in superiori ac divino mundo versari. S. Macar., hom. 24. – Contemptu universorum Christus sequendus est. S. Hilar, in Matth. , cap. 16, n. 11.
(80) Joan. 17, 17. – In veritate, id est, in me. S. Cyril. Alex., lib., 11 in Joan. , c. 10.
(81) Sanctificantur in veritate heredes Testamenti novi, cujus veritatis umbrae fuerunt sanctifcationes veteris Testamenti, et cum sanctificantur in veritate, utique sanctificantur in Christo qui veraciter dicit Ego sum via et veritas. S. Aug., tract. 108 in Joan. n. 2.
(82) Veri adoratores adorabunt Patrem spiritu et veritate. – Joan. 4, 23.