sabato 25 maggio 2013

Trinità SS.ma


  Le tre Persone divine sono distinte per le loro rispettive proprietà


21 Non essendo permesso concepire tra queste tre Persone alcuna differenza o ineguaglianza, dovranno intendersi distinte solamente in virtù delle loro proprietà; per cui il Padre è non generato, il Figlio è generato dal Padre, lo Spirito Santo procede da entrambi. E professeremo fra le tre Persone una tale identità di essenza e di sostanza, che nella confessione completa di un Dio vero ed eterno riterremo dover adorare, piamente e santamente, nelle Persone la proprietà, nell'essenza l'unità, nella trinità l'uguaglianza. Sicché quando diciamo che la Persona del Padre è la prima, non bisogna pensare che nella trinità sussista una differenza come se una fosse anteriore o posteriore, maggiore o minore.

Lo spirito dei fedeli sia immune da una tale empietà: la religione cristiana proclama nelle tre Persone l'identica eternità e la stessa maestà di gloria. Noi affermiamo senza esitazione che il Padre è veramente la prima Persona, perché è principio senza principio; e poiché ciò che la contrassegna è la proprietà di Padre, a essa sola conviene l'aver generato dall'eternità il Figlio. Infatti pronunciamo insieme in questo articolo i nomi di "Dio" e di "Padre", per ricordare costantemente che Dio è stato sempre Padre.

13                Non occorre istituire intorno alla Trinità troppo sottile ricerca


22 Siccome in nessun altro campo vi è tanto pericolo nell'indagine e tanta possibilità di errori gravissimi come nel presentare e spiegare questa sublime e difficilissima verità, il parroco insegnerà doversi scrupolosamente ritenere i vocaboli propri di essenza e di persona, con i quali viene formulato il mistero, ricordando ai fedeli come l'unità è nell'essenza, la distinzione nelle Persone. 

Dopo ciò, non è affatto necessario inoltrarsi in analisi più minute, memori della sentenza biblica: "Chi vuole scandagliare la maestà, sarà sopraffatto dalla gloria" (Prv 25,27). Deve apparire sufficiente il fatto che quanto per fede riteniamo certo e indiscusso lo apprendemmo da Dio, gli oracoli del quale vogliono l'assenso, se non si è irreparabilmente folli e miserabili. Egli ha detto infatti: "Andate a istruire tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28,19). E altrove: "Tre sono i testimoni nel cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo; e i tre costituiscono una sola sostanza" (1 Gv 5,7). Tuttavia colui il quale crede per divina grazia a tali verità preghi assiduamente e scongiuri Dio Padre, che dal nulla trasse l'universo, tutto disponendo dolcemente (Sap 8,1), che ci concesse la capacità di divenire figli di Dio (Gv 1,12) e all'umana intelligenza discoprì il mistero trinitario.

 Preghi, dico, affinché accolto un giorno nei tabernacoli eterni (Lc 16,9), sia degno di scorgere questa meravigliosa fecondità di Dio Padre, che, intuendo e comprendendo se stesso, genera un Figlio, pari e uguale a se stesso; di contemplare come l'identico Amore di carità dei due, che è lo Spirito Santo, procedente dal Padre e dal Figliolo, stringe reciprocamente, con eterno e indissolubile vincolo, il Genitore e il Generato; come infine si attui cosi, nella divina Trinità, l'unità di essenza e la perfetta distinzione delle tre Persone.

(dal Catechismo Romano)

Articolo 3, dalla Summa di san Tommaso d'Aquino



Articolo 3 

In 4 Sent., d. 13, q. 1, a. 3, sol. 1, 2 

Se la distribuzione di questo sacramento spetti solo al sacerdote 

Pare che la distribuzione di questo sacramento non spetti solo al sacerdote. 

Infatti: 

1. Il sangue di Cristo non appartiene a questo sacramento meno del corpo. 

Ma il sangue di Cristo viene dispensato dai diaconi, tanto che S. Lorenzo [cf. Ambr. De off. ministr. 1, 41] disse a S. Sisto: «Prova se hai scelto un buon ministro, quello a cui affidasti la distribuzione del sangue del Signore». 
Quindi anche la distribuzione del corpo del Signore non appartiene solo ai sacerdoti. 

2. I sacerdoti sono costituiti ministri dei sacramenti. Ora, questo sacramento 
si compie nella consacrazione della materia, non già nell‘uso, a cui si riferisce 
la sua distribuzione. Quindi distribuire il corpo del Signore non spetta al sacerdote. 

3. Questo sacramento, scrive Dionigi [De eccl. hier. 3, 1], ha «una virtù perfettiva 
», come anche la cresima. Ma cresimare i battezzati non spetta al sacerdote, bensì al vescovo. Quindi anche dispensare questo sacramento spetta al vescovo, non al sacerdote. 



In contrario: Nei Canoni [Decr. di Graz. 3, 2, 29] si legge: «Siamo venuti a sapere che alcuni presbiteri consegnano a un laico o a una donna il corpo del 
Signore perché lo portino agli infermi. Il sinodo perciò proibisce che tale abuso continui: il sacerdote comunichi egli stesso gli infermi». 

Dimostrazione: La distribuzione del corpo del Signore compete al sacerdote per tre motivi. 



Primo, poiché, come si è detto [a. 1], egli consacra in persona di 

Cristo. Ora, come Cristo consacrò da sé il proprio corpo, così da sé lo distribuì agli altri. Come quindi appartiene al sacerdote consacrare il corpo di Cristo, così appartiene a lui distribuirlo. 


Secondo, poiché il sacerdote è costituito intermediario fra Dio e il popolo. Come quindi spetta a lui offrire a Dio i doni del popolo, così spetta a lui dare al popolo i doni santi di Dio. 



Terzo, poiché per rispetto verso questo sacramento esso non viene toccato da cosa alcuna che non sia consacrata: per cui sono consacrati il corporale, il calice, e anche le mani del sacerdote, per poter toccare questo sacramento. A nessun altro quindi è permesso di toccarlo all‘infuori di un caso di necessità: p. es. se stesse per cadere a terra, o in altri casi simili. 



Analisi delle obiezioni: 1. Al diacono, in quanto prossimo all‘ordine sacerdotale, spettano alcuni compiti di tale ufficio, ossia la facoltà di dispensare 
il sangue; non però quella di dispensare il corpo, se non in caso di necessità, dietro comando del vescovo o del sacerdote. Primo, poiché il sangue di 
Cristo è contenuto nel calice. Quindi non è a contatto con chi lo distribuisce, come lo è invece il corpo di Cristo. - Secondo, poiché il sangue significa la 
redenzione che deriva al popolo da Cristo, tanto che al sangue viene mescolata dell‘acqua per indicare il popolo. Ora, trovandosi i diaconi fra il sacerdote 
e il popolo, ad essi si addice più la distribuzione del sangue che quella del corpo. 

2. All‘identica persona spetta dispensare e consacrare l‘Eucaristia, per la 
ragione che abbiamo indicata [nel corpo]. 

3. Come il diacono partecipa in qualcosa della «virtù illuminativa» del sacerdote 
in quanto dispensa il sangue, così il sacerdote partecipa del «governo 
perfettivo» del vescovo in quanto dispensa l‘Eucaristia, che perfeziona l‘uomo in se stesso unendolo a Cristo. Invece gli altri perfezionamenti che 
dispongono l‘uomo in rapporto al prossimo sono riservati al vescovo. 


Passio Christi conforta me

Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein)



S.Teresa B.della Croce

Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein) - Martire (9 agosto)
Breslavia, 12 ottobre 1891 - Auschwitz, 9 agosto 1942
Edith Stein nasce a Breslavia, capitale della Slesia prussiana, il 12 ottobre 1891, da una famiglia ebrea di ceppo tedesco.
Allevata nei valori della religione israelitica, a 14 anni abbandona la fede dei padri divenendo atea.
Studia filosofia a Gottinga, diventando discepola di Edmund Husserl, il fondatore della scuola fenomenologica.
Ha fama di brillante filosofa.
 Nel 1921 si converte al cattolicesimo, ricevendo il Battesimo nel 1922.
Insegna per otto anni a Speyer (dal 1923 al 1931). Nel 1932 viene chiamata a insegnare all’Istituto pedagogico di Münster, in Westfalia, ma la sua attività viene sospesa dopo circa un anno a causa delle leggi razziali.
Nel 1933, assecondando un desiderio lungamente accarezzato, entra come postulante al Carmelo di Colonia.
Assume il nome di suor Teresa Benedetta della Croce.
Il 2 agosto 1942 viene prelevata dalla Gestapo e deportata nel campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau dove il 9 agosto muore nella camera a gas.
Nel 1987 viene proclamata Beata, è canonizzata da Giovanni Paolo II l’11 ottobre 1998. Nel 1999viene dichiarata, con S. Brigida di Svezia e S. Caterina da Siena, Compatrona dell’Europa.
Patronato: Europa (Giovanni Paolo II, 1/10/99)
Emblema: Palma
Martirologio Romano: Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith) Stein, vergine dell’Ordine delle Carmelitane Scalze e martire, che, nata ed educata nella religione ebraica, dopo avere per alcuni anni tra grandi difficoltà insegnato filosofia, intraprese con il battesimo una vita nuova in Cristo, proseguendola sotto il velo delle vergini consacrate, finché sotto un empio regime contrario alla dignità umana e cristiana fu gettata in carcere lontana dalla sua terra e nel campo di sterminio di Auschwitz vicino a Cracovia in Polonia fu uccisa in una camera a gas.
 
Un pugnetto di cenere e di terra scura passata al fuoco dei forni crematori di Auschwitz: è ciò che oggi rimane di Santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein; ma in maniera simbolica, perché di lei effettivamente non c’è più nulla.
Un ricordo di tutti quegli innocenti sterminati, e furono milioni, nei lager nazisti.
Questo piccolo pugno di polvere si trova sotto il pavimento della chiesa parrocchiale di San Michele, a nord di Breslavia, oggi Wroclaw, a pochi passi da quel grigio palazzetto anonimo, in ulica (via) San Michele 38, che fu per tanti anni la casa della famiglia Stein.
I luoghi della tormentata giovinezza di Edith, del suo dolore e del suo distacco.
Sulla parete chiara della chiesa, ricostruita dopo la guerra e affidata ai salesiani, c’è un arco in cui vi è inciso il suo nome.
Nella cappella, all’inizio della navata sinistra, si alzano due blocchi di marmo bianco: uno ha la forma di un grande libro aperto, a simboleggiare i suoi studi di filosofia; l’altro riproduce un grosso numero di fogli ammucchiati l’uno sopra l’altro, a ricordare i suoi scritti, la sua produzione teologica.
Ma cosa resta veramente della religiosa carmelitana morta ad Auschwitz in una camera a gas nell’agosto del 1942?
Certamente, ben più di un simbolico pugnetto di polvere o di un ricordo inciso nel marmo.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, la sua vicenda è balzata via via all’attenzione della comunità internazionale, rivelando la sua grande statura, non solo filosofica ma anche religiosa, e il suo originale cammino di santità: era stata una filosofa della scuola fenomenologica di Husserl, una femminista ante litteram, teologa e mistica, autrice di opere di profonda spiritualità, ebrea e agnostica, monaca e martire; “una personalità – ha detto di lei Giovanni Paolo II – che porta nella sua intensa vita una sintesi drammatica del nostro secolo”.
Elevata all’onore degli altari l’11 ottobre 1998, la sua santità non può comprendersi se non alla luce di Maria, modello di ogni anima consacrata, suscitatrice e plasmatrice dei più grandi santi nella storia della Chiesa.
Beatificata in maggio (del 1987), dichiarata santa in ottobre, entrambi mesi di Maria: si è trattato soltanto di una felice quanto fortuita coincidenza?
C’è in realtà un “filo mariano” che si dipana in tutta l’esperienza umana e spirituale di questa martire carmelitana.
A cominciare da una data precisa, il 1917.
In Italia è l’anno della disfatta di Caporetto, in Russia della rivoluzione bolscevica.
Per Edith il 1917 è invece l’anno chiave del suo processo di conversione.
L’anno del passo lento di Dio. Mentre lei, ebrea agnostica e intellettuale in crisi, brancola nel buio, non risolvendosi ancora a “decidere per Dio”, a molti chilometri dall’università di Friburgo dov’è assistente alla cattedra di Husserl, nella Città Eterna, il francescano polacco Massimiliano Kolbe con un manipolo di confratelli fondava la Milizia dell’Immacolata, un movimento spirituale che nel suo forte impulso missionario, sotto il vessillo di Maria, avrebbe raggiunto negli anni a venire il mondo intero per consacrare all’Immacolata il maggior numero possibile di anime.
Del resto – e come dimenticarlo? – quello stesso 1917 è pure l’anno delle apparizioni della Madonna ai pastorelli di Fatima.
Un filo mariano intreccia misteriosamente le vite dei singoli esseri umani stendendo la sua trama segreta sulmondo.
Decisiva per la conversione della Stein al cattolicesimo fu la vita di Santa Teresa d’Avila letta in una notte d’estate.
Era il 1921, Edith era sola nella casa di campagna di alcuni amici, i coniugi Conrad-Martius, che si erano assentati brevemente lasciandole le chiavi della biblioteca.
Era già notte inoltrata, ma lei non riusciva a dormire. Racconta: "Presi casualmente un libro dalla biblioteca; portava il titolo "Vita di santa Teresa narrata da lei stessa".
Cominciai a leggere e non potei più lasciarlo finché non ebbi finito.
Quando lo richiusi, mi dissi: questa è la verità". Aveva cercato a lungo la verità e l’aveva trovata nel mistero della Croce; aveva scoperto che la verità non è un’idea, un concetto, ma una persona, anzi la Persona per eccellenza.
Così la giovane filosofa ebrea, la brillante assistente di Husserl, nel gennaio del 1922 riceveva il Battesimo nella Chiesa cattolica.
Edith poi, una volta convertita al cattolicesimo, è attratta fin da subito dal Carmelo, un Ordine contemplativo sorto nel XII secolo in Palestina, vero “giardino” di vita cristiana (la parola karmel significa difatti “giardino”) tutto orientato verso la devozione specifica a Maria, come segno di obbedienza assoluta a Dio.
Particolare non trascurabile – un’altra coincidenza? – il giorno in cui la Stein ottiene la risposta di accettazione da parte del convento di Lindenthal, per cui aveva tanto trepidato nel timore di essere rifiutata, è il 16 luglio del 1933, solennità della Regina del Carmelo.
Così Edith offrirà a lei, alla Mamma Celeste, quale omaggio al suo provvidenziale intervento, i grandi mazzi di rose che riceve dai colleghi insegnanti e dalle sue allieve del collegio “Marianum” il giorno della partenza per l’agognato Carmelo di Colonia.
Il 21 aprile 1938 suor Teresa Benedetta della Croce emette la professione perpetua.
Fino al 1938 gli ebrei potevano ancora espatriare, in America perlopiù o in Palestina, poi invece – dopo l’incendio di tutte le sinagoghe nelle città tedesche nella notte fra il 9 e il 10 novembre, passata alla storia come "la notte dei cristalli" – occorrevano inviti, permessi, tutte le carte in regola; era molto difficile andare via.
In Germania era già cominciata la caccia aperta al giudeo.
La presenza di Edith al Carmelo di Colonia rappresenta un pericolo per l’intera comunità: nei libri della famigerata polizia hitleriana, infatti, suor Teresa Benedetta è registrata come "non ariana".
Le sue superiori decidono allora di farla espatriare in Olanda, a Echt, dove le carmelitane hanno un convento.
Prima di lasciare precipitosamente la Germania, il 31 dicembre del 1938, nel cuore della notte, suor Teresa chiede di fermarsi qualche minuto nella chiesa “Maria della Pace”, per inginocchiarsi ai piedi della Vergine e domandare la sua materna protezione nell’avventurosa fuga verso il Carmelo di Echt.
Ella – aveva detto – può formare a propria immagine coloro che le appartengono”.
E chi sta sotto la protezione di Maria – lei concludeva - è ben custodito.”
L’anno 1942 segnò l’inizio delle deportazioni di massa verso l’est, attuate in modo sistematico per dare compimento a quella che era stata definita come la Endlösung, ovvero la "soluzione finale" del problema ebraico.
Neppure l’Olanda è più sicura per Edith.
Il pomeriggio del 2 agosto due agenti della Gestapo bussarono al portone del Carmelo di Echt per prelevare suor Stein insieme alla sorella Rosa.
Destinazione: il campo di smistamento di Westerbork, nel nord dell’Olanda.
Da qui, il 7 agosto venne trasferita con altri prigionieri nel campo di sterminio di Auschwitz- Birkenau.
Il 9 agosto, con gli altri deportati, fra cui anche la sorella Rosa, varcò la soglia della camera a gas, suggellando la propria vita col martirio: non aveva ancora compiuto cinquantuno anni. (Autore: Maria Di Lorenzo - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria. - Santa Teresa Benedetta della Croce, pregate per noi. 
Intercede pro nobis salutifera Mater Dei

Santa Teresa di Gesù Bambino


S.Teresa di Gesù B. 

Santa Teresa di Gesù Bambino (di Lisieux) - Vergine e Dottore della Chiesa (ottobre)
Alençon (Francia), 2 gennaio 1873 - Lisieux, 1° ottobre 1897
Sensibilissima e precoce, fin da bambina decise di dedicarsi a Dio. Entrò nel Carmelo di Lisieux e nel solco della tradizione carmelitana scoprì la sua piccola via dell'infanzia spirituale, ispirata alla semplicità e all'umile confidenza nell'amore misericordioso del Padre. Posta dalla vocazione contemplativa nel cuore della Chiesa, si aprì all'ideale missionario, offrendo a Dio le sue giornate fatte di fedeltà e di silenziosa e gioiosa offerta per gli apostolo del Vangelo. I suoi pensieri, raccolti sotto il titolo Storia di un'anima, sono la cronaca quotidiana del suo cammino di identificazione con l'Amore. Con San Francesco Saverio è patrona delle missioni. (Mess. Rom.)
Patronato: Missionari, Francia
Etimologia: Teresa = cacciatrice, dal greco; oppure donna amabile e forte, dal tedesco
Emblema: Giglio, Rosa
Martirologio Romano: Memoria di Santa Teresa di Gesù Bambino, vergine e dottore della Chiesa: entrata ancora adolescente nel Carmelo di Lisieux in Francia, divenne per purezza e semplicità di vita maestra di santità in Cristo, insegnando la via dell’infanzia spirituale per giungere alla perfezione cristiana e ponendo ogni mistica sollecitudine al servizio della salvezza delle anime e della crescita della Chiesa.
Concluse la sua vita il 30 settembre, all’età di venticinque anni.
(30 settembre: A Lisieux in Francia, anniversario della morte di santa Teresa di Gesù Bambino, la cui memoria si celebra domani).
 
Si arrampica a Milano sul Duomo fino alla Madonnina, a Pisa sulla Torre, e a Roma si spinge anche nei posti proibiti del Colosseo.
La quattordicenne Teresa Martin è la figura più attraente del pellegrinaggio francese, giunto in Roma a fine 1887 per il giubileo sacerdotale di Leone XIII.
Ma, nell’udienza pontificia a tutto il gruppo, sbigottisce i prelati chiedendo direttamente al Papa di poter entrare in monastero subito, prima dei 18 anni.
Cauta è la risposta di Leone XIII; ma dopo quattro mesi Teresa entra nel Carmelo di Lisieux, dove l’hanno preceduta due sue sorelle (e lei non sarà l’ultima).
I Martin di Alençon: piccola e prospera borghesia del lavoro specializzato.
Il padre ha imparato l’orologeria in Svizzera. La madre dirige merlettaie che a domicilio fanno i celebri pizzi di Alençon. Conti in ordine, leggendaria puntualità nei pagamenti come alla Messa, stimatissimi. E compatiti per tanti lutti in famiglia: quattro morti tra i nove figli.
Poi muore anche la madre, quando Teresa ha soltanto quattro anni.
In monastero ha preso il nome di suor Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, ma non trova l’isola di santità che s’aspettava. Tutto puntuale, tutto in ordine.
Ma è scadente la sostanza.
La superiora non la capisce, qualcuna la maltratta.
Lo spirito che lei cercava, proprio non c’è, ma, invece di piangerne l’assenza, Teresa lo fa nascere dentro di sé. E in sé compie la riforma del monastero.
Trasforma in stimoli di santificazione maltrattamenti, mediocrità, storture, restituendo gioia in cambio delle offese.
É una mistica che rifiuta il pio isolamento. La fanno soffrire?
E lei è quella che "può farvi morir dal ridere durante la ricreazione", come deve ammettere proprio la superiora grintosa.
Dopodiché, nel 1897 – giusto cent’anni fa – lei è già morta, dopo meno di un decennio di vita religiosa oscurissima. Ma è da morta che diviene protagonista, apostola, missionaria.
Sua sorella Paolina (suor Agnese nel Carmelo) le ha chiesto di raccontare le sue esperienze spirituali, che escono in volume col titolo Storia di un’anima nel 1898.
Così la voce di questa carmelitana morta percorre la Francia e il mondo, colpisce gli intellettuali, suscita anche emozioni e tenerezze popolari che Pio XI corregge raccomandando al vescovo di Bayeux: "Dite e fate dire che si è resa un po’ troppo insipida la spiritualità di Teresa. Com’è maschia e virile, invece!
Santa Teresa di Gesù Bambino, di cui tutta la dottrina predica la rinuncia, è un grand’uomo".
Ed è lui che la canonizza nel 1925.
Non solo.
Nel 1929, mentre in Urss trionfa Stalin, Pio XI già crea il Collegio Russicum, allo scopo di formare sacerdoti per l’apostolato in Russia, quando le cose cambieranno. Già allora.
E come patrona di questa sfida designa appunto lei, suor Teresa di Gesù Bambino.  (Autore: Domenico Agasso – Fonte: Enciclopedia dei Santi)


Beato Luigi Monti


Beato Luigi Monti 
Beato Luigi Monti (1 ottobre)
Bovisio, Milano, 24 luglio 1825 - Saronno, Varese, 1 ottobre 1900
Nato a Bovisio, in provincia di Milano, il 24 luglio 1825, da giovane animò la vita cristiana del suo paese con un gruppo di coetanei.
Ingiustamente calunniati, furono incarcerati per 72 giorni.
A 21 anni si consacrò in perpetuo al Signore. Trascorse poi sei anni tra i Figli di Maria, fondati dal Beato Ludovico Pavoni, e per tre mesi fu infermiere volontario nel Lazzaretto, durante il colera di Brescia del 1855.
Dal 1858 fu infermiere nell'ospedale del Santo Spirito a Roma - dove progettò la sua Congregazione, i Figli dell'Immacolata Concezione - e a Orte (1868-1877), lasciando una testimonianza di donazione di sé e alta professionalità.
Nel 1877 divenne superiore generale della Congregazione e nel 1886 aprì a Saronno (Varese) la prima Casa di accoglienza per orfani, da "custodire come pupilla del proprio occhio". Vi morì il 1° ottobre 1900 e vi è sepolto.
La causa di beatificazione è iniziata nel 1941 sotto il cardinale Schuster.
É stato beatificato da Giovanni Paolo II il 9 novembre 2003.
Martirologio Romano: A Saronno vicino a Varese, Beato Luigi Maria Monti, religioso, che, pur conservando lo stato laicale, istituì i Figli dell’Immacola Concezione, che diresse in spirito di carità verso i poveri e i bisognosi, occupandosi in particolare dell’assistenza agli infermi e agli orfani e della formazione dei giovani.
 
Nel secolo XIX contro l'agnosticismo dilagante, lo Spirito Santo ha suscitato donne e uomini eccezionali ricchi del carisma dell'“assistenza” e dell'“accoglienza” perché fosse ancora l'amore del prossimo a convincere l'uomo scettico e positivista a credere in Dio-Amore.
In questa schiera di fedeli ripieni di Spirito Santo viene annoverato Luigi Monti, Beato della carità, che ha testimoniato l'amore al prossimo nel segno della Donna che non ha conosciuto il peccato, segno di liberazione da ogni male: l'Immacolata.
Luigi Monti religioso laico chiamato “padre” per venerazione dai suoi discepoli, data la sua manifesta paternità spirituale, nacque a Bovisio, diocesi di Milano, il 24 luglio 1825, ottavo di undici figli.
Rimasto orfano di padre a 12 anni, divenne artigiano del legno per aiutare la madre e i fratelli più piccoli.
Giovane ardente radunò nella sua bottega molti coetanei artigiani e contadini per dar vita ad un oratorio serale.
Il gruppo prese il nome di Compagnia del Sacro Cuore di Gesù, ma il popolo di Bovisio lo chiamò: “La Compagnia dei Frati”.
Esso si distingueva per l'austerità di vita, per la dedizione al malato, al povero, per lo zelo di evangelizzare i lontani. Luigi, leader del gruppo, nel 1846 a 21 anni si consacrò a Dio emettendo i voti di castità e obbedienza nelle mani del suo padre spirituale.
Fu un fedele laico consacrato nella Chiesa di Dio senza convento, senza abito.
Non tutti però seppero cogliere i doni che lo Spirito aveva infuso in Luigi Monti.
Infatti alcune persone del paese insieme al parroco misero in atto un'opposizione strisciante ma palese che sfociò in una calunniosa denuncia di cospirazione politica contro l'autorità austriaca di occupazione.
Malgrado il clima di sospetto che regnava nel Lombardo-Veneto nel 1851, Luigi Monti e i suoi compagni furono liberati in istruttoria, ma dopo 72 giorni di carcere.
Docile al suo padre spirituale entrò con lui tra i Figli di Maria Immacolata, Congregazione che il Beato Ludovico Pavoni aveva fondato solo 5 anni prima. Vi rimase sei anni come novizio.
Questo tempo fu per Luigi Monti un periodo di transizione, nel quale, però, s'innamorò delle costituzioni del Pavoni, fece esperienza di educatore e apprese la teoria e la pratica della professione di infermiere che mise a servizio della comunità e dei colpiti dal colera nell'epidemia del 1855 in Brescia, chiudendosi volontariamente nel locale lazzaretto.
Luigi Monti, a 32 anni, è ancora alla ricerca della realizzazione concreta della sua consacrazione. In una lettera del 1896, a 4 anni dalla fine della sua vita, così rievocò la notte dello spirito, vissuta in questo periodo: “Passavo delle ore davanti a Gesù in Sacramento, ma erano tutte ore senza una stilla di celeste rugiada; il mio cuore rimaneva arido, freddo, insensibile.
Ero proprio sul punto di abbandonare ogni cosa, quando, trovandomi in camera, sento una voce interna chiara e distinta che mi dice: “Luigi, va al coretto della chiesa, ed esponi di nuovo le tue tribolazioni a Gesù Sacramentato”.
Do orecchio all'ispirazione, e mi affretto a seguirla. Mi inginocchio, e dopo non molto - meraviglia! - vedo due personaggi in forma umana. Li conosco. Era Gesù con la sua Madre Santissima, i quali mi si fanno dappresso e con voce alta mi dicono: “Luigi, molto avrai ancora da soffrire; altre lotte maggiori e varie avrai da incontrare. Sta forte; di tutto ne uscirai vincitore; il nostro potente aiuto non ti verrà mai meno. Prosegui la via che incominciasti”. Sì dissero e disparvero”.
Ispirato dalla testimonianza di carità della santa Crocifissa di Rosa, Padre Luigi Dossi, prospettò al Monti l'idea di dar vita ad una “Congregazione per il servizio degli infermi” a Roma. Luigi Monti accettò e suggerì di chiamarla: “Congregazione dei Figli dell'Immacolata Concezione”. L'idea fu condivisa da diversi suoi amici del tempo della “Compagnia” e da un giovane infermiere esperto molto ardente, Cipriano Pezzini.
Una fondazione all'ombra del Cupolone non era cosa semplice e per di più in uno degli ospedali più famosi di Europa: l'ospedale Santo Spirito. Nel frattempo i cappellani cappuccini di quel famoso ospedale dettero inizio ad una associazione di terziari di San Francesco per l'assistenza corporale ai malati.
Quando Luigi Monti giunse a Roma, nel 1858, trovò una realtà diversa da quella programmata da lui e dal suo amico Pezzini che lo aveva preceduto per intessere le necessarie trattative con il Commendatore, massima autorità dell'ospedale.
Comprese che Dio, al momento, lo voleva “Fra Luigi da Milano”, infermiere nell'ospedale Santo Spirito, e umilmente chiese di esserne inserito. Fu addetto dapprima a tutti i servizi riservati oggi al personale sanitario ausiliario, poi addetto a particolari interventi, specifici della mansione del flebotomo, descritte nel diploma rilasciatogli dall'Università La Sapienza di Roma.
Nel 1877, per unanime designazione dei suoi confratelli, Pio IX, lo pose a capo della “sua” Congregazione e vi rimarrà per ventitré anni fino alla morte.
Il Beato papa Pio IX predilesse fin dalle origini la Congregazione dei Figli dell'Immacolata Concezione, sia per il grande suo 
anelito di vedere ben assistiti gli infermi degli ospedali romani, sia perché portavano il nome dell'Immacolata.
Posto a capo della “sua” famiglia, Luigi Monti preparò per essa un codice di vita che riflette le esperienze per le quali lo Spirito di Dio lo aveva condotto. E la comunità del Santo Spirito, per mezzo della sua animazione, visse l'“apostolica vivendi forma” dei Figli dell'Immacolata Concezione.
I Fratelli nutriti dall'Eucaristia e dalla meditazione del privilegio della “Tutta Pura”, si dedicavano all'assistenza in modo eroico. Nei ricoveri in massa per epidemie di malaria, di tifo o a seguito di episodi bellici, non esitarono i Fratelli a dare spontaneamente anche il loro materasso. Si dichiararono tutti disponibili ad assistere i malati di tutte le forme di malattia, in qualsiasi parte fossero inviati. Luigi Monti costituì altre piccole comunità nell'alto Lazio, ove egli stesso aveva operato precedentemente come ospedaliere dai molti ruoli ed anche come infermiere itinerante per i casolari sparsi per la campagna di Orte (VT).
Un giorno ricevette (siamo nel 1882) a Santo Spirito la visita di un religioso certosino che dichiarò di aver avuto l'ispirazione dalla Vergine Immacolata di presentarsi a lui. Veniva da Desio (Milano). Il certosino gli presentò un caso pietoso: quattro orfani, figli di suo fratello vedovo, da poco deceduto, di cui il maggiore aveva undici anni.
Un segno dello Spirito di Dio e Luigi Monti allargò l'opera assistenziale ai minori, orfani di entrambi i genitori. Per essi aprì una Casa di accoglienza a Saronno. Il suo principio pedagogico basilare è fondato sulla paternità dell'educatore. L'orfano deve trovare nella comunità dei religiosi la nuova famiglia, per “vivere insieme la giornata”, per creare insieme le prospettive di inserimento nella società con una formazione umana e cristiana che fosse la base per tutte le vocazioni: alla famiglia, allo stato di speciale consacrazione, come al sacerdozio ministeriale.
Luigi Monti, laico consacrato, concepì la comunità di “Fratelli” non sacerdoti e sacerdoti nella parità dei diritti e dei doveri, ove a superiore della comunità doveva essere eletto il fratello più idoneo. La morte lo colse a Saronno, stremato di forze, quasi cieco, a 75 anni nel 1900. Il suo progetto non aveva avuto ancora l'approvazione ecclesiastica.
Ma San Pio X, nel 1904, diede l'approvazione al nuovo modello di comunità, previsto dal fondatore concedendo il sacerdozio ministeriale come complemento essenziale per svolgere una missione apostolica rivolta a tutto l'uomo, sia nel servizio degli infermi che nell'accoglienza della gioventù emarginata.
Nel 1941 il Beato Ildefonso Schuster, Arcivescovo di Milano, aprì il processo informativo che si protrasse fino al 1951.
Nel 2001 la Congregazione delle Cause dei Santi ha promulgato il decreto sull'eroicità delle virtù e nel 2003 si ebbe il decreto che definiva miracolosa la guarigione avvenuta nel 1961 a Bosa (Sardegna) del contadino Giovanni Luigi Iecle.
Tuttora la Congregazione dei Figli dell'Immacolata è sparsa in tutto il mondo manifestando nelle opere di carità il carisma di accoglienza paterna e di assistenza effettuata con professionalità e somma dedizione dal fondatore Luigi Monti.
É stato beatificato da Giovanni Paolo II il 9 novembre 2003.
La data di culto indicata nel Martyrologium Romanum è il 1 ottobre. La Congregazione dei Figli dell'Immacolata Concezione lo ricorda il 22 settembre. (Fonte: Santa Sede)