martedì 15 gennaio 2013

La beata Vergine ci è stata data come esempio di tutte le virtù




LE VIRTÙ DI MARIA SANTISSIMA

Sant'Agostino dice che per ottenere con più sicurezza e abbondanza il favore dei santi bisogna imitarli, perché vedendo che noi pratichiamo le virtù da loro esercitate, essi sono più portati a pregare per noi. Maria, la regina dei santi e la nostra prima avvocata, dopo aver sottratto un'anima dagli artigli di Lucifero e averla unita a Dio, vuole che quest'anima cerchi d'imitarla, altrimenti non potrà arricchirla delle sue grazie come vorrebbe, vedendola contraria ai suoi comportamenti. 

Perciò la Vergine chiama beati quelli che imitano diligentemente la sua vita: « E ora, figli, ascoltatemi! Felici quelli che osservano le mie vie» (Pro 8,32). Chi ama, o è simile o cerca di rendersi simile alla persona amata, secondo il celebre proverbio: « L'amore trova o fa uguali ». Perciò san Girolamo ci esorta dicendo che se noi amiamo Maria, dobbiamo cercare d'imitarla, perché questo è il maggiore omaggio che possiamo offrirle. 

Riccardo di san Lorenzo afferma che sono e possono chiamarsi veri figli di Maria quelli che cercano di imitare la sua vita. Dunque, conclude san Bernardo, il figlio si sforzi di imitare la Madre, se desidera il suo favore; poiché allora, vedendosi onorata come madre, Maria lo tratterà e favorirà come figlio. 

In quanto poi alle virtù di questa Madre, anche se i Vangeli non ne riportano molti dettagli, tuttavia, dato che vi si dice che fu piena di grazia, comprendiamo facilmente che Maria ebbe tutte le virtù e tutte in grado eroico. 
San Tommaso dice: « Ciascuno degli altri santi ha primeggiato in una virtù particolare: uno fu soprattutto casto, un altro fu soprattutto umile, un altro fu soprattutto misericordioso. Ma la beata Vergine ci è stata data come esempio di tutte le virtù ». 
E sant'Ambrogio afferma: « Così fu Maria, perché la sua vita fosse di esempio a tutti ». Perciò il santo ci lasciò scritto: « Come in un 'immagine rifulga in voi la verginità e la vita di Maria, nella quale risplende ogni forma di virtù. Da lei attingete gli esempi di vita... ciò che dovete correggere, ciò che dovete evitare, ciò a cui dovete 
aderire» E poiché, come insegnano i santi padri, l'umiltà è il fondamento di tutte le virtù, vedremo in primo luogo quanto fu grande l'umiltà della Madre di Dio.

BEATA MATER ET INTACTA VIRGO,
GLORIOSA REGINA MUNDI,
INTERCEDE PRO NOBIS AD DOMINUM!

Il Santo Rosario





Esempio

Il padre Eusebio Nieremberg racconta che nella città di Aragona viveva una fanciulla chiamata Alessandra, nobile e bellissima, che era amata da due giovani. Un giorno, trasportati dalla gelosia, essi si affrontarono in uno scontro e morirono tutti e due. I loro parenti, pieni di collera, uccisero la povera ragazza ritenendola causa di così grave sventura; le tagliarono la testa e la buttarono in un pozzo.

Alcuni giorni dopo passa di lì san Domenico che, ispirato dal Signore, si china sul pozzo e dice: «Alessandra, esci fuori!». Ed ecco la testa dell'uccisa esce, si mette sull'orlo del pozzo e chiede a san Domenico di confessarla. Il santo la confessa e poi le dà la comunione, alla presenza di un'immensa folla accorsa stupita. Poi san Domenico ordinò ad Alessandra di dire perché aveva ricevuto quella grazia. La giovane rispose che, quando le era stata tagliata la testa, era in peccato mortale, ma che la santa Vergine per ricompensarla della sua devozione nel recitare il rosario, l'aveva conservata in vita. Per due giorni la testa rimase viva sull'orlo del pozzo a vista di tutti, e dopo l'anima andò in purgatorio.

Ma quindici giorni dopo a san Domenico apparve l'anima di Alessandra, bella e risplendente come una stella e gli disse che uno dei principali suffragi che ricevono le anime nelle pene del purgatorio è il  rosario che si recita per loro. Quando poi queste anime giungono in paradiso, pregano per quelli che hanno applicato ad esse questa potente preghiera. Dopo di che, san Domenico vide quell'anima fortunata salire giubilante al regno dei beati.

REGINA SACRATISSIMI ROSARII, 
ORA PRO NOBIS!

Servire e dare la propria vita



Chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti. Il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti 
(Marco 10, 43)


AVE MARIA PURISSIMA!

lunedì 14 gennaio 2013

...come pregava Gesù?




"...Egli si ritirava in luoghi deserti a pregare..." (Lc 5, 16)


...il Redentore pur essendo tutto a tutti e pur prodigandosi senza risparmio, si ritirava in luoghi solitari per pregare. Egli così ci insegnava che le opere dello zelo e della carità non debbono distrarci dalla preghiera, senza la quale miseramente s'isteriliscono ed inaridiscono completamente.
...come pregava Gesù? ...in che modo, se Egli era Dio?
...era anche vero uomo e pregava come Sacerdote, Vittima, Mediatore.
Offriva al Padre se stesso in un Sacrificio perenne e si donava qual Vittima d'Amore.
Il Suo Cuore era un olocausto, il Suo corpo un sacrificio continuo, perché continuamente caricato delle nostre iniquità. ...Egli era mediatore tra l'uomo e Dio.
...non poteva non riguardare le umane infermità; le aveva tutte presenti e la Sua orazione era anche un'agonia di amore e di riparazione. Pregando incorporava a Sé tutti gli uomini e li presentava al Padre in Sé stesso come Sua discendenza e come Sua figliolanza. ...anche noi quando preghiamo per gli altri li riguardiamo come una cosa con noi e li presentiamo a Dio nell'attività della nostra vita spirituale.

Ecco Gesù in preghiera, prostrato innanzi al Padre, come lampada eterna innanzi a Lui
La Chiesa conserva un perenne ricordo di questa caratteristica della preghiera di Gesù nella lampada che accende innanzi al Santissimo Sacramento. Questo piccolo lume...esprime in un simbolo delicato la realtà del Verbo Incarnato, luce del Padre, e la realtà del Verbo Incarnato vittima che perennemente arde e si consuma. ...non è muta ma rappresentanza della Chiesa, non è un semplice lume ma un complesso di cuori accesi innanzi all'amore che si dona.

La lampada!...L'orante fiammella, tutta schiusa nel suo vasetto avvolto di pace nella placida umiltà dell'olio, liquido silenzioso espresso dall'immolazione dell'uliva nel torchio. ...
Gesù...come prigioniero d'amore nel santo Tabernacolo prega e ci insegna a pregare.
L'Eucaristia è la grande scuola della nostra orazione, e per questo le anime profondamente eucaristiche sono anime di grande preghiera. Basta concentrarsi innanzi a Gesù Sacramentato con fede e con costanza, per imparare da Lui a pregare. ...il silenzio che Lo circonda è una scuola di silenzio interiore per noi, e la pace che Egli diffonde d'intorno, ci abitua alla serenità e all'abbandono in Dio, indispensabili per la preghiera.

O mio Gesù, orante in quest'Ostia di amore, insegnaci a raccoglierci e a pregare, non permettere mai che, avendoti con noi vivo e vero, passiamo la vita agitandoci e non sappiamo renderti testimonianza di fede, di fiducia filiale e di vero abbandono di amore.
Soffriamo, è vero, ma le sofferenze non sono per noi un tesoro? Non sei Tu Vittima perenne per noi sull'altare e non ci insegni ad immolarci continuamente per amore?
Se ci duole per esempio un occhio, non è questo un segreto per guardarti di più Crocifisso?
E se ci duole un piede, non è un segreto per star confitti con Te sulla croce?
Mi insultano e che importa? Sono forse da più del mio Re nascosto che raccoglie solo ingratitudini ed ingiurie nel Santissimo Sacramento?
Mi guardano come un nulla, e che fa? Egli è totalmente nascosto e annientato, e le mie umiliazioni mi uniscono a Lui, alla Sua vita.
O Gesù Sacramentato...insegnaci avivere la tua vita e amutare la nostra vita in una perenne orazione e in un perenne olocausto!


[cf I Quattro Vangeli commentati da don Dolindo Ruotolo, p. 1101 ss]



* * *


Ad un parroco che si lamentava con il sac. Giovanni Maria Vianney dell’indifferenza dei suoi parrocchiani e della sterilità del suo zelo, il santo curato d’Ars rispose:
Voi avete predicato, ma avete anche pregato? Avete digiunato? Vi siete dato la disciplina?
Avete dormito sul pavimento? Fino a che non l’avrete fatto non avrete il diritto di lamentarvi”.

AVE MARIA, VIRGO POTENS! 

domenica 13 gennaio 2013

Battesimo di Gesù. La manifestazione divina. (Mt 3, 1-17; Mc 1, 2-11; Lc 3, 1-18.21-22; Gv 1, 19,34).



45. Predicazione di Giovanni Battista e Battesimo di Gesù. La manifestazione divina. Mt 3, 1-17; 
      Mc 1, 2-11; Lc 3, 1-18.21-22; Gv 1, 19,34



Vedo una pianura spopolata di paesi e di vegetazione. Non ci sono campi coltivati, e ben poche e rare sono le 
piante riunite qua e là a ciuffi, come vegetali famiglie, dove il suolo è nelle profondità meno arso che non sia 
in genere. Faccia conto che questo terreno arsiccio e incolto sia alla mia destra, avendo io il nord alle spalle, 
e si prolunghi verso quello che è a sud rispetto a me.
A sinistra invece vedo un fiume di sponde molto basse, che scorre lentamente esso pure da nord a sud. Dal 
moto lentissimo dell'acqua comprendo che non vi devono essere dislivelli nel suo letto e che questo fiume 
scorre in una pianura talmente piatta da costituire una depressione. Vi è un moto appena sufficiente a ciò 
l'acqua non stagni in palude. (L'acqua è poco fonda, tanto che si vede il fondale. Giudico non più di un 
metro, al massimo un metro e mezzo. Largo come è l'Arno verso S. Miniato-Empoli: direi un venti metri. Ma 
io non ho occhio esatto nel calcolare). Pure è d'un azzurro lievemente verde verso le sponde, dove per 
l'umidore del suolo è una fascia di verde folta e rallegrante l'occhio, che rimane stanco dallo squallore 
pietroso e arenoso di quanto gli si stende avanti.
Quella voce intima 
(è l’interno ammonitore Cap 21-34-46-55 Vol 2 Cap 106 Vol 5 Cap 361 Vol 10 Cap 605-
607, o la seconda voce Cap 41, o l’interna voce Cap 47 Vol 2 Cap 101, o l’intuizione interna Vol 6 Cap 396, 
o luce interna Vol 10 Cap 608), 
che le ho spiegato di udire e che mi indica ciò che devo notare e sapere, mi 
avverte che io vedo la valle del Giordano. La chiamo valle, perché si dice così per indicare, il posto dove 
scorre un fiume, ma qui è improprio il chiamarla così, perché una valle presuppone dei monti, ed io qui di 
monti non ne vedo vicini. Ma insomma sono presso il Giordano, e lo spazio desolato che osservo alla mia 
destra è il deserto di Giuda. Se dire deserto per dire luogo dove non sono case e lavori dell'uomo è giusto, 
non lo è secondo il concetto che noi abbiamo del deserto. Qui non le arene ondulate del deserto come lo 
concepiamo noi, ma solo terra nuda, sparsa di pietre e detriti, come sono i terreni alluvionali dopo una piena. 
In lontananza, delle colline. 
Pure, presso il Giordano, vi è una grande pace, un che di speciale, di superiore al comune, come è quello che 
si nota sulle sponde del Trasimeno. È un luogo che pare ricordarsi di voli d'angeli e di voci celesti. Non so 
dire bene ciò che provo. Ma mi sento in un posto che parla allo spirito.
Mentre osservo queste cose, vedo che la scena si popola di gente lungo la riva destra (rispetto a me) del 
Giordano. Vi sono molti uomini vestiti in maniere diverse. Alcuni paiono popolani, altri dei ricchi, non 
mancano alcuni che paiono farisei per la veste ornata di frange e galloni.
In mezzo ad essi, in piedi su un masso, un uomo che, per quanto è la prima volta che lo vedo, riconosco 
subito per il Battista. Parla alla folla, e le assicuro che non è una predica dolce. Gesù ha chiamato Giacomo e 
Giovanni «i figli del tuono» (Marco 3, 17; Vol 5 Cap 330; Vol 9 Cap 575). Ma allora come chiamare questo 
veemente oratore? Giovanni Battista merita il nome di fulmine, valanga, terremoto, tanto è impetuoso e 
severo nel suo parlare e nel suo gestire.
Parla annunciando il Messia ed esortando a preparare i cuori alla sua venuta estirpando da essi gli ingombri e 
raddrizzando i pensieri. Ma è un parlare vorticoso e rude. Il Precursore non ha la mano leggera di Gesù sulle 
piaghe dei cuori. È un medico che denuda e fruga e taglia senza pietà.
Mentre lo ascolto -  e non ripeto le parole perché sono quelle riportate dagli evangelisti 
(Matteo 3, 1-12; Marco 1, 1-8; Luca 3, 3-18; Giovanni 1, 19-34),
ma amplificate in irruenza  - vedo avanzarsi lungo una 
stradicciuola, che è ai bordi della linea erbosa e ombrosa che costeggia il Giordano, il mio Gesù. Questa 
rustica via, più sentiero che via, sembra disegnato dalle carovane e dalle persone che per anni e secoli l'hanno 
percorso per giungere ad un punto dove, essendo il fondale del fiume più alto, è facile il guado. Il sentiero 
continua dall'altro lato del fiume e si perde fra il verde dell'altra sponda.
Gesù è solo. Cammina lentamente, venendo avanti, alle spalle di Giovanni. Si avvicina senza rumore e 
ascolta intanto la voce tuonante del Penitente del deserto, come se anche Gesù fosse uno dei tanti che 
venivano a Giovanni per farsi battezzare e per prepararsi ad esser mondi per la venuta del Messia. Nulla 
distingue Gesù dagli altri. Sembra un popolano nella veste, un signore nel tratto e nella bellezza, ma nessun 
segno divino lo distingue dalla folla.
Però si direbbe che Giovanni senta una emanazione di spiritualità speciale. Si volge e individua subito la 
fonte di quell'emanazione. Scende con impeto dal masso che gli faceva da pulpito e va sveltamente verso 
Gesù, che si è fermato qualche metro lontano dal gruppo appoggiandosi al fusto di un albero.
Gesù e Giovanni si fissano un momento. Gesù col suo sguardo azzurro tanto dolce. Giovanni col suo occhio 
severo, nerissimo, pieno di lampi. I due, visti vicino, sono l'antitesi l'uno dell'altro. Alti tutti e due - è l'unica 
somiglianza - sono diversissimi per tutto il resto. Gesù biondo e dai lunghi capelli ravviati, dal volto d'un 
bianco avoriato, dagli occhi azzurri, dall'abito semplice ma maestoso. Giovanni irsuto, nero di capelli che 
ricadono lisci sulle spalle, lisci e disuguali in lunghezza, nero nella barba rada che gli copre quasi tutto il 
volto non impedendo col suo velo di permettere di notare le guance scavate dal digiuno, nero negli occhi 
febbrili, scuro nella pelle abbronzata dal sole e dalle intemperie e per la folta peluria che lo copre, seminudo 
nella sua veste di pelo di cammello, tenuta alla vita da una cinghia di pelle e che gli copre il torso scendendo 
appena sotto i fianchi magri e lasciando scoperte le coste a destra, le coste sulle quali è, unico strato di 
tessuti, la pelle conciata dall'aria. Sembrano un selvaggio e un angelo visti vicini.
Giovanni, dopo averlo scrutato col suo occhio penetrante, esclama: «Ecco l'Agnello di Dio. Come è che a me 
viene il mio Signore?».
Gesù risponde placido: «Per compiere il rito di penitenza».
«Mai, mio Signore. Io sono che devo venire a Te per essere santificato, e Tu vieni a me?».
E Gesù, mettendogli una mano sul capo, perché Giovanni s'era curvato davanti a Gesù, risponde: «Lascia che 
si faccia come voglio, perché si compia ogni giustizia e il tuo rito divenga inizio ad un più alto mistero e sia 
annunciato agli uomini che la Vittima è nel mondo».
Giovanni lo guarda con occhio che una lacrima fa dolce e lo precede verso la riva, dove Gesù si leva il manto 
e la tunica, rimanendo con una specie di corti calzoncini, per poi scendere nell'acqua dove è già Giovanni, 
che lo battezza versandogli sul capo l'acqua del fiume, presa con una specie di tazza, che il Battista tiene 
sospesa alla cintola e che mi pare una conchiglia o una mezza zucca essiccata e svuotata.
Gesù è proprio l'Agnello. Agnello nel candore della carne, nella modestia del tratto, nella mitezza dello 
sguardo.
Mentre Gesù risale la riva e, dopo essersi vestito, si raccoglie in preghiera, Giovanni lo addita alle turbe, 
testimoniando d'averlo conosciuto per il segno che lo Spirito di Dio gli aveva indicato quale indicazione 
infallibile del Redentore. 
Ma io sono polarizzata nel guardare Gesù che prega, e non mi resta presente che questa figura di luce contro 
il verde della sponda.


Dice Gesù:
«Giovanni non aveva bisogno del segno per se stesso. Il suo spirito, presantificato sin dal ventre di sua 
madre, era possessore di quella vista di intelligenza soprannaturale che sarebbe stata di tutti gli uomini senza 
la colpa di Adamo.
Se l'uomo fosse rimasto in grazia, in innocenza, in fedeltà col suo Creatore, avrebbe visto Dio attraverso le 
apparenze esterne. Nella Genesi è detto che il Signore Iddio parlava familiarmente con l'uomo innocente e 
che l'uomo non tramortiva a quella voce, non si ingannava nel discernerla. Così era la sorte dell'uomo: 
vedere e capire Iddio proprio come un figlio fa col genitore. Poi è venuta la colpa, e l'uomo non ha più osato 
guardare Dio, non ha più saputo vedere e comprendere Iddio. E sempre meno lo sa.
Ma Giovanni, il mio cugino Giovanni, era stato mondato dalla colpa quando la Piena di Grazia s'era curvata 
amorosa ad abbracciare la già sterile ed allora feconda Elisabetta. Il fanciullino nel suo seno era balzato di 
giubilo, sentendo cadere la scaglia della colpa dalla sua anima come crosta che cade da una piaga che 
guarisce. Lo Spirito Santo, che aveva fatto di Maria la Madre del Salvatore, iniziò la sua opera di salvazione, 
attraverso Maria, vivo Ciborio della Salvezza incarnata, su questo nascituro, destinato ad esser a Me unito 
non tanto per il sangue quanto per la missione, che fece di noi come le labbra che  formano la parola. 
Giovanni le labbra, Io la Parola. Egli il Precursore nell'Evangelo e nella sorte di martirio. Io, Colui che 
perfeziona della mia divina perfezione l'Evangelo iniziato da Giovanni ed il martirio per la difesa della 
Legge di Dio.
Giovanni  non aveva bisogno di nessun segno. Ma alla ottusità degli altri il segno era necessario. Su cosa 
avrebbe fondato Giovanni la sua asserzione, se non su una prova innegabile che gli occhi dei tardi e le 
orecchie dei pesanti avessero percepita?
Io pure non avevo bisogno di battesimo. Ma la sapienza del Signore aveva giudicato esser quello l'attimo e il 
modo dell'incontro. E, traendo Giovanni dal suo speco nel deserto e Me dalla mia casa, ci unì in quell'ora per 
aprire su Me i Cieli e farne scendere Se stesso, Colomba divina, su Colui che avrebbe battezzato gli uomini 
con tal Colomba, e farne scendere l'annuncio, ancor più potente di quello angelico perché del Padre mio: 
"Ecco il mio Figlio diletto col quale mi sono compiaciuto". Perché gli uomini non avessero scuse o dubbi nel 
seguirmi e nel non seguirmi.
Le manifestazioni del Cristo sono state molte. La prima, dopo la Nascita, fu quella dei Magi, la seconda nel 
Tempio, la terza sulle rive del Giordano. Poi vennero le infinite altre che ti farò conoscere, poiché i miei 
miracoli sono manifestazioni della mia natura divina, sino alle ultime della Risurrezione e Ascensione al 
Cielo. 
La mia patria fu piena delle mie manifestazioni. Come seme gettato ai quattro punti cardinali, esse avvennero
in ogni strato e luogo della vita: ai pastori, ai potenti, ai dotti, agli increduli, ai peccatori, ai sacerdoti, ai 
dominatori, ai bambini, ai soldati, agli ebrei, ai gentili. Anche ora esse si ripetono. Ma, come allora, il mondo 
non le accoglie. Anzi non accoglie le attuali e dimentica le passate. Ebbene, Io non desisto. Io mi ripeto per 
salvarvi, per portarvi alla fede in Me.
Sai, Maria, quello che fai? Quello che faccio, anzi, nel mostrarti il Vangelo? Un tentativo più forte di portare 
gli uomini a Me. Tu lo hai desiderato con preghiere ardenti. Non mi limito più alla parola. Li stanca e li 
stacca. È una colpa, ma è così. Ricorro alla visione, e del mio Vangelo, e la spiego per renderla più chiara e 
attraente.
A te do il conforto del vedere. A tutti do il modo di desiderare di conoscermi. E, se ancora non servirà e 
come crudeli bambini getteranno il dono senza capirne il valore, a te resterà il mio dono e ad essi il mio 
sdegno. Potrò una volta ancora fare l'antico rimprovero: (Vol 4 Cap 266) "Abbiamo sonato e non avete 
ballato; abbiamo intonato lamenti e non avete pianto ".
Ma non importa. Lasciamo che essi, gli inconvertibili, accumulino sul loro capo i carboni ardenti, e 
volgiamoci alle pecorelle che cercano di conoscere il Pastore. Io son Quello, e tu sei la verga che le conduci 
a Me».
Come vede, mi sono affrettata a mettere quei particolari che, per la loro piccolezza, mi erano sfuggiti e che 
lei ha desiderato di avere.

AVE MARIA PURISSIMA!