domenica 29 settembre 2013

DEDICAZIONE DI SAN MICHELE ARCANGELO


Missale Romanum                                                                                                                         
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29 SETTEMBRE
DEDICAZIONE
DI  SAN  MICHELE  ARCANGELO


Oggetto della festa.
La dedicazione di S. Michele è la festa più solenne che la Chiesa celebra nel corso dell'anno in onore di questo Arcangelo, e tuttavia lo riguarda meno personalmente perché vi si onorano tutti i cori della gerarchia angelica. Nell'inno dei primi Vespri la Chiesa propone alla nostra preghiera l'oggetto della festa di oggi con le parole Rabano Mauro, abate di Fulda:

Celebriamo con le nostre lodi

Tutti i guerrieri del cielo,
Ma soprattutto il capo supremo
Della milizia celeste:
Michele che, pieno di valore,
Ha abbattuto il demonio [1].
Origine della festa.
La festa dell'otto maggio richiama il ricordo dell'apparizione al monte Gargano e nel medioevo si celebrava soltanto nell'Italia del Sud. La festa del 29 settembre è propria di Roma e segna l'anniversario della Dedicazione di una basilica oggi scomparsa, che sorgeva sulla via Salaria, a Nord-Est della città.
Il fatto della dedicazione spiega il titolo conservato alla festa nel Messale Romano: Dedicatio sancti Michaelis. Le Chiese di Francia e Germania, che nel Medioevo seguivano la liturgia romana, hanno attenuato spesso nei loro libri liturgici il titolo originario della festa, che venne presentata come festa In Natale o In Veneratione sancti Michaelis, così che dell'antico titolo non restava altro che il nome dell'Arcangelo.
L'ufficio di san Michele.
Anche l'Ufficio non poteva conservare il ricordo della dedicazione. Infatti gli antichi Uffici relativi alle dedicazioni celebravano il santo in onore del quale la chiesa era consacrata e non l'edificio materiale in cui egli era onorato; non avevano perciò niente di impersonale e rivestivano anzi un carattere molto circostanziato.
L'Ufficio di san Michele può essere considerato una delle più belle composizioni della nostra liturgia e ci fa contemplare ora il principe delle milizie celesti e capo degli angeli buoni, ora il ministro di Dio, che assiste al giudizio dell'anima di ogni defunto, ora ancora l'intermediario, che porta sull'altare della liturgia celeste le preghiere dell'umanità fedele.
L'Angelo turiferario.
I primi Vespri cominciano con l'Antifona Stetit Angelus, che deriva il testo dall'Offertorio della Messa del giorno: "Un angelo stava presso l'altare del tempio e aveva un incensiere in mano: gli diedero molto incenso e il fumo profumato si elevò fino a Dio". L'Orazione della benedizione dell'incenso alla Messa solenne designa il nome di questo angelo turiferario: "Il beato Arcangelo Michele". Il libro dell'Apocalisse dal quale son presi i testi liturgici ci spiega che i profumi, che salgono alla presenza di Dio, sono le preghiere dei giusti: "Il fumo degli aromi formato dalle preghiere dei santi salgono dalla mano dell'angelo davanti a Dio" (Ap 8,4).
Il Mediatore della Preghiera eucaristica.
È ancora Michele che presenta al Padre l'offerta del Giusto per eccellenza ed Egli infatti è designato nella misteriosa preghiera del Canone della Messa in cui la santa Chiesa chiede a Dio di portare sull'altare sublime, per mano dell'Angelo Santo, l'oblazione sacra in presenza della divina Maestà. È cosa molto sorprendente notare negli antichi testi liturgici romani che san Michele è sovente chiamato l'Angelo Santo, l'Angelo per eccellenza.
Probabilmente sotto il pontificato di Papa Gelasio fu compiuta la revisione del testo del Canone nel quale l'espressione al singolare Angeli tui fu sostituita con quella al plurale Angelorum tuorum. Proprio a quell'epoca, sul finire del V secolo, l'Angelo era apparso al vescovo di Siponto, presso il Monte Gargano.
Vocazione contemplativa degli Angeli.
Come si vede la Chiesa considera san Michele mediatore della sua preghiera liturgica; egli è posto tra l'umanità e la divinità. Dio, che dispose con ordine ammirabile le gerarchie invisibili (Colletta della Messa), impiega, per opulenza, a lodare la sua gloria il ministero degli spiriti celesti, che contemplano continuamente l'adorabile faccia del Padre (Finale del Vangelo della Messa) e, meglio che gli uomini, sanno adorare e contemplare la bellezza delle sue infinite perfezioni. Mi-Ka-El: Chi è come Dio? Il nome esprime da solo, nella sua brevità, la lode più completa, la più perfetta adorazione, la riconoscenza totale per la trascendenza divina e la più umile confessione della nullità delle creature.
Anche la Chiesa della terra invita gli spiriti a benedire il Signore, a cantarlo, a lodarlo e esaltarlo senza soste (Introito, Graduale, Communio della Messa; Antifona dei Vespri). La vocazione contemplativa degli Angeli è modello della nostra e ce lo ricorda un bellissimo prefazio del Sacramentario leoniano: "È cosa veramente degna... rendere grazie a Te, che ci insegni, che, per mezzo del tuo Apostolo, che la nostra vita è trasferita in cielo, che, con benevolenza comandi, di trasportarci in spirito là dove quelli che noi veneriamo servono e di tendere verso le altezze, che nella festa del beato Arcangelo Michele contempliamo nell'amore, per il Cristo nostro Signore".
Aiuto dell'umanità.
La Chiesa sa pure che a questi spiriti consacrati al servizio di Dio è stato affidato un ministero al fianco di coloro, che devono raccogliere l'eredità della salvezza (Ebr 1,14). Senza attendere la festa del 2 ottobre, dedicata in modo speciale agli Angeli custodi, la Chiesa già oggi chiede a san Michele e ai suoi Angeli di difenderci nei combattimenti che dobbiamo sostenere (Alleluia della Messa; Preghiera ai piedi dell'altare dopo l'ultimo Vangelo). Chiede ancora a san Michele di ricordarsi di noi e di pregare per noi il Figlio di Dio, perché nel giorno terribile del giudizio non abbiamo a perire. Nel giorno terribile del giudizio il grande Arcangelo, vessillifero della milizia celeste, difenderà la nostra causa davanti all'Altissimo (Antifona del Magnificat ai secondi Vespri) e ci farà entrare nella luce santa (Offertorio della Messa dei defunti).
Preghiera.
Da questa terra, nella lotta contro le potenze del male, possiamo rivolgere all'Arcangelo la preghiera di esorcismo che Leone XIII inserì nel rituale della Chiesa Romana:

"Principe gloriosissimo della celeste milizia, san Michele Arcangelo, difendici nel combattimento contro le forze, le potenze, i capi del mondo delle tenebre e contro lo spirito di malizia. Vieni in soccorso degli uomini, che Dio ha fatti a sua immagine e somiglianza e riscattati a duro prezzo dalla tirannia del diavolo.
La santa Chiesa ti venera come custode e patrono; Dio ti ha confidato le anime redente per portarle alla felicità celeste. Prega il Dio della pace, perché schiacci Satana sotto i nostri piedi, per strappargli il potere di tenere gli uomini in schiavitù e di nuocere alla Chiesa. Offri le nostre preghiere all'Altissimo perché sollecitamente scendano su di noi le misericordie del Signore e il dragone, l'antico serpente, chiamato Diavolo e Satana, sia precipitato, stretto in catene, nell'abisso, perché non possa più sedurre i popoli".


[1] Seguiamo la versione antica del Breviario monastico, non quella del Breviario Romano, ritoccata da Urbano VIII.

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 1114-1117



LA PARÁBOLA DE LÁZARO Y DEL RICO EPULÓN (san Lucas 16, 19-31)




LA PARÁBOLA DE LÁZARO
Y DEL RICO EPULÓN

                                                                                                             

EL RICO EPULÓN

Hubo un tiempo en que vivió un hombre muy rico. Los mejores vestidos eran los suyos. Por las plazas y por su casa se pavoneaba con sus vestidos de púrpura y lino. Sus conciudadanos le respetaban como al más poderoso de la región. Sus amigos le halagaban su ambición para recibir utilidades. Sus salones estaban abiertos cada día a los espléndidos banquetes en que la multitud de invitados, todos ellos ricos, y por lo tanto no necesitados, se morían de halagar al rico Epulón.Sus banquetes eran célebres por su abundancia de alimentos y de vinos.

EL MENDIGO LÁZARO

En la misma ciudad había un mendigo, un verdadero mendigo. Era grande en su miseria, como el otro era grande en sus riquezas. Pero bajo la costra de la miseria humana del mendigo Lázaro, se ocultaba un tesoro todavía mayor que su miseria y que las riquezas de Epulón. La santidad de Lázaro era verdadera.Jamás había traspasado la Ley, ni siquiera bajo el pretexto del aguijón de la necesidad, y sobre todo había obedecido al precepto del amor para con Dios y el prójimo. Él, como siempre hacen los pobres, se acercaba a las puertas de los ricos para pedir limosna y no morir de hambre. Cada tarde iba a la puerta de Epulón, esperando recibir siquiera las migajas de los pomposos banquetes que se daban en las riquísimas salas.
Se tendía en la calle, cerca de la puerta, y pacientemente esperaba. Si Epulón lo veía, mandaba arrojarlo, porque aquel cuerpo cubierto de llagas, desnutrido, vestido de harapos, era un espectáculo muy desagradable para sus convidados. Esto decía Epulón, pero la realidad era que aquel espectáculo de miseria y de bondad era su continuo reproche. Más compasivos que Epulón eran sus perros, bien alimentados, con hermosos collares. Se acercaban al pobre Lázaro y le lamían las llagas, gruñendo de alegría por sus caricias, y hasta le llevaban lo que sobraba de las ricas mesas. Gracias a estos animales Lázaro sobrevivía a la desnutrición completa, pues de parte del hombre hubiera muerto, ya que este no le permitía ni siquiera entrar en las salas después de los banquetes para poder recoger las migajas caídas de las mesas.

MUERTE DE LÁZARO

Un día Lázaro se murió. Nadie en la tierra cayó en la cuenta. Nadie lo lloró. Epulón por su parte, se alegró de no ver aquel día ni los siguientes aquella miseria que llamaba, "oprobio" de sus umbrales. Pero en el cielo cayeron en la cuenta los ángeles. En su último aliento, en su lecho frío y pobre, estaban presentes las cohortes celestiales que en medio de un fulgor de luces recogieron su alma, y con cantos de hosannas la llevaron al seno de Abraham.

MUERTE DE EPULÓN

Poco tiempo después murió Epulón. Oh, ¡qué funerales fastuosos! Toda la ciudad, que ya de antemano sabía que estaba agonizando, se arremolinaba en la plaza donde estaba su casa, para que se le tomase como amiga del grande. Y por curiosidad o por interés con los herederos, se unió al cortejo, y los alaridos llegaron hasta el cielo y con ellos las alabanzas mentirosas al "grande", al "benefactor", al "justo" que había muerto.

¿PUEDE LA PALABRA DEL HOMBRE
CAMBIAR EL JUICIO DE DIOS?

¿Puede la palabra del hombre cambiar el juicio de Dios? ¿Puede la apología humana borrar cuanto está escrito en el libro de la Vida? No, no puede. Lo que está juzgado, queda juzgado, y lo que está escrito, escrito queda. No obstante los funerales solemnes de Epulón, su espíritu fue sepultado en el infierno.
En aquella cárcel horrorosa, en que bebía y comía fuego y tinieblas, en que encontraba odio y tormentos por todas partes y a cada momento de esa eternidad,levantó su mirada al cielo, al cielo que había visto en un instante de fulgor, en una fracción de segundo, y cuya indecible belleza le había quedado presente para ser atormentado entre las torturas atroces. Y vio a Abraham, lejano, pero radiante, feliz... y en su seno, radiante y feliz también estaba Lázaro, el pobre Lázaro despreciado de otro tiempo, el repulsivo, el miserable Lázaro ¿y ahora?... Y ahora bello con la luz de Dios y de su santidad, rico con el amor de Dios, a quien admiraban no los hombres sino los ángeles de Dios.

EPULÓN LLAMÓ A ABRAHAM

Epulón levantó el grito diciendo: "Padre Abraham, ten piedad de mí. Manda a Lázaro a que moje la punta de su dedo en el agua y que la ponga en mi lengua, para refrescarla porque me muero en esta llama que me penetra continuamente y me quema!".

ABRAHAM RESPONDIÓ

Abraham respondió: "Acuérdate, hijo, que tuviste todos los bienes durante tu vida, mientras Lázaro todos los males. El supo hacer del mal un bien, mientras tú no supiste hacer de tus bienes nada que no fuese malo. Por esto, justo es que él sea consolado y que tú sufras. Además no es posible hacerlo. Los santos están esparcidos sobre la tierra para que los hombres se aprovechen de ellos. Pero, cuando no obstante el estar cercano, el hombre se queda tal cual es -en tu caso, un demonio- es inútil recurrir a los santos. Ahora estamos separados. Las hierbas en el campo están mezcladas, pero una vez que se les siega, se separan las útiles de las no útiles. Así es entre vosotros y nosotros. Estuvimos juntos en la tierra. Nos arrojasteis. Nos atormentasteis por todos los modos. Entre vosotros y nosotros existe un abismo tal que los que de aquí quieren pasar, no pueden, ni vosotros, que estáis allí podéis salvar el abismo inmenso para venir a donde estamos".

PADRE SANTO, MANDA A LÁZARO
A LA CASA DE MI PADRE

Epulón en medio de un grito de dolor dijo: "Al menos, oh padre santo, manda, te lo ruego, manda a Lázaro a la casa de mi padre. Tengo cinco hermanos.Jamás conocí el amor, ni siquiera por mis parientes, pero ahora, ahora comprendo qué cosa terrible es el no ser amados. Y como aquí donde estoy, existe el odio, ahora entiendo, por el instante que mi alma vio a Dios qué cosa sea el amor. No quiero que mis hermanos sufran mis dolores. Tengo pavor por ellos que siguen mi mismo camino. Oh, manda a Lázaro que les advierta del lugar donde estoy, y por qué estoy, y que les diga que existe el infierno, que es atroz, y que quien no ama a Dios ni al prójimo viene acá. Mándalo. Que tomen sus providencias, para que no tengan que venir aquí, a este lugar de eterno tormento".

ABRAHAM RESPONDIÓ

Abraham respondió: "Tus hermanos tienen a Moisés y a los Profetas. Que los escuchen".
Con un gemido de alma torturada replicó Epulón: "¡Oh padre Abraham! Les hará más impresión un muerto... ¡Escúchame! Ten piedad ".
Abraham dijo: "Si no escuchan a Moisés ni a los Profetas, mucho menos creerán a uno que resucite por una hora de entre los muertos para decirles las palabras de Verdad. Y por otra parte no es justo que un bienaventurado deje mi seno para ir a recibir ofensas de los hijos del Enemigo. Ya pasó el tiempo de las injurias, ahora está en paz y aquí se queda por orden de Dios que ve la inutilidad de una tentativa de conversión de los que ni siquiera creen en la palabra de Dios, ni la ponen en práctica".
Esta es la parábola, cuyo significado es tan claro, que no necesita explicación.

Efectos de la oración


Efectos de la oración 

 Conviene saber que la oración produce tres bienes. 


a) Primeramente es un remedio eficaz y útil contra los males. En efecto, nos libra de los pecados cometidos. Salmo 31, 5-6: "Tú perdonaste la iniquidad de mi pecado, por lo cual orará a ti todo hombre santo". Así oró el ladrón en la cruz, y obtuvo el perdón; porque Jesús le dijo: "Hoy estarás conmigo en el paraíso" (Luc 23, 43). Así oró el publicano, y volvió a su casa justificado (Luc 18, 
14).  Nos libra también del temor de los pecados que pueden sobrevenir, de las tribulaciones y de la tristeza (Sant 5, 13: "¿Hay alguno triste entre vosotros? Que ore (con el alma tranquila)".

También nos libra de persecuciones y de enemigos. Salmo 108, 4: "En lugar de amarme me denigraban; mas yo oraba".



 b) En segundo lugar es eficaz y útil para la obtención de todos nuestros deseos. Marc 11, 24: "Todo cuanto orando pidiereis creed que lo recibiréis". Y si no somos escuchados es que no pedimos con insistencia: "En efecto, es necesario orar siempre y no desfallecer" (Luc 18, 1); o no pedimos lo que más conviene para nuestra salvación. 



Dice Agustín: "Bueno es el Señor, que a menudo no nos concede lo que queremos para darnos lo que más nos favorece". Ejemplo de ello hallamos en Pablo, que tres veces pidió ser librado de un punzante tormento y no fue oído: 2 Cor 12, 8.



c)  En tercer lugar, la oración es útil porque nos convierte en familiares de Dios. Salmo 140, 2: "Que mi oración esté ante ti como incienso". 



SANTO TOMAS DE AQUINO: EL PADRENUESTRO y EL AVEMARÍA comentados PROLOGO



sabato 28 settembre 2013

AVE MARIA !


"Ave Maria". E’ un saluto che monda le labbra e il cuore perché non si possono dire queste parole, con riflessione e sentimento, senza sentirsi divenire più buoni! 


E’ come avvicinarsi a una sorgente di luce angelica e a un’oasi fatta di gigli in fiore.



Ave, la parola dell’angelo che c’è concesso di dire per salutare Quella che salutano con amore le Tre Eterne Persone, l’invocazione che salva (…) se detta come moto dello spirito che s’inchina davanti alla regalità di Maria, e si tende verso il suo Cuore di Madre.


Se voi sapeste dire con vero spirito queste parole, anche solo queste due parole, sareste più buoni, più puri, più caritatevoli, perché gli occhi del vostro spirito sarebbero allora fissi in Maria e la santità di Lei vi entrerebbe nel cuore attraverso questa contemplazione. Ella è la fonte delle grazie e della misericordia. 3.9.43.

COR MARIAE IMMACULATUM
INTERCEDE PRO NOBIS

UN PUGNO D'UOMINI !


I Dodici non erano che un pugno
d’uomini in un mondo ben più cattivo del nostro, ed essi lavorarono ed il loro lavoro non fu senza frutti.
E’ il loro lavoro che noi dobbiamo continuare ed è la stessa forza – il Cristo eterno – che ci sostiene.
(G. Pouget)