sabato 9 marzo 2013

7. La povertà di Maria





Il nostro amorevole Redentore, per insegnarci a disprezzare i beni mondani, volle essere povero su questa terra. 

Dice san Paolo: « Da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi della sua povertà » (2Cor 8,9). 
Perciò Gesù esortava chiunque volesse essere suo seguace: « Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che hai e dallo ai poveri... poi vieni e seguimi » (Mt 19,21). 

La sua discepola più perfetta, Maria, seguì mirabilmente il suo esempio. San Pietro Canisio afferma che con l'eredità lasciatale dai suoi genitori la santa Vergine avrebbe potuto vivere agiatamente, ma si accontentò di essere povera conservando per sé un piccola parte dei suoi beni e distribuendo tutto il resto in elemosina al tempio e ai poveri. 

Molti sostengono che Maria fece anche voto di povertà. Ella stessa rivelò a santa Brigida: « Fin dal principio feci voto in cuor mio di non possedere nulla in questo mondo ». 
... « Tutto quello che potei avere, lo diedi ai poveri, riservando per me un po' di cibo e il vestito». 

Per amore della povertà non disdegnò di sposarsi con un semplice fabbro, san Giuseppe, e di sostentarsi con le fatiche delle sue mani, filando e cucendo, come attesta san Bonaventura. Parlando di Maria, l'angelo rivelò a santa Brigida: « Considerava le ricchezze terrene come fango ». Insomma visse sempre povera...  

 «Chi ama le cose non diventerà mai santo», diceva san Filippo Neri. Santa Teresa aggiungeva: «E’giusto che chi va dietro a cose perdute si perda anch'egli». Al contrario, diceva la stessa santa, la virtù della povertà è un bene che comprende tutti gli altri beni. «La virtù della povertà, scrive san Bernardo, non consiste solamente nell'essere povero, ma nell'amare la povertà ». Perciò Gesù disse: « Beati i poveri di spirito, perché di essi è il Regno dei cieli » (Mt 5,3). 

Beati, perché quelli che non vogliono altro che Dio, in Dio trovano ogni bene e trovano nella povertà il loro paradiso in terra, come lo trovò san Francesco nell'esclamare: «Dio mio e mio tutto». 


Amiamo dunque « quell'unico bene in cui sono tutti i beni », come esortava sant'Agostino. E preghiamo il Signore con sant'Ignazio: «Dammi soltanto il tuo amore con la tua grazia e sono ricco abbastanza». 

Quando ci affligge la povertà, consoliamoci sapendo che Gesù e sua Madre sono stati poveri come noi. «O povero, dice san Bonaventura, ti puoi molto consolare pensando alla povertà di Maria e alla povertà di Cristo». Madre mia santissima, avesti ben ragione di dire: « Il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore » (Lc 1,47), perché in questo mondo non ambisti e non amasti altro bene che Dio. Signora, staccami dal mondo e 
«attraimi dietro a te» (Ct 1,3 Volg.) per amare quell’Uno che solo merita di essere amato. Amen.

AVE MARIA VIRGO POTENS! 

Conosci una pagina più bella di questa? Arrenditi!



Un uomo aveva due figli. Il maggiore era serio, lavoratore, affezionato, ubbidiente. Il secondo era intelligente più del maggiore — che in verità era un poco ottuso e si lasciava guidare per non avere da affaticarsi a decidere da sé — ma in compenso era anche ribelle, svagato, amante del lusso e del piacere, dissipatore e ozioso. L’intelligenza è un grande dono di Dio. Ma è un dono che va usato saggiamente. Altrimenti è come certi farmachi i quali, usati in mal modo, non sanano ma uccidono. Il padre — era nel suo diritto e nel suo dovere — lo richiamava a vita più saggia. Ma senza alcun utile, tolto quello di averne male risposte e un maggior irrigidimento del figlio nelle proprie cattive idee.


Infine un giorno, dopo una disputa più fiera, il figlio minore disse: “Dàmmi la mia parte dei beni. Così non sentirò più i tuoi rimproveri e i lagni del fratello. Ognuno il suo e sia finito tutto”. “Guarda”, rispose il padre, “che presto sarai rovinato. Che farai allora? Pensa che io non sarò ingiusto in favore di te e non riprenderò un picciolo a tuo fratello per darlo a te”. “Non ti chiederò nulla. Sta’ sicuro. Dàmmi la mia parte”.


Il padre fece stimare le terre e le cose preziose e, visto che denaro e gioielli facevano tanto quanto le terre, dette al maggiore i campi e i vigneti, le mandre e gli ulivi, e al minore il denaro e i gioielli, che il giovane vendette subito mutando tutto in denaro. E fatto questo, in pochi giorni, se ne andò in lontano paese dove visse da gran signore, scialacquando tutto il suo in bagordi di ogni specie, facendosi credere un figlio di re perché si vergognava di dire: “sono campagnolo”, rinnegando perciò il padre suo. Festini, amici e amiche, vesti, vini, giuoco… vita dissoluta… Presto vide scemare la sostanza e venire avanti la miseria. E con la miseria, a farla più grave, venne nel paese una grande carestia che dette fondo ai resti della sostanza.

4Avrebbe potuto andare dal padre. Ma era superbo e non volle. Andò allora da un riccone del paese, già suo amico nei tempi buoni, e lo pregò dicendo: “Accoglimi fra i tuoi servi in ricordo di quando godesti delle mie dovizie”. Vedete voi come è stolto l’uomo! Preferisce mettersi sotto la frusta di un padrone anziché dire ad un padre: “Perdono! Ho sbagliato!”. Quel giovane aveva imparato tante cose inutili con la sua intelligenza aperta, ma non aveva voluto imparare il detto dell’Ecclesiastico: “Quanto è infame colui che abbandona il padre suo e quanto è maledetto da Dio chi fa inquietare la madre”. Era intelligente ma non sapiente.


L’uomo a cui si era rivolto, in cambio del molto che aveva goduto dal giovane stolto, mise questo stolto di guardia ai porci — perché si era in paese pagano e vi erano molti porci — e lo mandò a pasturare nei suoi possessi le mandre dei porci. Lurido, stracciato, puzzolente, affamato — perché il cibo era scarso per tutti i servi e specie per gli infimi, e lui, straniero mandriano di porci e deriso, era ritenuto tale — vedeva i porci satollarsi delle ghiande e sospirava: “Potessi almeno io pure empirmi il ventre di questi frutti! Ma sono troppo amari! Neppure la fame me li fa parere buoni”. E piangeva pensando ai ricchi festini da satrapo fatti poco tempo prima fra risa, canti, danze… e pensava poi agli onesti pranzi ben nutriti della sua casa lontana, alle porzioni che il padre faceva a tutti imparzialmente, serbando per sé sempre il meno, lieto di vedere il sano appetito dei suoi figli… e pensava anche alle parti fatte ai servi da quel giusto, e sospirava: “I garzoni di mio padre, anche i più infimi, hanno pane in abbondanza… e io qui muoio di fame…”. Un lungo lavoro di riflessione, una lunga lotta per strozzare la superbia…

5Infine venne il giorno che, rinato nell’umiltà e nella sapienza, sorse in piedi e disse: “Io vado dal padre mio! È stolto questo orgoglio che mi fa prigione. E di che? Perché soffrire e nel corpo e più nel cuore mentre posso avere perdono e sollievo? Vado dal padre mio. È detto. Che gli dirò? Ma quello che è nato qui dentro, in questa abbiezione, fra queste lordure, fra i morsi della fame! Gli dirò: ‘Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te, non sono più degno di essere chiamato tuo figlio; trattami perciò come l’infimo dei tuoi garzoni, ma sopportami sotto il tuo tetto. Che io ti veda passare…’. Non potrò dirgli: ‘…perché ti amo’. Non lo crederebbe. Ma lo dirà la mia vita, ed egli lo comprenderà, e prima di morire mi benedirà ancora… Oh! lo spero. Perché mio padre mi ama”. E, tornato la sera in paese, si licenziò dal padrone e mendicando per via tornò a casa sua.
Ecco i campi paterni… e la casa… e il padre che dirigeva i lavori, invecchiato, scarnito dal dolore, ma sempre buono… Il colpevole, guardando quella rovina causata da lui, si fermò intimorito… ma il padre, girando l’occhio, lo vide e gli corse incontro, perché era ancora lontano, e raggiuntolo gli gettò le braccia al collo e lo baciò. Solo il padre aveva riconosciuto in quel mendicante avvilito la sua creatura e solo lui aveva avuto un movimento di amore. Il figlio, stretto fra quelle braccia, con il capo sulla spalla paterna, mormorò fra i singhiozzi: “Padre, lascia che io mi getti ai tuoi piedi”. “No, figlio mio! Non ai piedi. Sul mio cuore, che ha tanto sofferto della tua assenza e che ha bisogno di rivivere col sentire il tuo calore sul mio petto”. E il figlio, piangendo più forte, disse: “Oh! padre mio! Io ho peccato contro il Cielo e contro di te, non sono più degno di essere chiamato da te: figlio. Ma permettimi di vivere fra i tuoi servi, sotto il tuo tetto, vedendoti, mangiando il tuo pane, servendoti, bevendo il tuo alito. Ad ogni boccone di pane, ad ogni tuo respiro si riformerà il mio cuore tanto corrotto e diverrò onesto…”. Ma il padre, tenendolo sempre abbracciato, lo condusse verso i servi, che si erano ammucchiati in distanza e che osservavano, e disse loro: “Presto, portate qui la veste più bella e catini di acque odorose, lavatelo, profumatelo, rivestitelo, mettetegli dei calzari nuovi e un anello al dito. Poi prendete un vitello ingrassato e ammazzatelo. E si prepari un banchetto. Perché questo figlio mio era morto ed ora è risuscitato, era perduto ed è stato ritrovato. Io voglio che ora lui pure ritrovi il suo semplice amore di pargolo; e il mio amore e la festa della casa per il suo ritorno glielo devono dare. Deve capire che egli è sempre per me il caro bambino ultimo nato, quale era nella infanzia sua lontana, quando mi camminava al fianco facendomi beato col suo sorriso e il suo balbettio”. E così fecero i servi.
6Il figlio maggiore era in campagna e non seppe nulla fino al

suo ritorno. A sera, venendo verso casa, la vide luminosa di lumi e udì suoni di strumenti e danze uscire da essa. Chiamò un servo che correva indaffarato e gli disse: “Che avviene?”. E il servo rispose: “È tornato tuo fratello! Tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso perché ha riavuto il figlio e sano, guarito dal suo grande male, ed ha ordinato banchetto. Non si attende che te per cominciare”. Ma il primogenito, in collera perché gli pareva ingiustizia tanta festa per il minore, che oltre che minore era stato cattivo, non volle entrare e anzi fece per allontanarsi da casa.
Ma il padre, avvertito di questo, corse fuori e lo raggiunse tentando di convincerlo e pregandolo di non amareggiargli la sua gioia. Il primogenito rispose al padre suo: “E vuoi che io non sia inquieto? Tu fai ingiustizia e spregio al tuo primogenito. Io da quando ho potuto lavorare ti ho servito, e sono molti anni. Io non ho mai trasgredito ad un tuo comando, neppure ad un tuo desiderio. Io ti sono sempre stato vicino e ti ho amato per due per farti guarire dalla piaga fatta da mio fratello. E tu non mi hai dato neppure un capretto per godermelo cogli amici. Questo, che ti ha offeso, che ti ha abbandonato, che è stato infingardo e dissipatore e che torna ora perché è spinto dalla fame, tu lo onori e per lui ammazzi il vitello più bello. Vale la pena essere lavoratori e senza vizi! Questo non me lo dovevi fare!”.
Il padre disse allora stringendoselo al seno: “Oh! figlio mio! E puoi credere che io non ti ami perché non stendo un velo di festa sulle tue azioni? Le tue azioni sono sante di loro, e il mondo ti loda per esse. Ma questo tuo fratello, invece, ha bisogno di essere rialzato nella stima del mondo e nella stima sua stessa. E credi tu che io non ti ami perché non ti do un premio visibile? Ma mattina e sera e in ogni mio alito e pensiero tu sei presente al mio cuore, e ad ogni attimo io ti benedico. Tu hai il premio continuo di essere sempre con me, e tutto quanto è mio è tuo. Ma era giusto banchettare e fare festa per questo tuo fratello, che era morto ed è risuscitato al Bene, che era perduto ed è stato ritornato al nostro amore”. E il primogenito si arrese.

Oh, se tutti conoscessero Dio!

IBERIA, IBERIA veo crecer tu poder y tu esplendor; nada será capaz de contrastar la elevación y fuerza de tus destinos.




Profecía de Bug de Milhas: Este santo eremita nació en MILHAS, aldea de COMINGES (Pirineos franceses), en el siglo XVII y murió en 1848 a edad muy avanzada, lleno de merecimientos por su santa vida, siendo muy venerado por el don de consejo e ilustraciones sobrenaturales con que quiso enriquecerle el SEÑOR Revelación del Santo sobre nuestra querida y amada Patria:

- ¡DIOS ETERNO!, tus juicios son grandes e incomprensibles... IBERIA, IBERIA (1) veo crecer tu poder y tu esplendor; nada será capaz de contrastar la elevación y fuerza de tus destinos. - Una guerra está anunciada por muchos profetas y sus predicciones se cumplirán.

Esta guerra llevará sus estragos por todas partes; la peste y otras muchas plagas la acompañarán, esparciendo el terror por doquiera. -El fanatismo de las falsas creencias, y los partidos intolerantes llenarán de víctimas muchos países; la IBERIA será el asilo de todos los proscritos; los católicos, huyendo del furor de sus enemigos, se refugiarán en ESPAÑA. Esta emigración prodigiosa aumentará la GRANDEZA DE LA NACION (2).

(1) Iberia es el nombre con que los griegos conocían desde tiempos remotos lo que hoy llamamos Península Ibérica Española. (2)!!! Será el Boom turístico y la reciente JMJ 2011, una preparación!!! } 

-Los PIRINEOS serán testigos del combate más cruel que habrán visto los siglos. La tierra temblará bajo el peso de los bélicos aparatos. TRES DIAS DURARA LA BATALLA... -Entonces el Tajo producirá un guerrero que en el combate más feroz de la historia vencerá al gigante que con sus huestes intente conquistar la península, luego el ejército victorioso llegara hasta el rio Neva (Rusia)

En vano el temible GIGANTE querrá animar a los suyos y restablecer el combate, porque el DEDO DEL SEÑOR señaló ya el fin de su reinado y sucumbirá a los filos de la espada del nuevo CID En toda la tierra triunfara la religión católica y llevara la felicidad al género humano. {FIN} 

Santa Brígida, princesa sueca del siglo XIV (tiene abundantes revelaciones sobre muchos misterios) predice: “Un lejano futuro de paz cuando sea proclamado emperador, un hombre de la estirpe de España que vencerá maravillosamente, destruirá el mahometismo (islam) y restituirá la basílica de santa Sofía. 

AVE MARIA PURISSIMA!


El fuego... ya cabalga por el espacio como jinete justiciero.



ABRIL 11 DE 2011
8:45 A.M.
¡LLAMADO A LA HUMANIDAD DE JESÚS EL BUEN PASTOR!

Que mi paz esté con vosotras ovejas de mi redil.

El fuego de mi justicia (ajenjo) ya cabalga por el espacio como jinete justiciero. Lo haré invisible a los ojos de vuestros hombres de ciencia; su fuego desolador purificará mi creación y restablecerá el orden y el derecho. Del cielo caerá el castigo para los impíos, la cizaña será arrancada de raíz separándola del trigo, y todo será renovado y no volverá a recordarse el pasado.

Mis sobrevivientes, mi pueblo fiel, verá el castigo de Dios sobre los malvados; el fuego de mi justicia arrasará con todo vestigio de maldad, y mi pueblo después de los tres días de oscuridad, verá brillar la luz de un nuevo amanecer, que anunciará el reinado de nuestros dos corazones; el reino de Emanuel, el Dios con vosotros.

¡Oh pueblo mío, o mi Israel elegido, preparaos porque unos Nuevos cielos, y una Nueva tierra aguarda por vosotros!. Vuestros cuerpos serán transformados en cuerpos espirituales de naturaleza Angelical. El espíritu dominará sobre la materia, ya no tendréis necesidad de alimento corporal, el único alimento que se os dará será el Cordero de Dios, que estará con vosotros y entre vosotros hasta la consumación de los tiempos. La voluntad de Dios se hará en los cielos y en la tierra, y seréis todos como hermanos bajo la protección de vuestro Eterno Pastor y vuestra Eterna Pastora que serán vuestro refugio y amparo.

Ya no sufriréis, ni tendréis necesidades, ni preocupaciones, pues el gozo en el Espíritu será vuestro mayor deleite. La Gloria de Dios os cubrirá con sus alas y seréis mi pueblo, mi Israel, y yo seré vuestro Dios. Seréis sabios y todo os será revelado; viviréis en el conocimiento del Espíritu, que es sabiduría, amor, gozo y plenitud. Vuestros cuerpos transformados por la gracia de mi Espíritu rejuvenecerán, morir de cien años será morir joven a la gloria de Dios.

Mi Jerusalén Celestial espera por mis ovejas purificadas. Vuestro Eterno Pastor os aguarda, para daros su amor y su vida en abundancia. ¡Animo, pueblo mío, falta poco, no desfallezcáis!. De nuevo os digo, que si permanecéis unidos a Mí, y a mi Madre, todo pasará como un sueño para vosotros; entrad en el Arca de la Nueva Alianza y dejaos guiar por la Eterna Pastora, ella, os protegerá de la tempestad y las tinieblas y os llevará seguros a las puertas de mi Jerusalén Eterna. No temáis, os amo y os conozco, os estoy esperando con mis brazos abiertos y con mi corazón henchido de amor; soportad con paciencia y valentía estos días de purificación y ofrecedlo todo por la conversión de los pecadores; me desvivo de amor por las ovejas descarriadas y rebeldes; hijos míos, ayudadme a recuperar este rebaño que se halla disperso del redil; buscad a mis ovejas perdidas y habladle a las rebeldes, mis ovejas descarriadas lo que necesitan es amor. Tenedles paciencia y decidles, que el Eterno Pastor no quiere que se pierdan, que regresen lo más pronto posible al redil, antes de que caiga la noche. Acordaos mis ovejas rebeldes: Hay más alegría en el cielo, no por noventa y nueve justos, sino por un pecador que se convierta. En verdad os digo, que todo aquel que libre a un pecador de morir eternamente, no sólo lo salvará a él, sino que salvará también su alma. Ánimo, ovejas de mi rebaño, hablad a tiempo y a destiempo, pues necesito recuperar el rebaño disperso, antes de que llegue el castigo. Mi paz os dejo, mi paz os doy. Soy vuestro Pastor, Jesús de Nazareth. Dad a conocer mis mensajes de salvación a todas las naciones.

venerdì 8 marzo 2013

IV Domingo de Cuaresma - C - 10 de marzo 2013 :San Lucas 15,1-3.11-32





LA PARÁBOLA DEL HIJO PRÓDIGO






JUAN DE ENDOR, VEN AQUÍ CONMIGO. DEBO HABLARTE

"Juan de Endor, ven aquí conmigo. Debo hablarte" dice Jesús asomándose a la entrada de la puerta.
El hombre deja al niño a quien le estaba enseñando algo y acude pronto: "¿Qué se te ofrece, Maestro?" pregunta.
"Ven conmigo aquí arriba".
Suben a la terraza y se sientan en donde no da el sol, porque si bien es de mañana, ya hace mucho calor. Jesús pasa la vista sobre los campos cultivados en los que de día en día el trigo se convierte en espigas de oro y los árboles se hinchan con sus frutos, parece como si quisiera abrevar su pensamiento en la metamorfosis vegetal.

ESCÚCHAME JUAN (DE ENDOR). 
TE VOY A PEDIR UNA COSA


TE DOY DINERO PARA LOS POBRES. 
LO HARÁS EN NOMBRE MÍO

"Escúchame Juan. Creo que hoy viene Isaac y me traerá a los campesinos de Yocana antes de que partan. He dicho a Lázaro que preste a Isaac un carro para que regresen más pronto y no vayan a retardarse, lo que podría ocasionarles un castigo. Lázaro lo hará, porque él hace todo lo que le digo. Pero a ti te voy a pedir otra cosa. Tengo aquí una cantidad de dinero que me dio una persona para los pobres del Señor. Casi siempre es un apóstol mío el encargado de guardar el dinero y de distribuir las limosnas. Casi siempre es Judas de Keriot; muy rara vez otro. Judas no está ahora. No quiero que los demás sepan lo que quiero hacer. Esta vez tampoco Judas lo hubiera sabido. Lo harás en nombre mío..."
"¿Yo, Señor?... ¿Yo?... ¡Oh! ¡No soy digno!..."
"Debes acostumbrarte a trabajar en mi nombre. ¿No viniste para esto?"
"Sí, pero pensaba que trabajaría en reconstruir mi pobre alma".
"Y yo te doy los medios. ¿Contra que pecaste? Contra la misericordia y el Amor. Con odio has destruido tu alma. Con amor y misericordia la reconstruirás. Te doy material. Te emplearé sobre todo en las obras de misericordia y de amor. Tú también eres capaz de curar, eres capaz de hablar. Por este motivo estás preparado para cuidar de la desgracia física y moral, y tienes capacidad para hacerlo. Empezarás con esta obra. Ten la bolsa. La entregarás a Miqueas y  a sus amigos. Distribúyela en partes iguales. Y lo harás como te lo voy a decir. La divides en diez partes. Darás cuatro a Miqueas, una para él, otra para Saulo, otra para Joel y otra más para Isaías. Las otras seis las entregarás a Miqueas para que las entregue al viejo padre de Yabé, para sí y para sus compañeros. Así podrá tener alguna ayuda".
"Está bien. Pero ¿qué razón les doy?"
"Les dirás: "Esto es para que os acordéis de rogar por un alma que se redime".
"Pero podrán pensar que se trata de mí. ¡No es justo!"
"¿Por qué? ¿No te quieres redimir?"
"No es justo que piensen que sea yo el benefactor".
"No te preocupes, y haz como te dije".
Obedezco... pero al menos permíteme que ponga algo de lo mío. Por otra parte... por ahora no tengo necesidad de nada. No compraré más libros, no tengo gallinas que alimentar. Me contento con muy poco... Ten, Maestro. Me guardo tan solo un poco para lo que me cuesten las sandalias..." y saca de una bolsa que tenía colgada en la cintura muchas monedas y las junta con las de Jesús.
"Dios te bendiga por tu misericordia... Juan, dentro de poco nos separaremos, porque te irás con Isaac".
"Lo siento, Maestro. Pero obedezco".
"También a mí me duele alejarte, pero tengo necesidad de discípulos peregrinos. No me doy abasto. Pronto lanzaré a los apóstoles, después a los discípulos. Lo harás muy bien. Te reservaré para misiones difíciles. Entre tanto te formarás con Isaac. Es muy bueno, y el Espíritu de Dios lo instruyó verdaderamente durante su larga enfermedad. Es el hombre que siempre ha perdonado todo... Separarnos no quiere decir que no nos volveremos a ver. Nos encontraremos frecuentemente, y cada vez que sea así, hablaré solo por tiacuérdate de ello..."

DIME PRONTO ALGO QUE ME CONVENZA
QUE HE SIDO PERDONADO

VEN, VAYAMOS A AQUEL MONTÓN DE MANZANOS
Y REUNAMOS A LOS COMPAÑEROS Y MUJERES

LES HABLARÉ A TODOS, PERO TE DIRÉ 
CÓMO DIOS TE AMA

Juan se doblega sobre su cuerpo. Esconde su cara entre las manos con una explosión de llanto. Dice entre lágrimas: "Oh, entonces dime pronto algo que me convenza que he sido perdonado... que puedo servir a Dios... si lo supiese, ahora que ha desaparecido el humo del odio, y como veo mi alma... y como... y como pienso en Dios..."
"Lo sé. No llores. Se humilde, pero no te rebajes. El rebajamiento es todavía soberbia. Ten tan solo humildad. ¡Ea, no llores...!"
Juan de Endor poco a poco se va tranquilizando...
Cuando Jesús ve que se calma, le dice: "Ven, vayamos a aquel montón de manzanos y reunamos a los compañeros y mujeres. Les hablaré a todos, pero te diré cómo Dios te ama".
Descienden. Reúnen a su alrededor a los demás conforme van avanzando, y se sientan en rueda bajo la sombra del manzanar. También Lázaro que estaba hablando con Zelote, se une a los demás. Son unas veinte personas por todas.

CÓMO DIOS NOS AMA

LA PARÁBOLA DEL HIJO PRÓDIGO

"Escuchad. Es una hermosa parábola que os guiará con su luz en muchos casos.
Un hombre tenía dos hijos. El mayor era serio, trabajador, cariñoso y obediente. El menor era más inteligente que el mayor que en realidad era un poco tonto y que se dejaba guiar para no tener el trabajo de tener que tomar por sí la decisión. Pero el menor era en cambio rebelde, disipado, amante del lujo y del placer, dilapidador y ocioso. La inteligencia es un gran don de Dios, pero es un don que se debe usar con sagacidad, de otro modo es como ciertas medicinas, que usadas del modo que no conviene lejos de sanar, matan. El padre estaba en su derecho y en su poder. Lo invitaba a que llevase una vida más propia, pero sin ningún resultado, fuera de haberle arrancado malas respuestas y provocado a una mayor terquedad en sus propias malas ideas.
En fin, llegó un día en que después de una disputa muy agria, el hijo menor dijo: "Dame la parte de mis bienes. Así no oiré mas tus reproches y las quejas de mi hermano. Cada uno lo suyo y todo ha terminado". "Piensa," respondió su padre, "que pronto estarás arruinado. ¿Qué harás entonces? Piensa que no seré injusto por favorecerte y que no le quitaré a tu hermano ni siquiera un céntimo para dártelo". "No te pediré nada. Puedes estar seguro. Dame mi parte".
El padre mandó avaluar sus tierras, y las cosas de valor, y al ver que el dinero que tenía y las joyas valían tanto cuanto las tierras, dio al mayor los campos y los viñedos, los rebaños y los olivos y al menor el dinero y las joyas, el cual las vendió al punto cambiándolo todo por dinero. Hecho esto, en pocos días, se fue a un país lejano donde vivió como gran señor, despilfarrando todo lo que tenía, en orgías de cualquier clase, haciéndose pasar como hijo de rey porque se avergonzaba de decir "soy un campesino". Por esto renegaba de su padre. Banquetes, amigos y amigas, vestidos, vinos, juegos... vida disoluta. Muy pronto vio que sus riquezas se esfumaban y que le salía al encuentro la miseria. Y para venir a hacer esta más dolorosa, sobrevino en aquella región una gran carestía que acabó con lo que quedaba de sus riquezas. Habría querido volver a su padre, pero era soberbio y no quiso. Se fue a un ricachón de aquel país, que era amigo en la bonanza, y le rogó de este modo: "Acógeme entre tus siervos como recuerdo de lo que gozaste con mis riquezas". ¡Ved cuán necio es el hombre! Prefiere ponerse bajo el látigo de un capataz antes que decir a su padre: "¡Perdóname! ¡Me he equivocado!". Aquel joven había aprendido con su buena inteligencia muchas cosas útiles pero no había aprendido el dicho del Eclesiástico: "Cuán infame es el que abandona a su padre y cómo maldice Dios a quien quita la paz a su madre". Era inteligente pero no sabio.
El hombre, al que se había dirigido, en cambio de lo mucho que había gozado con las riquezas de este joven necio, lo mandó a cuidar cerdos. Era una región pagana y había muchos de esos animales. Lo mandó a cuidar en sus pastizales las piaras de cerdos. Sucio, desgarrado, apestoso, hambriento, pues la comida era poca para todos los siervos y sobre todo para los de menor grado, y él, extranjero cuidador de cerdos, como le decían burlándose, veía a los cerdos hartarse con bellotas y suspiraba: "¡Si pudiese también llenar mi estómago con estos frutos! Pero ¡son muy amargos! Ni siquiera el hambre me los hace ver sabrosos"... y lloraba pensando en los ricos festines, que hacía poco tiempo, cual sátrapa, celebraba entre risas, cantos y danzas... y luego pensaba en las comidas honestas pero sustanciosas de su lejano hogar, en las proporciones que su padre daba a todos imparcialmente, conservando para sí lo menor, contento de ver el buen apetito de sus hijos... y pensaba también en lo justo que era su padre con sus siervos y suspiraba: "Los trabajadores de mi padre, aun los que valen menos, tienen pan en abundancia... y yo aquí me muero de hambre..."



Un largo trabajo de meditación, una larga lucha para destruir la soberbia... llegó por fin el día en que renaciendo a la humildad y sabiduría se puso de pie y dijo: "¡Me voy a mi padre! Es necio este orgullo que me aprisiona. Y... ¿por qué?... ¿por qué debo sufrir en el cuerpo y mucho más en el corazón, mientras puedo obtener su perdón y remedio? Me voy a donde está mi padre. Está dicho. ¿Qué le diré? Lo que ha nacido aquí dentro, en esta abyección, entre estas suciedades, entre los mordiscos del hambre! Le diré: 'He pecado contra el Cielo y contra ti. No soy más digno de que me llames hijo. Trátame pues, como a un trabajador del nivel más ínfimo, pero tenme bajo tu techo. Que te vea pasar...' No podré decirte: '...porque te amo'. No lo creerías, pero te lo dirá mi vida, y él lo comprenderá y antes de morir me volverás a bendecir...¡Oh! Así lo espero. Porque mi padre me ama"... y al regresar por la tarde se despidió de su patrón y pidiendo limosna por el camino regresó a su casa. Ahí estaban los campos paternos... la casa... y el padre que dirigía los trabajos, envejecido, enflaquecido por el dolor, pero siempre bueno... El culpable al contemplar aquella desgracia que había causado, se paró atemorizado... pero su padre, al volver los ojos, lo vio y corrió a su encuentro, pues todavía estaba lejos, y al llegar a él le echó los brazos al cuello y lo besó. Sólo el padre había reconocido en aquel vil mendigo a su hijo y solo él había sentido una palpitación de amor.
El hijo estrechado por aquellos brazos, con la cabeza sobre la espalda de su padre, murmuró entre sollozos: "Padre, permíteme que me arroje a tus pies". "No hijo mío, no a mis pies; sobre mi corazón que ha sufrido tanto con tu ausencia y que tiene necesidad de volver a la vida al sentir tu calor sobre mi pecho", y el hijo llorando con mayor fuerza, dijo: "Oh, padre mío, he pecado contra el cielo y contra ti, no soy más digno de que me llames hijo. Mas permíteme que viva entre tus siervos, bajo tu techo, viéndote, comiendo de tu pan, sirviéndote, bebiendo tu aliento y... a cada bocado de pan, a cada respiro se renovará mi corazón tan corrompido y será más honrado...".
Pero aquel hombre, teniendo siempre abrazado a su hijo, lo llevó ante los siervos que habían acudido de lejos y que contemplaban lo que sucedía. Les dijo: "Pronto. Traed aquí el vestido más hermoso, las palanganas de agua olorosa, lavadlo, perfumadlo, vestidlo, ponedle calzado nuevo y un anillo en el dedo. Después tomaréis un becerro cebado y matadlo. Que se prepare un banquete porque este hijo mío estaba muerto y ahora ha resucitado; estaba perdido y ahora ha sido encontrado. Quiero que también ahora, encuentre de nuevo su amor simple de niño, y mi amor y la fiesta de la casa por su regreso, se lo darán. Debe entender que para siempre es mi querido hijo menor, cual lo fue en su infancia lejana, cuando caminaba a mi lado haciéndome feliz con sus sonrisas y su balbuceo"... y los siervos cumplieron sus órdenes.
El hijo mayor estaba en la campiña y no supo nada hasta que regresó. Era el atardecer. Al llegar a su casa la vio llena de luces y oyó melodías de instrumentos y que salían de ella las danzas. Llamó a su siervo que andaba atareado y le preguntó: "¿Qué pasa?" El siervo respondió: "¡Ha regresado tu hermano! Tu padre ha mandado matar un becerro cebado porque ha vuelto a ver a su hijo sano y curado de su gran mal, y mandó a preparar un banquete. No esperan a otro para empezar más que a ti". El primogénito se enojó porque le parecía una injusticia tanta fiesta en honor de su hermano menor, que además de ser menor había sido malo y no quiso entrar y hasta trató de alejarse de la casa.
Pero su padre a quien le avisaron, salió corriendo, lo alcanzó y trató de convencerlo, rogándole que no amargase su alegría. El primogénito le respondió: "¿Y quieres que yo no esté descontento si cometes una injusticia y haces un desprecio a tu primogénito?... Desde que pude trabajar, te he servido y esto ya hace muchos años. Jamás he desobedecido ninguna de tus órdenes, ni siquiera un deseo tuyo. Siempre he estado cerca de ti, te he amado por dos para curarte la llaga que te causó mi hermano. Y ni siquiera me has dado un cabrito para comérmelo con mis amigos. Este que te ofendió... que te abandonó, que ha sido un holgazán y dilapidador, y que ha regresado ahora, acicateado por el hambre, a él lo honras y por él matas el mejor becerro. ¡Cuesta trabajo ser trabajador y sin vicios! ¡Esto no me lo deberías haber hecho!" El padre le dijo estrechándole contra el pecho: "¡Oh, hijo mío! ¿Puedes imaginar que no te ame porque no extiendo un velo de fiesta sobre tus acciones? Tus acciones son santas de por sí. El mundo te alaba por ellas. Pero este hermano tuyo, por el contrario, tiene necesidad de volver a ser colocado en la estima del mundo y a sus propios ojos... ¿Crees que no te amo porque no te doy un premio que puedas palpar? Mañana y tarde, en cada aliento y pensamiento mío estás presente a mi corazón y en cada momento te bendigo. Tienes el premio de estar siempre conmigo y todo lo que tengo es tuyo. Pero era justo hacer un banquete y dar una fiesta a tu hermano que había muerto y ha resucitado al bien. Que estaba perdido y ha regresado a nuestro amor" y el primogénito se sometió.
De igual modo, amigos míos, sucede en la casa del Padre. Y quien se tiene igual al hijo menor de la parábola, piense también que, si lo imita en ir al Padre, este le dirá: "No a mis pies, sino sobre mi corazón que ha sufrido con tu ausencia y que ahora está feliz por tu regreso". Quien esté en condiciones de primogénito sin culpa ante el Padre, no sea celoso de la alegría paterna, sino tome parte y ame a su hermano redimido.
Esto es todo. Quedaos Juan de Endor y Lázaro. Los demás vayan a preparar las mesas. Iremos pronto".
...Los apóstoles, junto con la Madre de Jesús y las mujeres, se dirigen a la casa precedidas por Marziam que va saltando entre ellas. De pronto se regresa y toma a María por la mano diciéndole: "Ven conmigo. Te debo decir una cosa. Nada más a ti". Y María le da gusto. Dan vuelta hacia el pozo que se encuentra en un ángulo del patio, cubierto con un emparrado que se extiende hasta la terraza en forma de arco. Detrás está Iscariote.

JUDAS (ISCARIOTE) ACUDE A MARÍA 
PARA QUE JESÚS LE PERDONE

"Judas... ¿qué quieres?... Vete, Marziam... habla... ¿qué quieres?"
"Me siento culpable... no me atrevo a ir al Maestro ni a verme con mis compañeros...Ayúdame..."
"Te ayudaré. Pero ¿no tienes idea de lo que afliges? Mi Hijo ha llorado por tu causa. Tus compañeros han sufrido. Pero ven. Nadie te dirá nada. Y si puede, no vuelvas a cometer iguales cosas. Es indigno de un hombre, y es sacrilegio ante el Verbo de Dios".
"Y tú, Madre, ¿me perdonas?"
"¿Yo? Yo no valgo para ti que te crees muy grande. Soy la más pequeña de las siervas del Señor... ¿Cómo te puedes preocupar por mí, si no tienes compasión por mi Hijo?"
"Porque también yo tengo madre, y si obtengo tu perdón, me parece que obtengo el suyo".
"Ella no conoce esta falta tuya".
"Pero ella me hizo jurar ser bueno con el Maestro. Soy perjuro. Siento en mi alma el reproche de mi madre".
"¿Lo sientes? Y el lamento y el reproche del Padre y del Verbo ¿no lo sientes? Eres un desgraciado, Judas. Siembras en ti y en quien te ama el dolor".
María tiene un rostro serio y triste. No habla con brusquedad, sino con mucha gravedad. Judas se echa a llorar.
"No llores. Procura corregirte. Ven" y lo toma de la mano. Lo lleva así a la cocina. La admiración en todos los rostros se dibuja.

JUDAS HA REGRESADO.
SED COMO EL PRIMOGÉNITO
DESPUÉS DE HABER HABLADO CON SU PADRE

María se adelanta piadosa a cualquier palabra que no lo fuera. Dice: "Judas ha regresado. Sed como el primogénito después de haber hablado con su padre. Juan, ve a avisar a Jesús".
Juan de Zebedeo sale a la carrera. Hay gran silencio en la cocina... luego Judas dice: "Perdóname, Simón, tú primero. Tienes un corazón paternal. Soy también yo un huérfano".
"Sí, sí, te perdono. Por favor, no hablemos más de eso. Seamos hermanos... y no me gustan esos altos y bajos de perdones pedidos y de recaídas. Envilecen a quien las comete, y a quien los da. Ahí está Jesús. Ve a El y... basta".
Judas se va, entre tanto que Pedro se desahoga rompiendo leña seca...            
III. 396-403.
A. M. D. G.