lunedì 22 ottobre 2012

“Mis niños, conviértanse, mis hijitos, oren por su salvación y la de todos los pecadores”.


Milagro fotográfico en Venezuela
Introducción
Imagenes
*Los testimonios publicados en esta sección son responsabilidad de quien los firma. Al publicarlos www.reinadelcielo.org no está emitiendo ninguna opinión sobre la veracidad de los dichos, sino que sólo ha entendido que sus contenidos no contienen nada que atente contra las verdades de la fe y la moral y sí entiende que pueden ser favorables para el crecimiento espiritual de nuestros lectores. El juicio final sobre los hechos publicados corresponde a la Iglesia, a la que nos sometemos.
La redacción de Reina del Cielo


Una imagen de la Virgen de Guadalupe se transfiguró frente a la lente de un fotógrafo

Milagro en Venezuela, ocurrido el 14 de noviembre de 2005

En la ciudad de Coro, Venezuela, se produjo un hecho místico sorprendente el 14 de noviembre de 2005. En una empresa del lugar se recibió una imagen de la Virgen de Guadalupe, bendecida por Juan Pablo II en el Vaticano dos meses antes de su muerte. El hecho es que aquel 14 de noviembre Elvin Pérez tomó gran cantidad de fotos, mientras los visitantes depositaban flores al pie de María, oraban y agradecían. Con posterioridad (el 7 de diciembre de 2005), al analizar las fotografías se advierte algo extraño: la Virgen, literalmente, fue elevando su rostro y sus manos hasta encontrarse totalmente de frente y observando a su enamorado fotógrafo, mientras Elvin realizaba las tomas. Esto quiere decir que una imagen de material rígido movió su rostro y sus manos, elevándolas hasta quedar mirando al fotógrafo con unos ojos llenos de la piedad de la Madre de la Misericordia. Podrán imaginar ustedes la sorpresa de todos los que testimoniaron el hecho, ¡la alegría fue indescriptible!

Observemos dos tomas fotográficas que nos permiten disfrutar de este hecho admirable.En la primer toma fotográfica realizada por Elvin Pérez (la fotografía de la parte superior), se admira a la imagen como es en realidad. Sabemos que la Virgen de Guadalupe mira hacia abajo en su imagen, como aquí lo apreciamos claramente. Sus manos se encuentran en posición de oración, en el centro de su pecho.

En la segunda fotografía (de la secuencia del 14 de noviembre) podemos ver la forma en que la Madre de Dios nos muestra su presencia, mirándonos a los ojos, con sus manos elevadas en oración. Observen como la imagen es la misma, pero las manos y el rostro de Maria han cambiado totalmente de posición. Si observan verán que el fotógrafo mantiene la misma perspectiva, el ángulo de la toma es el mismo, la imagen de la Guadalupana es la misma. Sólo que ahora María ha elevado su rostro y sus manos, para mostrar claramente su deseo de ser escuchada, admirada.


Tras advertir los hechos, de inmediato se dio intervención a Monseñor Julio Urrego, quien admirado de lo ocurrido resaltó “el carácter de privilegiados que tienen aquellos que testimoniaron éste prodigio. Dios les ha hecho un regalo, y a nosotros también, a través de su testimonio”.

Admiremos el rostro y los ojos de la Virgen, como nos miran, como nos sonríen. Sus manos elevadas en oración nos invitan a ser santos, a imitarla como modelo perfecto de Cristo, su Hijo Amado. Jesús ha dicho que si se intenta acallar Su Voz, El hará hablar a las piedras. Es en esta imagen de piedra donde vemos claramente materializada la promesa del Señor: si el mundo se empecina en negar la Palabra, hasta las piedras hechas imágenes nos hablarán. María, en este caso, levanta su mirada y nos dice con rostro suplicante: “mis niños, conviértanse, mis hijitos, oren por su salvación y la de todos los pecadores”.

Hemos admirado muchos hechos sorprendentes ocurridos con fotografías tomadas en Medjugorje y otros centros Marianos, pero éste testimonio resulta particularmente hermoso por el mensaje que conlleva. María está viva, está entre nosotros. La Guadalupana vino a América en el siglo XVI pero sigue aquí activamente protegiendo a sus hijos, como éste testimonio lo manifiesta.



<<Cor Mariæ Immaculatum, intercede pro nobis>>

domenica 21 ottobre 2012

Nostra Signora del Pilar









SIA PURE CON RITARDO DI 9 GIORNI ECCO UN POST SULLA   FESTA DEL 12 ottobre, Nostra Signora del Pilar.
Notizia del 12/10/2012 stampata dal sito web www.lucisullest.it


Il più antico santuario della Spagna e forse della cristianità è quello della Beata Vergine del Pilar a Saragozza. In stile barocco, la costruzione è a forma rettangolare, divisa a tre navate e riccamente decorata e affrescata da Velázquez, Francisco de Goya, Ramon e Francisco Bayen. Lunga ben centotrentacinque metri e larga cinquantanove, ha quattro torri e undici cupole, di cui quella centrale, particolarmente imponente, svetta per ben ottanta metri.


Secondo la leggenda, la cappella primitiva sarebbe stata costruita da S. Giacomo il Maggiore verso l’anno 40, in ricordo della prodigiosa “Venuta” della Vergine da Gerusalemme a Saragozza per confortare l'apostolo assai deluso dei risultati negativi della sua predicazione. Il “Pilar” è appunto la colonna di alabastro su cui la Vergine avrebbe posato i piedi.
Alcuni mistici, come la venerabile Maria d’Agreda e Anna Caterina Emmerick,confermarono questa antichissima tradizione secondo le loro rivelazioni e visioni, ma già nel 1200 l’episodio è riportato in quello che è considerato il primo documento scritto sulla Madonna del Pilar.
Bisogna anche dire, per amore di verità storica, che la chiesa di “Sancta Maria intra muros” a Saragozza esisteva ancor prima della invasione araba, avvenuta nel 711. Il monaco Aimoinus, giunto in Spagna nell’anno 855 alla ricerca delle reliquie di S. Vincenzo, scrisse che “la chiesa dedicata alla Vergine a Saragozza era la madre di tutte le chiese della città, e che S. Vincenzo vi aveva esercitato le funzioni di diacono al tempo del vescovo Valerio”.
Nel 1118 Saragozza, liberata dal dominio dei musulmani, ritornò capitale del regno di Aragona e nel 1294 Santa Maria del Pilar venne restaurata per accogliere schiere sempre più numerose di pellegrini.
Al tempo dell’unificazione della Spagna (sec. XV) per opera del re di Aragona Ferdinando il Cattolico e della regina Isabella di Castiglia, sua sposa, il culto della Madonna del Pilar si affermò in campo nazionale. Con la scoperta dell’America tale culto raggiunse anche il Nuovo Mondo: nell’anno 1492 avveniva la cacciata definitiva dei Saraceni dalla Spagna, Cristoforo Colombo partiva con tre caravelle, di cui una si chiamava per l’appunto “Santa Maria”, e – fatto abbastanza curioso, se non addirittura strabiliante – la data della scoperta del continente americano coincideva proprio con la data della festa del Pilar, il 12 ottobre.
Forse per tutte queste circostanze, nel 1958, la festa “pilarica” del 12 ottobre fu dichiarata festa della hispanidad, cioè della Spagna e di tutte le nazioni di lingua e cultura spagnola.
Ma nel 1640 un miracolo spettacolare doveva rendere ancora più celebre il santuario. Un giovane di diciassette anni, Miguel-Juan Pellicer di Calanda, conducendo un giorno un carro aggiogato a due muli, cadde dalla cavalcatura e andò a finire sotto una ruota del carro, che gli spezzò e gli schiacciò nel mezzo la tibia della gamba destra. Trasportato in ospedale per le cure del caso, si ritenne urgente amputargli la gamba a circa quattro dita dalla rotula.
Prima dell’operazione, l’infelice si era recato al santuario del Pilar per farvi le sue devozioni e ricevervi i sacramenti. Dopo l'intervento, vi era tornato per ringraziare la Madonna di averlo conservato in vita. Ma,non potendo più lavorare, Miguel-Juan si era unito agli altri mendicanti che domandavano l’elemosina all’ingresso della basilica. Nel frattempo, ogni volta che veniva rinnovato l’olio delle 77 lampade d’argento, accese nella cappella della Vergine, egli vi strofinava le sue piaghe, benché il chirurgo glielo avesse sconsigliato in quanto l’olio ritardava la cicatrizzazione del moncherino.
Tornato infine a Calanda, con la gamba di legno e una gruccia cominciò a mendicare spingendosi fino ai paesi vicini. Ma, il 29 marzo 1640, rientrò a casa sua e, a sera, dopo aver invocato, come al solito, la Vergine del Pilar, si addormentò. Al mattino, svegliandosi, si ritrovò con due gambe ed avvertì così i suoi genitori che la gamba destra, amputata da due anni e cinque mesi, era segnata al polpaccio dalle stesse cicatrici di prima dell’infortunio.
Fu istituita subito una Commissione d’inchiesta, nominata dall’arcivescovo,e i suoi membri, nel corso di accurati accertamenti, con loro grande meraviglia non trovarono più la gamba di Miguel sepolta tempo prima nel cimitero dell’ospedale. La fama del miracolo corse per tutta la Spagna e fu la causa della realizzazione del grandioso santuario attuale, iniziato nel 1681 e consacrato il 10 ottobre 1872.
Nel santuario, all’inizio della navata centrale è situata la “santa cappella”, dove si venera una piccola statua della Vergine col Bambino del secolo XIV, che poggia i piedi sul “Pilar” ricoperto di bronzo e argento, e che viene rivestita con manti diversi a seconda dei tempi liturgici e delle circostanze.
Questa immagine fu incoronata il 20 maggio 1905, con una corona tempestata da circa diecimila perle preziose, e solennemente benedetta dal pontefice S. Pio X.
La Madonna del Pilar, come Patrona della Spagna, da secoli attrae masse imponenti di pellegrini appartenenti a ogni classe sociale: dai più umili contadini ai più grandi re di Spagna, da Ferdinando il Cattolico a Juan Carlos, dal cardinale di Retz nel 1654 al papa Giovanni Paolo II nel 1982.
I pellegrinaggi al santuario sono ininterrotti lungo tutto l’arco dell’anno e si svolgono con la partecipazione alla santa Messa, alla recita del Rosario, con canti mariani e con il bacio alla colonna sulla piccola parte scoperta, che, a causa di questa devozione, presenta un marcato solco prodotto proprio dall’usura.
Molte famiglie spagnole danno il nome di Pilar alle loro bambine e tengono ad avere la sacra immagine in casa; numerosi altari e cappelle, dedicati alla Madonna del Pilar, si trovano nella Spagna e nell’America Latina. C’è a tal proposito un canto popolare spagnolo il cui ritornello a suon di nacchere ripete giustamente questa semplice verità: “Es la Virgen del Pilar, la que màs altares tiene, y no hay un buen español, que en su pecho no la lleve”: “È la Vergine del Pilar, quella che ha più altari, né si trova uno spagnolo, che non la porti nel cuore”.


 AVE AVE AVE MARIA!

sabato 20 ottobre 2012

L'Apocalisse (cap 12+13) spiegata dall'Immacolata


L'Apocalisse 
spiegata dalla Vergine SS.ma Immacolata

Miguel Jacinto Melendez 1733.jpg 
                                                      




 


Nei messaggi trasmessi a Don Stefano Gobbi per il M.S.M. la Madonna spiega alcuni importanti passi dell’Apocalisse che riguardano l’Anticristo, il marchio della Bestia e il Drago rosso:

*

Messaggio 407 - 17 giugno 1989

"Figli prediletti, comprendete ora il disegno della vostra Mamma Celeste, la Donna vestita di sole, che combatte, con la sua schiera, nella grande lotta contro tutte le forze del male, per ottenere la sua vittoria, nella perfetta glorificazione della Santissima Trinità.

Con Me combattete, piccoli figli, contro il Drago, che cerca di portare tutta l'umanità contro Dio.

Con Me combattete, piccoli figli, contro la bestia nera, la massoneria, che vuole condurre le anime alla perdizione.

Con Me combattete, piccoli figli, contro la bestia simile a un agnello, la massoneria infiltrata all'interno della vita ecclesiale per distruggere Cristo e la Sua Chiesa.

Per raggiungere questo scopo essa vuole costruire un nuovo idolo, cioè un falso Cristo ed una falsa Chiesa.

La massoneria ecclesiastica riceve ordini e potere dalle varie logge massoniche ed opera per condurre segretamente tutti a fare parte di queste sette segrete. Così sollecita gli ambiziosi con la prospettiva di facili carriere; ricolma di beni gli affamati di denaro; aiuta i suoi membri a primeggiare e ad occupare i posti più importanti, mentre emargina, in maniera subdola, ma decisa, tutti coloro che si rifiutano di partecipare al suo disegno. Infatti la bestia simile a un agnello esercita tutto il potere della prima bestia, in sua presenza, e costringe la terra ed i suoi abitanti ad adorare la prima bestia. Addirittura la massoneria ecclesiastica giunge fino a costruire una statua in onore della bestia e costringe tutti ad adorare questa statua.

Ma, secondo il primo comandamento della Sanata Legge del Signore, solo Dio si deve adorare e a Lui solo deve essere data ogni forma di culto. Allora si sostituisce Dio con un idolo potente, forte, dominatore, un idolo così potente, da far mettere a morte tutti coloro che non adorano la statua della bestia. Un idolo così forte e dominatore, da far sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi ricevano un marchio sulla mano o sulla fronte, e nessuno può comprare o vendere senza avere marchi, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. Questo grande idolo, costruito per essere da tutti adorato e servito, come vi ho rivelato nel precedente messaggio, è un falso Cristo e una falsa Chiesa. Ma qual è il suo nome ?

Al capitolo 13 dell'Apocalisse è scritto: "Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: esso rappresenta un nome di un uomo. E tale cifra è seicentosessantasei".

Con l'intelligenza, illuminata dalla luce della divina Sapienza, si riesce a decifrare dal numero 666 il nome di un uomo e questo nome, indicato da tale numero, è quello dell'Anticristo.

Lucifero, il serpente antico, il diavolo o Satana, il dragone rosso diventa, in questi ultimi tempi, l'anticristo.

Già l'apostolo Giovanni affermava che chiunque nega che Gesù Cristo è Dio, costui è l'anticristo.

La statua o l'idolo, costruito in onore della bestia, per esser adorato da tutti gli uomini, è l'anticristo.

Calcolate ora il suo numero 666, per comprendere come indichi il nome di un uomo.

Il numero 333 indica la Divinità.

Lucifero si ribella a Dio per superbia, perché vuole mettersi al di sopra di Dio.

Il 333 è il numero che indica il mistero di Dio. Colui che vuole mettersi al di sopra di Dio porta il segno di 666, pertanto questo numero indica il nome di Lucifero, Satana, cioè di colui che si mette contro Cristo, dell'anticristo.

Il 333, indicato una volta, cioè per 1, esprime il mistero dell'unità di Dio.

Il 333, indicato due volte, cioè per 2, indica le due nature, quella divina e quella umana, unite nella Persona divina di Gesù Cristo.

Il 333, indicato per tre volte, cioè per 3, indica il mistero delle Tre Persone divine, cioè esprime il numero della Santissima Trinità.

Allora il numero 333, espresso una, due e tre volte, esprime i misteri principali della fede cattolica, che sono:

l'unità e la Trinità di Dio;

l'incarnazione, la passione, la morte e la resurrezione di Nostro Signore Gesù Cristo.

Se il 333 è il numero che indica la Divinità, colui che vuole mettersi al di sopra dello stesso Dio viene indicato col numero 666.

Il 666 indicato una volta, cioè per 1, esprime l'anno 666, seicentosessantasei.

In questo periodo storico, l'Anticristo si manifesta attraverso il fenomeno dell'Islam, che nega direttamente il mistero della divina Trinità e la divinità di Nostro Signore Gesù Cristo.

L'islamismo, con la sua forza militare, si scatena ovunque, distruggendo tutte le antiche comunità cristiane, invade l'Europa e solo per un mio materno e straordinario intervento, sollecitato fortemente dal Santo Padre, non riesce a distruggere completamente la Cristianità.

** Il 666 indicato due volte, cioè per 2, esprime l'anno 1332, milletrecentotrentadue.

In questo periodo storico, l'Anticristo, si manifesta con un radicale attacco alla fede nella Parola di Dio.

Attraverso i filosofi, che iniziano a dare esclusivo valore alla scienza e poi alla ragione, si tende gradualmente a costituire unico criterio di verità la sola intelligenza umana. Nascono i grandi errori filosofici, che continuano nei secoli fino ai vostri giorni.

L'importanza esagerata data alla ragione, come criterio esclusivo di verità, porta necessariamente alla distruzione della fede nella Parola di Dio.

Infatti, con la riforma protestante, si rifiuta la Tradizione come fonte della divina Rivelazione, e si accetta solo la Sacra Scrittura.

Ma anche questa deve essere interpretata per mezzo della ragione, e si rifiuta ostinatamente il Magistero autentico della Chiesa gerarchica, a cui Cristo ha affidato da custodire il deposito della fede.

Ciascuno è libero di leggere e di comprendere la sacra Scrittura, secondo la sua personale interpretazione.

In questa maniera la fede nella Parola di Dio viene distrutta.

Opera dell'Anticristo, in questo periodo storico, è la divisione della Chiesa, la conseguente formazione di nuove e numerose confessioni cristiane, che gradualmente vengono sospinte ad una perdita sempre più estesa della fede nella Parola di Dio.

*** Il 666, indicato per tre volte, cioè per 3, esprime l'anno 1998, millenovecentonovantotto.

In questo periodo storico, la massoneria, aiutata da quella ecclesiastica, riuscirà nel suo grande intento: costruire un idolo da mettere al posto di Cristo e della Sua Chiesa.

Un falso Cristo e una falsa Chiesa. Pertanto la statua costruita in onore della prima bestia, per essere adorata da tutti gli abitanti della terra e che segnerà del suo marchio tutti coloro che vorranno comprare o vendere è quella dell'Anticristo.

Siete così giunti al vertice della purificazione, della grande tribolazione e della apostasia.

L'apostasia sarà ormai generalizzata perché quasi tutti seguiranno il falso Cristo e la falsa Chiesa.

Allora sarà aperta la porta per la comparsa dell'uomo o della persona stessa dell'Anticristo!

Ecco, figli prediletti, perché vi ho voluto illuminare sulle pagine dell’Apocalisse, che si riferiscono ai tempi che vivete.

Per prepararvi con Me alla parte più dolorosa e decisiva della grande lotta che si sta combattendo fra la vostra Mamma Celeste e tutte le forze del male che si sono scatenate. [...] "


Martino Altomonte 1719.jpg


Messaggio 410 - 8 settembre 1989

" [...] Lasciatevi da Me segnare con il mio materno sigillo.

Questi sono i tempi in cui i seguaci di colui che si oppone a Cristo vengono segnati con il suo marchio sulla fronte e sulla mano.

Il marchio sulla fronte e sulla mano è espressione di una totale dipendenza da chi viene significato da questo segno.

Il segno indica colui che è nemico di Cristo, cioè l’Anticristo, ed il suo marchio che viene impresso significa la completa appartenenza della persona segnata alla schiera di colui che si oppone a Cristo e lotta contro il Suo divino e regale dominio.

Il marchio è impresso sulla fronte e sulla mano.

La fronte indica l’intelligenza, perché la mente è sede della ragione umana.

La mano esprime l’attività umana, perché è con le sue mani che l’uomo opera e lavora.

Pertanto è la persona che viene segnata con il marchio dell’Anticristo nella sua intelligenza e nella sua volontà.

Chi si lascia segnare dal marchio sulla fronte viene condotto ad accogliere la dottrina della negazione di Dio, del rifiuto della Sua Legge, dell’ateismo che, in questi tempi, viene sempre più diffuso e propagato.

E’ così sospinto a seguire le ideologie oggi di moda ed a farsi propagatore di tutti gli errori.

Chi si lascia segnare dal marchio sulla mano viene obbligato ad agire in maniera autonoma e indipendente da Dio, ordinando la propria attività alla ricerca di un bene solo materiale e terreno.

Così sottrae la sua azione al disegno del Padre, che vuole illuminarla e sostenerla con la Sua divina Provvidenza; all’amore del Figlio che rende la fatica umana un mezzo prezioso per la sua stessa redenzione e santificazione; al potere dello Spirito che agisce ovunque per rinnovare interiormente ogni creatura.

Chi è segnato dal marchio sulla mano lavora solo per se stesso, per accumulare beni materiali, fa del denaro il suo dio e diviene vittima del materialismo.

Chi è segnato dal marchio sulla mano opera solo per l’appagamento dei propri sensi, per cercare il benessere ed il piacere, per dare piena soddisfazione a tutte le sue passioni, specialmente a quelle dell’impurità, e diviene vittima dell’edonismo.

Chi è segnato dal marchio sulla mano fa del proprio io il centro di tutto il suo operare, guarda agli altri come oggetti da usare e da sfruttare per il proprio tornaconto e diventa vittima dell’egoismo sfrenato e della mancanza di amore.

Se il mio avversario segna, con il suo marchio, tutti i suoi seguaci, è giunto il tempo in cui anch’io, vostra Celeste Condottiera, segno con il mio materno sigillo tutti coloro che si sono consacrati al mio Cuore Immacolato e fanno parte della mia schiera.

Imprimo sulla vostra fronte il mio sigillo con il segno santissimo della Croce di mio figlio Gesù.

Così apro l’intelligenza umana ad accogliere la Sua Divina Parola, ad amarla, a viverla, vi conduco ad affidarvi completamente a Gesù che ve l’ha rivelata, e vi rendo oggi coraggiosi testimoni di fede.

Ai segnati sulla fronte con il marchio blasfemo, Io contrappongo i miei figli segnati con la Croce di Gesù Cristo.

Poi ordino tutta la vostra attività alla perfetta glorificazione della Santissima Trinità.

Per questo imprimo sulla vostra mano il mio sigillo che è il segno del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Con il segno del Padre, la vostra umana attività viene ordinata ad una perfetta cooperazione al disegno della Sua divina Provvidenza, che ancora oggi dispone ogni cosa per il vostro bene.

Con il segno del Figlio, ogni vostra azione viene profondamente inserita nel mistero della Sua divina redenzione.

Con il segno dello Spirito Santo, tutto il vostro agire si apre alla Sua potente forza di santificazione, che soffia ovunque come un fuoco potente, per rinnovare dalle fondamenta tutto il mondo.

Figli miei prediletti, lasciatevi tutti segnare sulla fronte e sulla mano dal mio materno sigillo, in questo giorno in cui, raccolti con amore attorno alla mia culla, celebrate la festa della nascita terrena della vostra Mamma Celeste".





Messaggio 404 - 14 maggio 1989

" [...] Solo lo Spirito del Signore può vincere la potenza e la forza vittoriosa dell’enorme Drago rosso, che, in questo vostro secolo, si è scatenato ovunque, in maniera terribile, per sedurre ed ingannare tutta l’umanità.

L’enorme Drago rosso è il comunismo ateo, che ha diffuso in ogni parte l’errore della negazione e dell’ostinato rifiuto di Dio.

L’enorme Drago rosso è l’ateismo marxista, che si presenta con dieci corna, cioè con la potenza dei suoi mezzi di comunicazione, per condurre l’umanità a disubbidire ai dieci comandamenti di Dio, e con sette teste, su ciascuna delle quali vi è un diadema, segno di potere e di regalità. 


Le teste incoronate indicano le nazioni in cui il comunismo ateo si è stabilito e domina con la forza del suo potere ideologico, politico e militare.

L’enormità del Drago manifesta chiaramente la vastità della terra occupata dal domino incontrastato dell’ateismo comunista. 
Il suo colore è rosso perché usa le guerre ed il sangue come strumenti delle sue numerose conquiste.

L’enorme Drago rosso è riuscito in questi anni a conquistare l’umanità con l’errore dell’ateismo teorico o pratico, che ha ormai sedotto tutte le nazioni della terra. Si è riusciti così a costruire una nuova civiltà senza Dio, materialista, egoista, edonista, arida e fredda, che porta in sé i germi della corruzione della morte.

L’enorme Drago rosso ha il compito diabolico di sottrarre tutta l’umanità al dominio di Dio, alla glorificazione della Santissima Trinità, alla piena attuazione del disegno del Padre che, per mezzo del Figlio, l'ha creata per la Sua gloria.

Il Signore mi ha rivestita della Sua Luce e lo Spirito Santo della Sua divina potenza così Io appaio come un grande segno nel cielo, Donna vestita di sole, perché ho il compito di sottrarre l’umanità al dominio dell’enorme Drago rosso e riportarla tutta alla perfetta glorificazione della Santissima Trinità. Per questo mi formo la schiera dei miei più piccoli figli in ogni parte del mondo, e ad essi domando che si consacrino al mio Cuore Immacolato. Così li conduco a vivere solo per la gloria di Dio, per mezzo della fede e della carità, e li coltivo Io stessa gelosamente nel mio celeste giardino. [...] "




<<Cor Mariæ Immaculatum, intercede pro nobis>>



PORTA FIDEI


CARTA APOSTÓLICA
EN FORMA DE MOTU PROPRIO
PORTA FIDEI
DEL SUMO PONTÍFICE
BENEDICTO XVI
CON LA QUE SE CONVOCA EL AÑO DE LA FE
CARTA APOSTÓLICA
EN FORMA DE MOTU PROPRIO
PORTA FIDEI
DEL SUMO PONTÍFICE
BENEDICTO XVI
CON LA QUE SE CONVOCA EL AÑO DE LA FE

1. «La puerta de la fe» (cf. Hch 14, 27), que introduce en la vida de comunión con Dios y permite la entrada en su Iglesia, está siempre abierta para nosotros. Se cruza ese umbral cuando la Palabra de Dios se anuncia y el corazón se deja plasmar por la gracia que transforma. Atravesar esa puerta supone emprender un camino que dura toda la vida. Éste empieza con el bautismo (cf. Rm 6, 4), con el que podemos llamar a Dios con el nombre de Padre, y se concluye con el paso de la muerte a la vida eterna, fruto de la resurrección del Señor Jesús que, con el don del Espíritu Santo, ha querido unir en su misma gloria a cuantos creen en él (cf. Jn 17, 22). Profesar la fe en la Trinidad –Padre, Hijo y Espíritu Santo– equivale a creer en un solo Dios que es Amor (cf. 1 Jn 4, 8): el Padre, que en la plenitud de los tiempos envió a su Hijo para nuestra salvación; Jesucristo, que en el misterio de su muerte y resurrección redimió al mundo; el Espíritu Santo, que guía a la Iglesia a través de los siglos en la espera del retorno glorioso del Señor.


2. Desde el comienzo de mi ministerio como Sucesor de Pedro, he recordado la exigencia de redescubrir el camino de la fe para iluminar de manera cada vez más clara la alegría y el entusiasmo renovado del encuentro con Cristo. En la homilía de la santa Misa de inicio del Pontificado decía: «La Iglesia en su conjunto, y en ella sus pastores, como Cristo han de ponerse en camino para rescatar a los hombres del desierto y conducirlos al lugar de la vida, hacia la amistad con el Hijo de Dios, hacia Aquel que nos da la vida, y la vida en plenitud»[1]. Sucede hoy con frecuencia que los cristianos se preocupan mucho por las consecuencias sociales, culturales y políticas de su compromiso, al mismo tiempo que siguen considerando la fe como un presupuesto obvio de la vida común. De hecho, este presupuesto no sólo no aparece como tal, sino que incluso con frecuencia es negado[2]. Mientras que en el pasado era posible reconocer un tejido cultural unitario, ampliamente aceptado en su referencia al contenido de la fe y a los valores inspirados por ella, hoy no parece que sea ya así en vastos sectores de la sociedad, a causa de una profunda crisis de fe que afecta a muchas personas.


3. No podemos dejar que la sal se vuelva sosa y la luz permanezca oculta (cf. Mt 5, 13-16). Como la samaritana, también el hombre actual puede sentir de nuevo la necesidad de acercarse al pozo para escuchar a Jesús, que invita a creer en él y a extraer el agua viva que mana de su fuente (cf. Jn4, 14). Debemos descubrir de nuevo el gusto de alimentarnos con la Palabra de Dios, transmitida fielmente por la Iglesia, y el Pan de la vida, ofrecido como sustento a todos los que son sus discípulos (cf. Jn 6, 51). En efecto, la enseñanza de Jesús resuena todavía hoy con la misma fuerza: «Trabajad no por el alimento que perece, sino por el alimento que perdura para la vida eterna» (Jn6, 27). La pregunta planteada por los que lo escuchaban es también hoy la misma para nosotros: «¿Qué tenemos que hacer para realizar las obras de Dios?» (Jn 6, 28). Sabemos la respuesta de Jesús: «La obra de Dios es ésta: que creáis en el que él ha enviado» (Jn 6, 29). Creer en Jesucristo es, por tanto, el camino para poder llegar de modo definitivo a la salvación.


4. A la luz de todo esto, he decidido convocar un Año de la fe. Comenzará el 11 de octubre de 2012, en el cincuenta aniversario de la apertura del Concilio Vaticano II, y terminará en la solemnidad de Jesucristo, Rey del Universo, el 24 de noviembre de 2013. En la fecha del 11 de octubre de 2012, se celebrarán también los veinte años de la publicación del Catecismo de la Iglesia Católica, promulgado por mi Predecesor, el beato Papa Juan Pablo II,[3]con la intención de ilustrar a todos los fieles la fuerza y belleza de la fe. Este documento, auténtico fruto del Concilio Vaticano II, fue querido por el Sínodo Extraordinario de los Obispos de 1985 como instrumento al servicio de la catequesis[4], realizándose mediante la colaboración de todo el Episcopado de la Iglesia católica. Y precisamente he convocado la Asamblea General del Sínodo de los Obispos, en el mes de octubre de 2012, sobre el tema de La nueva evangelización para la transmisión de la fe cristiana. Será una buena ocasión para introducir a todo el cuerpo eclesial en un tiempo de especial reflexión y redescubrimiento de la fe. No es la primera vez que la Iglesia está llamada a celebrar un Año de la fe. Mi venerado Predecesor, el Siervo de Dios Pablo VI, proclamó uno parecido en 1967, para conmemorar el martirio de los apóstoles Pedro y Pablo en el décimo noveno centenario de su supremo testimonio. Lo concibió como un momento solemne para que en toda la Iglesia se diese «una auténtica y sincera profesión de la misma fe»; además, quiso que ésta fuera confirmada de manera «individual y colectiva, libre y consciente, interior y exterior, humilde y franca»[5]. Pensaba que de esa manera toda la Iglesia podría adquirir una «exacta conciencia de su fe, para reanimarla, para purificarla, para confirmarla y para confesarla»[6]. Las grandes transformaciones que tuvieron lugar en aquel Año, hicieron que la necesidad de dicha celebración fuera todavía más evidente. Ésta concluyó con la Profesión de fe del Pueblo de Dios[7], para testimoniar cómo los contenidos esenciales que desde siglos constituyen el patrimonio de todos los creyentes tienen necesidad de ser confirmados, comprendidos y profundizados de manera siempre nueva, con el fin de dar un testimonio coherente en condiciones históricas distintas a las del pasado.


5. En ciertos aspectos, mi Venerado Predecesor vio ese Año como una «consecuencia y exigencia postconciliar»[8], consciente de las graves dificultades del tiempo, sobre todo con respecto a la profesión de la fe verdadera y a su recta interpretación. He pensado que iniciar el Año de la fecoincidiendo con el cincuentenario de la apertura del Concilio Vaticano II puede ser una ocasión propicia para comprender que los textos dejados en herencia por los Padres conciliares, según las palabras del beato Juan Pablo II, «no pierden su valor ni su esplendor. Es necesario leerlos de manera apropiada y que sean conocidos y asimilados como textos cualificados y normativos del Magisterio, dentro de la Tradición de la Iglesia. […] Siento más que nunca el deber de indicar el Concilio como la gran gracia de la que la Iglesia se ha beneficiado en el siglo XX. Con el Concilio se nos ha ofrecido una brújula segura para orientarnos en el camino del siglo que comienza»[9]. Yo también deseo reafirmar con fuerza lo que dije a propósito del Concilio pocos meses después de mi elección como Sucesor de Pedro: «Si lo leemos y acogemos guiados por una hermenéutica correcta, puede ser y llegar a ser cada vez más una gran fuerza para la renovación siempre necesaria de la Iglesia»[10].


6. La renovación de la Iglesia pasa también a través del testimonio ofrecido por la vida de los creyentes: con su misma existencia en el mundo, los cristianos están llamados efectivamente a hacer resplandecer la Palabra de verdad que el Señor Jesús nos dejó. Precisamente el Concilio, en la Constitución dogmática Lumen gentium, afirmaba: «Mientras que Cristo, “santo, inocente, sin mancha” (Hb 7, 26), no conoció el pecado (cf. 2 Co 5, 21), sino que vino solamente a expiar los pecados del pueblo (cf. Hb 2, 17), la Iglesia, abrazando en su seno a los pecadores, es a la vez santa y siempre necesitada de purificación, y busca sin cesar la conversión y la renovación. La Iglesia continúa su peregrinación “en medio de las persecuciones del mundo y de los consuelos de Dios”, anunciando la cruz y la muerte del Señor hasta que vuelva (cf. 1 Co 11, 26). Se siente fortalecida con la fuerza del Señor resucitado para poder superar con paciencia y amor todos los sufrimientos y dificultades, tanto interiores como exteriores, y revelar en el mundo el misterio de Cristo, aunque bajo sombras, sin embargo, con fidelidad hasta que al final se manifieste a plena luz»[11].
En esta perspectiva, el Año de la fe es una invitación a una auténtica y renovada conversión al Señor, único Salvador del mundo. Dios, en el misterio de su muerte y resurrección, ha revelado en plenitud el Amor que salva y llama a los hombres a la conversión de vida mediante la remisión de los pecados (cf. Hch 5, 31). Para el apóstol Pablo, este Amor lleva al hombre a una nueva vida: «Por el bautismo fuimos sepultados con él en la muerte, para que, lo mismo que Cristo resucitó de entre los muertos por la gloria del Padre, así también nosotros andemos en una vida nueva» (Rm 6, 4). Gracias a la fe, esta vida nueva plasma toda la existencia humana en la novedad radical de la resurrección. En la medida de su disponibilidad libre, los pensamientos y los afectos, la mentalidad y el comportamiento del hombre se purifican y transforman lentamente, en un proceso que no termina de cumplirse totalmente en esta vida. La «fe que actúa por el amor» (Ga 5, 6) se convierte en un nuevo criterio de pensamiento y de acción que cambia toda la vida del hombre (cf. Rm 12, 2;Col 3, 9-10; Ef 4, 20-29; 2 Co 5, 17).


7. «Caritas Christi urget nos» (2 Co 5, 14): es el amor de Cristo el que llena nuestros corazones y nos impulsa a evangelizar. Hoy como ayer, él nos envía por los caminos del mundo para proclamar su Evangelio a todos los pueblos de la tierra (cf. Mt 28, 19). Con su amor, Jesucristo atrae hacia sí a los hombres de cada generación: en todo tiempo, convoca a la Iglesia y le confía el anuncio del Evangelio, con un mandato que es siempre nuevo. Por eso, también hoy es necesario un compromiso eclesial más convencido en favor de una nueva evangelización para redescubrir la alegría de creer y volver a encontrar el entusiasmo de comunicar la fe. El compromiso misionero de los creyentes saca fuerza y vigor del descubrimiento cotidiano de su amor, que nunca puede faltar. La fe, en efecto, crece cuando se vive como experiencia de un amor que se recibe y se comunica como experiencia de gracia y gozo. Nos hace fecundos, porque ensancha el corazón en la esperanza y permite dar un testimonio fecundo: en efecto, abre el corazón y la mente de los que escuchan para acoger la invitación del Señor a aceptar su Palabra para ser sus discípulos. Como afirma san Agustín, los creyentes «se fortalecen creyendo»[12]. El santo Obispo de Hipona tenía buenos motivos para expresarse de esta manera. Como sabemos, su vida fue una búsqueda continua de la belleza de la fe hasta que su corazón encontró descanso en Dios.[13]Sus numerosos escritos, en los que explica la importancia de creer y la verdad de la fe, permanecen aún hoy como un patrimonio de riqueza sin igual, consintiendo todavía a tantas personas que buscan a Dios encontrar el sendero justo para acceder a la «puerta de la fe».
Así, la fe sólo crece y se fortalece creyendo; no hay otra posibilidad para poseer la certeza sobre la propia vida que abandonarse, en un in crescendo continuo, en las manos de un amor que se experimenta siempre como más grande porque tiene su origen en Dios.


8. En esta feliz conmemoración, deseo invitar a los hermanos Obispos de todo el Orbe a que se unan al Sucesor de Pedro en el tiempo de gracia espiritual que el Señor nos ofrece para rememorar el don precioso de la fe. Queremos celebrar este Año de manera digna y fecunda. Habrá que intensificar la reflexión sobre la fe para ayudar a todos los creyentes en Cristo a que su adhesión al Evangelio sea más consciente y vigorosa, sobre todo en un momento de profundo cambio como el que la humanidad está viviendo. Tendremos la oportunidad de confesar la fe en el Señor Resucitado en nuestras catedrales e iglesias de todo el mundo; en nuestras casas y con nuestras familias, para que cada uno sienta con fuerza la exigencia de conocer y transmitir mejor a las generaciones futuras la fe de siempre. En este Año, las comunidades religiosas, así como las parroquiales, y todas las realidades eclesiales antiguas y nuevas, encontrarán la manera de profesar públicamente el Credo.


9. Deseamos que este Año suscite en todo creyente la aspiración a confesar la fe con plenitud y renovada convicción, con confianza y esperanza. Será también una ocasión propicia para intensificar la celebración de la fe en la liturgia, y de modo particular en la Eucaristía, que es «la cumbre a la que tiende la acción de la Iglesia y también la fuente de donde mana toda su fuerza»[14]. Al mismo tiempo, esperamos que el testimonio de vida de los creyentes sea cada vez más creíble. Redescubrir los contenidos de la fe profesada, celebrada, vivida y rezada[15], y reflexionar sobre el mismo acto con el que se cree, es un compromiso que todo creyente debe de hacer propio, sobre todo en este Año.
No por casualidad, los cristianos en los primeros siglos estaban obligados a aprender de memoria el Credo. Esto les servía como oración cotidiana para no olvidar el compromiso asumido con el bautismo. San Agustín lo recuerda con unas palabras de profundo significado, cuando en unsermón sobre la redditio symboli, la entrega del Credo, dice: «El símbolo del sacrosanto misterio que recibisteis todos a la vez y que hoy habéis recitado uno a uno, no es otra cosa que las palabras en las que se apoya sólidamente la fe de la Iglesia, nuestra madre, sobre la base inconmovible que es Cristo el Señor. […] Recibisteis y recitasteis algo que debéis retener siempre en vuestra mente y corazón y repetir en vuestro lecho; algo sobre lo que tenéis que pensar cuando estáis en la calle y que no debéis olvidar ni cuando coméis, de forma que, incluso cuando dormís corporalmente, vigiléis con el corazón»[16].


10. En este sentido, quisiera esbozar un camino que sea útil para comprender de manera más profunda no sólo los contenidos de la fe sino, juntamente también con eso, el acto con el que decidimos de entregarnos totalmente y con plena libertad a Dios. En efecto, existe una unidad profunda entre el acto con el que se cree y los contenidos a los que prestamos nuestro asentimiento. El apóstol Pablo nos ayuda a entrar dentro de esta realidad cuando escribe: «con el corazón se cree y con los labios se profesa» (cf. Rm 10, 10). El corazón indica que el primer acto con el que se llega a la fe es don de Dios y acción de la gracia que actúa y transforma a la persona hasta en lo más íntimo.
A este propósito, el ejemplo de Lidia es muy elocuente. Cuenta san Lucas que Pablo, mientras se encontraba en Filipos, fue un sábado a anunciar el Evangelio a algunas mujeres; entre estas estaba Lidia y el «Señor le abrió el corazón para que aceptara lo que decía Pablo» (Hch 16, 14). El sentido que encierra la expresión es importante. San Lucas enseña que el conocimiento de los contenidos que se han de creer no es suficiente si después el corazón, auténtico sagrario de la persona, no está abierto por la gracia que permite tener ojos para mirar en profundidad y comprender que lo que se ha anunciado es la Palabra de Dios.
Profesar con la boca indica, a su vez, que la fe implica un testimonio y un compromiso público. El cristiano no puede pensar nunca que creer es un hecho privado. La fe es decidirse a estar con el Señor para vivir con él. Y este «estar con él» nos lleva a comprender las razones por las que se cree. La fe, precisamente porque es un acto de la libertad, exige también la responsabilidad social de lo que se cree. La Iglesia en el día de Pentecostés muestra con toda evidencia esta dimensión pública del creer y del anunciar a todos sin temor la propia fe. Es el don del Espíritu Santo el que capacita para la misión y fortalece nuestro testimonio, haciéndolo franco y valeroso.
La misma profesión de fe es un acto personal y al mismo tiempo comunitario. En efecto, el primer sujeto de la fe es la Iglesia. En la fe de la comunidad cristiana cada uno recibe el bautismo, signo eficaz de la entrada en el pueblo de los creyentes para alcanzar la salvación. Como afirma elCatecismo de la Iglesia Católica: «“Creo”: Es la fe de la Iglesia profesada personalmente por cada creyente, principalmente en su bautismo. “Creemos”: Es la fe de la Iglesia confesada por los obispos reunidos en Concilio o, más generalmente, por la asamblea litúrgica de los creyentes. “Creo”, es también la Iglesia, nuestra Madre, que responde a Dios por su fe y que nos enseña a decir: “creo”, “creemos”»[17].
Como se puede ver, el conocimiento de los contenidos de la fe es esencial para dar el propioasentimiento, es decir, para adherirse plenamente con la inteligencia y la voluntad a lo que propone la Iglesia. El conocimiento de la fe introduce en la totalidad del misterio salvífico revelado por Dios. El asentimiento que se presta implica por tanto que, cuando se cree, se acepta libremente todo el misterio de la fe, ya que quien garantiza su verdad es Dios mismo que se revela y da a conocer su misterio de amor[18].
Por otra parte, no podemos olvidar que muchas personas en nuestro contexto cultural, aún no reconociendo en ellos el don de la fe, buscan con sinceridad el sentido último y la verdad definitiva de su existencia y del mundo. Esta búsqueda es un auténtico «preámbulo» de la fe, porque lleva a las personas por el camino que conduce al misterio de Dios. La misma razón del hombre, en efecto, lleva inscrita la exigencia de «lo que vale y permanece siempre»[19]. Esta exigencia constituye una invitación permanente, inscrita indeleblemente en el corazón humano, a ponerse en camino para encontrar a Aquel que no buscaríamos si no hubiera ya venido[20]. La fe nos invita y nos abre totalmente a este encuentro.


11. Para acceder a un conocimiento sistemático del contenido de la fe, todos pueden encontrar en el Catecismo de la Iglesia Católica un subsidio precioso e indispensable. Es uno de los frutos más importantes del Concilio Vaticano II. En la Constitución apostólica Fidei depositum, firmada precisamente al cumplirse el trigésimo aniversario de la apertura del Concilio Vaticano II, el beato Juan Pablo II escribía: «Este Catecismo es una contribución importantísima a la obra de renovación de la vida eclesial... Lo declaro como regla segura para la enseñanza de la fe y como instrumento válido y legítimo al servicio de la comunión eclesial»[21].
Precisamente en este horizonte, el Año de la fe deberá expresar un compromiso unánime para redescubrir y estudiar los contenidos fundamentales de la fe, sintetizados sistemática y orgánicamente en el Catecismo de la Iglesia Católica. En efecto, en él se pone de manifiesto la riqueza de la enseñanza que la Iglesia ha recibido, custodiado y ofrecido en sus dos mil años de historia. Desde la Sagrada Escritura a los Padres de la Iglesia, de los Maestros de teología a los Santos de todos los siglos, el Catecismo ofrece una memoria permanente de los diferentes modos en que la Iglesia ha meditado sobre la fe y ha progresado en la doctrina, para dar certeza a los creyentes en su vida de fe.
En su misma estructura, el Catecismo de la Iglesia Católica presenta el desarrollo de la fe hasta abordar los grandes temas de la vida cotidiana. A través de sus páginas se descubre que todo lo que se presenta no es una teoría, sino el encuentro con una Persona que vive en la Iglesia. A la profesión de fe, de hecho, sigue la explicación de la vida sacramental, en la que Cristo está presente y actúa, y continúa la construcción de su Iglesia. Sin la liturgia y los sacramentos, la profesión de fe no tendría eficacia, pues carecería de la gracia que sostiene el testimonio de los cristianos. Del mismo modo, la enseñanza del Catecismo sobre la vida moral adquiere su pleno sentido cuando se pone en relación con la fe, la liturgia y la oración.


12. Así, pues, el Catecismo de la Iglesia Católica podrá ser en este Año un verdadero instrumento de apoyo a la fe, especialmente para quienes se preocupan por la formación de los cristianos, tan importante en nuestro contexto cultural. Para ello, he invitado a la Congregación para la Doctrina de la Fe a que, de acuerdo con los Dicasterios competentes de la Santa Sede, redacte una Nota con la que se ofrezca a la Iglesia y a los creyentes algunas indicaciones para vivir esteAño de la fe de la manera más eficaz y apropiada, ayudándoles a creer y evangelizar.
En efecto, la fe está sometida más que en el pasado a una serie de interrogantes que provienen de un cambio de mentalidad que, sobre todo hoy, reduce el ámbito de las certezas racionales al de los logros científicos y tecnológicos. Pero la Iglesia nunca ha tenido miedo de mostrar cómo entre la fe y la verdadera ciencia no puede haber conflicto alguno, porque ambas, aunque por caminos distintos, tienden a la verdad[22].


13. A lo largo de este Año, será decisivo volver a recorrer la historia de nuestra fe, que contempla el misterio insondable del entrecruzarse de la santidad y el pecado. Mientras lo primero pone de relieve la gran contribución que los hombres y las mujeres han ofrecido para el crecimiento y desarrollo de las comunidades a través del testimonio de su vida, lo segundo debe suscitar en cada uno un sincero y constante acto de conversión, con el fin de experimentar la misericordia del Padre que sale al encuentro de todos.
Durante este tiempo, tendremos la mirada fija en Jesucristo, «que inició y completa nuestra fe» (Hb12, 2): en él encuentra su cumplimiento todo afán y todo anhelo del corazón humano. La alegría del amor, la respuesta al drama del sufrimiento y el dolor, la fuerza del perdón ante la ofensa recibida y la victoria de la vida ante el vacío de la muerte, todo tiene su cumplimiento en el misterio de su Encarnación, de su hacerse hombre, de su compartir con nosotros la debilidad humana para transformarla con el poder de su resurrección. En él, muerto y resucitado por nuestra salvación, se iluminan plenamente los ejemplos de fe que han marcado los últimos dos mil años de nuestra historia de salvación.
Por la fe, María acogió la palabra del Ángel y creyó en el anuncio de que sería la Madre de Dios en la obediencia de su entrega (cf. Lc 1, 38). En la visita a Isabel entonó su canto de alabanza al Omnipotente por las maravillas que hace en quienes se encomiendan a Él (cf. Lc 1, 46-55). Con gozo y temblor dio a luz a su único hijo, manteniendo intacta su virginidad (cf. Lc 2, 6-7). Confiada en su esposo José, llevó a Jesús a Egipto para salvarlo de la persecución de Herodes (cf. Mt 2, 13-15). Con la misma fe siguió al Señor en su predicación y permaneció con él hasta el Calvario (cf. Jn19, 25-27). Con fe, María saboreó los frutos de la resurrección de Jesús y, guardando todos los recuerdos en su corazón (cf. Lc 2, 19.51), los transmitió a los Doce, reunidos con ella en el Cenáculo para recibir el Espíritu Santo (cf. Hch 1, 14; 2, 1-4).
Por la fe, los Apóstoles dejaron todo para seguir al Maestro (cf. Mt 10, 28). Creyeron en las palabras con las que anunciaba el Reino de Dios, que está presente y se realiza en su persona (cf.Lc 11, 20). Vivieron en comunión de vida con Jesús, que los instruía con sus enseñanzas, dejándoles una nueva regla de vida por la que serían reconocidos como sus discípulos después de su muerte (cf. Jn 13, 34-35). Por la fe, fueron por el mundo entero, siguiendo el mandato de llevar el Evangelio a toda criatura (cf. Mc 16, 15) y, sin temor alguno, anunciaron a todos la alegría de la resurrección, de la que fueron testigos fieles.
Por la fe, los discípulos formaron la primera comunidad reunida en torno a la enseñanza de los Apóstoles, la oración y la celebración de la Eucaristía, poniendo en común todos sus bienes para atender las necesidades de los hermanos (cf. Hch 2, 42-47).
Por la fe, los mártires entregaron su vida como testimonio de la verdad del Evangelio, que los había trasformado y hecho capaces de llegar hasta el mayor don del amor con el perdón de sus perseguidores.
Por la fe, hombres y mujeres han consagrado su vida a Cristo, dejando todo para vivir en la sencillez evangélica la obediencia, la pobreza y la castidad, signos concretos de la espera del Señor que no tarda en llegar. Por la fe, muchos cristianos han promovido acciones en favor de la justicia, para hacer concreta la palabra del Señor, que ha venido a proclamar la liberación de los oprimidos y un año de gracia para todos (cf. Lc 4, 18-19).
Por la fe, hombres y mujeres de toda edad, cuyos nombres están escritos en el libro de la vida (cf.Ap 7, 9; 13, 8), han confesado a lo largo de los siglos la belleza de seguir al Señor Jesús allí donde se les llamaba a dar testimonio de su ser cristianos: en la familia, la profesión, la vida pública y el desempeño de los carismas y ministerios que se les confiaban.
También nosotros vivimos por la fe: para el reconocimiento vivo del Señor Jesús, presente en nuestras vidas y en la historia.





14. El Año de la fe será también una buena oportunidad para intensificar el testimonio de la caridad. San Pablo nos recuerda: «Ahora subsisten la fe, la esperanza y la caridad, estas tres. Pero la mayor de ellas es la caridad» (1 Co 13, 13). Con palabras aún más fuertes —que siempre atañen a los cristianos—, el apóstol Santiago dice: «¿De qué le sirve a uno, hermanos míos, decir que tiene fe, si no tiene obras? ¿Podrá acaso salvarlo esa fe? Si un hermano o una hermana andan desnudos y faltos de alimento diario y alguno de vosotros les dice: “Id en paz, abrigaos y saciaos”, pero no les da lo necesario para el cuerpo, ¿de qué sirve? Así es también la fe: si no se tienen obras, está muerta por dentro. Pero alguno dirá: “Tú tienes fe y yo tengo obras, muéstrame esa fe tuya sin las obras, y yo con mis obras te mostraré la fe”» (St 2, 14-18).
La fe sin la caridad no da fruto, y la caridad sin fe sería un sentimiento constantemente a merced de la duda. La fe y el amor se necesitan mutuamente, de modo que una permite a la otra seguir su camino. En efecto, muchos cristianos dedican sus vidas con amor a quien está solo, marginado o excluido, como el primero a quien hay que atender y el más importante que socorrer, porque precisamente en él se refleja el rostro mismo de Cristo. Gracias a la fe podemos reconocer en quienes piden nuestro amor el rostro del Señor resucitado. «Cada vez que lo hicisteis con uno de estos, mis hermanos más pequeños, conmigo lo hicisteis» (Mt 25, 40): estas palabras suyas son una advertencia que no se ha de olvidar, y una invitación perenne a devolver ese amor con el que él cuida de nosotros. Es la fe la que nos permite reconocer a Cristo, y es su mismo amor el que impulsa a socorrerlo cada vez que se hace nuestro prójimo en el camino de la vida. Sostenidos por la fe, miramos con esperanza a nuestro compromiso en el mundo, aguardando «unos cielos nuevos y una tierra nueva en los que habite la justicia» (2 P 3, 13; cf. Ap 21, 1).


15. Llegados sus últimos días, el apóstol Pablo pidió al discípulo Timoteo que «buscara la fe» (cf. 2 Tm 2, 22) con la misma constancia de cuando era niño (cf. 2 Tm 3, 15). Escuchemos esta invitación como dirigida a cada uno de nosotros, para que nadie se vuelva perezoso en la fe. Ella es compañera de vida que nos permite distinguir con ojos siempre nuevos las maravillas que Dios hace por nosotros. Tratando de percibir los signos de los tiempos en la historia actual, nos compromete a cada uno a convertirnos en un signo vivo de la presencia de Cristo resucitado en el mundo. Lo que el mundo necesita hoy de manera especial es el testimonio creíble de los que, iluminados en la mente y el corazón por la Palabra del Señor, son capaces de abrir el corazón y la mente de muchos al deseo de Dios y de la vida verdadera, ésa que no tiene fin.
«Que la Palabra del Señor siga avanzando y sea glorificada» (2 Ts 3, 1): que este Año de la fehaga cada vez más fuerte la relación con Cristo, el Señor, pues sólo en él tenemos la certeza para mirar al futuro y la garantía de un amor auténtico y duradero. Las palabras del apóstol Pedro proyectan un último rayo de luz sobre la fe: «Por ello os alegráis, aunque ahora sea preciso padecer un poco en pruebas diversas; así la autenticidad de vuestra fe, más preciosa que el oro, que, aunque es perecedero, se aquilata a fuego, merecerá premio, gloria y honor en la revelación de Jesucristo; sin haberlo visto lo amáis y, sin contemplarlo todavía, creéis en él y así os alegráis con un gozo inefable y radiante, alcanzando así la meta de vuestra fe; la salvación de vuestras almas» (1 P1, 6-9). La vida de los cristianos conoce la experiencia de la alegría y el sufrimiento. Cuántos santos han experimentado la soledad. Cuántos creyentes son probados también en nuestros días por el silencio de Dios, mientras quisieran escuchar su voz consoladora. Las pruebas de la vida, a la vez que permiten comprender el misterio de la Cruz y participar en los sufrimientos de Cristo (cf.Col 1, 24), son preludio de la alegría y la esperanza a la que conduce la fe: «Cuando soy débil, entonces soy fuerte» (2 Co 12, 10). Nosotros creemos con firme certeza que el Señor Jesús ha vencido el mal y la muerte. Con esta segura confianza nos encomendamos a él: presente entre nosotros, vence el poder del maligno (cf. Lc 11, 20), y la Iglesia, comunidad visible de su misericordia, permanece en él como signo de la reconciliación definitiva con el Padre.
Catecismo para niñosConfiemos a la Madre de Dios, proclamada «bienaventurada porque ha creído» (Lc 1, 45), este tiempo de gracia.
Dado en Roma, junto a San Pedro, el 11 de octubre del año 2011, séptimo de mi Pontificado.


BENEDICTO XVI

“Maria Giglio della Trinità” : Domini Sacrarium, Templum et Complementum Totius Trinitatis!: Padre: la benedizione! Padre, mi benedica!

“Maria Giglio della Trinità” : Domini Sacrarium, Templum et Complementum Totius Trinitatis!: Padre: la benedizione! Padre, mi benedica!: Che cos’è la benedizione di un sacerdote? Solo in Cielo lo capiremo appieno. Qui sulla terra dobbiamo credere nella sua sconfinata potenza ...