lunedì 30 settembre 2013

La parabola dei pescatori


Le parabole di Gesù
(013)

La parabola dei pescatori (239.5)

Gesù inizia a parlare:

"Dei pescatori uscirono al largo e gettarono nel mare la loro rete, e dopo il tempo dovuto la tirarono a bordo. Con molta fatica compivano così il lavoro per ordine di un padrone che li aveva incaricati di fornire di pesce prelibato la sua città, dicendo anche: <Però quei pesci che sono nocivi e scadenti non state neppure a trasportarli a terra. Ributtateli in mare. Altri pescatori li pescheranno, e poichè sono pescatori di un altro padrone li porteranno alla città dello stesso, perchè la si consuma ciò che è nocivo e che rende sempre più orrida la città del mio nemico. Nella mia: bella, luminosa, santa, non deve entrare nulla di malsano>.


Tirata perciò a bordo la rete i pescatori iniziarono il lavoro di cernita. I pesci erano molti, di diverso aspetto, grossezza e colore. 

Ve ne erano di bell'aspetto, ma con una carne piena di spine, dal cattivo sapore, dal grosso buzzo pieno di fanghiglia, di vermi, di erbe marce che aumentavano il sapore cattivo della carne del pesce. 
Altri invece erano di brutto aspetto, un muso che pareva il ceffo del delinquente o di un mostro da incubo; ma i pescatori sapevano che la loro carne è squisita. 
Altri, per essere insignificanti, passavano inavvertiti. 

I pescatori lavoravano, lavoravano. Le ceste erano colme di pesce squisito ormai, e nella rete erano i pesci insignificanti. <Ormai basta. Le ceste sono colme. Gettiamo tutto il resto a mare> dissero molti pescatori.

Ma uno, che poco aveva parlato, mentre gli altri avevano magnificato o deriso ogni pesce che capitava loro fra le mani, rimase a frugare nella rete e tra la minutaglia insignificante scoperse ancora due o tre pesci che mise al di sopra di tutti nelle ceste. <Che fai?> chiesero gli altri. <Le ceste sono complete, belle. Tu le sciupi mettendovi sopra per traverso quel povero pesce lì. Sembra che tu lo voglia celebrare come il più bello>.


<Lasciatemi fare. Io conosco questa razza di pesci e so che rendimento e che piacere danno>.


Questa è la parabola che finisce con la benedizione del padrone al pescatore paziente, esperto e silenzioso, che ha saputo discernere fra la massa i migliori pesci."

Santa Teresa del Bambino Gesù




L'Amore misericordioso.


«Figli prediletti, entrate nel Cenacolo spirituale del mio Cuore Immacolato, perché Io possa farvi penetrare nel divino mistero dell'Amore Misericordioso di mio figlio Gesù.

- Gesù è l'Amore Misericordioso, perché in Lui si riflette la divina Misericordia del Padre, che ha tanto amato il mondo, da mandargli il suo Figlio Unigenito per la sua salvezza.

In Gesù la misericordia del Padre si fa Persona e si realizza nel suo disegno di redenzione.
Per mezzo di Lui il Padre fa scendere il suo perdono sulla umanità che si era allontanata col peccato e la riporta ad una piena comunione di amore e di vita con il suo Creatore e il suo Signore.

- Gesù è l'Amore Misericordioso, perché, facendosi uomo, porta su di sé la fragilità, la debolezza, la sofferenza di tutta la umanità.

Quando è Bambino porta nel suo cuore i gemiti e i sospiri di tutti i bambini del mondo; 
da giovane vive le vicissitudini e le difficoltà della gioventù così fragile ed esposta al vento impetuoso delle passioni; 
quando giunge a maturità porta dentro la sua divina Persona i problemi, le angosce, i dolori di tutti.

Si china sui poveri per annunciare a loro il vangelo di salvezza; proclama la liberazione ai prigionieri; solleva i derelitti, perdona i peccatori, guarisce gli ammalati, consola gli afflitti e scaccia Satana da coloro che ha posseduto.
- Gesù è l'Amore Misericordioso, perché è mite ed umile di cuore.
Lasciatevi attrarre dietro la sua mitezza.
Vedete come è dolce, sensibile, compassionevole con tutti; dai suoi nemici si lascia condurre docile e mansueto, come agnello che viene portato al suo cruento sacrificio.

Lasciatevi possedere dalla sua umiltà.
Il Primo si fa ultimo; il Maestro diventa discepolo; il Signore si mette al servizio di tutti.
La pienezza della sua divinità in Lui viene nascosta sotto il velo umano della sua umiltà.


- Imparate da Me che sono mite ed umile di cuore e troverete riposo per le vostre anime.

- Gesù è l'Amore Misericordioso, perché vuole attirare tutti dentro la fornace ardente del suo divino Amore.
Lasciatevi attirare da Lui.
Non resistete ai suoi richiami.
Camminate con Me sulla strada del suo divino amore.
Figli prediletti, fate anche voi la dolce esperienza dell'amore a Gesù.


Oggi celebrate la memoria liturgica di Santa Teresa del Bambino Gesù, di cui ricorre il primo centenario della sua nascita al cielo.
Oggi Io la dono a tutti voi come vostra piccola sorella.
Lei si è consacrata vittima all'Amore Misericordioso di Gesù.
Lei si è lasciata consumare tutta dal fuoco ardente della sua divina carità.
Imitatela in questa sua piccola via.
Diventate anche voi piccoli, semplici, umili, miti e mansueti.
Diventate tutti bambini, percorrendo la via della infanzia spirituale, che Lei vi ha tracciato.

Offritevi anche voi come vittime all'Amore Misericordioso di Gesù, perché, attraverso di voi, possa effondere presto sul mondo il grande prodigio della Divina Misericordia».

Sale (Alessandria), 1° ottobre 1997. Santa Teresa del Bambino Gesù. MSM.

Ad Te, Domina, clamabo et exaudies me:
in voce laudis tuae laetificabis me. 

Sancte Michaël Archangele, defende nos in proelio ...





Nel 1994, il Beato Papa Giovanni Paolo II ha chiesto che la speciale  preghiera a san Michele torni attuale : «che la preghiera ci fortifichi per la battaglia spirituale... Papa Leone XIII ha certamente avuto un vivo richiamo di questa scena quando ha introdotto in tutta la Chiesa una speciale preghiera a S. Michele Arcangelo... Chiedo a tutti di non dimenticarla e di recitarla per ottenere aiuto nella battaglia contro le forze delle tenebre e contro lo spirito di questo mondo».

San Michele Arcangelo, difendici nella battaglia contro le malvagità e le insidie del diavolo, sii nostro aiuto. Ti preghiamo supplici: che il Signore lo comandi ! E Tu, Principe della milizia celeste con la potenza che ti viene da Dio, ricaccia nell'inferno satana e gli altri spiriti maligni, che si aggirano per il mondo a perdizione delle anime.
Amen
Sancte Michaël Archangele, defende nos in proelio; contra nequitiam et insidias diaboli esto praesidium. Imperet illi Deus, supplices deprecamur: tuque, Princeps militiae caelestis, Satanam aliosque spiritus malignos, qui ad perditionem animarum pervagantur in mundo, divina virtute in infernum detrude.
Amen.

domenica 29 settembre 2013

SAN GIROLAMO, SACERDOTE CONFESSORE E DOTTORE DELLA CHIESA




30 SETTEMBRE
SAN  GIROLAMO,  
SACERDOTE CONFESSORE E 
DOTTORE DELLA CHIESA

L'eremita.

"Non conosco Vitale, non voglio Melezio e ignoro Paolino (Lett. XV, al. LVII), mio è soltanto chi aderisce alla cattedra di Pietro" (Lett. XV, al. LVIII). Così, verso il 376, dalle solitudini della Siria, turbate da rivalità episcopali, che da Antiochia agitavano tutto l'Oriente, scriveva a Papa Damaso un monaco sconosciuto, implorando luce per la sua anima redenta dal sangue del Signore (ibidem).

Girolamo era originario della Dalmazia. Lontano da Stridone, terra semibarbara in cui era nato, ne conservava l'asprezza come linfa vigorosa. Lontano da Roma, dove gli studi di belle lettere e filosofia non avevano saputo preservarlo dalle più tristi cadute. Il timore del giudizio di Dio l'aveva condotto al deserto della Calcide. Sotto un cielo di fuoco, per quattro anni macerò il suo corpo con spaventevoli penitenze e cominciò a sacrificare i suoi gusti ciceroniani allo studio della lingua primitiva dei Libri santi. Era questa, per la sua anima appassionata di classiche bellezze, una migliore e più meritevole penitenza. Il lavoro intrapreso era allora ben più duro che ai nostri giorni, perché oggi lessici, grammatiche e lavori di ogni genere hanno resa più facile la ricerca. Quante volte, scoraggiato, disperò del successo! Però egli aveva già sperimentata la verità della sentenza, che avrebbe formulato più tardi: "Amate la scienza delle Scritture e non amerete i vizi della carne" (Lett. CXXV, al. IV, a Rustico). Partendo perciò dall'alfabeto ebraico, andava compitando continuamente sillabe sibilanti e aspirate (ibidem), l'eroica conquista delle quali gli ricordò sempre quanto gli erano costate, per la durezza da allora impressa - è affermazione sua - alla pronunzia del latino (Lett. XXIX, al. CXXX, a Marcella). Egli impegnò nel lavoro tutta l'energia della sua natura focosa, vi si consacrò per tutta la vita [1].

Dio riconobbe in modo magnifico l'omaggio reso in quel modo alla sua parola e, invece del solo risanamento morale, che aveva sperato, Girolamo raggiunse la santità eccezionale, che oggi noi in lui onoriamo e dalle lotte del deserto, per altri in apparenza sterili, usciva uno di quegli uomini dei quali è stato detto: Voi siete il sale della terra, voi siete la luce del mondo (Mt 5,13-14). Dio metteva a tempo giusto sul candeliere questa luce, per rischiarare tutti quelli che sono nella casa(ivi 15).

Il segretario del Papa.
Roma rivedeva molto trasformato il brillante studente di altri tempi, proclamato ormai degno del sacerdozio, per la santità, la scienza e l'umiltà (Lett. XLV, al. XCIX, ad Asella). Damaso, dottore vergine della Chiesa vergine (Lett. XLVIII, al. L, a Pammachio), lo incaricava di rispondere a suo nome alle consultazioni dell'Oriente e dell'Occidente (Lett. CXXIII, al. XI, ad Ageruchia), e otteneva che cominciasse i grandi lavori scritturali, che dovevano rendere il suo nome immortale e assicurarlo alla riconoscenza del popolo cristiano, con la revisione del Nuovo Testamento latino sul testo originale greco.


Il vendicatore di Maria.
Intanto Girolamo si rivelava polemista incomparabile con la confutazione di Elvidio, che osava mettere in dubbio la perpetua verginità di Maria, Madre di Dio. In seguito, Gioviniano, Vigilanzio, Pelagio ed altri ancora dovevano provarne il vigore. E Maria, ricompensando il suo onore così vendicato, gli conduceva tutte le anime nobili, perché le guidasse nella via della virtù, che sono l'onore della terra e perché, con il sale delle Scritture, le preservasse dalla corruzione di cui l'impero stava ormai morendo.


Il direttore di anime.
Ecco un fenomeno strano per lo storico che non ha fede: attorno a questo Dalmata, mentre la Roma dei Cesari agonizza, brillano i nomi più belli di Roma antica. Creduti estinti, quando la gloria della città regina si era offuscata nelle mani dei plebei arricchiti; nel momento critico in cui, purificata dalle fiamme appiccate dai Barbari, la capitale da essi data al mondo sta per riprendere il suo destino, essi ricompaiono, come per diritto di nascita, a fondare Roma un'altra volta per la sua vera eternità. La lotta ormai è un'altra, ma il loro posto rimane in testa all'armata che salverà il mondo. Sono rari fra noi i saggi, i potenti, i nobili, diceva l'Apostolo quattro secoli prima (1Cor 1,26) e Girolamo protesta; nei nostri tempi sono numerosi, numerosi in mezzo ai monaci (Lett. LXVI, al. XXVI, a Pammachio).
La falange patrizia costituisce la parte migliore dell'armata monastica, al suo sorgere in occidente, e le comunica per sempre il suo carattere di antica grandezza, ma nei suoi ranghi, con titolo eguale a quello dei padri e dei fratelli, si vedono le vergini e le vedove, talvolta le spose, insieme e lo sposo. È Marcella la prima ad ottenere la direzione di Girolamo e sarà Marcella che, scomparso il maestro, diventerà, nonostante la sua umiltà, l'oracolo consultato da tutti nelle difficoltà relative alle Scritture [2]. Seguono Marcella: Furia, Fabiola, Paola, nomi che ricordano i grandi avi, i Camilli, i Fabii, gli Scipioni.
Per il principe del mondo, Satana (Gv 14,30), che credeva ormai sue per sempre le glorie dell'antica città, è troppo e le ore del Santo nella città sono contate. Figlia di Paola, Eustochio aveva meritato di vedersi indirizzato il manifesto sublime, ma pieno di tempesta, in cui Gerolamo, esaltando la verginità, non ha paura di sollevare contro di sé con verve mordente la congiura di falsi monaci, di vergini folli e di chierici indegni (Lett. XXII, a Eustochio, sulla custodia della verginità). Invano la prudente Marcella prevede l'uragano, Girolamo non l'ascolta e osa dire ciò che altri osano fare (Lett. XXVII, al. CXX, a Marcella), ma ha fatto i conti senza la morte di Damaso, che sopravviene in quel momento.


A Betlemme.
Trascinato dal turbine, il giustiziere ritorna al deserto: non più Calcide, ma la quieta Betlemme, dove i ricordi dell'infanzia del Signore attirano questo forte tra i forti, dove Paola e la figlia vengono a stabilirsi, per non perdere i suoi insegnamenti, che preferiscono a tutto, per addolcire la sua amarezza, per medicare le ferite del leone dalla voce possente, che continua a destare echi in Occidente. Onore a queste valorose! La loro fedeltà, la loro sete di sapere, le loro pie importunità procureranno al mondo un tesoro che non ha prezzo: la traduzione autentica dei Libri santi (Conc. Trid. Sess. IV) che l'imperfezione dell'antica versione Italica e le sue varianti, diventate senza numero, hanno resa necessaria davanti ai Giudei, che accusano la Chiesa di aver falsato la Scrittura.
Ogni nuova traduzione destava nuove critiche, non sempre mosse dall'odio: riserve di paurosi, allarmati per l'autorità dei Settanta, grandissima nella sinagoga e nella Chiesa, rifiuti interessati di possessori di manoscritti dalle pagine di porpora, dalle splendide unciali, dalle lettere miniate in argento e oro, che sarebbero stati deprezzati. "Si tengano la loro metallurgia e ci lascino i nostri poveri quaderni - grida san Girolamo esasperato". "Siete proprio voi che mi costringete a subire tante sciocchezze e tante ingiurie, dice alle ispiratrici del suo lavoro, ma, per tagliar alla radice il male, sarebbe meglio impormi il silenzio". Ma la madre e la figlia non la pensavano a quel modo e Girolamo si adattava. "Quia vos cogitis... cogor... cogitis... " (passim).
Tutte le sante amicizie di un tempo facevano parte, da lontano, di questa attività studiosa e Girolamo a nessuno rifiutava il concorso della sua scienza e si scusava amabilmente del fatto che una metà del genere umano gli sembrava più privilegiata: "Principia, figlia mia in Gesù Cristo, io so che molti trovano cosa non buona che io qualche volta scriva a donne; mi si lasci dire ai miei detrattori: Non risponderei a donne, se mi interrogassero sulle Scritture gli uomini" (Lett. LXV, al. CXL, a Principia).
Un messaggio desta esultanza nei monasteri fondati in Efrata: da un fratello di Eustochio e da Leta, figlia cristiana di Albino, sacerdote pagano, è nata a Roma un'altra Paola. Consacrata allo Sposo prima ancora della nascita, balbetta in braccio al sacerdote di Giove l'Alleluia dei cristiani e sa che, oltre i monti e oltre il mare, ha un altro nonno e una zia totalmente consacrata a Dio e vuol partire. Girolamo scrive alla madre gioiosa: "Mandatela e io le sarò maestro e balio, la porterò sulle mie vecchie spalle, aiuterò la sua bocca balbettante a formare le parole, fiero più ancora di Aristotele, perché egli allevava soltanto un re di Macedonia e io invece preparerò al Cristo un'ancella, una sposa, una regina, destinata ad aver posto nei cieli" (Lett. CVII, al. VII, a Leta).


Gli ultimi giorni.
E Betlemme vide la dolce bambina. Giovanissima ancora, assumeva la responsabilità di continuarvi l'opera dei suoi e, presso il vegliardo morente, fu l'angelo del passaggio da questo mondo alla eternità.
L'ora dei profondi distacchi aveva preceduto il momento supremo. La prima Paola partì cantando: Ho preferito vivere umile nella casa di Dio che abitare nelle tende dei peccatori (Sal 83,11. Lett. CVIII, al. XXVII, a Eustochio). Di fronte alla prostrazione mortale, che parve annientare per sempre Girolamo (Lett. XCIX, al. XXXI, a Teofilo) Eustochio, affranta, respinse le sue lacrime e, per le pressioni della figlia, riprese a vivere, per mantenere le promesse fatte alla madre. La vediamo completare le traduzioni, riprendere i commenti del testo, passare da Isaia al Profeta Ezechiele quando sul mondo e su di essa cade il dolore inesprimibile del tempo: "Roma è caduta, si è spenta la luce della terra, in una città sola si è accasciato il mondo. Che cosa fare, se non tacere e pensare ai morti?".

Bisognava però pensare più ancora ai moltissimi fuggitivi, che, spogliati di tutto, giungevano ai Luoghi santi e Girolamo, l'implacabile lottatore, non sapeva risparmiare il suo cuore e le sue lacrime ad alcuno degli sventurati. Più ancora che insegnare la Scrittura, desiderando praticarla, dedicava il suo tempo all'ospitalità e per lo studio restava solo la notte ai suoi occhi quasi ciechi. Ma gli studi gli erano tuttavia carissimi, dimenticava in essi le miserie del giorno e si riempiva di gioia nel rispondere ai desideri della figlia che Dio gli aveva dato. Si leggano le prefazioni ai quattordici libri di Ezechiele e si vedrà quale parte ebbe la vergine di Cristo nell'opera strappata alle angosce del tempo, alle infermità di Girolamo e alle sue ultime lotte contro l'eresia. Si è detto che l'eresia profittava dello scompiglio del mondo per manifestare nuove audacie. Forti dell'appoggio del vescovo di Gerusalemme, i Pelagiani si armarono una notte di torcia e di spada e si gettarono all'assassinio e all'incendio sul monastero di Girolamo e sulle vergini, che dopo la morte di Paola riconoscevano per madre Eustochio. Virilmente affiancata dalla nipote, Paola la giovane, la santa raccolse le sue figliuole e riuscì ad aprirsi un passaggio in mezzo alle fiamme. Ma l'ansietà della terribile notte aveva consumate le sue forze e Girolamo la seppellì presso la mangiatoia del Dio Bambino, come la madre e, lasciando incompiuto il suo commento a Geremia, si dispose egli pure a morire.
VITA. - San Girolamo nacque a Stridone in Dalmazia tra il 340 e il 345 da genitori che lo inviarono poi a Roma a studiarvi grammatica e retorica. Preso per qualche tempo dai piaceri e dal desiderio di successi, presto ne fu stanco e chiese il battesimo a Papa Liberio. Dopo un soggiorno alla corte imperiale di Treviri, si ritirò ad Aquileia, e, poco appresso, partì per l'Oriente. Dimorò ad Antiochia nella Quaresima del 374 o 375 e, caduto gravemente infermo, promise di non leggere più libri profani. Guarito, parti per il deserto di Calcide, a sud-est di Antiochia, dove visse in romitaggio e imparò l'Ebraico. Tornato ad Antiochia, fu ordinato sacerdote e si portò a Costantinopoli, dove incontrò san Gregorio di Nazianzo. Nel 382 era a Roma e Papa Damaso lo scelse per segretario, gli consigliò di studiare la Sacra Scrittura e di rivedere la traduzione dei Vangeli e del Salterio. Allo studio unì la predicazione e la direzione spirituale. Dopo la morte del Papa, avvenuta nel 384, lasciò Roma e con Paola ed Eustochio, visitò la Palestina, l'Egitto e si stabilì a Betlemme nel 386. Paola costruì un monastero per lui e per i suoi compagni e un altro per sé e per le sue figlie. La sua vita fu da allora tutta conservata allo studio della Scrittura, alla traduzione dei Libri santi, alla direzione spirituale con Conferenze e Lettere. Morì nel 419 o nel 420, a 92 anni e il suo corpo è venerato a Roma, nella Chiesa di S. Maria Maggiore.

Il Santo.

Tu completi, o santo illustre, la brillante costellazione dei Dottori nel cielo della santa Chiesa. Già si annunzia l'aurora del giorno eterno e il Sole di giustizia apparirà presto sulla valle del giudizio. Modello di penitenza, insegnaci il timore, che preserva o ripara, guidaci nelle vie austere dell'espiazione. Monaco, storico di grandi monaci, padre di solitari, come te attirati a Betlemme dal profumo dell'Infanzia divina, mantieni lo spirito di lavoro e di preghiera nell'Ordine monastico in cui parecchie famiglie hanno preso da te il nome. Flagello degli eretici, stringici alla fede romana, zelatore del gregge, preservaci dai lupi e dai mercenari, vendicatore di Maria, ottieni che fiorisca sempre sulla terra la verginità.


Il Dottore.
La tua gloria o Girolamo, partecipa della gloria dell'Agnello. La chiave di Davide(Ap 3,7) ti fu data per aprire i sigilli molteplici delle Scritture e, sotto il velo delle parole, mostrarci Gesù. Oggi la Chiesa della terra canta le tue lodi per questo e per questo ti presenta ai suoi figli come l'interprete ufficiale del Libro ispirato, che la guida al suo destino. Gradisci, col suo omaggio, la nostra personale gratitudine. Per le tue preghiere, possa il Signore ridarci il rispetto e l'amore che la sua divina parola merita e, per i tuoi meriti, si moltiplichino attorno al sacro deposito i dotti e le loro sapienti ricerche. Ma tutti sappiano che, se si vuole capire Dio, lo si ascolta in ginocchio. Dio si accetta, non si discute anche se, nella interpretazione diversa che possono avere i suoi messaggi, è lecita la ricerca, sotto il controllo della Chiesa, per scoprire il vero; anche se è cosa lodevole scrutarne senza fine la profondità augusta. Beato chi ti segue in questo studio santo! L'hai detto tu: "Vivere in mezzo a tanti tesori, sprofondarsi in essi, non saper altro, non cercar altro, non è forse questo abitare già in cielo, mentre siamo ancora sulla terra? Impariamo nel tempo ciò che dovremo conoscere per l'eternità" (Lett. LIV, a Paolino).


[1] Hebraeam linguam, quam ego ab adolescentia multo labore ac sudore ex parte didici, et infatigabili meditatione non desero, ne ipse ab ea deserar (Lett. CVIII, l. XXVII, a Eustochio).
[2] Lett. CXXVII, l. XVI, a Principia. Et quia valde prudens erat, sic ad interrogata respondebat, ut etiam sua non sua diceret .... ne virili sexui, et interdum sacerdotibus de obscuris et ambiguis sciscitantibus, tacere videretur iniuriam.

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1118-1124

DEDICAZIONE DI SAN MICHELE ARCANGELO


Missale Romanum                                                                                                                         
                   Français
29 SETTEMBRE
DEDICAZIONE
DI  SAN  MICHELE  ARCANGELO


Oggetto della festa.
La dedicazione di S. Michele è la festa più solenne che la Chiesa celebra nel corso dell'anno in onore di questo Arcangelo, e tuttavia lo riguarda meno personalmente perché vi si onorano tutti i cori della gerarchia angelica. Nell'inno dei primi Vespri la Chiesa propone alla nostra preghiera l'oggetto della festa di oggi con le parole Rabano Mauro, abate di Fulda:

Celebriamo con le nostre lodi

Tutti i guerrieri del cielo,
Ma soprattutto il capo supremo
Della milizia celeste:
Michele che, pieno di valore,
Ha abbattuto il demonio [1].
Origine della festa.
La festa dell'otto maggio richiama il ricordo dell'apparizione al monte Gargano e nel medioevo si celebrava soltanto nell'Italia del Sud. La festa del 29 settembre è propria di Roma e segna l'anniversario della Dedicazione di una basilica oggi scomparsa, che sorgeva sulla via Salaria, a Nord-Est della città.
Il fatto della dedicazione spiega il titolo conservato alla festa nel Messale Romano: Dedicatio sancti Michaelis. Le Chiese di Francia e Germania, che nel Medioevo seguivano la liturgia romana, hanno attenuato spesso nei loro libri liturgici il titolo originario della festa, che venne presentata come festa In Natale o In Veneratione sancti Michaelis, così che dell'antico titolo non restava altro che il nome dell'Arcangelo.
L'ufficio di san Michele.
Anche l'Ufficio non poteva conservare il ricordo della dedicazione. Infatti gli antichi Uffici relativi alle dedicazioni celebravano il santo in onore del quale la chiesa era consacrata e non l'edificio materiale in cui egli era onorato; non avevano perciò niente di impersonale e rivestivano anzi un carattere molto circostanziato.
L'Ufficio di san Michele può essere considerato una delle più belle composizioni della nostra liturgia e ci fa contemplare ora il principe delle milizie celesti e capo degli angeli buoni, ora il ministro di Dio, che assiste al giudizio dell'anima di ogni defunto, ora ancora l'intermediario, che porta sull'altare della liturgia celeste le preghiere dell'umanità fedele.
L'Angelo turiferario.
I primi Vespri cominciano con l'Antifona Stetit Angelus, che deriva il testo dall'Offertorio della Messa del giorno: "Un angelo stava presso l'altare del tempio e aveva un incensiere in mano: gli diedero molto incenso e il fumo profumato si elevò fino a Dio". L'Orazione della benedizione dell'incenso alla Messa solenne designa il nome di questo angelo turiferario: "Il beato Arcangelo Michele". Il libro dell'Apocalisse dal quale son presi i testi liturgici ci spiega che i profumi, che salgono alla presenza di Dio, sono le preghiere dei giusti: "Il fumo degli aromi formato dalle preghiere dei santi salgono dalla mano dell'angelo davanti a Dio" (Ap 8,4).
Il Mediatore della Preghiera eucaristica.
È ancora Michele che presenta al Padre l'offerta del Giusto per eccellenza ed Egli infatti è designato nella misteriosa preghiera del Canone della Messa in cui la santa Chiesa chiede a Dio di portare sull'altare sublime, per mano dell'Angelo Santo, l'oblazione sacra in presenza della divina Maestà. È cosa molto sorprendente notare negli antichi testi liturgici romani che san Michele è sovente chiamato l'Angelo Santo, l'Angelo per eccellenza.
Probabilmente sotto il pontificato di Papa Gelasio fu compiuta la revisione del testo del Canone nel quale l'espressione al singolare Angeli tui fu sostituita con quella al plurale Angelorum tuorum. Proprio a quell'epoca, sul finire del V secolo, l'Angelo era apparso al vescovo di Siponto, presso il Monte Gargano.
Vocazione contemplativa degli Angeli.
Come si vede la Chiesa considera san Michele mediatore della sua preghiera liturgica; egli è posto tra l'umanità e la divinità. Dio, che dispose con ordine ammirabile le gerarchie invisibili (Colletta della Messa), impiega, per opulenza, a lodare la sua gloria il ministero degli spiriti celesti, che contemplano continuamente l'adorabile faccia del Padre (Finale del Vangelo della Messa) e, meglio che gli uomini, sanno adorare e contemplare la bellezza delle sue infinite perfezioni. Mi-Ka-El: Chi è come Dio? Il nome esprime da solo, nella sua brevità, la lode più completa, la più perfetta adorazione, la riconoscenza totale per la trascendenza divina e la più umile confessione della nullità delle creature.
Anche la Chiesa della terra invita gli spiriti a benedire il Signore, a cantarlo, a lodarlo e esaltarlo senza soste (Introito, Graduale, Communio della Messa; Antifona dei Vespri). La vocazione contemplativa degli Angeli è modello della nostra e ce lo ricorda un bellissimo prefazio del Sacramentario leoniano: "È cosa veramente degna... rendere grazie a Te, che ci insegni, che, per mezzo del tuo Apostolo, che la nostra vita è trasferita in cielo, che, con benevolenza comandi, di trasportarci in spirito là dove quelli che noi veneriamo servono e di tendere verso le altezze, che nella festa del beato Arcangelo Michele contempliamo nell'amore, per il Cristo nostro Signore".
Aiuto dell'umanità.
La Chiesa sa pure che a questi spiriti consacrati al servizio di Dio è stato affidato un ministero al fianco di coloro, che devono raccogliere l'eredità della salvezza (Ebr 1,14). Senza attendere la festa del 2 ottobre, dedicata in modo speciale agli Angeli custodi, la Chiesa già oggi chiede a san Michele e ai suoi Angeli di difenderci nei combattimenti che dobbiamo sostenere (Alleluia della Messa; Preghiera ai piedi dell'altare dopo l'ultimo Vangelo). Chiede ancora a san Michele di ricordarsi di noi e di pregare per noi il Figlio di Dio, perché nel giorno terribile del giudizio non abbiamo a perire. Nel giorno terribile del giudizio il grande Arcangelo, vessillifero della milizia celeste, difenderà la nostra causa davanti all'Altissimo (Antifona del Magnificat ai secondi Vespri) e ci farà entrare nella luce santa (Offertorio della Messa dei defunti).
Preghiera.
Da questa terra, nella lotta contro le potenze del male, possiamo rivolgere all'Arcangelo la preghiera di esorcismo che Leone XIII inserì nel rituale della Chiesa Romana:

"Principe gloriosissimo della celeste milizia, san Michele Arcangelo, difendici nel combattimento contro le forze, le potenze, i capi del mondo delle tenebre e contro lo spirito di malizia. Vieni in soccorso degli uomini, che Dio ha fatti a sua immagine e somiglianza e riscattati a duro prezzo dalla tirannia del diavolo.
La santa Chiesa ti venera come custode e patrono; Dio ti ha confidato le anime redente per portarle alla felicità celeste. Prega il Dio della pace, perché schiacci Satana sotto i nostri piedi, per strappargli il potere di tenere gli uomini in schiavitù e di nuocere alla Chiesa. Offri le nostre preghiere all'Altissimo perché sollecitamente scendano su di noi le misericordie del Signore e il dragone, l'antico serpente, chiamato Diavolo e Satana, sia precipitato, stretto in catene, nell'abisso, perché non possa più sedurre i popoli".


[1] Seguiamo la versione antica del Breviario monastico, non quella del Breviario Romano, ritoccata da Urbano VIII.

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1114-1117