venerdì 22 novembre 2013

BELLISSIMA STORIA DI SANTA CECILIA, VERGINE E MARTIRE



SANTA CECILIA

22 luglio. Festività di S. Maria Maddalena.

Una bella e lunga visione che non ha nulla a che fare con la Santa penitente che
io ho sempre amata tanto. La scrivo aggiungendo fogli a questo quaderno perché
sono sola e prendo quanto ho sotto mano.
Vedo le catacombe. Per quanto io non sia mai 1 stata nelle catacombe, capisco
che sono esse. Quali non so. Vedo oscuri meandri di stretti corridoi scavati
nella terra, bassi e umidi, fatti tutti a giravolte come un labirinto. Si
cammina diritti e sembra di poter continuare, al massimo di poter svoltare in un
altro corridoio, invece ci si trova di fronte una parete terrosa e occorre
svoltare, tornare indietro sino a ritrovare un altro corridoio che vada oltre.
In essi sono loculi e loculi, pronti per ricevere martiri. Pronti in questo
senso: che ognuno è leggermente scavato nella parete per dare una norma ai
fossori. Così in principio. Ma più ci si addentra e più 2 i loculi sono già
fondi e compiti, messi tutti nel senso della parete, come tante cuccette di
nave. Altri sono invece già colmi della loro santa spoglia e chiusi da una rozza
lapide incisa malamente col nome del martire o del defunto e i segni cristiani,
oltre una parola di addio e di raccomandazione.

Ma questi loculi già completati e chiusi sono proprio in quella zona che
suppongo sia la centrale della catacomba, perché qui si aprono sovente ambienti
più vasti, come sale e salette, e più alti, ornati di graffiti e più luminosi
degli altri per delle lucernette a olio sparse qua a là per devozione e per
comodità dei fedeli ai quali per qualche motivo si spenga la propria lampadetta.
Anche le persone qui sono più numerose e sboccano da tutte le parti, salutandosi
con amore, a voce bassa come il luogo santo lo richiede. Vi sono uomini, donne e
bambini. Di ogni condizione sociale. Vestiti da poveri e da patrizi. Le donne
hanno il capo coperto da una stoffa leggera come una mussola. Non è il velo di
tulle, certo, ma è come una garza fitta fitta, più bella nelle ricche, più
povera nelle povere, scura per le spose e vedove, bianca per le vergini. Vi sono
spose che hanno i bambini in braccio. Forse non avevano a chi lasciarli e se li
sono portati seco e, se i più grandicelli camminano al fianco delle mamme loro,
i più piccini, certuni infanti, dormono beati sotto il velo materno, cullati dal
passo della madre e dai canti lenti e pii che si elevano sotto le volte.
Sembrano angioletti scesi dal Cielo e sognanti il Paradiso a cui sorridono nel
sonno.
La gente aumenta e finisce a radunarsi in una vastissima sala semicircolare che
ha nel culmine del cerchio l’altare volto verso la folla ed è tutta coperta di
pitture o mosaici. Non capisco bene. So che sono figurazioni colorate in cui
splendono i toni più vivi o chiari e brillano le raggiere d’oro. Sull’altare
molti lumi accesi. Intorno all’altare una corona di vergini bianco-vestite e
bianco-velate.

1 Da qui comincia a scrivere sui fogli aggiunti al quaderno.
2 più è aggiunto da noi

Entra, benedicente, un vecchio dall’aspetto buono e maestoso. Credo sia il
Pontefice, perché tutti si prostrano riverenti. Egli è circondato da preti e
diaconi e passa fra la siepe di teste chine con un sorriso di bellezza
ineffabile sul volto. Il solo sorriso dice della sua santità. Sale all’altare e
si prepara al rito mentre i fedeli cantano.

La celebrazione ha luogo. È quasi simile alla nostra 3. Molto più complessa di
quella vista nel Tullianum, celebrata dall’apostolo Paolo, e di quella vista
celebrare in casa di Petronilla 4.

IL vecchio celebrante, Vescovo di certo se non Pontefice, è aiutato e servito
dai diaconi, i quali hanno vesti molto diverse dalle sue perché, mentre questo
porta una veste (di celebrazione) che somiglia, tanto per darle un’idea, a
quegli accappatoi 5 da toletta che le donne usano per pettinarsi - mantellette
tonde che coprono sul davanti e sul dietro e le spalle e braccia sino quasi al
polso - i diaconi hanno una veste di celebrazione quasi uguale alle attuali,
lunga sino al ginocchio e con maniche larghe e corte.
La Messa consta di canti, che comprendo essere brani di salmi o dell’Apocalisse,
di letture di brani epistolari o biblici e del Vangelo, i quali vengono
commentati ai fedeli dai diaconi a turno.
Finito di leggere il Vangelo - lo legge con voce di canto un giovane diacono -
si alza il Pontefice. Lo chiamo così perché sento che così è indicato da una
mamma ad un suo bambino piuttosto irrequieto. Il brano scelto era la parabola
delle dieci vergini: sagge o stolte 6.
Il Pontefice dice: «Propria delle vergini, questa parabola si rivolge a tutte le
anime, poiché i meriti del Sangue del Salvatore e la Grazia riverginizzano le
anime e le fanno come fanciulle in attesa dello Sposo.
Sorridete, o vecchi cadenti; alzate il volto, o patrizi sino a ieri immersi
nella fanghiglia del paganesimo corrotto; guardate senza più rimpianto al vostro
candido ignorare di fanciulle, o madri e spose. Non siete, nell’anima, dissimili
da questi gigli fra cui passeggia l’Agnello e che ora fanno corona al suo
altare. L’anima vostra ha bellezze di vergine che nessun bacio ha sfiorata,
quando rinascete e permanete in Cristo, Signor nostro. Il suo venire fa più
candida di alba su un monte coperto di neve l’anima che prima era sporca e nera
dei vizi più abbietti. Il pentimento la deterge, la volontà la depura, ma
l’amore, l’amore del nostro santo Salvatore, amore che viene dal suo Sangue che
grida con voce d’amore, vi rende la verginità perfetta. Non già quella che
aveste all’alba della vostra vita umana. Ma


3 La scrittrice si riferisce, ovviamente, alla S. Messa come veniva celebrata ai
suoi tempi, prima della riforma liturgica introdotta dal Concilio Vaticano II,
anche se resta la somiglianza della celebrazione da lei descritta con quella dei
nostri giorni.
4 Il 29 febbraio (pag. 225) ??? e il 4 marzo (pag. 243).???
5 accappatoi è nostra correzione da accapatoi
6 Matteo 25, 1-13.

quella che era del padre di tutti: Adamo, ma quella che era della madre di
tutti: Eva, prima che Satana passasse, traviando, sulla loro innocenza angelica,
sull’innocenza: dono divino che li vestiva di grazia agli occhi di Dio e
dell’universo.
O santa verginità della vita cristiana! Bagno di Sangue, di Sangue di un Dio che
vi fa nuovi e puri come l’Uomo e la Donna usciti dalle mani dell’Altissimo! O
nascita seconda della vostra vita, nella vita cristiana, preludio di quella
terza nascita che vi darà il Cielo quando vi salirete al cenno di Dio, candidi
per la fede o porpurei per il martirio, belli come angeli e degni di vedere e
seguire Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore nostro!
Ma oggi, più che alle anime riverginizzate dalla Grazia, mi volgo a quelle
chiuse in corpo vergine, con volontà di vergine. Alle vergini sagge che hanno
compreso l’invito d’amore del Signor nostro e le parole del vergine Giovanni, e
vogliono seguire per sempre l’Agnello fra la schiera di coloro che non conobbero
contaminazione e che empiranno in eterno i Cieli del cantico che niuno può dire
se non coloro che vergini sono per amore di Dio 7. E parlo alla forte nella
fede, nella speranza, nella carità, che si ciba questa notte delle Carni
immacolate del Verbo e si corrobora col suo Sangue come di Vino celeste per
esser forte nella sua impresa.
Una fra voi si alzerà da questo altare per andare incontro a un destino il cui
nome può essere “morte”. E vi va fidente in Dio, non della fede comune a tutti i
cristiani, ma di una ancor più perfetta fede che non si limita a credere per se
stessa, a credere nella protezione divina per se stessa. Ma crede anche per gli
altri e spera di portare a questo altare colui che domani sarà agli occhi del
mondo il suo sposo ma agli occhi di Dio il fratello suo dilettissimo. Doppia 8,
perfetta verginità che si sente sicura della sua forza al punto di non temere
violazione, di non temere ira di sposo deluso, di non temere debolezza di senso,
di non temere paura di minacce, di non temere delusione di speranze, di non
temere paura e quasi certezza di martirio.
Alzati e sorridi al tuo Sposo vero, casta vergine di Cristo che vai incontro
all’uomo guardando a Dio, che ci vai per portare l’uomo a Dio! Dio ti guarda e
sorride e ti sorride la Madre che fu Vergine e gli angeli ti fanno corona.
Alzati e vieni a dissetarti alla Fonte immacolata prima di andare alla tua
croce, alla tua gloria.
Vieni, sposa di Cristo. Ripeti a Lui il tuo canto d’amore sotto queste volte che
ti sono più care della cuna della tua nascita al mondo, e portalo teco sino al
momento che l’anima lo canterà nel Cielo mentre il corpo poserà nell’ultimo
sonno fra le braccia di questa tua vera Madre: l’apostolica Chiesa.»

Finita l’omelia del Pontefice, vi è un poco di brusio, perché i cristiani
sussurrano guardando e accennando la schiera delle vergini. Ma viene zittito per
far fare silenzio e poi vengono fatti uscire i catecumeni e la Messa prosegue.

7 Apocalisse 14, 4.
8 Doppia è lettura incerta


Non c’è il Credo. Almeno io non lo sento dire. Dei diaconi passano fra i fedeli
raccogliendo offerte, mentre altri diaconi cantano con la loro voce virile
alternando le strofe di un inno alle voci bianche delle vergini. Volute di
incenso salgono verso la volta della sala mentre il Pontefice prega all’altare e
i diaconi sollevano sulle palme le offerte raccolte in vassoi preziosi e in
anfore pure preziose.
La Messa prosegue ora così come è adesso. Dopo il dialogo che precede il
Prefazio, e il Prefazio cantato dai fedeli, si fa un grande silenzio in cui si
odono 9 solo le aspirazioni e i sibili del celebrante che prega curvo
sull’altare e che poi si solleva e a voce più distinta dice le parole della
Consacrazione.
Bellissimo il Pater intonato da tutti. Quando si inizia la distribuzione delle
Specie i diaconi cantano. Vengono comunicate le vergini per prime. Poi cantano
esse il canto udito per la sepoltura di Agnese 10: “Vidi supra montem Sion Agnum
stantem...”. Il cantico dura sinché dura la distribuzione delle Specie
alternandosi al salmo: “Come il cervo sospira alle acque, così l’anima mia anela
Te mio Dio” 11 (credo avere tradotto bene).
La Messa ha termine. I cristiani si affollano intorno al Pontefice per esserne
benedetti anche singolarmente e per accomiatarsi dalla vergine a cui si è
rivolto il Pontefice. Questi saluti avvengono però in una sala vicina, una
anticamera, direi, della chiesa vera e propria. E avvengono quando la vergine,
dopo una preghiera più lunga di tutte degli altri presenti, si alza dal suo
posto, si prostra ai piedi dell’altare e ne bacia il bordo. Pare proprio un
cervo che non sappia staccarsi dalla sua fonte d’acqua pura.

Sento che la chiamano: “Cecilia, Cecilia” e la vedo, finalmente, in viso, perché
ora è ritta presso il Pontefice e si è un poco sollevato il velo. È bellissima e
giovanissima. Alta, formosa con grazia, molto signorile nel tratto, con una
bella voce e un sorriso e uno sguardo d’angelo. Dei cristiani la salutano con
lacrime, altri con sorrisi. Alcuni le dicono come mai si è potuta decidere a
nozze terrene, altri se non teme l’ira del patrizio quando la scoprirà
cristiana.
Una vergine si rammarica che ella rinunci alla verginità. Risponde Cecilia a lei
per rispondere a tutti: “Ti sbagli, Balbina. Io non rinuncio a nessuna
verginità. A Dio ho sacrato il mio corpo come il mio cuore e a Lui resto fedele.
Amo Dio più dei parenti. Ma li amo ancora tanto da non volerli portare a morte
prima che Dio li chiami. Amo Gesù, Sposo eterno, più d’ogni uomo. Ma amo gli
uomini tanto da ricorrere a questo mezzo per non perdere l’anima di Valeriano.
Egli mi ama, ed io castamente lo amo, perfettamente lo amo, tanto da volerlo
avere meco nella Luce e nella Verità. Non temo le sue ire. Spero nel Signore per
vincere. Spero in Gesù per cristianizzare lo sposo terreno. Ma se non vincerò
in questo, e martirio mi verrà


9 odono è nostra correzione da ode
10 Il 20 gennaio, pag. 62. Apocalisse 14, 1.
11 Salmo 42 (volgata: 41), 2.


dato, vincerò più presto la mia corona. Ma no!... Io vedo tre corone scendere
dal Cielo: due uguali e una fatta di tre ordini di gemme. Le due uguali sono
tutte rosse di rubini. La terza è di due fasce di rubini intorno e un grande
cordone di perle purissime. Esse ci attendono. Non temete per me. La potenza del
Signore mi difenderà. In questa chiesa ci troveremo presto uniti per salutare
dei nuovi fratelli. Addio. In Dio”.
Escono dalle catacombe. Si avvolgono tutti in mantelli scuri e sgattaiolano per
le vie ancora semioscure perché l’alba è appena appena al suo inizio.


Seguo Cecilia che va insieme a un diacono e a delle vergini. Alla porta di un
vasto fabbricato si lasciano. Cecilia entra con due vergini sole. Forse due
ancelle. Il portinaio però deve essere cristiano perché saluta così: “Pace a
te!”.
Cecilia si ritira nelle sue stanze e insieme alle due prega e poi si fa
preparare per le nozze. La pettinano molto bene. Le infilano una finissima veste
di lana candidissima, ornata di una greca in ricamo bianco su bianco. Sembra
ricamata in argento e perle. Le mettono monili alle orecchie, alle dita, al
collo, ai polsi.
La casa si anima. Entrano matrone e altre ancelle. Un via vai festoso e
continuo.

Poi assisto a quello che credo sia lo sposalizio pagano. Ossia l’arrivo dello
sposo fra musiche e invitati e delle cerimonie di saluti e aspersions e simili
storie, e poi la partenza in lettiga verso la casa dello sposo tutta parata a
festa. Noto che Cecilia passa sotto archi di bende di lana bianca e di rami che
mi paiono mirto e si ferma davanti al larario, credo, dove vi sono nuove
cerimonie di aspersioni e di formule. Vedo a odo i due darsi la mano e dire la
frase rituale: “Dove tu, Caio, io Caia”.


Vi è tanta di quella gente e su per giù tutta in vesti uguali: toghe, toghe e
toghe, che non capisco quale sia il sacerdote del rito e se c’è. Mi pare di
avere il capogiro.
Poi Cecilia, tenuta per mano dallo sposo, fa il giro dell’atrio (non so se dico
bene), insomma della sala a nicchie e colonne dove è il larario, e saluta le
statue degli antenati di Valeriano, credo. E poscia passa sotto nuovi archi di
mirto ed entra nella vera casa. Sulla soglia le offrono doni e, fra l’altro, una
rocca e un fuso. Glie la offre una vecchia matrona. Non so chi sia.
La festa si inizia col solito banchetto romano e dura fra canti e danze. La sala
è ricchissima come tutta la casa. Vi è un cortile - credo si chiami impluvio, ma
non ricordo bene i nomi della edilizia romana né so se li applico giusti - che è
un gioiello di fontane, statue e aiuole. Il triclinio è fra questo e il giardino
folto e fiorito che è oltre la casa. Fra i cespugli, statue di marmo e fontane
bellissime.
Mi sembra passi molto tempo perché la sera scende. Si vede che per i romani non
c’erano le tessere 12. Il banchetto non finisce mai. È vero che vi sono soste di
canti e danze. Ma insomma...

12 Le tessere che, nel periodo bellico in cui Maria Valtorta scriveva,
regolavano il razionamento del pane e di altri alimenti.


Cecilia sorride allo sposo che le parla e la guarda con amore. Ma pare un poco
svagata. Valeriano le chiede se è stanca e, forse per farle cosa gradita, si
alza per licenziare gli ospiti.

Cecilia si ritira nelle sue nuove stanze. Le sue ancelle cristiane sono con lei.
Pregano e, per avere una croce, Cecilia bagna un dito in una coppa che deve
servire alla toletta e segna una leggera croce scura sul marmo di una parete. Le
ancelle la svestono del ricco abito mettendole una semplice veste di lana, le
sciolgono i capelli levandone le forcine preziose e glie li annodano in due
trecce. Senza gioielli, senza riccioli, così, con le trecce sulle spalle,
Cecilia pare una giovinetta, mentre giudico abbia dai 18 ai 20 anni.
Un’ultima preghiera e un cenno alle ancelle che escono per tornare con
altre più anziane, certo della casa di Valeriano. In corteo vanno ad una
magnifica camera e le più vecchie accompagnano Cecilia al letto che è poco
dissimile dai divani alla turca di ora, soltanto la base è di avorio intarsiato
e colonne di avorio sono ai quattro lati, sorreggenti 13 un baldacchino di
porpora. Anche il letto è coperto di ricchissime stoffe di porpora. La lasciano
sola.

Entra Valeriano e va a mani tese verso Cecilia. Si vede che l’ama molto. Cecilia
sorride al suo sorriso. Ma non va verso lui. Resta in piedi al centro della
stanza, perché, non appena uscite le vecchie ancelle che l’avevano adagiata sul
letto, ella si è rialzata.
Valeriano se ne stupisce. Crede non l’abbiano servita a dovere ed è già iracondo
verso le ancelle. Ma Cecilia lo placa dicendo che fu lei a volerlo attendere in
piedi.
“Vieni, allora, Cecilia mia” dice Valeriano cercando di abbracciarla. “Vieni,
ché io ti amo tanto”.
“Io pure. Ma non mi toccare. Non mi offendere con carezze umane”.
“Ma Cecilia!... Sei mia sposa”.
“Son di Dio, Valeriano. Son cristiana. Ti amo, ma con l’anima in Cielo. Tu non
hai sposato una donna, ma una figlia di Dio cui gli angeli servono. E l’angelo
di Dio sta meco a difesa. Non offendere la celeste creatura con atti di triviale
amore. Ne avresti castigo”.
Valeriano è trasecolato. Dapprima lo stupore lo paralizza, ma poi l’ira d’esser
beffato lo soverchia ed egli si agita e urla. È un violento, deluso sul più
bello. “Tu mi hai tradito! Tu ti sei fatta giuoco di me. Non credo. Non posso,
non voglio credere che tu sei cristiana. Sei troppo buona, bella e intelligente
per appartenere a questa sozza congrega. Ma no!... È uno scherzo. Tu vuoi
giuocare come una bambina. È la tua festa. Ma lo scherzo è troppo atroce. Basta.
Vieni a me”
“Sono cristiana. Non scherzo. Mi glorio d’esserlo perché esserlo vuol dire esser
grandi in terra e oltre. Ti amo, Valeriano. Ti amo tanto che sono venuta a te
per portarti a Dio, per averti con me in Dio”.


13 sorreggenti è nostra correzione da sorregenti


“Maledizione a te, pazza e spergiura! Perché mi hai tradito? Non temi la mia
vendetta?...”
“No, perché so che sei nobile e buono e mi ami. No, perché so che non osi
condannare senza prova di colpa. Io non ho colpa...”.
“Tu menti dicendo di angeli e dèi. Come posso credere a questo? Dovrei vedere e
se vedessi... se vedessi ti rispetterei come angelo. Ma per ora sei la mia
sposa. Non vedo nulla. Vedo te sola”.
“Valeriano, puoi credere che io menta? Lo puoi credere, proprio tu che mi
conosci? Sono dei vili, Valeriano, le menzogne. Credi a quanto ti dico. Se tu
vuoi vedere l’angelo mio, credi in me e lo vedrai. Credi a chi ti ama. Guarda:
sono sola con te. Tu potresti uccidermi. Non ho paura. Sono in tua balìa. Mi
potresti denunciare al Prefetto. Non ho paura. L’angelo mi ripara delle sue ali.
Oh! se tu lo vedessi!...”
“Come potrei vederlo?”
“Credendo in ciò che io credo. Guarda: sul mio cuore è un piccolo rotolo. Sai
cosa è? È la Parola del mio Dio. Dio non mente, e Dio ha detto di non avere
paura, noi che crediamo in Lui, ché aspidi e scorpioni saranno senza veleno per
il nostro piede 14...”.
“Ma pure voi morite a migliaia nelle arene...”
“No. Non moriamo. Viviamo eterni. L’Olimpo non è. Il Paradiso è. In esso non
sono gli 15 dèi bugiardi e dalle passioni brutali. Ma solo angeli e santi nella
luce e nelle armonie celesti. Io le sento... Io le vedo... O Luce! O Voce! O
Paradiso! Scendi! Scendi! Vieni a far tuo questo tuo figlio, questo mio sposo.
La tua corona prima a lui che a me. A me il dolore d’esser senza il suo affetto,
ma la gioia di vederlo amato da Te, in Te, prima del mio venire. O gioioso
Cielo! O eterne nozze! Valeriano, saremo uniti davanti a Dio, vergini sposi,
felici di un amore perfetto...” Cecilia è estatica.

Valeriano la guarda ammirato, commosso. “Come potrei... come potrei avere ciò?
Io sono il patrizio romano. Sino a ieri gozzovigliai e fui crudele. Come posso
esser come te, angelo?”
“Il mio Signore è venuto per dare vita ai morti. Alle anime morte. Rinasci in
Lui e sarai simile a me. Leggeremo insieme la sua Parola e la tua sposa sarà
felice d’esserti maestra. E poi ti condurrò meco dal Pontefice santo. Egli ti
darà la completa luce e la grazia. Come cieco a cui si aprono le pupille tu
vedrai. Oh! vieni, Valeriano, e odi la Parola eterna che mi canta in cuore”.
E Cecilia prende per mano lo sposo, ora tutto umile e calmo come un bambino, e
si siede presso a lui su due ampi sedili e legge il I capitolo del Vangelo di S.
Giovanni sino al v. 14, poi il cap. 3° nell’episodio di Nicodemo.
La voce di Cecilia è come musica d’arpa nel leggere quelle pagine e Valeriano le
ascolta prima stando seduto col capo appuntellato alle mani, posando i
gomiti

14 Marco 16, 17-18; Luca 10, 19.
15 gli è nostra correzione da i

sui ginocchi, ancora un poco sospettoso e incredulo, poi appoggia il capo sulla
spalla della sposa e a occhi chiusi ascolta attentamente e, quando lei smette,
supplica: “Ancora, ancora”. Cecilia legge brani di Matteo e Luca, tutti atti a
persuadere sempre più lo sposo, e termina tornando a Giovanni del quale legge
dalla lavanda in poi 16.
Valeriano ora piange. Le lacrime cadono senza sussulti dalle sue palpebre
chiuse. Cecilia le vede e sorride, ma non mostra notarle. Letto l’episodio di
Tommaso incredulo 17, ella tace...
E restano così, assorti l’una in Dio, l’altro in se stesso, sinché Valeriano
grida: “Credo. Credo, Cecilia. Solo un Dio vero può aver detto quelle parole e
amato in quel modo. Portami dal tuo Pontefice. Voglio amare ciò che tu ami.
Voglio ciò che tu vuoi. Non temere più di me, Cecilia. Saremo come tu vuoi:
sposi in Dio e qui fratelli. Andiamo, ché non voglio tardare a vedere ciò che tu
vedi: l’angelo del tuo candore “.
E Cecilia raggiante si alza, apre la finestra, scosta le tende perché la luce
del nuovo giorno entri, e si segna dicendo il Pater noster: adagio, adagio
perché lo sposo possa seguirla, e poi con la sua mano lo segna in fronte e sul
cuore e per ultimo gli prende la mano e glie la porta alla fronte, al petto,
alle spalle nel segno di croce, e poi esce tenendo lo sposo sempre per mano,
guidandolo verso la Luce.
Non vedo altro.

Ma Gesù mi dice:

«Quanto avete da imparare dall’episodio di Cecilia! È un vangelo della Fede 18.
Perché la fede di Cecilia era ancor più grande di quella di tante altre vergini.
Considerate. Ella va alle nozze fidando in Me che ho detto: “Se avrete tanta
fede quanto un granello di senapa, potrete dire a un monte: ritirati, ed esso si
sposterà”19. Vi va sicura del triplo miracolo di esser preservata da ogni
violenza, di esser apostola dello sposo pagano, di esser immune per il momento,
e da parte di lui, da ogni denuncia. Sicura nella sua fede, ella fa un passo
rischioso, agli occhi di tutti, non ai suoi, perché i suoi fissi in Me vedono il
mio sorriso. E la sua fede ha ciò che ha sperato.
Come va al cimento? Corroborata di Me. Si alza da un altare per andare alla
prova. Non da un letto. Non parla con uomini. Parla con Dio. Non si appoggia
altro che a Me.
Ella lo amava santamente Valeriano, lo amava oltre la carne. Angelica sposa,
vuole continuare ad amare così il consorte per tutta la vera Vita. Non si limita
a farlo felice qui. Vuole farlo felice in eterno. Non è egoista. Dà a lui ciò
che è il suo

16 Da Giovanni 13, 1 in poi.
17 Giovanni 20, 24-29.
18 Vedi il breve dettato del 28 febbraio, pag. 152.
19 Matteo 17, 20; Luca 17, 6.

bene: la conoscenza di Dio. Affronta il pericolo pur di salvarlo. Come madre,
ella non cura pericoli pur di dare alla Vita un’altra creatura.
La vera Religione non è mai sterile. Dà ardori di paternità e maternità
spirituali che empiono i secoli di calori santi. Quanti coloro che in questi
venti secoli hanno effuso se stessi, facendosi eunuchi volontari 20 pur di esser
liberi di amare non pochi, ma tanti, ma tutti gli infelici!
Guardate quante vergini fanno da madri agli orfani, quanti vergini da padri ai
derelitti. Guardate quanti generosi senza tonaca o divisa fanno olocausto della
loro vita per portare a Dio la miseria più grande: le anime che si sono perdute
e impazzano nella disperazione e nella solitudine spirituale. Guardate. Voi non
li conoscete. Ma Io li conosco uno per uno e li vedo come diletti del Padre.
Cecilia vi insegna anche una cosa. Che per meritare di vedere Iddio bisogna
esser puri. Lo insegna a Valeriano e a voi. Io l’ho detto: “Beati i puri perché
vedranno Dio”21.

Esser puri non vuol dire esser vergini. Vi sono vergini che sono impuri, e padri
e madri che sono puri. La verginità è l’inviolatezza fisica e, dovrebbe essere,
spirituale. La purezza è la castità che dura nelle contingenze della vita. In
tutte. È puro colui che non pratica e seconda la libidine e gli appetiti della
carne. È puro colui che non trova diletto in pensieri e discorsi o spettacoli
licenziosi. È puro colui che, convinto della onnipresenza di Dio, si comporta
sempre, sia che sia con sé solo che con altri, come fosse in mezzo ad un
pubblico.

Dite: fareste in mezzo ad una piazza ciò che vi permettete di fare nella vostra
stanza? Direste ad altri, coi quali volete rimanere in alto concetto, ciò che
ruminate dentro? No. Perché su una via incorrereste nelle pene degli uomini e
presso gli uomini nel loro disprezzo. E perché allora fate diversamente con Dio?
Non vi vergognate di apparire a Lui quali porci, mentre vi vergognate di
apparire tali agli occhi degli uomini?

Valeriano vide l’angelo di Cecilia e ebbe il suo e portò a Dio Tiburzio. Lo vide
dopo che la Grazia lo rese degno, e la volontà insieme, di vedere l’angelo di
Dio. Eppure Valeriano non era vergine. Non era vergine. Ma quale merito sapersi
strappare, per un amore soprannaturale, ogni abitudine inveterata di pagano!
Grande merito in Cecilia che seppe tenere l’affetto per lo sposo in sfere tutte
spirituali, con una verginità doppiamente eroica; grande merito in Valeriano di
saper volere rinascere alla purezza dell’infanzia, per venire con bianca stola
nel mio Cielo.
I puri di cuore! Aiuola profumata e fiorita su cui trasvolano gli angeli. I
forti nella fede. Rocca su cui si alza e splende la mia Croce. Rocca di cui ogni
pietra è un cuore cementato all’altro nella comune Fede che li lega.


20 Matteo 19, 12.
21 Matteo 5, 8.


Nulla Io nego a chi sa credere e vincere la carne e le tentazioni. Come a
Cecilia, Io do vittoria a chi crede ed è puro di corpo e di pensiero.
Il Pontefice Urbano ha parlato sulla riverginizzazione delle anime attraverso la
rinascita e la permanenza in Me. Sappiatela raggiungere. Non basta esser
battezzati per essere vivi in Me. Bisogna sapervi rimanere.

Lotta assidua contro il demonio e la carne. Ma non siete soli a combatterla.
L’angelo vostro ed Io stesso siamo 22 con voi. E la terra si avvierebbe verso la
vera pace quando i primi a far pace fossero i cuori con se stessi e con Dio, con
se stessi e i fratelli, non più essendo arsi da ciò che è male e che a sempre
maggior male spinge. Come valanga che si inizia da un nulla e diviene massa
immane.
Tanto dovrei dire ai coniugi. Ma a che pro? Già ho detto 23. Né si volle capire.
Nel mondo decaduto non soltanto la verginità pare manìa ma la castità nel
coniugio, la continenza, che fa dell’uomo un Uomo e non una bestia, non è più
riputata che debolezza e menomazione.

Siete impuri e trasudate impurità. Non date nomi ai vostri mali morali. Ne hanno
tre, i sempre antichi e sempre nuovi: orgoglio, cupidigia e sensualità. Ma ora
avete raggiunto la perfezione in queste tre belve che vi sbranano e che andate
cercando con pazza bramosia.
Per i migliori ho dato questo episodio, per gli altri è inutile perché alla loro
anima sporca di corruzione non fa che muovere solletico di riso. Ma voi buoni
state fedeli. Cantate con cuore puro la vostra fede a Dio. E Dio vi consolerà
dandosi a voi come Io ho detto. Ai buoni fra i migliori darò la conoscenza
completa della conversione di Valeriano per il merito di una vergine pura e
fedele.»

22 siamo è nostra correzione da sono
23 Nei dettati del 22 marzo (pag. 195) e del 21 giugno (pag. 321).

Per altre immagini ecc..: http://gerardoms.blogspot.it/2012/11/cantantibus-organis-cecilia-virgo-in.html