martedì 19 febbraio 2013

Dono particolare della Provvidenza...


INCONTRO CON I PARROCI E IL CLERO DI ROMA
DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Aula Paolo VI
Giovedì, 14 febbraio 2013

Eminenza,
cari fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio!


E’ per me un dono particolare della Provvidenza che, prima di lasciare il ministero petrino, possa ancora vedere il mio clero, il clero di Roma. E’ sempre una grande gioia vedere come la Chiesa vive, come a Roma la Chiesa è vivente; ci sono Pastori che, nello spirito del Pastore supremo, guidano il gregge del Signore. E’ un clero realmente cattolico, universale, e questo risponde all’essenza della Chiesa di Roma: portare in sé l’universalità, la cattolicità di tutte le genti, di tutte le razze, di tutte le culture. Nello stesso tempo, sono molto grato al Cardinale Vicario che aiuta a risvegliare, a ritrovare le vocazioni nella stessa Roma, perché se Roma, da una parte, dev’essere la città dell’universalità, dev’essere anche una città con una propria forte e robusta fede, dalla quale nascono anche vocazioni. E sono convinto che, con l’aiuto del Signore, possiamo trovare le vocazioni che Egli stesso ci dà, guidarle, aiutarle a maturare, e così servire per il lavoro nella vigna del Signore.
Oggi avete confessato davanti alla tomba di san Pietro il Credo: nell’Anno della fede, mi sembra un atto molto opportuno, necessario forse, che il clero di Roma si riunisca sulla tomba dell’Apostolo al quale il Signore ha detto: “A te affido la mia Chiesa. Sopra di te costruisco la mia Chiesa” (cfr Mt 16,18-19). Davanti al Signore, insieme con Pietro, avete confessato: “Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivo” (cfr Mt 16,15-16). Così cresce la Chiesa: insieme con Pietro, confessare Cristo, seguire Cristo. E facciamo questo sempre. Io sono molto grato per la vostra preghiera, che ho sentito – l’ho detto mercoledì – quasi fisicamente. Anche se adesso mi ritiro, nella preghiera sono sempre vicino a tutti voi e sono sicuro che anche voi sarete vicini a me, anche se per il mondo rimango nascosto.
Per oggi, secondo le condizioni della mia età, non ho potuto preparare un grande, vero discorso, come ci si potrebbe aspettare; ma piuttosto penso ad una piccola chiacchierata sul Concilio Vaticano II, come io l’ho visto. Comincio con un aneddoto: io ero stato nominato nel ’59 professore all’Università di Bonn, dove studiano gli studenti, i seminaristi della diocesi di Colonia e di altre diocesi circostanti. Così, sono venuto in contatto con il Cardinale di Colonia, il Cardinale Frings. Il Cardinale Siri, di Genova – mi sembra nel ’61 - aveva organizzato una serie di conferenze di diversi Cardinali europei sul Concilio, e aveva invitato anche l’Arcivescovo di Colonia a tenere una delle conferenze, con il titolo: Il Concilio e il mondo del pensiero moderno.
Il Cardinale mi ha invitato – il più giovane dei professori – a scrivergli un progetto; il progetto gli è piaciuto e ha proposto alla gente, a Genova, il testo come io l’avevo scritto. Poco dopo, Papa Giovanni lo invita ad andare da lui e il Cardinale era pieno di timore di avere forse detto qualcosa di non corretto, di falso, e di venire citato per un rimprovero, forse anche per togliergli la porpora. Sì, quando il suo segretario lo ha vestito per l’udienza, il Cardinale ha detto: “Forse adesso porto per l’ultima volta questo abito”. Poi è entrato, Papa Giovanni gli va incontro, lo abbraccia, e dice: “Grazie, Eminenza, lei ha detto le cose che io volevo dire, ma non avevo trovato le parole”. Così, il Cardinale sapeva di essere sulla strada giusta e mi ha invitato ad andare con lui al Concilio, prima come suo esperto personale; poi, nel corso del primo periodo - mi pare nel novembre ’62 – sono stato nominato anche perito ufficiale del Concilio.
Allora, noi siamo andati al Concilio non solo con gioia, ma con entusiasmo. C’era un’aspettativa incredibile. Speravamo che tutto si rinnovasse, che venisse veramente una nuova Pentecoste, una nuova era della Chiesa, perché la Chiesa era ancora abbastanza robusta in quel tempo, la prassi domenicale ancora buona, le vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa erano già un po’ ridotte, ma ancora sufficienti. Tuttavia, si sentiva che la Chiesa non andava avanti, si riduceva, che sembrava piuttosto una realtà del passato e non la portatrice del futuro. E in quel momento, speravamo che questa relazione si rinnovasse, cambiasse; che la Chiesa fosse di nuovo forza del domani e forza dell’oggi. E sapevamo che la relazione tra la Chiesa e il periodo moderno, fin dall’inizio, era un po’ contrastante, cominciando con l’errore della Chiesa nel caso di Galileo Galilei; si pensava di correggere questo inizio sbagliato e di trovare di nuovo l’unione tra la Chiesa e le forze migliori del mondo, per aprire il futuro dell’umanità, per aprire il vero progresso. Così, eravamo pieni di speranza, di entusiasmo, e anche di volontà di fare la nostra parte per questa cosa. Mi ricordo che un modello negativo era considerato il Sinodo Romano. Si disse - non so se sia vero – che avessero letto i testi preparati, nella Basilica di San Giovanni, e che i membri del Sinodo avessero acclamato, approvato applaudendo, e così si sarebbe svolto il Sinodo. I Vescovi dissero: No, non facciamo così. Noi siamo Vescovi, siamo noi stessi soggetto del Sinodo; non vogliamo soltanto approvare quanto è stato fatto, ma vogliamo essere noi il soggetto, i portatori del Concilio. Così anche il Cardinale Frings, che era famoso per la fedeltà assoluta, quasi scrupolosa, al Santo Padre, in questo caso disse: Qui siamo in altra funzione. Il Papa ci ha convocati per essere come Padri, per essere Concilio ecumenico, un soggetto che rinnovi la Chiesa. Così vogliamo assumere questo nostro ruolo.
Il primo momento, nel quale questo atteggiamento si è mostrato, è stato subito il primo giorno. Erano state previste, per questo primo giorno, le elezioni delle Commissioni ed erano state preparate, in modo – si cercava – imparziale, le liste, i nominativi; e queste liste erano da votare. Ma subito i Padri dissero: No, non vogliamo semplicemente votare liste già fatte. Siamo noi il soggetto. Allora, si sono dovute spostare le elezioni, perché i Padri stessi volevano conoscersi un po’, volevano loro stessi preparare delle liste. E così è stato fatto. I Cardinali Liénart di Lille, il Cardinale Frings di Colonia avevano pubblicamente detto: Così no. Noi vogliamo fare le nostre liste ed eleggere i nostri candidati. Non era un atto rivoluzionario, ma un atto di coscienza, di responsabilità da parte dei Padri conciliari.
Così cominciava una forte attività per conoscersi, orizzontalmente, gli uni gli altri, cosa che non era a caso. Al “Collegio dell’Anima”, dove abitavo, abbiamo avuto molte visite: il Cardinale era molto conosciuto, abbiamo visto Cardinali di tutto il mondo. Mi ricordo bene la figura alta e snella di mons. Etchegaray, che era Segretario della Conferenza Episcopale Francese, degli incontri con Cardinali, eccetera. E questo era tipico, poi, per tutto il Concilio: piccoli incontri trasversali. Così ho conosciuto grandi figure come Padre de Lubac, Daniélou, Congar, eccetera. Abbiamo conosciuto vari Vescovi; mi ricordo particolarmente del Vescovo Elchinger di Strasburgo, eccetera. E questa era già un’esperienza dell’universalità della Chiesa e della realtà concreta della Chiesa, che non riceve semplicemente imperativi dall’alto, ma insieme cresce e va avanti, sempre sotto la guida – naturalmente – del Successore di Pietro.
Tutti, come ho detto, venivano con grandi aspettative; non era mai stato realizzato un Concilio di queste dimensioni, ma non tutti sapevano come fare. I più preparati, diciamo quelli con intenzioni più definite, erano l’episcopato francese, tedesco, belga, olandese, la cosiddetta “alleanza renana”. E, nella prima parte del Concilio, erano loro che indicavano la strada; poi si è velocemente allargata l’attività e tutti sempre più hanno partecipato nella creatività del Concilio. I francesi ed i tedeschi avevano diversi interessi in comune, anche con sfumature abbastanza diverse. La prima, iniziale, semplice - apparentemente semplice – intenzione era la riforma della liturgia, che era già cominciata con Pio XII, il quale aveva già riformato la Settimana Santa; la seconda, l’ecclesiologia; la terza, la Parola di Dio, la Rivelazione; e, infine, anche l’ecumenismo. I francesi, molto più che i tedeschi, avevano ancora il problema di trattare la situazione delle relazioni tra la Chiesa e il mondo.
Cominciamo con il primo. Dopo la Prima Guerra Mondiale, era cresciuto, proprio nell’Europa centrale e occidentale, il movimento liturgico, una riscoperta della ricchezza e profondità della liturgia, che era finora quasi chiusa nel Messale Romano del sacerdote, mentre la gente pregava con propri libri di preghiera, i quali erano fatti secondo il cuore della gente, così che si cercava di tradurre i contenuti alti, il linguaggio alto, della liturgia classica in parole più emozionali, più vicine al cuore del popolo. Ma erano quasi due liturgie parallele: il sacerdote con i chierichetti, che celebrava la Messa secondo il Messale, ed i laici, che pregavano, nella Messa, con i loro libri di preghiera, insieme, sapendo sostanzialmente che cosa si realizzava sull’altare. Ma ora era stata riscoperta proprio la bellezza, la profondità, la ricchezza storica, umana, spirituale del Messale e la necessità che non solo un rappresentante del popolo, un piccolo chierichetto, dicesse “Et cum spiritu tuo” eccetera, ma che fosse realmente un dialogo tra sacerdote e popolo, che realmente la liturgia dell’altare e la liturgia del popolo fosse un’unica liturgia, una partecipazione attiva, che le ricchezze arrivassero al popolo; e così si è riscoperta, rinnovata la liturgia.
Io trovo adesso, retrospettivamente, che è stato molto buono cominciare con la liturgia, così appare il primato di Dio, il primato dell’adorazione. “Operi Dei nihil praeponatur”: questa parola dellaRegola di san Benedetto (cfr 43,3) appare così come la suprema regola del Concilio. Qualcuno aveva criticato che il Concilio ha parlato su tante cose, ma non su Dio. Ha parlato su Dio! Ed è stato il primo atto e quello sostanziale parlare su Dio e aprire tutta la gente, tutto il popolo santo, all’adorazione di Dio, nella comune celebrazione della liturgia del Corpo e Sangue di Cristo. In questo senso, al di là dei fattori pratici che sconsigliavano di cominciare subito con temi controversi, è stato, diciamo, realmente un atto di Provvidenza che agli inizi del Concilio stia la liturgia, stia Dio, stia l’adorazione. Adesso non vorrei entrare nei dettagli della discussione, ma vale la pena sempre tornare, oltre le attuazioni pratiche, al Concilio stesso, alla sua profondità e alle sue idee essenziali.
Ve n’erano, direi, diverse: soprattutto il Mistero pasquale come centro dell’essere cristiano, e quindi della vita cristiana, dell’anno, del tempo cristiano, espresso nel tempo pasquale e nella domenica che è sempre il giorno della Risurrezione. Sempre di nuovo cominciamo il nostro tempo con la Risurrezione, con l’incontro con il Risorto, e dall’incontro con il Risorto andiamo al mondo. In questo senso, è un peccato che oggi si sia trasformata la domenica in fine settimana, mentre è la prima giornata, è l’inizio; interiormente dobbiamo tenere presente questo: che è l’inizio, l’inizio della Creazione, è l’inizio della ricreazione nella Chiesa, incontro con il Creatore e con Cristo Risorto. Anche questo duplice contenuto della domenica è importante: è il primo giorno, cioè festa della Creazione, noi stiamo sul fondamento della Creazione, crediamo nel Dio Creatore; e incontro con il Risorto, che rinnova la Creazione; il suo vero scopo è creare un mondo che è risposta all’amore di Dio.
Poi c’erano dei principi: l’intelligibilità, invece di essere rinchiusi in una lingua non conosciuta, non parlata, ed anche la partecipazione attiva. Purtroppo, questi principi sono stati anche male intesi. Intelligibilità non vuol dire banalità, perché i grandi testi della liturgia – anche se parlati, grazie a Dio, in lingua materna – non sono facilmente intelligibili, hanno bisogno di una formazione permanente del cristiano perché cresca ed entri sempre più in profondità nel mistero e così possa comprendere. Ed anche la Parola di Dio – se penso giorno per giorno alla lettura dell’Antico Testamento, anche alla lettura delle Epistole paoline, dei Vangeli: chi potrebbe dire che capisce subito solo perché è nella propria lingua? Solo una formazione permanente del cuore e della mente può realmente creare intelligibilità ed una partecipazione che è più di una attività esteriore, che è un entrare della persona, del mio essere, nella comunione della Chiesa e così nella comunione con Cristo.
Secondo tema: la Chiesa. Sappiamo che il Concilio Vaticano I era stato interrotto a causa della guerra tedesco-francese e così è rimasto con una unilateralità, con un frammento, perché la dottrina sul primato - che è stata definita, grazie a Dio, in quel momento storico per la Chiesa, ed è stata molto necessaria per il tempo seguente - era soltanto un elemento in un’ecclesiologia più vasta, prevista, preparata. Così era rimasto il frammento. E si poteva dire: se il frammento rimane così come è, tendiamo ad una unilateralità: la Chiesa sarebbe solo il primato. Quindi già dall’inizio c’era questa intenzione di completare l’ecclesiologia del Vaticano I, in una data da trovare, per una ecclesiologia completa. Anche qui le condizioni sembravano molto buone perché, dopo la Prima Guerra Mondiale, era rinato il senso della Chiesa in modo nuovo. Romano Guardini disse: “Nelle anime comincia a risvegliarsi la Chiesa”, e un vescovo protestante parlava del “secolo della Chiesa”. Veniva ritrovato, soprattutto, il concetto, che era previsto anche dal Vaticano I, del Corpo Mistico di Cristo. Si voleva dire e capire che la Chiesa non è un’organizzazione, qualcosa di strutturale, giuridico, istituzionale - anche questo -, ma è un organismo, una realtà vitale, che entra nella mia anima, così che io stesso, proprio con la mia anima credente, sono elemento costruttivo della Chiesa come tale. In questo senso, Pio XII aveva scritto l’Enciclica Mystici Corporis Christi, come un passo verso un completamento dell’ecclesiologia del Vaticano I.
Direi che la discussione teologica degli anni ’30-’40, anche ’20, era completamente sotto questo segno della parola “Mystici Corporis”. Fu una scoperta che ha creato tanta gioia in quel tempo ed anche in questo contesto è cresciuta la formula: Noi siamo la Chiesa, la Chiesa non è una struttura; noi stessi cristiani, insieme, siamo tutti il Corpo vivo della Chiesa. E, naturalmente, questo vale nel senso che noi, il vero “noi” dei credenti, insieme con l’”Io” di Cristo, è la Chiesa; ognuno di noi, non “un noi”, un gruppo che si dichiara Chiesa. No: questo “noi siamo Chiesa” esige proprio il mio inserimento nel grande “noi” dei credenti di tutti i tempi e luoghi. Quindi, la prima idea: completare l’ecclesiologia in modo teologico, ma proseguendo anche in modo strutturale, cioè: accanto alla successione di Pietro, alla sua funzione unica, definire meglio anche la funzione dei Vescovi, del Corpo episcopale. E, per fare questo, è stata trovata la parola “collegialità”, molto discussa, con discussioni accanite, direi, anche un po’ esagerate. Ma era la parola - forse ce ne sarebbe anche un’altra, ma serviva questa - per esprimere che i Vescovi, insieme, sono la continuazione dei Dodici, del Corpo degli Apostoli. Abbiamo detto: solo un Vescovo, quello di Roma, è successore di un determinato Apostolo, di Pietro. Tutti gli altri diventano successori degli Apostoli entrando nel Corpo che continua il Corpo degli Apostoli. Così proprio il Corpo dei Vescovi, il collegio, è la continuazione del Corpo dei Dodici, ed ha così la sua necessità, la sua funzione, i suoi diritti e doveri. Appariva a molti come una lotta per il potere, e forse qualcuno anche ha pensato al suo potere, ma sostanzialmente non si trattava di potere, ma della complementarietà dei fattori e della completezza del Corpo della Chiesa con i Vescovi, successori degli Apostoli, come elementi portanti; ed ognuno di loro è elemento portante della Chiesa, insieme con questo grande Corpo.
Questi erano, diciamo, i due elementi fondamentali e, nella ricerca di una visione teologica completa dell’ecclesiologia, nel frattempo, dopo gli anni ’40, negli anni ’50, era già nata un po’ di critica nel concetto di Corpo di Cristo: “mistico” sarebbe troppo spirituale, troppo esclusivo; era stato messo in gioco allora il concetto di “Popolo di Dio”. E il Concilio, giustamente, ha accettato questo elemento, che nei Padri è considerato come espressione della continuità tra Antico e Nuovo Testamento. Nel testo del Nuovo Testamento, la parola “Laos tou Theou”, corrispondente ai testi dell’Antico Testamento, significa – mi sembra con solo due eccezioni – l’antico Popolo di Dio, gli ebrei che, tra i popoli, “goim”, del mondo, sono “il” Popolo di Dio. E gli altri, noi pagani, non siamo di per sé il Popolo di Dio, diventiamo figli di Abramo, e quindi Popolo di Dio entrando in comunione con il Cristo, che è l’unico seme di Abramo. Ed entrando in comunione con Lui, essendo uno con Lui, siamo anche noi Popolo di Dio. Cioè: il concetto “Popolo di Dio” implica continuità dei Testamenti, continuità della storia di Dio con il mondo, con gli uomini, ma implica anche l’elemento cristologico. Solo tramite la cristologia diveniamo Popolo di Dio e così si combinano i due concetti. Ed il Concilio ha deciso di creare una costruzione trinitaria dell’ecclesiologia: Popolo di Dio Padre, Corpo di Cristo, Tempio dello Spirito Santo.
Ma solo dopo il Concilio è stato messo in luce un elemento che si trova un po’ nascosto, anche nel Concilio stesso, e cioè: il nesso tra Popolo di Dio e Corpo di Cristo, è proprio la comunione con Cristo nell’unione eucaristica. Qui diventiamo Corpo di Cristo; cioè la relazione tra Popolo di Dio e Corpo di Cristo crea una nuova realtà: la comunione. E dopo il Concilio è stato scoperto, direi, come il Concilio, in realtà, abbia trovato, abbia guidato a questo concetto: la comunione come concetto centrale. Direi che, filologicamente, nel Concilio esso non è ancora totalmente maturo, ma è frutto del Concilio che il concetto di comunione sia diventato sempre più l’espressione dell’essenza della Chiesa, comunione nelle diverse dimensioni: comunione con il Dio Trinitario - che è Egli stesso comunione tra Padre, Figlio e Spirito Santo -, comunione sacramentale, comunione concreta nell’episcopato e nella vita della Chiesa.
Ancora più conflittuale era il problema della Rivelazione. Qui si trattava della relazione tra Scrittura e Tradizione, e qui erano interessati soprattutto gli esegeti per una maggiore libertà; essi si sentivano un po’ – diciamo – in una situazione di inferiorità nei confronti dei protestanti, che facevano le grandi scoperte, mentre i cattolici si sentivano un po’ “handicappati” dalla necessità di sottomettersi al Magistero. Qui, quindi, era in gioco una lotta anche molto concreta: quale libertà hanno gli esegeti? Come si legge bene la Scrittura? Che cosa vuol dire Tradizione? Era una battaglia pluridimensionale che adesso non posso mostrare, ma importante è che certamente la Scrittura è la Parola di Dio e la Chiesa sta sotto la Scrittura, obbedisce alla Parola di Dio, e non sta al di sopra della Scrittura. E tuttavia, la Scrittura è Scrittura soltanto perché c’è la Chiesa viva, il suo soggetto vivo; senza il soggetto vivo della Chiesa, la Scrittura è solo un libro e apre, si apre a diverse interpretazioni e non dà un’ultima chiarezza.
Qui, la battaglia - come ho detto - era difficile, e fu decisivo un intervento di Papa Paolo VI. Questo intervento mostra tutta la delicatezza del padre, la sua responsabilità per l’andamento del Concilio, ma anche il suo grande rispetto per il Concilio. Era nata l’idea che la Scrittura è completa, vi si trova tutto; quindi non si ha bisogno della Tradizione, e perciò il Magistero non ha niente da dire. Allora, il Papa ha trasmesso al Concilio mi sembra 14 formule di una frase da inserire nel testo sulla Rivelazione e ci dava, dava ai Padri, la libertà di scegliere una delle 14 formule, ma disse: una deve essere scelta, per rendere completo il testo. Io mi ricordo, più o meno, della formula “non omnis certitudo de veritatibus fidei potest sumi ex Sacra Scriptura”, cioè la certezza della Chiesa sulla fede non nasce soltanto da un libro isolato, ma ha bisogno del soggetto Chiesa illuminato, portato dallo Spirito Santo. Solo così poi la Scrittura parla ed ha tutta la sua autorevolezza. Questa frase che abbiamo scelto nella Commissione dottrinale, una delle 14 formule, è decisiva, direi, per mostrare l’indispensabilità, la necessità della Chiesa, e così capire che cosa vuol dire Tradizione, il Corpo vivo nel quale vive dagli inizi questa Parola e dal quale riceve la sua luce, nel quale è nata. Già il fatto del Canone è un fatto ecclesiale: che questi scritti siano la Scrittura risulta dall’illuminazione della Chiesa, che ha trovato in sé questo Canone della Scrittura; ha trovato, non creato, e sempre e solo in questa comunione della Chiesa viva si può anche realmente capire, leggere la Scrittura come Parola di Dio, come Parola che ci guida nella vita e nella morte.
Come ho detto, questa era una lite abbastanza difficile, ma grazie al Papa e grazie – diciamo – alla luce dello Spirito Santo, che era presente nel Concilio, è stato creato un documento che è uno dei più belli e anche innovativi di tutto il Concilio, e che deve essere ancora molto più studiato. Perché anche oggi l’esegesi tende a leggere la Scrittura fuori dalla Chiesa, fuori dalla fede, solo nel cosiddetto spirito del metodo storico-critico, metodo importante, ma mai così da poter dare soluzioni come ultima certezza; solo se crediamo che queste non sono parole umane, ma sono parole di Dio, e solo se vive il soggetto vivo al quale ha parlato e parla Dio, possiamo interpretare bene la Sacra Scrittura. E qui - come ho detto nella prefazione del mio libro su Gesù (cfr vol. I) - c’è ancora molto da fare per arrivare ad una lettura veramente nello spirito del Concilio. Qui l’applicazione del Concilio ancora non è completa, ancora è da fare.
E, infine, l’ecumenismo. Non vorrei entrare adesso in questi problemi, ma era ovvio – soprattutto dopo le “passioni” dei cristiani nel tempo del nazismo – che i cristiani potessero trovare l’unità, almeno cercare l’unità, ma era chiaro anche che solo Dio può dare l’unità. E siamo ancora in questo cammino. Ora, con questi temi, l’”alleanza renana” – per così dire – aveva fatto il suo lavoro.
La seconda parte del Concilio è molto più ampia. Appariva, con grande urgenza, il tema: mondo di oggi, epoca moderna, e Chiesa; e con esso i temi della responsabilità per la costruzione di questo mondo, della società, responsabilità per il futuro di questo mondo e speranza escatologica, responsabilità etica del cristiano, dove trova le sue guide; e poi libertà religiosa, progresso, e relazione con le altre religioni. In questo momento, sono entrate in discussione realmente tutte le parti del Concilio, non solo l’America, gli Stati Uniti, con un forte interesse per la libertà religiosa. Nel terzo periodo questi hanno detto al Papa: Noi non possiamo tornare a casa senza avere, nel nostro bagaglio, una dichiarazione sulla libertà religiosa votata dal Concilio. Il Papa, tuttavia, ha avuto la fermezza e la decisione, la pazienza di portare il testo al quarto periodo, per trovare una maturazione ed un consenso abbastanza completi tra i Padri del Concilio. Dico: non solo gli americani sono entrati con grande forza nel gioco del Concilio, ma anche l’America Latina, sapendo bene della miseria del popolo, di un continente cattolico, e della responsabilità della fede per la situazione di questi uomini. E così anche l’Africa, l’Asia, hanno visto la necessità del dialogo interreligioso; sono cresciuti problemi che noi tedeschi – devo dire – all’inizio, non avevamo visto. Non posso adesso descrivere tutto questo. Il grande documento “Gaudium et spes” ha analizzato molto bene il problema tra escatologia cristiana e progresso mondano, tra responsabilità per la società di domani e responsabilità del cristiano davanti all’eternità, e così ha anche rinnovato l’etica cristiana, le fondamenta. Ma, diciamo inaspettatamente, è cresciuto, al di fuori di questo grande documento, un documento che rispondeva in modo più sintetico e più concreto alle sfide del tempo, e cioè la “Nostra aetate”. Dall’inizio erano presenti i nostri amici ebrei, che hanno detto, soprattutto a noi tedeschi, ma non solo a noi, che dopo gli avvenimenti tristi di questo secolo nazista, del decennio nazista, la Chiesa cattolica deve dire una parola sull’Antico Testamento, sul popolo ebraico. Hanno detto: anche se è chiaro che la Chiesa non è responsabile della Shoah, erano cristiani, in gran parte, coloro che hanno commesso quei crimini; dobbiamo approfondire e rinnovare la coscienza cristiana, anche se sappiamo bene che i veri credenti sempre hanno resistito contro queste cose. E così era chiaro che la relazione con il mondo dell’antico Popolo di Dio dovesse essere oggetto di riflessione. Si capisce anche che i Paesi arabi – i Vescovi dei Paesi arabi – non fossero felici di questa cosa: temevano un po’ una glorificazione dello Stato di Israele, che non volevano, naturalmente. Dissero: Bene, un’indicazione veramente teologica sul popolo ebraico è buona, è necessaria, ma se parlate di questo, parlate anche dell’Islam; solo così siamo in equilibrio; anche l’Islam è una grande sfida e la Chiesa deve chiarire anche la sua relazione con l’Islam. Una cosa che noi, in quel momento, non abbiamo tanto capito, un po’, ma non molto. Oggi sappiamo quanto fosse necessario.
Quando abbiamo incominciato a lavorare anche sull’Islam, ci hanno detto: Ma ci sono anche altre religioni del mondo: tutta l’Asia! Pensate al Buddismo, all’Induismo…. E così, invece di una Dichiarazione inizialmente pensata solo sull’antico Popolo di Dio, si è creato un testo sul dialogo interreligioso, anticipando quanto solo trent’anni dopo si è mostrato in tutta la sua intensità e importanza. Non posso entrare adesso in questo tema, ma se si legge il testo, si vede che è molto denso e preparato veramente da persone che conoscevano le realtà, e indica brevemente, con poche parole, l’essenziale. Così anche il fondamento di un dialogo, nella differenza, nella diversità, nella fede sull’unicità di Cristo, che è uno, e non è possibile, per un credente, pensare che le religioni siano tutte variazioni di un tema. No, c’è una realtà del Dio vivente che ha parlato, ed è un Dio, è un Dio incarnato, quindi una Parola di Dio, che è realmente Parola di Dio. Ma c’è l’esperienza religiosa, con una certa luce umana della creazione, e quindi è necessario e possibile entrare in dialogo, e così aprirsi l’uno all’altro e aprire tutti alla pace di Dio, di tutti i suoi figli, di tutta la sua famiglia.
Quindi, questi due documenti, libertà religiosa e “Nostra aetate”, connessi con “Gaudium et spes” sono una trilogia molto importante, la cui importanza si è mostrata solo nel corso dei decenni, e ancora stiamo lavorando per capire meglio questo insieme tra unicità della Rivelazione di Dio, unicità dell’unico Dio incarnato in Cristo, e la molteplicità delle religioni, con le quali cerchiamo la pace e anche il cuore aperto per la luce dello Spirito Santo, che illumina e guida a Cristo.
Vorrei adesso aggiungere ancora un terzo punto: c’era il Concilio dei Padri – il vero Concilio –, ma c’era anche il Concilio dei media. Era quasi un Concilio a sé, e il mondo ha percepito il Concilio tramite questi, tramite i media. Quindi il Concilio immediatamente efficiente arrivato al popolo, è stato quello dei media, non quello dei Padri. E mentre il Concilio dei Padri si realizzava all’interno della fede, era un Concilio della fede che cerca l’intellectus, che cerca di comprendersi e cerca di comprendere i segni di Dio in quel momento, che cerca di rispondere alla sfida di Dio in quel momento e di trovare nella Parola di Dio la parola per oggi e domani, mentre tutto il Concilio – come ho detto – si muoveva all’interno della fede, come fides quaerens intellectum, il Concilio dei giornalisti non si è realizzato, naturalmente, all’interno della fede, ma all’interno delle categorie dei media di oggi, cioè fuori dalla fede, con un’ermeneutica diversa. Era un’ermeneutica politica: per imedia, il Concilio era una lotta politica, una lotta di potere tra diverse correnti nella Chiesa. Era ovvio che i media prendessero posizione per quella parte che a loro appariva quella più confacente con il loro mondo. C’erano quelli che cercavano la decentralizzazione della Chiesa, il potere per i Vescovi e poi, tramite la parola “Popolo di Dio”, il potere del popolo, dei laici. C’era questa triplice questione: il potere del Papa, poi trasferito al potere dei Vescovi e al potere di tutti, sovranità popolare. Naturalmente, per loro era questa la parte da approvare, da promulgare, da favorire. E così anche per la liturgia: non interessava la liturgia come atto della fede, ma come una cosa dove si fanno cose comprensibili, una cosa di attività della comunità, una cosa profana. E sappiamo che c’era una tendenza, che si fondava anche storicamente, a dire: La sacralità è una cosa pagana, eventualmente anche dell’Antico Testamento. Nel Nuovo vale solo che Cristo è morto fuori: cioè fuori dalle porte, cioè nel mondo profano. Sacralità quindi da terminare, profanità anche del culto: il culto non è culto, ma un atto dell’insieme, della partecipazione comune, e così anche partecipazione come attività. Queste traduzioni, banalizzazioni dell’idea del Concilio, sono state virulente nella prassi dell’applicazione della Riforma liturgica; esse erano nate in una visione del Concilio al di fuori della sua propria chiave, della fede. E così, anche nella questione della Scrittura: la Scrittura è un libro, storico, da trattare storicamente e nient’altro, e così via.
Sappiamo come questo Concilio dei media fosse accessibile a tutti. Quindi, questo era quello dominante, più efficiente, ed ha creato tante calamità, tanti problemi, realmente tante miserie: seminari chiusi, conventi chiusi, liturgia banalizzata … e il vero Concilio ha avuto difficoltà a concretizzarsi, a realizzarsi; il Concilio virtuale era più forte del Concilio reale. Ma la forza reale del Concilio era presente e, man mano, si realizza sempre più e diventa la vera forza che poi è anche vera riforma, vero rinnovamento della Chiesa. Mi sembra che, 50 anni dopo il Concilio, vediamo come questo Concilio virtuale si rompa, si perda, e appare il vero Concilio con tutta la sua forza spirituale. Ed è nostro compito, proprio in questoAnno della fede, cominciando da questo Anno della fede, lavorare perché il vero Concilio, con la sua forza dello Spirito Santo, si realizzi e sia realmente rinnovata la Chiesa. Speriamo che il Signore ci aiuti. Io, ritirato con la mia preghiera, sarò sempre con voi, e insieme andiamo avanti con il Signore, nella certezza: Vince il Signore! Grazie!

© Copyright 2013 - Libreria Editrice Vaticana
  

venerdì 15 febbraio 2013

Il momento è tremendo per se stesso e per le conseguenze. ... Beati però coloro che sanno rimanere nella Verità e lavorare per la Verità. La loro misericordia avrà il premio in Cielo".



"Maria: è l ’ora delle tenebre. Le cose si compiono come in sogno te le ho mostrate.

Non è arrivato fin troppo presto il momento della sicura conoscenza?. Prega con tutta te stessa, perché il momento è tremendo per se stesso e per le conseguenze. Se le persone sapessero riflettere, si sforzerebbero ad essere buone per piegare la Bontà in loro favore. Invece è sempre la stessa parola che devo dire: l’egoismo le domina. Perciò preghiere, sacramenti e sacramentali, resi impuri dall’egoismo, non hanno potere contro Lucifero che sconvolge il mondo".

"I Quaderni del 1943", pag. 278


"Ti ho già detto che quanto è detto negli antichi libri ha un riferimento nel presente. È come se una serie di specchi ripetesse, portandolo sempre più avanti, uno spettacolo visto più addietro. Il mondo ripete se stesso negli errori e nei ravvedimenti, con questa differenza pero: che gli errori si sono sempre più perfezionati con l’evoluzione della razza verso la cosiddetta civiltà, mentre i ravvedimenti sono divenuti sempre più embrionali. Perché?
Perché, col passare del mondo dall’età fanciulla ad età più completa, sono cresciute la malizia e la superbia del mondo. Ora siete nel culmine dell’ età del mondo e avete raggiunto anche il culmine della malizia e della superbia. Non pensare pero che avete ancora tanto da vivere quanto siete vissuti. Siete al culmine, e ciò dovrebbe dire; avete altrettanto da vivere. Ma non sarà.
La parabola discendente del mondo verso la fine non sarà lunga come quella ascendente. Sara un precipitare nella fine. [La fine dei tempi, la fine del tempo delle nazioni; poi verrà il Regno di Dio sulla Terra, un’unica Nazione, un unico popolo, un’ unica Fede]. Vi fanno precipitare appunto malizia e superbia. Due pesi che vi trascinano nel baratro della fine, al tremendo giudizio. Superbia e malizia, oltreché trascinarvi nella parabola discendente, vi ottundono talmente lo spirito da rendervi sempre più incapaci di fermare, col ravvedimento sincero, la discesa",
"I Quaderni del 1943", pagg. 226 - 227


"La battaglia fra Me e lui non avrà fine altro che quando l' uomo sarà giudicato in tutti i suoi esemplari. E la vittoria finale sarà mia ed eterna. Ora la Belva infernale, sempre vinta e sempre più feroce per esser vinta, mi odia di odio infinito e sconvolge la Terra per ferire il mio Cuore. Ma Io sono il Vincitore di Satana. La dove egli insozza, Io passo col fuoco de11’amore a mondare. E se con inesausta pazienza non avessi continuato la mia opera di Maestro e Redentore, ormai sareste tutti dei demoni".
"I Quaderni del l943", pag. 615

"E in verità vi dico che ora è un momento in cui, per ordine del padre della menzogna, i suoi figli mietono fra le anime, che erano create per Me e che inutilmente ho fertilizzate col mio Sangue. Messe abbondante più che ogni diabolica speranza concepisse, e i Cieli fremono per il pianto del Redentore che vede la rovina dei due terzi del mondo dei cristiani. E dire due terzi è ancora poco".
"I Quaderni del 1943", pag. 395


"Se il mondo fosse misericordioso!... Il mondo possederebbe Iddio, e ciò che vi tortura cadrebbe come foglia morta. Ma il mondo, e nel mondo specie i cristiani, hanno sostituito l’Amore con 1’Odio, la Verità con l’Ipocrisia, la Luce con le Tenebre, Dio con Satana. E Satana, là dove lo seminai Misericordia e la crebbi col mio Sangue, sparge i suoi triboli e li fa prosperare col suo soffio d’inferno. Verrà la sua ora di sconfitta. Ma per ora viene Lui perché voi lo aiutate. Beati però coloro che sanno rimanere nella Verità e lavorare per la Verità. La loro misericordia avrà il premio in Cielo".
"I quaderni del 1943", pag. 2l3


"Le guerre vengono" Da Satana che sa che i tempi stringono e che questa. [II guerra mondiale] è una delle lotte decisive che anticipano la mia venuta. Si . Dietro il paravento delle razze, delle egemonie, dei diritti, dietro il movente delle necessità politiche, si celano, in realtà, Ciclo e Inferno che combattono fra loro. E basterebbe che meta dei credenti nel Dio vero  ma che dico? meno di questo, meno di un quarto dei credenti,  fosse realmente credente nel mio Nome perché le armi di Satana venissero domate. Ma dove è la Fede?"
"I Quaderni del 1943", pagg. 24 - 25


"Considera il mio Fulgore e la mia Bellezza rispetto alla nera mostruosità della Bestia. Non avere paura di guardare anche se è spettacolo repellente. Sei fra le mie braccia. Esso non può accostarsi e nuocerti. Lo vedi? Non ti guarda neppure. Ha già tante prede da seguire. Ora ti pare che meriti lasciare Me per seguire lui?.
Eppure il mondo lo segue e lascia Me per lui. Guarda come è satollo e palpitante. E la sua ora di festa. Ma guarda anche come cerca l’ombra per agire. Odia la Luce, e si chiamava Lucifero! Lo vedi come ipnotizza coloro che non sono segnati dal mio Sangue?! Accumula i suoi , sforzi perché sa che è la sua ora e che si avvicina l’ora mia in cui sarà vinto in eterno. La sua infernale astuzia e intelligenza satanica sono un continuo operare di Male, in contrapposto al nostro uno e trino operare di Bene, per aumentare la sua preda.

Ma astuzia e intelligenza non prevarrebbero se negli uomini fossero il mio Sangue e la loro onesta volontà. Troppe cose mancano all’uomo per avere armi da opporre alla Bestia, ed essa lo sa e apertamente agisce, senza neppure più velarsi di apparenze bugiarde. La sua schifosa bruttezza ti spinga ad una sempre maggiore diligenza e a una sempre maggiore penitenza. Per te e per i tuoi disgraziati fratelli che hanno l’anima orba o sedotta e non vedono, o vedendolo, corrono incontro al Maligno, pur di averne l’ aiuto di un’ ora da pagare con una eternità di dannazione".
"l Quaderni del l943", pag. 224


"Guai alla terra se venisse un giorno in cui l’occhio di Dio non potesse più scegliere fra i figli dell’uomo gli esseri predestinati ad essere i miei portatori di Luce e di Voce! Guai! Vorrebbe dire che fra i miliardi di uomini non vi e più un giusto e un generoso, poiché i predestinati sono fra i giusti che mai offesero Giustizia, e i generosi che hanno superato tutto, se stessi per primi, per servire Me".
"I Quaderni del 1943", pag., 409


La Gerusalemme di cui parla Isaia è quaggiù la mia Chiesa, anticamera della celeste Gerusalemme. In essa è abbondanza non di ricchezze umane, ma di tesori divini di Perdono e di Scienza, come nella celeste Gerusalemme sono tesori divini di beatitudini. Nessuna forza umana potrà, come turbine, devastare la mia Chiesa al punto di distruggerla. Io sarò con lei, a far da piolo e da corda.
Quando l’ora sarà, in cui la terra cesserà d’essere, dagli angeli sarà trasportata in Cielo la mia Chiesa, che non può perire perché cementata dal Sangue di un Dio e dei suoi santi. [Sta parlando del momento in cui gli angeli solleveranno i fedeli di Gesù sulle nuvole, a far parte della schiera di Gesù che appare come Giudice, per poi farli scendere in una Terra totalmente rinnovata; ecco perché dice "la terra cesserà d’essere": cesserà di essere cosi com’è ora, diventando come Dio l’ aveva pensata fin dall’inizio; sarà "la Terra non terra" del messaggio."


"I Quaderni dal 1945 al 1950", pag. 58 (vedi il capitolo "l’Anticristo").


Un popolo, dice Isaia, sarà colpito dalla spada di Giustizia. Ma saranno molti di più, poiché il mondo ha fornicato col demonio in molte sue parti. Ed altre ancora sono in procinto di peccare, nonostante tutto quanto Io ho operato per tenerle nella via della Vita. Pregare, pregare, pregare molto per impedire nuove condanne, originate da nuove fornicazioni. I demoni... oh! i demoni sono già là dove Io punirò. Sono i demoni, insediati da padroni nei cuori, quelli che portano a morte le nazioni.
E vi sono popoli in cui pochi cuori non siano dimora dei demoni: legioni e legioni demoniache muovono, come  fantocci, intere nazioni. E come posso Io regnare là dove i cuori si sono fatti dimora dei figli di Lucifero? Altre applicazioni ha la parola profetica, ma Io ho voluto fartela vedere con riferimenti all’ora che vivete. Né dirti di più per non accasciarti di più. Prega. Il tuo Dio ti aprirà le porte prima che tu conosca il massimo orrore [infatti Maria Valtorta mori nel 1961]".
"I Quaderni del 1943", pag. 330



"... questa non è guerra di uomini ma di Satana contro gli spiriti.  ne sono vittime unicamente chi perisce in battaglia o sotto le macerie di una casa. Sono vittime della lotta di Satana agli spiriti anche, e soprattutto, coloro che perdono fede e speranza e carità, e non la vita di un’ora mortale perdono, ma la Vita eterna, morendo alla Grazia di Dio".
"I Quaderni del l944", pag. 353



"Vorreste che Io venissi e mi mostrassi per terrorizzare e incenerire i colpevoli. 0 miseri! Non sapete quello che chiedete! Purtroppo verrò. Dico: "Purtroppo", perché la mia sarà  venuta di Giudizio e giudizio tremendo.Avessi a venire per salvarvi non direi cosi e non cercherei di allontanare i tempi dalla mia venuta, ma anzi mi precipiterei con ansia per salvarvi ancora.
Ma il mio secondo avvento sarà avvento di Giudizio severo, inesorabile, generale, e per la maggior parte di voi sarà giudizio di condanna. Non sapete quello che chiedete. Ma se anche Io mi mostrassi, dove è nei cuori, e specie in quelli maggiormente colpevoli delle sciagure di ora, quel tanto residuo di fede e di rispetto che li farebbe curvare col volto a terra per chiedermi pietà e perdono?
No, figli che chiedete al Padre vendetta mentre Egli è Padre di perdono! Se anche il mio Volto balenasse nei vostri cieli e la mia Voce, che ha fatto i mondi, tuonasse da oriente ad occidente, le cose non muterebbero. Ma soltanto un nuovo coro blasfemo di insulti, ma soltanto una nuova ridda di ingiurie sarebbero lanciati contro la mia Persona. Ripeto: potrei fare un miracolo e lo farei se sapessi che poi voi vi pentite e divenite migliori.
Voi, grandi colpevoli che portate i piccoli a disperare e a chiedere vendetta, e voi, piccoli colpevoli che chiedete  vendetta. Ma né voi, grandi colpevoli, né voi, piccoli colpevoli, vi pentireste e non diverreste migliori dopo il miracolo. Calpestereste anzi, in una furia di gioia colpevole, i corpi dei puniti, demeritando subito al mio cospetto, e vi montereste sopra per opprimere, a vostra volta, da quel trono fondato su una punizione. Questo vorreste. Che Io colpissi per potere colpire a vostra volta.
Io sono Dio e vedo nel cuore degli uomini e perciò non vi ascolto in questo. Non voglio che vi danniate tutti. I grandi colpevoli sono già giudicati, Ma voi tento di salvarvi. E quest’ora, per voi, è vaglio di salvezza. Cadranno in potere del Principe dei demoni coloro che già hanno in loro la zizzania del demoni, mentre coloro che hanno in cuore il grano di frumento germinante l’eterno Pane, germoglieranno in Me in vita eterna".
"I quaderni del 1943", pagg. 26 - 27


AVE, AVE, AVE  MARIA!

Ogni uomo dovrebbe essere pronto per il Cielo e dovrebbe aiutare gli altri a prepararsi con gioia.





11.02.13


Eletti, amici cari, guardate il Cielo, fissate lo sguardo al Cielo: non è la terra la vostra patria, ma il Cielo.



Sposa amata, hai compreso il significato delle Mie Parole? Dico agli uomini della terra: non restate immersi nelle cose che non durano, come quelle della terra; restate ben immersi in quelle, stabili, del Cielo. Sposa cara, hai compreso l’intrinseco significato delle Mie Parole?

Mi dici: “Dolce Amore, le Tue Parole, anche le più semplici, vanno in grande profondità. Se tutti gli uomini le ascoltassero! Se tutti le vivessero! Pochi sono coloro che ascoltano, meno quelli che le vivono in un tempo nel quale ogni uomo dovrebbe essere pronto per il Cielo e dovrebbe aiutare gli altri a prepararsi con gioia. Dolce Amore, nei discorsi dei grandi mai si parla di cose del Cielo, tanto che si potrebbe pensare che l’abbiano proprio dimenticato. Solo i piccoli più piccoli, stretti alla Dolce Madre, parlano di Cielo, anelano al Cielo, non restano fissi con lo sguardo alle cose della terra.”

Sposa amata, ascolta bene il Mio Dire e trasmettilo al mondo che non vuol sentire, non si vuol convertire, non vuole obbedire alle Mie Leggi: guai a coloro che vivono sulla terra, come se mai dovessero lasciarla, guai a coloro che tengono fisso lo sguardo su ciò che è caduco e fragile: grande sarà la loro delusione, quando vedranno il crollo! Sposa amata, l’ho detto e lo ripeto che per rinnovare occorre togliere ciò che è vecchio e logoro. Io, Io, Gesù, voglio fare nuove tutte le cose, in breve; molto, quindi, andrà e poco, quindi, resterà. Ad alcuni toglierò non solo il superfluo, ma anche il necessario! Beato è colui che vive e palpita nel Mio Cuore: in Me tutto troverà! In Me nulla si perde ed ogni cosa perduta si ritrova; ma fuori di Me ciò che è perso è perso. Chiedo ad ogni uomo di volgere tutto il suo interesse al Cielo, ogni pensiero alla salvezza della sua anima. Ogni uomo accolga con gioia la Mia Volontà, perché Io, Io, Gesù, voglio solo ciò che è bene per lui.

Mi dici: “Santissimo, le Tue Parole entrino in ogni cuore e trasformino i sentimenti ed i pensieri. L’uomo di terra divenga presto uomo di Cielo. Il miracolo avvenga attraverso il Dono delle Grazie che Tu, Santissimo, Generoso Dio, elargisci a piene Mani.”

Sposa amata, se l’uomo le coglie, il miracolo avviene (cioè la trasformazione del cuore e della mente); se, però, si lascia andare questo tempo favorevole, chi non ha non avrà più e perderà anche il poco che ha ricevuto. Sposa cara, il mondo si affretti a capire le Mie Parole ed a viverle ogni giorno: solo chi le ha comprese e le vive avrà i Doni più belli, avrà il necessario ed anche di più.

Mi dici: “Dolce Amore, Gesù Santissimo, non Ti stancare di elargire a profusione le Grazie; se solo ne diminuisse un po’ il flusso, chi si salverebbe?”

Sposa amata, come ti ho spiegato, ogni uomo sta facendo la sua scelta: o con Me, Gesù, per sempre oppure senza di Me per sempre. Chi non fa alcuna scelta è contro di Me, perché pecca di accidia.

Mi dici: “Dolce Amore, scelgano di restare con Te in eterno sia coloro che Ti hanno conosciuto sia quelli che, senza loro colpa, non Ti hanno ancora conosciuto. Tu, infatti, chiami tutti, parli ad ogni cuore nel suo profondo ed aspetti un sì.”

Bene hai parlato, piccola Mia sposa. Io, Io, Gesù, Vero Dio e Vero Uomo, parlo ad ogni cuore umano, con Amore, e desidero essere accolto con un sì, pieno. Sposa cara, resta, felice, nel Mio Cuore e godine le Delizie d’Amore. Ti amo.
Vi amo.

                                                                                              Gesù


Opera scritta dalla Divina Sapienza per gli eletti degli ultimi tempi


11.02.13


La Mamma parla agli eletti



Figli cari e tanto amati, figli del mondo, lasciatevi andare fiduciosi nell’Amore, sublime e Soave, di Gesù: il Suo Cuore vuole darvi Pace e Gioia. Insieme, adoriamoLo. Vi amo tutti.
Ti amo, angelo Mio.

                                                                                              Maria Santissima

Maria Valtorta: Domenica 17 Febbraio 2013, I Domenica di Quaresima - Anno C Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 4,1-13.



 Maria Valtorta



Domenica 17 Febbraio 2013, I Domenica di Quaresima - Anno C

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 4,1-13.
Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano e fu condotto dallo Spirito nel deserto
dove, per quaranta giorni, fu tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni; ma quando furono terminati ebbe fame.
Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, dì a questa pietra che diventi pane».
Gesù gli rispose: «Sta scritto: Non di solo pane vivrà l'uomo».

Il diavolo lo condusse in alto e, mostrandogli in un istante tutti i regni della terra, gli disse:
«Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni, perché è stata messa nelle mie mani e io la do a chi voglio.
Se ti prostri dinanzi a me tutto sarà tuo».
Gesù gli rispose: «Sta scritto: Solo al Signore Dio tuo ti prostrerai, lui solo adorerai».

Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul pinnacolo del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, buttati giù; sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordine per te, perché essi ti custodiscano; e anche: essi ti sosterranno con le mani, perché il tuo piede non inciampi in una pietra».
Gesù gli rispose: «E' stato detto: Non tenterai il Signore Dio tuo».
Dopo aver esaurito ogni specie di tentazione, il diavolo si allontanò da lui per ritornare al tempo fissato.

Traduzione liturgica della Bibbia

Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 1 Capitolo 46 pagina 287.

Vedo la solitudine petrosa già vista alla mia sinistra nella visione del battesimo di Gesù al Giorda­no. Però devo essere molto addentrata in essa, perché non vedo affatto il bel fiume lento e azzurro, né la vena di verde che lo costeggia alle sue due rive, come alimentata da quell’arteria d’acqua. Qui solo solitudine, pietroni, terra talmente arsa da esser ridotta a polvere giallastra, che ogni tan­to il vento solleva con piccoli vortici, che paion fiato di bocca febbrile tanto sono asciutti e caldi. E tormentosi per la polvere che penetra con essi nelle narici e nelle fauci. Molto rari, qualche piccolo cespuglio spinoso, non si sa come resistente in quella desolazione. Sembrano ciuffetti di superstiti capelli sulla testa di un calvo. Sopra, un cielo spietatamente azzurro; sotto, il suolo arido; intorno, massi e silenzio. Ecco quanto vedo come natura.

Addossato ad un enorme pietrone, che per la sua forma, fatta su per giù così come mi sforzo a di­segnarla, fa un embrione di grotta, e seduto su un sasso trascinato nell’incavo, al punto +, sta Gesù. Si ripara così dal sole cocente. E l’interno ammonitore mi avverte che quel sasso, su cui ora siede, è anche il suo inginocchiatoio e il suo guanciale quando prende le brevi ore di riposo avvolto nel suo mantello, al lume delle stelle e all’aria fredda della notte. Infatti là presso è la sacca che gli ho visto prendere prima di partire da Nazareth. Tutto il suo avere. E, dal come si piega floscia, comprendo che è vuota del poco cibo che vi aveva messo Maria.

Gesù è molto magro e pallido. Sta seduto con i gomiti appoggiati ai ginocchi e gli avambracci sporti in avanti, con le mani unite ed intrecciate nelle dita. Medita. Ogni tanto solleva lo sguardo e lo gira attorno e guarda il sole alto, quasi a perpendicolo, nel cielo azzurro. Ogni tanto, e specie dopo aver girato lo sguardo attorno e averlo alzato verso la luce solare, chiude gli occhi e si appoggia al masso, che gli fa da riparo, come preso da vertigine.

Vedo apparire il brutto ceffo di Satana. Non che si presenti nella forma che noi ce lo raffiguriamo, con corna, coda, ecc. ecc. Pare un beduino avvolto nel suo vestito e nel suo mantellone, che pare un domino da maschera. Sul capo il turbante, le cui falde bianche scendono a far riparo sulle spalle e lungo i lati del viso. Di modo che di questo appare un breve triangolo molto bruno, dalle labbra sot­tili e sinuose, dagli occhi nerissimi e incavati, pieni di bagliori magnetici. Due pupille che ti leggono in fondo al cuore, ma nelle quali non leggi nulla, o una sola parola: mistero. 

L’opposto dell’occhio di Gesù, tanto magnetico e fascinatore anche esso, che ti legge in cuore, ma nel quale leggi anche che nel suo cuore è amore e bontà per te. L’occhio di Gesù è una carezza sull’anima. Questo è come un doppio pugnale che ti perfora e brucia.

Si avvicina a Gesù: «Sei solo?».

Gesù lo guarda e non risponde.
«Come sei capitato qui? Ti sei sperduto?».
Gesù lo guarda da capo e tace.
«Se avessi dell’acqua nella borraccia, te la darei. Ma ne sono senza anche io. M’è morto il cavallo e mi dirigo a piedi al guado. Là berrò e troverò chi mi dà un pane. So la via. Vieni con me. Ti guide­rò».
Gesù non alza più neppure gli occhi.
«Non rispondi? Sai che, se resti qui, muori? Già si leva il vento. Sarà bufera. Vieni».
Gesù stringe le mani in muta preghiera.
«Ah! sei proprio Tu, dunque? È tanto che ti cerco! Ed ora è tanto che ti osservo. Dal momento che sei stato battezzato. Chiami l’Eterno? È lontano. Ora sei sulla Terra ed in mezzo agli uomini. E negli uomini regno io. Pure mi fai pietà e ti voglio soccorrere, perché sei buono e sei venuto a sacrificarti per nulla. Gli uomini ti odieranno per la tua bontà. Non capiscono che oro e cibo e senso. Sacrificio, dolore, ubbidienza, sono parole morte per loro più di questa terra che ci è d’intorno. Essi sono aridi più ancora di questa polvere. Solo il serpe può nascondersi qui, attendendo di mordere, e lo sciacallo di sbranare. Vieni via. Non merita soffrire per loro. Li conosco più di Te».
Satana si è seduto di fronte a Gesù e lo fruga col suo sguardo tremendo e sorride con la sua boc­ca di serpe. Gesù tace sempre e prega mentalmente.

«Tu diffidi di me. Fai male. Io sono la sapienza della Terra. Ti posso esser maestro per insegnarti a trionfare. Vedi: l’importante è trionfare. Poi, quando ci si è imposti e si è affascinato il mondo, al­lora lo si conduce anche dove si vuole noi. Ma prima bisogna essere come piace a loro. Come loro. Sedurli facendo loro credere che li ammiriamo e li seguiamo nel loro pensiero.

Sei giovane e bello. Comincia dalla donna. È sempre da essa che si deve incominciare. Io ho sba­gliato inducendo la donna alla disubbidienza. Dovevo consigliarla per altro modo. Ne avrei fatto uno strumento migliore e avrei vinto Dio. Ho avuto fretta. Ma Tu! Io t’insegno, perché c’è stato un giorno che ho guardato a Te con giubilo angelico, e un resto di quell’amore è rimasto, ma Tu ascoltami ed usa della mia esperienza. Fàtti una compagna. Dove non riuscirai Tu, essa riuscirà. Sei il nuovo Ada­mo: devi avere la tua Eva.
E poi, come puoi comprendere e guarire le malattie del senso se non sai che cosa sono? Non sai che è lì il nocciolo da cui nasce la pianta della cupidità e della prepotenza? Perché l’uomo vuo­le regnare? Perché vuole essere ricco, potente? Per possedere la donna. Questa è come l’allodola. Ha bisogno del luccichio per essere attirata. L’oro e la potenza sono le due facce dello specchio che attirano le donne e le cause del male nel mondo. Guarda: dietro a mille delitti dai volti diversi ce ne sono novecento almeno che hanno radice nella fame del possesso della donna o nella volontà di una donna, arsa da un desiderio che l’uomo non soddisfa ancora o non soddisfa più. Vai dalla donna se vuoi sapere cosa è la vita. E solo dopo saprai curare e guarire i morbi della umanità.
È bella, sai, la donna! Non c’è nulla di più bello nel mondo. L’uomo ha il pensiero e la forza. Ma la donna! Il suo pensiero è un profumo, il suo contatto è carezza di fiori, la sua grazia è come vino che scende, la sua debolezza è come matassa di seta o ricciolo di bambino nelle mani dell’uomo, la sua carezza è forza che si rovescia sulla nostra e la accende. Si annulla il dolore, la fatica, il cruccio quando si posa presso una donna, ed essa è fra le nostre braccia come un fascio di fiori.

Ma che stolto che sono! Tu hai fame e ti parlo della donna. La tua vigoria è esausta. Per questo, questa fragranza della terra, questo fiore del creato, questo frutto che dà e suscita amore, ti pare senza valore. Ma guarda queste pietre. Come sono tonde e levigate, dorate sotto al sole che scende. Non sembrano pani? Tu, Figlio di Dio, non hai che dire: “Voglio”, perché esse divengano pane fra­grante come quello che ora le massaie levano dal forno per la cena dei loro familiari. E queste acacie così aride, se Tu vuoi, non possono empirsi di dolci pomi, di datteri di miele? Satollati, o Figlio di Dio! Tu sei il Padrone della Terra. Essa si inchina per mettere ai tuoi piedi se stessa e sfamare la tua fa­me.

Lo vedi che impallidisci e vacilli solo a sentir nominare il pane? Povero Gesù! Sei tanto debole da non potere più neppure comandare al miracolo? Vuoi che lo faccia io per Te? Non ti sono a pari. Ma qualcosa posso. Starò privo per un anno della mia forza, la radunerò tutta, ma ti voglio servire, per­ché Tu sei buono ed io sempre mi ricordo che sei il mio Dio, anche se ora ho demeritato di chiamarti tale. Aiutami con la tua preghiera perché io possa…».

«Taci. “Non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola che viene da Dio”».

Il demonio ha un sussulto di rabbia. Digrigna i denti e stringe i pugni. Ma si contiene e volge il di­grigno in sorriso.

«Comprendo. Tu sei sopra le necessità della Terra e hai ri­brezzo a servirti di me. L’ho meritato. Ma vieni, allora, e vedi cosa è nella Casa di Dio. Vedi come anche i sacerdoti non ricusano di venire a transazioni fra lo spirito e la carne. Perché infine sono uo­mini e non angeli. Compi un miracolo spirituale. Io ti porto sul pinnacolo del Tempio e Tu trasfigurati in bellezza lassù, e poi chiama le coorti di angeli e di’ che facciano delle loro ali intrecciate pedana al tuo piede e ti calino così nel cortile principale. Che ti vedano e si ricordino che Dio è. Ogni tanto è ne­cessario manifestarsi, perché l’uomo ha una memoria tanto labile, specie in ciò che è spirituale. Sai come gli angeli saranno beati di far riparo al tuo piede e scala a Te che scendi!».
«“Non tentare il Signore Iddio tuo”, è detto».

«Comprendi che anche la tua apparizione non muterebbe le cose, e il Tempio continuerebbe ad esser mercato e corruzione. La tua divina sapienza lo sa che i cuori dei ministri del Tempio sono un nido di vipere, che si sbranano e sbranano pur di predominare. Non sono domati che dalla potenza umana.

E allora, vieni. Adorami. Io ti darò la Terra. Alessandro, Ciro, Cesare, tutti i più grandi dominatori passati o viventi saranno simili a capi di meschine carovane rispetto a Te, che avrai tutti i regni della Terra sotto il tuo scettro. E, coi regni, tutte le ricchezze, tutte le bellezze della Terra, e donne, e cavalli, e armati e templi. Potrai alzare dovunque il tuo Segno, quando sarai Re dei re e Signore del mondo. Allora sarai ubbidito e venerato dal popolo e dal sacerdozio. Tutte le caste ti onoreranno e ti serviran­no, perché sarai il Potente, l’Unico, il Signore.
Adorami un attimo solo! Levami questa sete che ho d’esser adorato! È quella che mi ha perduto. Ma è rimasta in me e mi brucia. Le vampe dell’inferno sono fresca aria del mattino rispetto a questo ardore che mi brucia l’interno. È il mio inferno, questa sete. Un attimo, un attimo solo, o Cristo, Tu che sei buono! Un attimo di gioia all’eterno Tormentato! Fàmmi sentire cosa voglia dire essere dio e mi avrai devoto, ubbidiente come servo per tutta la vita, per tutte le tue imprese. Un attimo! Un solo attimo, e non ti tormenterò più!».

E Satana si butta in ginocchio, supplicando.

Gesù si è alzato, invece. Divenuto più magro in questi giorni di digiuno, sembra ancora più alto. Il suo volto è terribile di severità e potenza. I suoi occhi sono due zaffiri che bruciano. La sua voce è un tuono, che si ripercuote contro l’incavo del masso e si sparge sulla sassaia e la piana desolata, quando dice: «Va’ via, Satana. È scritto: “Adorerai il Signore Iddio tuo e servirai Lui solo”!».

Satana,
con un urlo di strazio dannato e di odio indescrivibile, scatta in piedi, tremendo a vedersi nella sua furente, fumante persona. E poi scompare con un nuovo urlo di maledizione.

Gesù si siede stanco, appoggiando indietro il capo contro il masso. Pare esausto. Suda. Ma esseri angelici vengono ad alitare con le loro ali nell’afa dello speco, purificandola e rinfrescandola. Gesù apre gli occhi e sorride. Io non lo vedo mangiare. Direi che Egli si nutre dell’aroma del Paradiso e ne esce rinvigorito.

Il sole scompare a ponente. Egli prende la vuota bisaccia e, accompagnato dagli angeli, che fanno una mite luce sospesi sul suo capo mentre la notte cala rapidissima, si avvia verso est, meglio verso nord-est. Ha ripreso la sua espressione abituale, il passo sicuro. Solo resta, a ricordo del lungo di­giuno, un aspetto più ascetico nel volto magro e pallido e negli occhi, rapiti in una gioia non di que­sta Terra.


Dice Gesù: 

«Ieri eri senza la tua forza, che è la mia volontà, ed eri perciò un essere semivivo. Ho fatto ri­posare le tue membra e ti ho fatto fare l’unico digiuno che ti pesi: quello della mia parola. Povera Maria! Hai fatto il mercoledì delle Ceneri. In tutto sentivi il sapor della cenere, poiché eri senza il tuo Maestro. Non mi facevo sentire. Ma c’ero.

Questa mattina, poiché l’ansia è reciproca, ti ho mormorato nel tuo dormiveglia: “Agnus Dei qui tollis peccata mundi, dona nobis pacem”, e te l’ho fatto ripetere molte volte, e tante te le ho ripetu­te. Hai creduto che parlassi su questo. No. Prima c’era il punto che ti ho mostrato e che ti commen­terò. Poi questa sera ti illustrerò quest’altro.

Satana, lo hai visto, si presenta sempre con veste benevola. Con aspetto comune. Se le anime sono attente, e soprattutto in spirituali contatti con Dio, avvertono quell’avviso che le rende guardin­ghe e pronte a combattere le insidie demoniache. Ma se le anime sono disattente al divino, separate da una carnalità che soverchia e assorda, non aiutate dalla preghiera che congiunge a Dio e riversa la sua forza come da un canale nel cuore dell’uomo, allora difficilmente esse si avvedono del tranello nascosto sotto l’apparenza innocua e vi cadono. Liberarsene è, poi, molto difficile.

Le due vie più comuni prese da Satana per giungere alle anime sono il senso e la gola. Comincia sempre dalla materia. Smantellata e asservita questa, dà l’attacco alla parte superiore. Prima il mo­rale: il pensiero con le sue superbie e cupidigie; poi lo spirito, levandogli non solo l’amore — quello non esiste già più quando l’uomo ha sostituito l’amore divino con altri amori umani — ma anche il timore di Dio. È allora che l’uomo si abbandona in anima e corpo a Satana, pur di arrivare a godere ciò che vuole, godere sempre più.

Come Io mi sia comportato, lo hai visto. Silenzio e orazione. Silenzio. Perché, se Satana fa la sua opera di seduttore e ci viene intorno, lo si deve subire senza stolte impazienze e vili paure. Ma reagi­re con la sostenutezza alla sua presenza, e con la preghiera alla sua seduzione.

È inutile discutere con Satana. Vincerebbe lui, perché è forte nella sua dialettica. Non c’è che Dio che lo vinca. E allora ricorrere a Dio, che parli per noi, attraverso a noi. Mostrare a Satana quel No­me e quel Segno, non tanto scritti su una carta o incisi su un legno, quanto scritti e incisi nel cuore. Il mio Nome, il mio Segno. Ribattere a Satana, unicamente quando insinua che egli è come Dio, usando la parola di Dio. Egli non la sopporta.

Poi, dopo la lotta, viene la vittoria, e gli angeli servono e difendono il vincitore dall’odio di Satana. Lo ristorano con le rugiade celesti, con la grazia che riversano a piene mani nel cuore del figlio fede­le, con la benedizione che accarezza lo spirito.

Occorre avere volontà di vincere Satana e fede in Dio e nel suo aiuto. Fede nella potenza della preghiera e nella bontà del Signore. Allora Satana non può fare del male.
Va’ in pace. Questa sera ti letificherò col resto».

Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/


O Maria Santissima, dolce Madre di Gesù,
stendi il tuo manto sopra la terra,
rendi sicuro il cammino quaggiù.

IL BEATO FRANCESCO INSEGNA



IL BEATO FRANCESCO
INSEGNA Al FRATI A PREGARE.
OBBEDIENZA E PUREZZA DEI MEDESIMI

399 45. In quel tempo i frati gli chiesero con insistenza che insegnasse loro a pregare, perché, comportandosi con semplicità di spirito, non conoscevano ancora l'ufficio liturgico.

Ed egli rispose: «Quando pregate, dite: Padre nostro (Mt 6,9)! e: Ti adoriamo, o Cristo, in tutte le tue chiese che sono nel mondo e Ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo ». E questo gli stessi discepoli del pio maestro si impegnavano ad osservare con ogni diligenza, perché si proponevano di eseguire perfettamente non solo i consigli fraterni e i comandi di lui, ma perfino i suoi segreti pensieri, se riuscivano in qualche modo a intuirli.

400 Infatti il beato padre insegnava loro che la vera obbedienza riguarda i pensieri non meno che le parole espresse. i desideri non meno che i comandi. E cioè: «Se un frate suddito, prima ancora di udire le parole del superiore, ne indovina l'intenzione, subito deve disporsi all'obbedienza e fare ciò che al minimo segno gli sembrerà la volontà di lui».

401 Fedeli alla esortazione di Francesco, essi, ogni volta che passavano vicino a una chiesa, oppure anche la scorgevano da lontano, si inchinavano in quella direzione e, proni col corpo e con lo spirito, adoravano l'Onnipotente, dicendo: «Ti adoriamo, o Cristo, qui e in tutte le chiese». E, cosa non meno ammirevole, altrettanto facevano dovunque capitava loro di vedere una croce o una forma di croce, per terra, sulle pareti, tra gli alberi, nelle siepi.

402 46. Erano così pieni di santa semplicità, di innocenza! di purezza di cuore da ignorare ogni doppiezza. Come unica era la loro fede, così regnava in essi l'unità degli animi, la concordia degli intenti e dei costumi, la stessa carità, la pratica delle virtù, la pietà degli atti, l'armonia dei pensieri.

403 Avevano scelto come confessore un sacerdote secolare che era tristamente noto per le sue enormi colpe e degno del disprezzo di tutti a motivo della sua depravata condotta; ma essi non vollero credere al male che si diceva di lui e continuarono a confessargli i propri peccati, prestandogli la debita riverenza. Anzi, avvenne un giorno che quel
sacerdote, o forse un altro, dicesse a uno di loro: «Bada, fratello, di non essere ipocrita»; quel frate si reputò davvero ipocrita e, per il profondo dolore che ne sentiva, non sapeva più darsi pace, giorno e notte. Agli altri che gli chiedevano il perché di tanto insolito lamento e mestizia, rispondeva: «Un sacerdote mi ha detto questo, e io ne sono così afflitto
da non poter pensare ad altro!». Lo esortavano, per consolarlo, a non prestar fede a quelle parole; ma egli replicava: «Che dite mai, fratelli? Può forse un sacerdote dire il falso? Se il sacerdote non può mentire, bisogna credere che quanto mi ha detto è vero». 
E perseverò a lungo in tale semplicità, finché Francesco stesso lo assicuro, spiegandogli le parole del sacerdote e scusandone con sapiente intuito l'intenzione. Non c'era turbamento, per grande che fosse, nell'animo dei confratelli che alla sua parola di fuoco non svanisse e tornasse il sereno!

Serafino d'amor di lassù,
Tu c'infiammi d'amore a Gesù!