venerdì 10 agosto 2012

SCRITTI DI SANTA CHIARA D'ASSISI: Benedizione, Lettere, Regola, e Testamento: " ... Questo scritto, perché sia meglio osservato, io lascio a voi, sorelle mie amatissime e carissime, presenti e future, in segno della benedizione del Signore, del beatissimo padre nostro Francesco e della benedizione della vostra madre e serva."



BENEDIZIONE
1Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Amen.
2II Signore vi benedica e vi custodisca.
3Mostri a voi la sua faccia e vi usi misericordia.
4Rivolga a voi il suo volto e vi doni la sua pace; a voi, sorelle e figlie mie, 5e a tutte coloro che verranno dopo di voi e rimarranno in questa nostra comunità e alle altre tutte, che in tutto l’Ordine persevereranno sino alla fine in questa santa povertà.
6 Io, Chiara, serva di Cristo, pianticella del santo padre nostro Francesco, sorella e madre vostra e delle altre Sorelle Povere, benché indegna, 7prego il Signore nostro Gesù Cristo per la sua misericordia e per l’intercessione della sua santissima madre Maria, del beato arcangelo Michele e di tutti i santi Angeli di Dio, [del beato padre nostro Francesco] e di tutti i santi e le sante di Dio, 8perché lo stesso Padre celeste vi doni e vi confermi questa santissima benedizione in cielo e in terra: 9in terra, moltiplicandovi, con la sua grazia e le sue virtù, fra i suoi servi e le sue serve nella Chiesa militante; 10in cielo, esaltandovi e glorificandovi nella Chiesa trionfante fra i suoi santi e sante.
11Vi benedico in vita mia e dopo la mia morte, come posso e più di quanto posso, con tutte le benedizioni, 12con le quali lo stesso Padre delle misericordie benedisse e benedirà in cielo e in terra i suoi figli e le sue figlie spirituali, 13e con le quali ciascun padre e madre spirituale benedisse e benedirà i suoi figli e le sue figlie spirituali. Amen.
14Siate sempre amanti di Dio e delle anime vostre e di tutte le vostre sorelle, 15e siate sempre sollecite di osservare quanto avete promesso al Signore.
16Il Signore sia sempre con voi, ed Egli faccia che voi siate sempre con Lui. Amen.

LE LETTERE
A SANTA AGNESE DI PRAGA
LETTERA PRIMA
1Alla venerabile e santissima vergine, Donna Agnese, figlia dell’esimio e illustrissimo re di Boemia, 2Chiara, indegna serva di Gesù Cristo ed ancella inutile delle Donne recluse del monastero di San Damiano, sua suddita in tutto e serva, si raccomanda in ogni modo con particolare rispetto, mentre augura di conseguire la gloria della eterna felicità.
3All’udire la stupenda fama della vostra santa vita religiosa, che non a me soltanto è giunta, ma si è sparsa magnificamente su tutta quasi la faccia della terra, sono ripiena di gaudio nel Signore e gioisco; 4e di questo possono rallegrarsi non soltanto io, ma tutti coloro che servono o desiderano servire Gesù Cristo.
5Il motivo è questo: mentre potevate più di ogni altra godere delle fastosità, degli onori e delle dignità mondane, ed anche accedere con una gloria meravigliosa a legittimi sponsali con l’illustre Imperatore, – unione che, del resto, sarebbe stata conveniente alla vostra e sua eccelsa condizione –, 6tutte queste cose voi avete invece respinte, e avete preferito con tutta l’anima e con tutto il trasporto del cuore abbracciare la santissima povertà e le privazioni del corpo, 7per donarvi ad uno Sposo di ancor più nobile origine, al Signore Gesù Cristo, il quale custodirà sempre immacolata e intatta la vostra verginità.
8Il suo amore vi farà casta, le sue carezze più pura, il possesso di Lui vi confermerà vergine. 9Poiché la sua potenza è più forte d’ogni altra, più larga è la sua generosità; la sua bellezza è più seducente, il suo amore più dolce ed ogni suo favore più fine. 10Ormai stretta nell’amplesso di Lui, Egli ha ornato il vostro petto di pietre preziose; alle vostre orecchie ha fissato inestimabili perle; 11e tutta vi ha rivestita di nuove e scintillanti gemme, come a primavera, e vi ha incoronata di un diadema d’oro, inciso col simbolo della santità.
12Perciò, sorella carissima, o meglio signora degna di ogni venerazione, poiché siete sposa, madre e sorella del Signor mio Gesù Cristo, 13insignita dello smagliante stendardo della inviolabile verginità e della santissima povertà, riempitevi di coraggio nel santo servizio che avete iniziato per l’ardente desiderio del Crocifisso povero. 14Lui per tutti noi sostenne il supplizio della croce, strappandoci dal potere del Principe delle tenebre, che ci tratteneva avvinti con catene in conseguenza del peccato del primo uomo, e riconciliandoci con Dio Padre.
15O povertà beata! A chi t’ama e t’abbraccia procuri ricchezze eterne.
16O povertà santa! A quanti ti possiedono e desiderano, Dio promette il regno dei cieli, ed offre in modo infallibile eterna gloria e vita beata.
17O povertà pia! Te il Signore Gesù Cristo, in cui potere erano e sono il cielo e la terra, giacché bastò un cenno della sua parola e tutte le cose furono create, si degnò abbracciare a preferenza di ogni altra cosa. 18Disse egli, infatti: Le volpi hanno le loro tane, gli uccelli del cielo i nidi, ma il Figlio dell’uomo, cioè Cristo, non ha dove posare il capo; e quando lo reclinò sul suo petto, fu per rendere l’ultimo respiro.
19Se, dunque, tale e così grande Signore, scendendo nel seno della Vergine, volle apparire nel mondo come uomo spregevole, bisognoso e povero, 20affinché gli uomini – che erano poverissimi e indigenti, affamati per l’eccessiva penuria del nutrimento celeste –, divenissero in Lui ricchi col possesso dei reami celesti; 21esultate e godete molto, ripiena di enorme gaudio e di spirituale letizia. 22Invero voi, che avete preferito il disprezzo del mondo agli onori, la povertà alle ricchezze temporali, e avete affidato i vostri tesori, piuttosto che alla terra, al cielo, 23ove non li corrode ruggine, non li consuma il tarlo, non li scoprono né rubano i ladri, voi riceverete abbondantissima ricompensa nei cieli, 24e avete meritato degnamente di essere chiamata sorella, sposa e madre del Figlio dell’Altissimo Padre e della glo¬riosa Vergine.
25Certamente voi sapete, – ne sono sicurissima – che il regno dei cieli il Signore lo promette e dona solo ai poveri, perché quando si amano le cose temporali, si perde il frutto della carità; 26e che non è possibile servire a Dio e a Mammona, perché o si ama l’uno e si ha in odio l’altro, o si serve il secondo e si disprezza il primo. 27E l’uomo coperto di vestiti non può pretendere di lottare con uno ignudo, perché è più presto gettato a terra chi offre una presa all’avversario; 28e neppure è possibile ambire la gloria in questo mondo e regnare poi lassù con Cristo; ed è più facile che un cammello passi per una cruna di un ago, che un ricco salga ai reami celesti. 29Perciò voi avete gettato le vesti superflue, cioè le ricchezze terrene, a fine di non soccombere neppure in un punto nella lotta e di poter entrare nel regno dei cieli per la via stretta e la porta angusta.
30È magnifico davvero e degno di ogni lode questo scambio: rifiutare i beni della terra per avere quelli del cielo, meritarsi i celesti invece dei terreni, ricevere il cento per uno e possedere la vita beata per l’eternità.
31Per questo ho ritenuto opportuno supplicare con umili preghiere, nell’amore di Cristo, la vostra maestà e la vostra santità, per quanto io posso, a voler perseverare con coraggio nel suo santo servizio, 32progredendo di bene in meglio, di virtù in virtù, affinché Colui, al quale servite con tutto l’amore, si degni concedervi il desiderato premio.
33Vi scongiuro ancora nel Signore, come posso, di tener presenti nelle santissime vostre preghiere me, vostra serva, sebbene inutile, e con me tutte le altre sorelle di questo monastero, che tanto vi venerano, 34affinché, col soccorso di esse, possiamo meritarci la misericordia di Gesù Cristo e insieme con voi gioire dell’eterna visione.
35State bene nel Signore, e pregate per me.

LETTERA SECONDA
1Alla figlia del Re dei re, alla serva del Signore dei dominanti, alla sposa degnissima di Gesù Cristo e perciò regina nobilissima Donna Agnese, 2Chiara, ancella inutile e indegna delle Donne Povere, invia il suo saluto e l’augurio di vivere sempre in perfetta povertà.
3Rendo grazie all’Autore della grazia, dal quale, come crediamo, viene ogni bene sommo ed ogni dono perfetto, perché ti ha adornata di tanti riconoscimenti di virtù e ti ha illustrata con segni di così alte perfezioni, 4che, fatta diligente imitatrice del Padre, in cui è ogni perfezione, meriti di divenire a tua volta perfetta, talmente che i suoi occhi non trovino in te nessun segno di imperfezione.
5E questa è la perfezione, per la quale il Re stesso ti unirà a sé nell’etereo talamo, dove siede glorioso su un trono di stelle, 6che tu, stimando cosa vile la grandezza di un regno terreno e sdegnando l’offerta di un connubio imperiale, 7per amore della santissima povertà, in spirito di profonda umiltà e di ardentissima carità, ricalchi con assoluta fedeltà le orme di Colui del quale hai meritato d’essere sposa.
8Ma ti so ricca d’ogni virtù, e perciò rinuncio ad un lungo discorso e non voglio aggravarti di troppe parole, 9anche se tu non troveresti nulla di superfluo in quelle parole che potrebbero arrecarti qualche consolazione. 10E giacché una sola è la cosa necessaria, di essa soltanto ti scongiuro e ti avviso per amore di Colui, al quale ti sei offerta come vittima santa e gradita. 11Memore del tuo proposito, come un’altra Rachele, tieni sempre davanti agli occhi il punto di partenza. I risultati raggiunti, conservali; ciò che fai, fallo bene; non arrestarti; 12ma anzi, con corso veloce e passo leggero, con piede sicuro, che neppure alla polvere permette di ritardarne l’andare, 13avanza confidente e lieta nella via della beatitudine che ti sei assicurata. 14E non credere, e non lasciarti sedurre da nessuno che tentasse sviarti da questo proposito o metterti degli ostacoli su questa via, per impedirti di riportare all’Altissimo le tue promesse con quella perfezione alla quale ti invitò lo Spirito del Signore.
15Riguardo a questo, perché tu possa percorrere più sicura la strada dei divini mandati, attieniti ai consigli del venerabile padre nostro frate Elia, ministro generale, 16ed anteponili ai consigli di qualsiasi altro e ritienili più preziosi per te di qualsiasi dono. 17E se qualcuno ti dice o ti suggerisce altre iniziative, che impediscano la via di perfezione che hai abbracciata o che ti sembrino contrarie alla divina vocazione, pur portandoti con tutto il rispetto, non seguire però il consiglio di lui, 18ma attaccati, vergine poverella, a Cristo povero.
19Vedi che Egli per te si è fatto oggetto di disprezzo, e segui il suo esempio rendendoti, per amor suo, spregevole in questo mondo. 20Mira, o nobilissima regina, lo Sposo tuo, il più bello tra i figli degli uomini, divenuto per la tua salvezza il più vile degli uomini, disprezzato, percosso e in tutto il corpo ripetutamente flagellato, e morente perfino tra i più struggenti dolori sulla croce. Medita e contempla e brama di imitarlo.
21Se con Lui soffrirai, con Lui regnerai; se con Lui piangerai, con Lui godrai; se in compagnia di Lui morirai sulla croce della tribolazione, possederai con Lui le celesti dimore nello splendore dei santi, 22e il tuo nome sarà scritto nel Libro della vita e diverrà famoso tra gli uomini. 23Perciò possederai per tutta l’eternità e per tutti i secoli la gloria del regno celeste, in luogo degli onori terreni così caduchi; parteciperai dei beni eterni, invece che dei beni perituri, e vivrai per tutti i secoli.
24Addio sorella e, a causa del Signore tuo Sposo, signora carissima. 25Abbi a cuore di raccomandare al Signore nelle tue devote orazioni me, assieme alle mie sorelle, che tutte godiamo per i beni che il Signore opera in te con la sua grazia. E raccomandaci con insistenza anche alle preghiere delle tue sorelle.
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LETTERA TERZA
1Alla signora in Cristo veneratissima e sorella degna d’amore più di tutte le creature mortali, Agnese, germana dell’illustre Re di Boemia, ma ora soprattutto sorella e sposa del sommo Re dei cieli, 2Chiara, umilissima e indegna ancella di Cristo e serva delle Donne Povere, augura salutare gaudio nell’Autore della salvezza e quanto di meglio essa possa desiderare.
3Le liete notizie del tuo benessere, del tuo stato felice e dei tuoi prosperi progressi nella corsa che hai intrapresa per la conquista del celeste palio, mi riempiono di tanta gioia; 4e tanto più respiro di esultanza nel Signore, perché so e ritengo che tu supplisci magnificamente alle imperfezioni che sono in me e nelle altre sorelle nella nostra imitazione degli esempi di Gesù Cristo povero ed umile.
5Davvero posso rallegrarmi, e nessuno potrebbe strapparmi da questa gioia, 6poiché ho raggiunto quello che ho desiderato sotto il cielo, dal momento che vedo te trionfare in una maniera, direi, terribile e incredibile, sostenuta da una prerogativa meravigliosa della sapienza che procede da Dio medesimo, sulle astuzie dello scaltro serpente, sulla superbia, che è rovina dell’umana natura, e sulla vanità, che rende fatui i cuori degli uomini. 7E ti ammiro ancora stringere a te, mediante l’umiltà, con la forza della fede e le braccia della povertà, il tesoro incomparabile, nascosto nel campo del mondo e dei cuori umani, col quale si compra Colui che dal nulla trasse tutte le cose; e, per avvalermi delle parole medesime dell’Apostolo, ti stimo collaboratrice di Dio stesso e sostegno delle membra deboli e vacillanti del suo ineffabile Corpo.
9Chi potrebbe, dunque, impedirmi di rallegrarmi per sì mirabili motivi di gaudio?
10Gioisci, perciò, anche tu nel Signore sempre, o carissima. 11Non permettere che nessun’ombra di mestizia avvolga il tuo cuore, o signora in Cristo dilettissima, gioia degli Angeli e corona delle tue sorelle.
12 Colloca i tuoi occhi davanti allo specchio dell’eternità, colloca la tua anima nello splendore della gloria, 13colloca il tuo cuore in Colui che è figura della divina sostanza, e trasformati interamente, per mezzo della contemplazione, nella immagine della divinità di Lui. 14Allora anche tu proverai ciò che è riservato ai soli suoi amici, e gusterai la segreta dolcezza che Dio medesimo ha riservato fin dall’inizio per coloro che lo amano. 15Senza concedere neppure uno sguardo alle seduzioni, che in questo mondo fallace ed irrequieto tendono lacci ai ciechi che vi attaccano il loro cuore, con tutta te stessa ama Colui che per amor tuo tutto si è donato.
16La sua bellezza ammirano il sole e la luna; i suoi premi sono di pregio e grandezza infiniti. 17Voglio dire quel Figlio dell’Altissimo, che la Vergine ha partorito, senza cessare di essere vergine. 18Stringiti alla sua dolcissima Madre, la quale generò un Figlio tale che i cieli non potevano contenere, 19eppure ella lo raccolse nel piccolo chiostro del suo santo seno e lo portò nel suo grembo verginale.
20Chi non sdegnerebbe con orrore le insidie del nemico dell’umano genere, che facendo brillare innanzi agli occhi il luccicore delle cose transitorie e delle glorie fallaci, tenta annientare ciò che è più grande del cielo?
21Sì, perché è ormai chiaro che l’anima dell’uomo fedele, che è la più degna di tutte le creature, è resa dalla grazia di Dio più grande del cielo. 22Mentre, infatti, i cieli con tutte le altre cose create non possono contenere il Creatore, l’anima fedele invece, ed essa sola, è sua dimora e soggiorno, e ciò soltanto a motivo della carità, di cui gli empi sono privi. 23È la stessa Verità che lo afferma: Colui che mi ama, sarà amato dal Padre mio, e io pure lo amerò; e noi verremo a lui e porremo in lui la nostra dimora.
24A qual modo, dunque, che la gloriosa Vergine delle vergini portò Cristo materialmente nel suo grembo, 25tu pure, seguendo le sue vestigia, specialmente dell’umiltà e povertà di lui, puoi sempre, senza alcun dubbio, portarlo spiritualmente nel tuo corpo casto e verginale. 26E conterrai in te Colui dal quale tu e tutte le creature sono contenute, e possederai ciò che è bene più duraturo e definitivo anche a paragone di tutti gli altri possessi transeunti di questo mondo.
27Come si ingannano, molte volte, al riguardo, re e regine di questo mondo! 28Quand’anche elevassero la loro superbia fino al cielo e toccassero quasi col capo le nubi, alla fine saranno dissolti nel nulla, come spazzatura.
29Passando ora al quesito che mi hai sottoposto, credo di poterti rispondere così. 30Tu mi domandi quali feste il gloriosissimo padre nostro san Francesco ci raccomandò di celebrare con particolare solennità, pensando, se ben ho capito, che si possa in esse usare una certa maggior larghezza nella varietà dei cibi. 31Nella tua prudenza certamente saprai che, salvo le deboli e le inferme, – verso le quali ci insegnò e ci comandò di usare ogni discrezione con qualsiasi genere di cibi –, 32nessuna di noi, che sia sana e robusta, dovrebbe prendere se non cibi quaresimali, tanto nei giorni feriali che nei festivi, digiunando ogni giorno 33ad eccezione delle domeniche e del Natale del Signore, nei quali giorni possiamo prendere il cibo due volte. 34Ed anche nei giovedì, dei periodi non di digiuno, ciascuna può fare come le piace, cioè chi non volesse digiunare non vi è tenuta.
35Ma noi, che siamo in buona salute, digiuniamo tutti i giorni, eccetto le domeniche e il Natale. 36Non siamo però tenute al digiuno – così ci ha insegnato il beato Francesco in un suo scritto –, durante tutto il tempo pasquale e nelle feste della Madonna e dei santi Apostoli, a meno che cadessero il venerdì. 37Ma, come ho detto sopra, noi che siamo sane e robuste, consumiamo sempre cibi quaresimali.
38Siccome però, non abbiamo un corpo di bronzo, né la nostra è la robustezza del granito, 39anzi siamo piuttosto fragili e inclini ad ogni debolezza corporale, 40ti prego e ti supplico nel Signore, o carissima, di moderarti con saggia discrezione nell’austerità, quasi esagerata e impossibile, nella quale ho saputo che ti sei avviata, 41affinché, vivendo, la tua vita sia lode del Signore, e tu renda al Signore, un culto spirituale ed il tuo sacrificio sia sempre condito col sale della prudenza.
42Ti auguro di stare sempre bene nel Signore, con la premura con la quale lo potrei augurare a me stessa. Raccomanda me e le mie sorelle nelle tue sante orazioni.

LETTERA QUARTA
1A colei che è la metà dell’anima sua e santuario di un singolare e cordialissimo amore, all’illustre regina, sposa dell’Agnello e Re eterno, a Donna Agnese, madre sua carissima e figlia tra le altre la più amata, 2Chiara, serva indegna di Cristo ed ancella inutile delle serve del Signore dimoranti nel monastero di San Damiano in Assisi, invia il suo saluto 3e l’augurio di poter sciogliere un cantico nuovo, in compagnia delle altre santissime vergini, davanti al trono di Dio e dell’Agnello e di accompagnare l’Agnello ovunque vada.
4O madre e figlia, sposa del Re di tutti i secoli, non stupirti se non ti ho scritto di frequente come l’anima tua e la mia parimenti desiderano e bramano, 5e non credere assolutamente che l’incendio dell’amore verso di te sia divenuto meno ardente e dolce nel cuore della tua madre. 6Il solo ostacolo alla nostra corrispondenza è stato la scarsità dei messaggeri e l’insicurezza delle strade.
7Ma oggi, che si presenta l’occasione di scrivere alla tua carità, ecco mi rallegro con te e con te gioisco nel gaudio dello Spirito, o sposa di Cristo, 8poiché, come quell’altra santissima vergine Agnese, tu, slacciandoti da tutte le ricchezze e vanità del mondo, ti sei meravigliosamente unita in sposa all’Agnello immacolato, che toglie i peccati del mondo.
9Te veramente felice! Ti è concesso di godere di questo sacro convito, per poter aderire con tutte le fibre del tuo cuore a Colui, 10la cui bellezza è l’ammirazione instancabile delle beate schiere del cielo. 11L’amore di lui rende felici, la contemplazione ristora, la benignità ricolma. 12La soavità di lui pervade tutta l’anima, il ricordo brilla dolce nella memoria. 13Al suo profumo i morti risorgono e la gloriosa visione di lui formerà la felicità dei cittadini della Gerusalemme celeste.
14E poiché questa visione di lui è splendore dell’eterna gloria, chiarore della luce perenne e specchio senza macchia, 15ogni giorno porta l’anima tua, o regina, sposa di Gesù Cristo, in questo specchio e scruta in esso continuamente il tuo volto, 16perché tu possa così adornarti tutta all’interno e all’esterno, vestita e circondata di varietà, 17e sii adorna dei variopinti fiori di tutte le virtù e ancora di vesti splendenti, quali convengono alla figlia e sposa del sommo Re.
18In questo specchio poi rifulgono la beata povertà, la santa umiltà e l’ineffabile carità; e questo tu potrai contemplare, con la grazia di Dio, diffuso su tutta la superficie dello specchio.
19Mira, in alto, la povertà di Colui che fu deposto nel presepe avvolto in poveri pannicelli. 20O mirabile umiltà e povertà che dà stupore! 21Il Re degli angeli, il Signore del cielo e della terra, è adagiato in una mangiatoia!
22Vedi poi, al centro dello specchio, la santa umiltà, e insieme ancora la beata povertà, le fatiche e pene senza numero ch’Egli sostenne per la redenzione del genere umano.
23E, in basso, contempla l’ineffabile carità per la quale volle patire sul legno della croce e su di essa morire della morte più infamante. 24Perciò è lo stesso specchio che, dall’alto del legno della croce, rivolge ai passanti la sua voce perché si fermino a meditare: 25O voi tutti, che sulla strada passate, fermatevi a vedere se esiste un dolore simile al mio; 26e rispondiamo, dico a Lui che chiama e geme, ad una voce e con un solo cuore: Non mi abbandonerà mai il ricordo di te e si struggerà in me l’anima mia.
27Lasciati, dunque, o regina sposa del celeste Re, bruciare sempre più fortemente da questo ardore di carità!
28Contempla ancora le indicibili sue delizie, le ricchezze e gli onori eterni, 29e grida con tutto l’ardore del tuo desiderio e del tuo amore: 30Attirami a te, o celeste Sposo! Dietro a te correremo attratti dalla dolcezza del tuo profumo.
31Correrò, senza stancarmi mai, finché tu mi introduca nella tua cella inebriante. 32Allora la tua sinistra passi sotto il mio capo e la tua destra mi abbracci deliziosamente e tu mi bacerai col felicissimo bacio della tua bocca.
33Stando in questa contemplazione, abbi memoria della tua madre poverella, 34ben sapendo ch’io porto il tuo caro ricordo inseparabilmente impresso nel profondo del mio cuore, perché tu sei per me la più cara tra tutte.
35Che cosa potrei ancora dirti? E meglio che la parola umana rinunci qui ad esprimerti il mio affetto per te; solo l’anima, nel suo linguaggio silenzioso, riuscirebbe a fartelo sentire. 36E poiché, o figlia benedetta, la mia lingua è del tutto impotente ad esprimerti meglio l’amore che ti porto; queste poche cose che ti ho scritto in modo così imperfetto, quasi dimezzando il pensiero, sono tutto quanto ho potuto dirti.
37Ti prego però, che tu voglia ugualmente accogliere queste mie parole con benevolenza e devozione, ascoltando in esse soprattutto l’affetto materno di cui sono ripiena, in ardore di carità verso di te e delle tue figlie ogni giorno; e ad esse raccomanda assai in Cristo me e le mie figlie. 38Queste stesse mie figlie poi, in particolare la vergine prudentissima Agnese, sorella nostra, si raccomandano vivamente nel Signore a te e alle tue figlie.
39Addio, figlia mia carissima, a te e alle tue figlie, fino al trono di gloria del gran Re, e pregate per noi.
40Con tutta la premura e l’amore che posso raccomando finalmente alla tua carità i latori della presente lettera, i nostri carissimi frate Amato, caro a Dio e agli uomini, e frate Bonagura. Amen.

LETTERA
A ERMENTRUDE DI BRUGES
1A Ermentrude, sorella carissima, Chiara d’Assisi, umile ancella di Gesù Cristo, augura salute e pace.
2Ho appreso, sorella carissima, che, con l’aiuto della grazia del Signore, sei fuggita dal fango di questo mondo; 3ne provo grande allegrezza e mi congratulo con te; e ancor più grande è la mia gioia perché so che tu e le tue figlie con coraggio camminate nella via della virtù. 4Rimani, dunque, o carissima, fedele fino alla morte a Colui, al quale ti sei legata per sempre. E certamente sarai da Lui coronata con la corona della vita. 5Il tempo della fatica quaggiù è breve, ma la ricompensa è eterna. Non ti abbaglino gli splendori del mondo, che passa come ombra. 6Non ti sorprendano le vuote immagini di questo mondo ingannatore; chiudi le tue orecchie ai sibili dell’inferno e spezza da forte le sue tentazioni. 7Sostieni di buona voglia le avversità, e la superbia non rigonfi il tuo cuore nelle cose prospere; queste ti richiamano alla tua fede, quelle la richiedono.
8Rendi fedelmente a Dio quello che hai promesso con voto, ed Egli ti darà la ricompensa. 9Alza i tuoi occhi al cielo, o carissima, poiché è un invito per noi, e prendi la croce e segui Cristo che ci precede. 10Poiché dopo molte e varie tribolazioni, è Lui che ci introdurrà nella sua gloria. 11Ama con tutto il cuore Dio, e Gesù, suo Figlio crocifisso per noi peccatori, e non cada mai dalla tua mente il ricordo di Lui. 12Medita senza stancarti il mistero della croce e i dolori della Madre ritta ai piedi della croce.
13Sii sempre attenta e vigile nella preghiera. 14Porta alla sua consumazione il bene che hai incominciato, e adempi il mistero che hai abbracciato in santa povertà e in umiltà sincera.
15Non temere, o figlia: Dio, che è fedele in tutta le sua promesse e santo nelle sue opere, effonderà su di te e su tutte le tue figlie la sua benedizione copiosa. 16Egli sarà il vostro aiuto, il vostro insuperabile conforto, come è il nostro Redentore e la nostra eterna ricompensa.
17Preghiamo Dio l’una per l’altra, e così, portando il giogo della carità vicendevole, con facilità adempiremo la legge di Cristo. Amen.



REGOLA
BOLLA DI PAPA INNOCENZO IV

1Innocenzo vescovo, servo dei servi di Dio. 2Alle dilette figlie in Cristo Chiara abbadessa e alle altre sorelle del monastero di San Damiano d’Assisi, salute e apostolica benedizione.
3La Sede Apostolica suole acconsentire ai pii voti e benevolmente favorire gli onesti desideri di coloro che chiedono. 4Ora, da parte vostra ci è stato umilmente richiesto che ci prendessimo cura di confermare con la nostra autorità apostolica 5la forma di vita, secondo la quale dovete vivere comunitariamente in unità di spiriti e con voto di altissima povertà, 6che vi fu data dal beato Francesco e fu da voi spontaneamente accettata, 7quella che il venerabile nostro fratello vescovo di Ostia e Velletri ritenne bene che fosse approvata, come è ampiamente contenuto nella lettera scritta a proposito dallo stesso vescovo.
8Noi pertanto, ben disposti ad accogliere la vostra supplica, ratificando di buon grado quanto sopra ciò è stato fatto dal medesimo vescovo, lo confermiamo col potere apostolico e l’avvaloriamo con l’autorità del presente scritto, 9nel quale facciamo inserire parola per parola il testo della stessa lettera, che è questo:
10Rinaldo, per misericordia di Dio vescovo di Ostia e Velletri, alla sua carissima in Cristo madre e figlia Donna Chiara, abbadessa di San Damiano in Assisi, 11e alle sorelle di lei, presenti e future, salute e paterna benedizione.
12Poiché voi, figlie dilette in Cristo, avete disprezzato le vanità e i piaceri del mondo 13e seguendo le orme dello stesso Cristo e della sua santissima Madre, avete scelto di abitare rinchiuse e di dedicarvi al Signore in povertà somma per potere con animo libero servire a Lui, 14noi, encomiando nel Signore il vostro santo proposito, di buon grado vogliamo con affetto paterno accordare benevolo favore ai vostri voti e ai vostri santi desideri.
15Per questo, accondiscendendo alle vostre pie suppliche, con l’autorità del signor Papa e nostra, confermiamo in perpetuo per voi tutte e per quelle che vi succederanno nel vostro monastero e con l’appoggio della presente lettera avvaloriamo 16la forma di vita e il modo di santa unità e di altissima povertà, che il beato padre vostro Francesco vi consegnò a voce e in scritto da osservare e che è qui riprodotta. 17Ed è questa:
1.
NEL NOME DEL SIGNORE
INCOMINCIA LA FORMA DI VITA
DELLE SORELLE POVERE
1La Forma di vita dell’Ordine delle Sorelle Povere, istituita dal beato Francesco, è questa:
2Osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità.
3Chiara, indegna serva di Cristo e pianticella del beatissimo padre Francesco, promette obbedienza e riverenza al signor papa Innocenzo e ai suoi successori, canonicamente eletti e alla Chiesa Romana.
4E, come al principio della sua conversione, insieme alle sue sorelle, promise obbedienza al beato Francesco, cosi promette di mantenerla inviolabilmente ai suoi successori.
5Le altre sorelle siano tenute ad obbedire sempre ai successori del beato Francesco e a sorella Chiara e alle altre abbadesse, che le succederanno mediante elezione canonica.
2.
DI COLORO CHE VOGLIONO ABBRACCIARE QUESTA VITA
E COME DEVONO ESSERE RICEVUTE
1Quando qualcuna, per divina ispirazione, verrà a noi con la determinazione di abbracciare questa vita, l’abbadessa sia tenuta a chiedere il consenso di tutte le sorelle, 2e se la maggioranza acconsentirà, la possa accettare, dopo aver ottenuto licenza dal signor cardinale nostro protettore.
3Se le sembra idonea ad essere accettata, la esamini con diligenza, o la faccia esaminare intorno alla fede cattolica e ai sacramenti della Chiesa.
4E se crede tutte queste cose, ed è risoluta a confessarle fedelmente e ad osservarle con fermezza sino alla fine; 5e non ha marito, o se l’ha, ha già abbracciato la vita religiosa con l’autorità del vescovo diocesano ed ha già fatto voto di continenza; 6e se, inoltre, non è impedita dall’osservare questa vita da età avanzata o da qualche infermità o deficienza mentale, 7le si esponga diligentemente il tenore della nostra vita.
8E se sarà idonea, le si dica la parola del santo Vangelo: che vada e venda tutte le sue sostanze e procuri di distribuirle ai poveri. 9Se ciò non potesse fare, basta ad essa la buona volontà.
10Si guardino però l’abbadessa e le sue sorelle dal preoccuparsi per le cose temporali di lei, affinché ne disponga liberamente, come le verrà ispirato dal Signore. 11Se tuttavia domandasse consiglio, la indirizzino a persone prudenti e timorate di Dio, col consiglio delle quali vengano distribuiti i suoi beni.
12Poi, tosati i capelli in tondo e deposto l’abito secolare, le conceda tre tonache e il mantello. 13Da quel momento non le è più lecito uscire fuori di monastero, senza un utile, ragionevole, manifesto e approvato motivo.
14Finito poi l’anno della prova, sia ricevuta all’obbedienza, promettendo d’osservare sempre la vita e la forma della nostra povertà.
15Non si conceda a nessuna il velo durante il tempo della prova. 16Le sorelle possono avere anche le mantellette per comodità e convenienza del servizio e del lavoro. 17L’abbadessa poi le provveda di vestimenti con discrezione, secondo la qualità delle persone, i luoghi e i tempi e i paesi freddi, conforme vedrà essere richiesto dalla necessità.
18Le giovanette, accolte in monastero prima della legittima età, siano tosate in tondo 19e, deposto l’abito secolare, indossino un abito da religiosa, come parrà all’abbadessa. 20Raggiunta poi l’età legittima, vestite alla maniera delle altre, facciano la loro professione.
21Ad esse, come alle altre novizie, l’abbadessa assegni con sollecitudine una maestra tra le più assennate del monastero, 22la quale le istruisca con cura intorno al modo di vivere santamente da religiose e alle oneste costumanze secondo la forma della nostra professione. 23Le medesime norme si osservino nell’esame e nell’accettazione delle sorelle che presteranno il loro servizio fuori del monastero; esse però potranno usare calzature.
24Non si ammetta nessuna a dimorare con noi in monastero se non sia stata ricevuta secondo la forma della nostra professione.
25E per amore del santissimo Bambino, ravvolto in poveri pannicelli e adagiato nel presepio, e della sua santissima Madre, ammonisco, prego caldamente ed esorto le mie sorelle a vestire sempre indumenti vili.

3.
DELL’UFFICIO DIVINO E DEL DIGIUNO.
DELLA CONFESSIONE E COMUNIONE
1Le sorelle che sanno leggere celebrino l’ufficio divino secondo la consuetudine dei frati minori, e perciò potranno avere i breviari, leggendo senza canto. 2Se qualcuna, per un motivo ragionevole, a volte non potesse recitare leggendo le sue Ore, le sia lecito dire i Pater noster, come le altre sorelle.
3Quelle invece che non sanno leggere, dicano venti¬quattro Pater noster per il Mattutino, cinque per le Lodi; 4per prima, terza, sesta e nona, per ciascuna di queste Ore, sette; per il Vespro dodici; per Compieta sette. 5Inoltre dicano ancora per i defunti sette Pater noster con il Requiem per il Vespro e dodici per il Mattutino, 6quando le sorelle che sanno leggere sono tenute a recitare l’Ufficio dei morti. 7Alla morte poi di una sorella del nostro monastero, dicano cinquanta Pater noster.
8Le Sorelle digiunino in ogni tempo. 9Ma nel Natale del Signore, in qualunque giorno cada, possano rifocillarsi due volte. 10Con le giovanette, le deboli e le sorelle che servono fuori del monastero, si dispensi misericordiosamente, come parrà all’abbadessa. 11Ma in tempo di manifesta necessità, le sorelle non siano tenute al digiuno corporale.
12Si confessino almeno dodici volte l’anno, con licenza dell’abbadessa. 13E devono guardarsi allora dal frammischiare altri discorsi che non facciano al caso della confessione e della salute dell’anima.
14Si comunichino sette volte l’anno, cioè: nel Natale del Signore, nel Giovedì santo, nella Resurrezione del Signore, nella Pentecoste, nell’Assunzione della beata Vergine, nella festa di san Francesco e nella festa d’Ognissanti.
15Per comunicare le sorelle, sia sane che inferme, è lecito al cappellano celebrare all’interno.

4.
DELLA ELEZIONE E DELL’UFFICIO DI ABBADESSA.
DEL CAPITOLO,
DELLE RESPONSABILI DEGLI UFFICI
E DELLE DISCRETE
1Nella elezione dell’abbadessa le sorelle siano tenute ad osservare la forma canonica.
2Esse poi procurino con sollecitudine di avere il ministro generale o provinciale dell’Ordine dei frati minori, 3il quale mediante la parola di Dio le disponga alla perfetta concordia e alla utilità comune nella elezione da farsi.
4E non si elegga se non una professa. 5E se fosse eletta una non professa o venisse data in altro modo, non le si presti obbedienza se prima non avrà fatta la professione della forma della nostra povertà. 6Alla sua morte, si faccia l’elezione di un’altra abbadessa.
7E se talora sembrasse alla generalità delle sorelle che la predetta non fosse idonea al servizio e alla comune utilità di esse, 8le dette sorelle siano tenute ad eleggerne, quanto prima possono e nel modo sopraddetto, un’altra per loro abbadessa e madre.
9L’eletta poi consideri qual carico ha accettato sopra di sé e a Chi deve rendere conto del gregge affidatole. 10Si studi anche di presiedere alle altre più per virtù e santità di vita che per ufficio, affinché le sorelle, provocate dal suo esempio, le obbediscano più per amore che per timore.
11Si guardi dalle amicizie particolari, affinché non avvenga che, amando alcune più delle altre, rechi scandalo a tutte.
12Consoli le afflitte. Sia ancora l’ultimo rifugio delle tribolate perché, se mancassero presso di lei i rimedi di salute, non abbia a prevalere nelle inferme il morbo della disperazione.
13Conservi la vita comune in tutto, ma specialmente in chiesa, in dormitorio, in refettorio, nell’infermeria e nelle vesti. 14E ciò è tenuta a fare allo stesso modo anche la sua vicaria.
15L’abbadessa sia tenuta a convocare a Capitolo le sue sorelle, almeno una volta la settimana. 16Ivi, tanto lei quanto le sorelle debbano accusarsi umilmente delle comuni e pubbliche mancanze e negligenze. 17Ivi ancora discuta con le sue sorelle circa le cose da fare per l’utilità e il bene del monastero. 18Spesso infatti il Signore manifesta ciò che è meglio al più piccolo.
19Non si contragga alcun debito grave, se non di comune consenso delle sorelle e per manifesta necessità, e questo per mezzo del procuratore. 20Si guardi poi l’abbadessa con le sue sorelle dal ricevere alcun deposito in monastero, 21poiché da ciò nascono spesso disturbi e scandali.
22Allo scopo di conservare l’unità della scambievole carità e della pace, tutte le responsabili dell’ufficio del monastero vengano elette di comune consenso di tutte le sorelle. 23E nello stesso modo si eleggano almeno otto sorelle delle più assennate, del consiglio delle quali l’abbadessa è obbligata a servirsi in ciò che è richiesto dalla forma della nostra vita.
24Se qualche volta sembrasse utile e conveniente, le sorelle possano anche e debbano rimuovere le responsabili e le discrete ed eleggerne altre al loro posto.
5.
DEL SILENZIO, DEL PARLATORIO E DELLA GRATA
1Le sorelle osservino il silenzio dall’ora di compieta fino a terza, eccettuate le sorelle che prestano servizio fuori del monastero. 2Osservino ancora silenzio continuo in chiesa, in dormitorio e in refettorio soltanto quando mangiano. 3Si eccettua l’infermeria, dove, per sollievo e servizio delle ammalate, sarà sempre permesso alle sorelle di parlare con moderazione. 4Possano tuttavia, sempre e ovunque, comunicare quanto è necessario, ma con brevità e sottovoce.
5Non sia lecito alle sorelle accedere al parlatorio o alla grata, senza licenza dell’abbadessa o della sua vicaria; 6e quelle che ne hanno licenza, non ardiscano parlare nel parlatorio, se non alla presenza e ascoltate da due sorelle.
7Non presumano poi di recarsi alla grata, se non siano presenti, assegnate dall’abbadessa o dalla vicaria, almeno tre di quelle otto discrete che furono elette da tutte le sorelle come Consiglio dell’abbadessa. 8Questa forma nel parlare siano tenute ad osservarla per conto proprio anche l’abbadessa e la sua vicaria. 9E quanto si è detto per la grata avvenga molto di rado; alla porta poi non si faccia in nessun modo. 10A detta grata sia applicata dalla parte interna un panno, che non sia tolto se non quando si predica la divina parola o alcuna parli a qualcuno. 11Abbia inoltre una porta di legno, ben difesa da due differenti serrature in ferro, da imposte e chiavistelli, 12affinché, specialmente di notte, sia chiusa con due chiavi, una delle quali la tenga l’abbadessa e l’altra la sacrestana; 13e rimanga sempre chiusa, fuorché quando si ascolta il divino ufficio e per i motivi sopra esposti. 14Non è lecito assolutamente a nessuna parlare ad alcuno alla grata prima della levata del sole o dopo il tramonto.
15Al parlatorio poi, vi sia sempre, dalla parte interna, un panno che non deve essere rimosso per nessun motivo. 16Durante la quaresima di san Martino e la quaresima maggiore nessuna parli al parlatorio, 17se non al sacerdote per motivo di confessione o di altra manifesta necessità. Ciò è riservato alla prudenza dell’abbadessa o della sua vicaria.
6.
LE PROMESSE DEL BEATO FRANCESCO
E DEL NON AVERE POSSEDIMENTI
1Dopo che l’altissimo Padre celeste si degnò illuminare l’anima mia mediante la sua grazia perché, seguendo l’esempio e gli insegnamenti del beatissimo padre nostro Francesco, io facessi penitenza, poco tempo dopo la conversione di lui, liberamente, insieme con le mie sorelle, gli promisi obbedienza.
2Il beato padre, poi, considerando che noi non temevamo nessuna povertà, fatica, tribolazione, umiliazione e disprezzo del mondo, che anzi l’avevamo in conto di grande delizia, mosso da paterno affetto, scrisse per noi la forma di vita in questo modo: 3«Poiché per divina ispirazione vi siete fatte figlie e ancelle dell’altissimo sommo Re, il Padre celeste, e vi siete sposate allo Spirito Santo, scegliendo di vivere secondo la perfezione del santo Vangelo, 4voglio e prometto, da parte mia e dei miei frati, di avere sempre di voi, come di loro, attenta cura e sollecitudine speciale».
5*Ciò che egli con tutta fedeltà ha adempiuto finché visse, e volle che dai frati fosse sempre adempito.
6E affinché non ci allontanassimo mai dalla santissima povertà che abbracciammo, e neppure quelle che sarebbero venute dopo di noi, poco prima della sua morte di nuovo scrisse per noi la sua ultima volontà con queste parole: 7«Io frate Francesco piccolino, voglio seguire la vita e la povertà dell’altissimo Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre, e perseverare in essa sino alla fine. 8E prego voi, mie signore e vi consiglio che viviate sempre in questa santissima vita e povertà. 9E guardatevi molto bene dall’allontanarvi mai da essa in nessuna maniera per l’insegnamento o il consiglio di alcuno».
10E come io, insieme con le mie sorelle, sono stata sempre sollecita di mantenere la santa povertà che abbiamo promesso al Signore Iddio e al beato Francesco, 11così le abbadesse che mi succederanno nell’ufficio e tutte le sorelle siano tenute ad osservarla inviolabilmente fino alla fine: 12a non accettare, cioè, né avere possedimenti o proprietà né da sé, né per mezzo di interposta persona, 13e neppure cosa alcuna che possa con ragione essere chiamata proprietà, 14se non quel tanto di terra richiesto dalla necessità, per la convenienza e l’isolamento del monastero; 15ma quella terra sia coltivata solo a orto per il loro sostentamento.
7.
DEL MODO DI LAVORARE
1Le sorelle alle quali il Signore ha dato la grazia di lavorare, lavorino, dopo l’ora di terza, applicandosi a lavori decorosi e di comune utilità, con fedeltà e devozione, 2in modo tale che, bandito l’ozio, nemico dell’anima, non estinguano lo spirito della santa orazione e devozione, al quale tutte le altre cose temporali devono servire.
3E l’abbadessa o la sua vicaria sia tenuta ad assegnare in capitolo, davanti a tutte, il lavoro che ciascuna dovrà svolgere con le proprie mani. 4Ci si comporti allo stesso modo quando qualche persona mandasse delle elemosine, affinché si preghi in comune per lei.
5E tutte queste cose vengano distribuite dall’abbadessa o dalla sua vicaria col consiglio delle discrete a comune utilità.
8.
CHE LE SORELLE NON SI APPROPRINO DI NULLA.
DEL CHIEDERE L’ELEMOSINA
E DELLE SORELLE AMMALATE
1Le sorelle non si approprino di nulla, né della casa, né del luogo, né d’alcuna cosa, 2e come pellegrine e forestiere in questo mondo, servendo al Signore in povertà e umiltà, con fiducia mandino per la elemosina. 3E non devono vergognarsi, poiché il Signore si fece per noi povero in questo mondo. 4È questo quel vertice dell’altissima povertà, che ha costituto voi, sorelle mie carissime, eredi e regine del regno dei cieli, vi ha reso povere di sostanze, ma ricche di virtù. 5Questa sia la vostra parte di eredità, che introduce nella terra dei viventi. 6Aderendo totalmente ad essa, non vogliate mai, sorelle dilettissime, avere altro sotto il cielo, per amore del Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre.
7Non sia lecito ad alcuna sorella mandare lettere, o ricevere o dare cosa alcuna fuori del monastero, senza licenza dell’abbadessa. 8Né sia lecito tenere cosa alcuna che non sia stata data o permessa dall’abbadessa. 9Che se le venga mandato qualche cosa dai parenti o da altri, l’abbadessa gliela faccia consegnare. 10La sorella poi, se ne ha bisogno, la possa usare; se no, né faccia parte caritatevolmente alla sorella che ne ha bisogno. 11Se poi le fosse stato mandato del denaro, l’abbadessa, con consiglio delle discrete, le faccia procurare ciò di cui ha bisogno.
12Riguardo alle sorelle ammalate, l’abbadessa sia fermamente tenuta, da sé e per mezzo delle altre sorelle, a informarsi con sollecitudine di quanto richiede la loro infermità, sia quanto a consigli, sia quanto ai cibi ed alle altre necessità, 13e a provvedere con carità e misericordia, secondo la possibilità del luogo. 14Poiché tutte sono tenute a provvedere e a servire le loro sorelle ammalate, come vorrebbero essere servite esse stesse nel caso che incorressero in qualche infermità.
15L’una manifesti all’altra con confidenza la sua necessità. 16E se una madre ama e nutre la sua figlia carnale, con quanta maggiore cura deve una sorella amare e nutrire la sua sorella spirituale!
17Quelle che sono inferme, potranno usare pagliericci e avere guanciali di piuma sotto il capo; 18e quelle che hanno bisogno di calze e di materasso di lana, ne possano usare. 19Le suddette inferme, poi, quando vengono visitate da quelli che entrano nel monastero, possano, ciascuna per proprio conto, rispondere brevemente con qualche buona parola a chi rivolge loro la parola.
20Le altre sorelle, invece, che pur ne hanno licenza, non ardiscano parlare a quelli che entrano nel monastero, se non alla presenza e ascoltate da due discrete, designate dal¬l’abbadessa o dalla sua vicaria. 21Questa forma nel parlare siano tenute ad osservarla anche l’abbadessa e la sua vicaria.
9.
DELLA PENITENZA
DA IMPORRE ALLE SORELLE CHE PECCANO,
E DELLE SORELLE
CHE PRESTANO SERVIZIO FUORI DEL MONASTERO
1Se qualche sorella, per istigazione del nemico, avrà peccato mortalmente contro la forma della nostra professione e, ammonita due o tre volte dall’abbadessa o da altre sorelle, 2non si sarà emendata, mangi per terra pane e acqua in refettorio, alla presenza di tutte le sorelle, tanti giorni quanti sarà stata contumace, 3e, se l’abbadessa lo riterrà necessario, sia sottoposta a pena anche più grave. 4Frattanto, finché rimarrà ostinata, si preghi affinché il Signore disponga il suo cuore a penitenza.
5Tuttavia, l’abbadessa e le sue sorelle si guardino dallo adirarsi e turbarsi per il peccato di alcuna, 6perché l’ira e il turbamento impediscono la carità in se stesse e nelle altre.
7Se accadesse, il che non sia, che fra una sorella e l’altra sorgesse talvolta, a motivo di parole o di segni, occasione di turbamento e di scandalo, 8quella che fu causa di turbamento, subito, prima di offrire avanti a Dio l’offerta della sua orazione, non soltanto si getti umilmente ai piedi dell’altra domandando perdono, 9ma anche con semplicità la preghi di intercedere per lei presso il Signore perché la perdoni. 10L’altra poi, memore di quella parola del Signore: «Se non perdonerete di cuore, nemmeno il Padre vostro celeste perdonerà voi, 11perdoni generosamente alla sua sorella ogni offesa fattale».
12Le sorelle che prestano servizio fuori del monastero, non rimangano a lungo fuori, se non lo richieda una causa di manifesta necessità. 13E devono andare per via con onestà e parlare poco, affinché possano essere sempre motivo di edificazione per quanti le vedono. 14E si guardino fermamente dall’avere rapporti o incontri sospetti con alcuno. 15Né facciano da madrine a uomini o donne, affinché per queste occasioni non nasca mormorazione o turbamento.
16Non ardiscano riportare in monastero le chiacchiere del mondo. 17E di quanto si dice o si fa dentro siano tenute a non riferire fuori dal monastero nulla che possa provocare scandalo. 18Se capitasse a qualcuna di mancare in queste due cose, per semplicità, spetta alla prudenza dell’abbadessa imporle con misericordia la penitenza. 19Se invece lo facesse per cattiva consuetudine, l’abbadessa, secondo la qualità della colpa, col consiglio delle discrete imponga una penitenza.
10.
DELLA AMMONIZIONE
E CORREZIONE DELLE SORELLE
1L’abbadessa ammonisca e visiti le sue sorelle e le corregga con umiltà e carità, non comandando loro cosa alcuna che sia contro la sua anima e la forma della nostra professione.
2Le sorelle suddite, poi, ricordino che hanno rinunciato alla propria volontà per amore di Dio. 3Quindi siano fermamente tenute a obbedire alle loro abbadesse in tutte le cose che hanno promesso al Signore di osservare e che non sono contrarie all’anima e alla nostra professione.
4L’abbadessa poi, usi verso di loro tale familiarità che possano parlarle e trattare con lei come usano le padrone con la propria serva, 5poiché così deve essere, che l’abbadessa sia la serva di tutte le sorelle.
6Ammonisco poi, ed esorto nel Signore Gesù Cristo, che si guardino le sorelle da ogni superbia, vanagloria, invidia, avarizia, cura e sollecitudine di questo mondo, dalla detrazione e mormorazione, dalla discordia e divisione.
7Siano invece sollecite di conservare sempre reciprocamente l’unità della scambievole carità, che è il vincolo della perfezione.
8E quelle che non sanno di lettere, non si curino di apprenderle, 9ma attendano a ciò che soprattutto debbono desiderare: avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione, 10a pregarlo sempre con cuore puro e ad avere umiltà, pazienza nella tribulazione e nella infermità, 11e ad amare quelli che ci perseguitano, riprendono e accusano, 12perché dice il Signore: «Beati quelli che soffrono persecuzione a causa della giustizia, poiché di essi è il regno dei cieli. 13Chi persevererà sino alla fine, questi sarà salvo».
11.
DELLA CUSTODIA DELLA CLAUSURA
1La portinaia sia matura come condotta e prudente, e sia di età conveniente. Di giorno rimanga ivi in una cella aperta, senza uscio. 2Le si assegni anche una compagna idonea, la quale, quando ci sarà bisogno, faccia in tutto le sue veci.
3La porta sia ben difesa da due differenti serrature in ferro, da imposte e chiavistelli, 4affinché, specialmente di notte, sia chiusa con due chiavi, una delle quali la tenga la portinaia, l’altra l’abbadessa. 5E di giorno non si lasci mai senza custodia e sia stabilmente chiusa a chiave. 6Badino poi, con ogni diligenza e procurino che la porta non rimanga mai aperta, se non il minimo possibile secondo la convenienza. 7E non si apra affatto a chiunque voglia entrare, ma solo a coloro cui sia stato concesso dal sommo pontefice o dal nostro signor cardinale.
8E non permettano che alcuno entri in monastero prima della levata del sole, né vi rimanga dopo il tramonto, se non l’esiga una causa manifesta, ragionevole e inevitabile. 9Qualora per la benedizione dell’abbadessa, o per la consacrazione a monaca di qualche sorella, o per qualche altro motivo, venga concesso a qualche vescovo di celebrare la Messa nell’interno del monastero, si accontenti del minor numero possibile di compagni e ministri che siano di buona fama.
10Quando poi fosse necessario introdurre nel monastero qualcuno per compiervi dei lavori, l’abbadessa con sollecitudine ponga alla porta una persona adatta, 11che apra solo agli addetti ai lavori e non ad altri. 12Tutte le sorelle si guardino, allora, con somma diligenza, che non siano vedute da coloro che entrano.
12.
DEL VISITATORE, DEL CAPPELLANO
E DEL CARDINALE PROTETTORE
1Il nostro visitatore sia sempre dell’Ordine dei frati minori, secondo la volontà e il mandato del nostro cardinale. 2E sia tale che ne conosca bene l’integrità di vita. 3Sarà suo compito correggere, tanto nel capo che nelle membra, le mancanze commesse contro la forma della nostra professione. 4Egli, stando in luogo pubblico, donde possa essere veduto dalle altre, potrà parlare a molte o a ciascuna in particolare, secondo riterrà più conveniente, di ciò che spetta all’ufficio della visita.
5Chiediamo anche in grazia, allo stesso Ordine, un cappellano con un compagno chierico, di buona fama, discreto e prudente, e due frati laici, amanti del vivere santo e onesto, 6in aiuto alla nostra povertà, come abbiamo avuto sempre misericordiosamente dal predetto Ordine dei frati minori; 7e questo per amore di Dio e del beato Francesco.
8Al cappellano non sia lecito entrare in monastero senza il compagno. 9Ed entrando, stiano in luogo pubblico, così che possano vedersi l’un l’altro ed essere veduti dagli altri. 10È loro lecito entrare per la confessione delle inferme che non potessero recarsi in parlatorio, per comunicare le medesime, per l’Unzione degli infermi, per la raccomandazione dell’anima. 11Per le esequie poi, e le messe solenni dei defunti, o per scavare o aprire la sepoltura, o anche per rassettarla, possono entrare persone idonee a sufficienza, secondo il prudente giudizio dell’abbadessa.
12Inoltre le sorelle siano fermamente tenute ad avere sempre come governatore, protettore e correttore, quel cardinale della santa Chiesa romana che sarà stato assegnato ai frati minori dal signor Papa; 13affinché suddite sempre e soggette ai piedi della stessa santa Chiesa, salde nella fede cattolica, osserviamo in perpetuo la povertà e l’umiltà del Signore nostro Gesù Cristo e della sua santissima Madre, e il santo Vangelo, come abbiamo fermamente promesso. Amen.
14Dato a Perugia, il 16 settembre, l’anno decimo del pontificato del signor papa Innocenzo IV.
15Pertanto a nessuno sia lecito invalidare questa scrittura della nostra conferma od opporvisi temerariamente.
16Se qualcuno poi presumerà di attentarlo, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio onnipotente e dei suoi beati apostoli Pietro e Paolo.
Dato in Assisi, il 9 agosto, l’anno undicesimo del nostro pontificato.



TESTAMENTO
1Nel nome del Signore. Amen.
2Tra gli altri benefici, che abbiamo ricevuto ed ogni giorno riceviamo dal nostro Donatore, il Padre delle misericordie, per i quali siamo molto tenute a rendere a Lui glorioso vive azioni di grazie, 3grande è quello della nostra vocazione. E quanto più essa è grande e perfetta, tanto maggiormente siamo a lui obbligate. 4Perciò l’Apostolo ammonisce: «Conosci bene la tua vocazione».
5Il Figlio di Dio si è fatto nostra via; e questa con la parola e con l’esempio ci indicò e insegnò il beato padre nostro Francesco, vero amante e imitatore di lui.
6Dobbiamo, perciò, sorelle carissime, meditare gli immensi benefici di cui Dio ci ha colmate, 7specialmente quelli che Egli si è degnato di operare tra noi per mezzo del suo diletto servo, il beato padre nostro Francesco, 8e non solo dopo la nostra conversione, ma fin da quando eravamo ancora tra le vanità del secolo.
9Mentre infatti, lo stesso Santo, che non aveva ancora né frati né compagni, quasi subito dopo la sua conversione, 10era intento a riparare la chiesa di San Damiano, dove, ricevendo quella visita del Signore nella quale fu inebriato di celeste consolazione, 11sentì la spinta decisiva ad abbandonare del tutto il mondo, in un trasporto di grande letizia e illuminato dallo Spirito Santo, profetò a nostro riguardo ciò che in seguito il Signore ha realizzato.
12Salito sopra il muro di detta chiesa, così infatti allora gridava, a voce spiegata e in lingua francese, rivolto ad alcuni poverelli che stavano lì appresso: 13«Venite ed aiutatemi in quest’opera del monastero di San Damiano, 14perché tra poco verranno ad abitarlo delle donne, e per la fama e santità della loro vita si renderà gloria al Padre nostro celeste in tutta la sua santa Chiesa».
15Possiamo, dunque, ammirare in questo fatto la grande bontà di Dio verso di noi: 16Egli si è degnato, nella sovrabbondante sua misericordia e carità, di ispirare tali parole al suo Santo a proposito della nostra vocazione ed elezione. 17Non solo di noi, però, il beatissimo nostro padre predisse queste cose, ma anche di tutte le altre che avrebbero seguito questa santa vocazione, alla quale il Signore ci ha chiamate.
18Con quanta sollecita disponibilità e con quanta applicazione di spirito e di corpo dobbiamo perciò eseguire i comandamenti di Dio e del padre nostro Francesco, perché, con l’aiuto divino, possiamo riconsegnare a lui, moltiplicati, i talenti ricevuti!
19Infatti, proprio il Signore ha collocato noi come modello, ad esempio e specchio non solo per gli altri uomini, ma anche per le nostre sorelle, quelle che il Signore stesso ha chiamato a seguire la nostra vocazione, 20affinché esse pure risplendano come specchio ed esempio per tutti coloro che vivono nel mondo.
21Avendoci, dunque, Egli scelte per un compito tanto elevato, quale è questo, che in noi si possano specchiare tutte coloro che chiama ad essere esempio e specchio degli altri, 22siamo estremamente tenute a benedire e a lodare il Signore, ed a crescere ogni giorno più nel bene. 23Perciò, se vivremo secondo la predetta forma di vita, lasceremo alle altre un nobile esempio e, attraverso una fatica di brevissima durata, ci guadagneremo il pallio della beatitudine eterna.
24Dopo che l’altissimo Padre celeste si fu degnato, per sua misericordia e grazia, di illuminare il mio cuore perché incominciassi a fare penitenza, dietro l’esempio e l’ammaestramento del beatissimo padre nostro Francesco, 25poco tempo dopo la sua conversione, io, assieme alle poche sorelle che il Signore mi aveva donate poco tempo dopo la mia conversione, liberamente gli promisi obbedienza, 26conforme alla ispirazione che il Signore ci aveva comunicata attraverso la lodevole vita e l’insegnamento di lui.
27Il beato Francesco poi, costatando che, nonostante la debolezza e fragilità del nostro corpo, non avevamo indietreggiato davanti a nessuna penuria, povertà, fatica e tribolazione, né ignominia o disprezzo del mondo, 28che, anzi, sull’esempio dei santi e dei suoi frati, tutto ciò stimavamo sommo diletto – cosa questa che lui stesso ed i suoi frati avevano potuto verificare più volte –, molto se ne rallegrò nel Signore.
29Perciò, mosso da un sentimento di paterno affetto verso di noi, obbligò se stesso e la sua Religione ad avere sempre diligente cura e speciale sollecitudine di noi, allo stesso modo che per i suoi frati.
30E così, per volontà del Signore e del beatissimo padre nostro Francesco, venimmo ad abitare accanto alla chiesa di San Damiano. 31Qui, in breve tempo il Signore, per sua misericordia e grazia, ci moltiplicò assai, perché si adempisse quanto egli stesso aveva preannunciato per bocca del suo Santo. 32Prima, infatti, avevamo dimorato, ma solo per poco tempo, in altro luogo.
33In seguito egli scrisse per noi una forma di vita, e principalmente che perseverassimo nella santa povertà. 34Né si accontentò, durante la sua vita terrena, di stimolarci con molte esortazioni e col suo esempio all’amore e alla osservanza della santissima povertà, ma anche ci lasciò molti ammaestramenti scritti, affinché, dopo la sua morte, non ci allontanassimo in nessun modo da essa; 35poiché anche il Figlio di Dio, mentre viveva sulla terra, mai volle allontanarsi da questa santa povertà. 36Ed il beatissimo padre nostro Francesco, seguendo le sue orme, scelse per sé e per i suoi frati questa santa povertà del Figlio di Dio, né mai, finché visse, se ne allontanò in nessuna maniera, né con la parola né con la vita.
37Ed io, Chiara, che sono, benché indegna, la serva di Cristo e delle Sorelle Povere del monastero di San Damiano e pianticella del padre santo, poiché meditavo, assieme alle mie sorelle, la nostra altissima professione e la volontà di un tale padre, 38ed anche la fragilità delle altre che sarebbero venute dopo di noi, temendone già per noi stesse dopo la morte del santo padre nostro Francesco – che ci era colonna e nostra unica consolazione dopo Dio e sostegno –, 39perciò più e più volte liberamente ci siamo obbligate alla signora nostra, la santissima povertà, perché, dopo la mia morte, le sorelle che sono con noi e quelle che verranno in seguito abbiano la forza di non allontanarsi mai da essa in nessuna maniera.
40E come io sono stata sempre diligente e sollecita nell’osservare io medesima, e nel fare osservare la santa povertà, che abbiamo promessa al Signore e al santo padre nostro Francesco, 41così le sorelle che succederanno a me in questo ufficio, siano obbligate ad osservarla e a farla osservare dalle altre fino alla fine.
42Ma ancora, per maggior sicurezza, mi preoccupai di ricorrere al signor papa Innocenzo, durante il pontificato del quale ebbe inizio il nostro Ordine, ed ai successori di lui, perché confermassero e corroborassero con i loro papali privilegi, la nostra professione della santissima povertà, che promettemmo al nostro beato padre, 43affinché mai, in nessun tempo ci allontanassimo da essa.
44Per la quale cosa, piegando le ginocchia e inchinandomi profondamente, anima e corpo, affido in custodia alla santa madre Chiesa romana, al sommo Pontefice, e specialmente al signor cardinale che sarà deputato per la Religione dei frati minori e nostra, tutte le mie sorelle, le presenti e quelle che verranno, 45perché, per amore di quel Signore, che povero alla sua nascita fu posto in una greppia, povero visse sulla terra e nudo rimase sulla croce, 46abbia cura di far osservare a questo suo piccolo gregge – questo che l’altissimo Padre, per mezzo della parola e dell’esempio del beato padre nostro Francesco, generò nella sua santa Chiesa, proprio per imitare la povertà e l’umiltà del suo diletto Figlio e della sua gloriosa Madre vergine –, 47la santa povertà, che a Dio e al beato padre nostro Francesco abbiamo promessa, e si degni ancora di infervorare e conservare le sorelle in detta povertà.
48Inoltre, come il Signore donò a noi il beatissimo padre nostro Francesco come fondatore, piantatore e sostegno nostro nel servizio di Cristo e in quelle cose che promettemmo a Dio ed al medesimo nostro padre, 49ed egli, finché visse, ebbe sempre premurosa cura di coltivare e far crescere noi, sua pianticella, con la parola e con le opere sue; 50così io affido le mie sorelle, presenti e future al successore del beato padre nostro Francesco e ai frati tutti del suo Ordine, 51perché ci siano d’aiuto a progredire sempre di più nel bene nel servizio di Dio e soprattutto nell’osservare meglio la santissima povertà.
52Se poi dovesse succedere in qualche tempo, che le dette sorelle lasciassero questo monastero di San Damiano e si trasferissero altrove, siano nondimeno tenute, ovunque abitassero dopo la mia morte, ad osservare la stessa forma della povertà, che abbiamo promessa a Dio e al beatissimo padre nostro Francesco. 53Tuttavia, tanto colei che sarà in ufficio [di abbadessa], quanto le altre sorelle, abbiano sempre sollecitudine e precauzione di non acquistare né accettare terreno attorno al sopraddetto monastero, se non in quella quantità che esigesse l’estrema necessità di un orto per coltivarvi degli erbaggi. 54Se poi in qualche tempo dovesse occorrere, per un conveniente isolamento del monastero, di avere un po’ di terreno fuori del recinto dell’orto, non permettano d’acquistarne più di quanto richiede l’estrema necessità; 55detto terreno poi non sia lavorato né seminato, ma rimanga sempre inarato e incolto.
56Ammonisco ed esorto nel Signore Gesù Cristo tutte le mie sorelle, presenti e future, che si studino sempre di imitare la via della santa semplicità, dell’umiltà e della povertà, ed anche l’onestà di quella santa vita, 57che ci fu insegnata dal beato padre nostro Francesco fin dal principio della nostra conversione a Cristo. 58Per mezzo di queste virtù, e non per i nostri meriti, ma per la sola misericordia e grazia del Donatore, lo stesso Padre delle misericordie, effondano sempre il profumo della loro buona fama su quelle che sono lontane, come su quelle che sono vicine.
59E amandovi a vicenda nell’amore di Cristo, quell’amore che avete nel cuore, dimostratelo al di fuori con le opere, 60affinché le sorelle, provocate da questo esempio, crescano sempre nell’amore di Dio e nella mutua carità.
61Ancora prego colei che sarà al governo delle sorelle, che si studi di presiedere alle altre più con le virtù e la santità della vita, che per la dignità, 62affinché, animate dal suo esempio, le sorelle le prestino obbedienza, non tanto per l’ufficio che occupa, ma per amore. 63Sia essa, inoltre, provvida e discreta verso le sue sorelle, come una buona madre verso le sue figlie; 64e specialmente si studi di provvedere a ciascuna nelle sue necessità con quelle elemosine che il Signore manderà. 65Sia ancora tanto affabile e alla portata di tutte, che le sorelle possano manifestarle con fiducia le loro necessità e 66ricorrere a lei ad ogni ora con confidenza, come crederanno meglio, per sé o a favore delle sorelle.
67Le sorelle poi, che sono suddite, ricordino che è per amore del Signore che hanno rinunciato alla propria volontà. 68Quindi voglio che obbediscano alla loro madre, come di loro spontanea volontà promisero a Dio; 69affinché la loro madre, osservando la carità, l’umiltà e l’unione che regna tra loro, trovi più leggero il peso che sostiene per ufficio 70e, per merito della loro santa vita, ciò che è molesto e amaro si tramuti per lei in dolcezza.
71Ma poiché stretta è la via e il sentiero, ed angusta la porta per la quale ci si incammina e si entra nella vita, pochi son quelli che la percorrono e vi entrano; 72e se pure vi sono di quelli che per un poco di tempo vi camminano, pochissimi perseverano in essa. 73Beati però quelli cui è concesso di camminare per questa via e di perseverarvi fino alla fine!
74E perciò noi, che siamo entrate nella via del Signore, guardiamoci di non abbandonarla mai, per nostra colpa o negligenza o ignoranza. 75Recheremmo ingiuria a così grande Signore, alla sua Madre vergine, al beato padre nostro Francesco, a tutta la Chiesa trionfante ed anche alla Chiesa di quaggiù. 76Sta scritto, infatti: Maledetti quelli che si allontanano dai tuoi comandamenti.
77Per questa ragione, io piego le mie ginocchia davanti al Padre del Signore nostro Gesù Cristo, affinché, per i meriti della gloriosa santa Vergine Maria sua Madre, del beatissimo padre nostro Francesco e di tutti i santi, 78lo stesso Signore, che ci ha donato di bene incominciare, ci doni ancora di crescere nel bene e di perseverarvi fino alla fine. Amen.
79Questo scritto, perché sia meglio osservato, io lascio a voi, sorelle mie amatissime e carissime, presenti e future, in segno della benedizione del Signore, del beatissimo padre nostro Francesco e della benedizione della vostra madre e serva.
 "AVE MARIA!"

«Io sono il pane disceso dal cielo».


    Maria Valtorta
 

Domenica 12 Agosto 2012, XIX Domenica del Tempo Ordinario - Anno B

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 6, 41-51.

Intanto i Giudei mormoravano di lui perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo».
E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: Sono disceso dal cielo?».
Gesù rispose: «Non mormorate tra di voi.
Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno.
Sta scritto nei profeti: E tutti saranno ammaestrati da Dio. Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da lui, viene a me.
Non che alcuno abbia visto il Padre, ma solo colui che viene da Dio ha visto il Padre.
In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna.
Io sono il pane della vita.
I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti;
questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Traduzione liturgica della Bibbia

Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 5 Capitolo 354 pagina 391.

9
«Ma che miracoli fai Tu dunque perché noi si possa credere in Te come in Mandato da Dio e perché si possa vedere su Te il sigillo di Dio? Che fai Tu che già, sebbene in forma minore, non abbiano fatto i Profeti? Mosè ti ha superato, anzi, perché, non per una volta tanto, ma per quarant’anni, nutrì di meraviglioso cibo i nostri padri. Così è scritto: che i nostri padri per qua­rant’anni mangiarono la manna del deserto, ed è detto che per­ciò Mosè diede loro da mangiare pane venuto dal cielo, egli che poteva».

«Siete in errore. Non Mosè ma il Signore poté fare questo. E nell’Esodo si legge: “Ecco: Io farò piovere del pane dal cielo. Esca il popolo e ne raccolga quanto basta giorno per giorno, e così Io provi se il popolo cammina secondo la mia legge. E il sesto gior­no ne raccolga il doppio per rispetto al settimo dì che è il saba­to”.
 E gli ebrei videro il deserto ricoprirsi, mattina per mattina, di quella “cosa minuta come ciò che è pestato nel mortaio e si­mile alla brina della terra, simile al seme di coriandolo, e dal buon sapore di fior di farina incorporata col miele”. Dunque non Mosè, ma Dio provvide alla manna. Dio che tutto può. Tutto. Pu­nire e benedire. Privare e concedere. Ed Io ve lo dico, delle due cose preferisce sempre benedire e concedere a punire e privare.

Dio, come dice la Sapienza, per amore di Mosè - detto dall’Ecclesiastico “caro a Dio e agli uomini, di benedetta memo­ria, fatto da Dio simile ai santi nella gloria, grande e terribile per i nemici, capace di suscitare e por fine ai prodigi, glorificato nel cospetto dei re, suo ministro al cospetto del popolo, conosci­tore della gloria di Dio e della voce dell’Altissimo, custode dei precetti e della Legge di vita e di scienza” - Dio, dicevo, per amore di questo Mosè, nutrì il suo popolo col pane degli angeli, e dal cielo gli donò un pane bell’e fatto, senza fatica, contenente in sé ogni delizia ed ogni soavità di sapore. E - ricordate bene ciò che dice la Sapienza - e poiché veniva dal Cielo, da Dio, e mostrava la sua dolcezza verso i figli, aveva per ognuno il sapo­re che ognuno voleva, e dava ad ognuno gli effetti desiderati, essendo utile tanto al pargolo, dallo stomaco ancora imperfetto, come all’adulto, dall’appetito e digestione gagliardi, alla fan­ciulla delicata come al vecchio cadente. E anche, per testimo­niare che non era opera d’uomo, capovolse le leggi degli ele­menti, onde resistè al fuoco, esso, il misterioso pane che al sor­gere del sole si squagliava come brina. O meglio: il fuoco - è sempre la Sapienza che parla - dimenticò la propria natura per rispetto all’opera di Dio suo Creatore e dei bisogni dei giu­sti di Dio, di modo che, mentre è solito ad infiammarsi per tor­mentare, qui si fece dolce per fare del bene a quelli che confida­vano nel Signore.

Per questo allora, trasformandosi in ogni maniera, servì alla grazia del Signore, nutrice di tutti, secondo la volontà di chi pregava l’eterno Padre, affinché i figli diletti imparassero che non è il riprodursi dei frutti che nutrisce gli uomini, ma è la pa­rola del Signore quella che conserva chi crede in Dio. Infatti non consumò, come poteva, la dolce manna, neppure se la fiam­ma era alta e potente, mentre bastava a scioglierla il dolce sole del mattino, affinché gli uomini ricordassero e imparassero che i doni di Dio vanno ricercati dall’inizio del giorno e della vita, e che per averli occorre anticipare la luce e sorgere, per lodare l’Eterno, dalla prima ora del mattino.

Questo insegnò la manna agli ebrei. Ed Io ve lo ricordo per­ché è dovere che dura e durerà sino alla fine dei secoli. Cercate il Signore ed i suoi doni celesti senza poltrire fino alle tarde ore del giorno o della vita. Sorgete a lodarlo prima ancora che lo lo­di il sorgente sole, e pascetevi della sua parola che conserva e preserva e conduce alla Vita vera.
Non Mosè vi diede il pane del Cielo, ma in verità lo diede il Padre Iddio, e ora, in verità delle verità, è il Padre mio quello che vi dà il vero Pane, il Pane novello, il Pane eterno che dal Cielo discende, il Pane di misericordia, il Pane di Vita, il Pane che dà al mondo la Vita, il Pane che sazia ogni fame e leva ogni languore, il Pane che dà, a chi lo prende, la Vita eterna e l’eter­na gioia».

10
«Dacci, o Signore, di codesto pane, e noi non morremo più».

«Voi morrete come ogni uomo muore, ma risorgerete a Vita eterna se vi nutrirete santamente di questo Pane, perché esso fa incorruttibile chi lo mangia. Riguardo a darvelo sarà dato a coloro che lo chiedono al Padre mio con puro cuore, retta inten­zione e santa carità. Per questo ho insegnato a dire: “Dacci il pane quotidiano”. Ma coloro che se ne nutriranno indegnamen­te diverranno brulichio di vermi infernali, come i gomor di manna conservati contro l’ordine avuto. E quel Pane di salute e vita diverrà per loro morte e condanna. Perché il sacrilegio più grande sarà commesso da coloro che metteranno quel Pane su una mensa spirituale corrotta e fetida, o lo profaneranno mescolandolo alla sentina delle loro inguaribili passioni. Meglio per loro sarebbe non averlo mai preso!».
11

«Ma dove è questo Pane? Come lo si trova? Che nome ha?».

«Io sono il Pane di Vita. In Me lo si trova. Il suo nome è Ge­sù. Chi viene a Me non avrà più fame, e chi crede in Me non avrà mai più sete, perché i fiumi celesti si riverseranno in lui estinguendo ogni materiale ardore. Io ve l’ho detto, ormai. Voi mi avete conosciuto, ormai. Eppure non credete. Non potete credere che tutto quanto è in Me. Eppure così è. In Me sono tutti i tesori di Dio. E a Me tutto della terra è dato, onde in Me sono riuniti i gloriosi Cieli e la militante terra, e fino la penan­te e attendente massa dei trapassati in grazia di Dio sono in Me, perché in Me e a Me è ogni potere. Ed Io ve lo dico: tutto quanto il Padre mi dà verrà a Me. Né Io scaccerò chi a Me vie­ne, perché sono disceso dal Cielo non per fare la mia volontà ma quella di Colui che mi ha mandato. E la volontà del Padre mio, del Padre che mi ha mandato, è questa: che Io non perda nemmeno uno di quelli che mi ha dato, ma che Io li risusciti all’ultimo giorno. Ora la volontà del Padre che mi ha mandato è che chiunque conosce il Figlio e crede in Lui abbia la Vita eter­na e Io lo possa risuscitare nell’Ultimo Giorno, vedendolo nutri­to della fede in Me e segnato del mio sigillo».
12
Vi è non poco brusìo nella sinagoga e fuori della stessa per le nuove e ardite parole del Maestro. E questo, dopo avere per un momento preso fiato, volge gli occhi sfavillanti di rapimento là dove più si mormora, e sono precisamente i gruppi in cui so­no dei giudei. Riprende a parlare.

«Perché mormorate fra voi? Sì, Io sono il figlio di Maria di Nazaret figlia di Gioacchino della stirpe di Davide, vergine con­sacrata nel Tempio e poi sposata a Giuseppe di Giacobbe, della stirpe di Davide. Voi avete conosciuto, in molti, i giusti che det­tero vita a Giuseppe, legnaiuolo regale, e a Maria, vergine ere­de della stirpe regale. Ciò vi fa dire: “Come può costui dirsi di­sceso dal Cielo?», e il dubbio sorge in voi.
Vi ricordo i Profeti nelle loro profezie sull’Incarnazione del Verbo. E vi ricordo come, più per noi israeliti che per qualsiasi altro popolo, è dogmatico che Colui che non osiamo chiamare non potesse darsi una Carne secondo le leggi della umanità, e umanità decaduta per giunta. Il Purissimo, l’Increato, se si è mortificato a farsi Uomo per amore dell’uomo, non poteva che eleggere un seno di Vergine più pura dei gigli per rivestire di Carne la sua Divinità.
Il pane disceso dal Cielo al tempo di Mosè è stato riposto nell’arca d’oro, coperta dal propiziatorio, vegliata dai cherubini, dietro i veli del Tabernacolo. E col pane era la Parola di Dio. E giusto era che ciò fosse, perché sommo rispetto va dato ai doni di Dio e alle tavole della sua Ss. Parola. Ma che allora sarà sta­to preparato da Dio per la sua stessa Parola e per il Pane vero che è venuto dal Cielo? Un’arca più inviolata e preziosa dell’ar­ca d’oro, coperta dal prezioso propiziatorio della sua pura vo­lontà di immolazione, vegliata dai cherubini di Dio, velata dal velo di un candore verginale, di una umiltà perfetta, di una ca­rità sublime e di tutte le virtù più sante.

E allora? Non capite ancora che la mia paternità è in Cielo e che perciò Io di là vengo? Sì, Io sono disceso dal Cielo per com­piere il decreto del Padre mio, il decreto di salvazione degli uo­mini secondo quanto promise al momento stesso della condan­na e ripeté ai Patriarchi e ai Profeti.
Ma questo è fede. E la fede viene data da Dio a chi ha l’ani­mo di buona volontà. Perciò nessuno può venire a Me se non lo conduce a Me il Padre mio, vedendolo nelle tenebre ma rettamente desideroso di luce. E scritto nei Profeti: “Saranno tutti ammaestrati da Dio”. Ecco. È detto. È Dio che li istruisce dove andare per essere istruiti di Dio. Chiunque, dunque, ha udito in fondo al suo spirito retto parlare Iddio, ha imparato dal Padre a venire a Me».

«E chi vuoi che abbia sentito Iddio o visto il suo Volto?» chie­dono in diversi che cominciano a mostrare segni di irritazione e di scandalo. E terminano: «Tu deliri, oppure sei un illuso».

«Nessuno ha veduto Iddio eccetto Colui che è da Dio; questo ha veduto il Padre. E questo Io sono.

13

Ed ora udite il “credo” della vita futura, senza il quale non ci si può salvare.
In verità, in verità vi dico che chi crede in Me ha la Vita eterna. In verità, in verità vi dico che Io sono il Pane della Vita eterna.
I vostri padri mangiarono nel deserto la manna e morirono. Perché la manna era un cibo santo ma temporaneo, e dava vita per quanto necessitava a giungere alla terra promessa da Dio al suo popolo. Ma la Manna che Io sono non avrà limitazione di tempo e di potere. È non solo celeste, ma è divina, e produce ciò che è divino: l’incorruttibilità, l’immortalità di quanto Dio ha creato a sua immagine e somiglianza. Essa non durerà quaran­ta giorni, quaranta mesi, quaranta anni, quaranta secoli. Ma durerà finché durerà il tempo, e sarà data a tutti coloro che di essa hanno fame santa e gradita al Signore, che giubilerà di darsi senza misura agli uomini per cui si è incarnato, onde ab­biano la Vita che non muore.
Io posso darmi, Io posso transustanziarmi per amore degli uomini, onde il pane divenga Carne e la Carne divenga Pane per la fame spirituale degli uomini, che senza questo Cibo mo­rirebbero di fame e di malattie spirituali. Ma se uno mangia di questo Pane con giustizia, egli vivrà in eterno. Il pane che Io darò sarà la mia Carne immolata per la vita del mondo, sarà il mio Amore sparso nelle case di Dio, perché alla mensa del Si­gnore vengano tutti coloro che sono amorosi o infelici e trovino ristoro al loro bisogno di fondersi a Dio e di trovare sollievo al loro penare».

14

«Ma come puoi darci da mangiare la tua carne? Per chi ci hai presi? Per belve sanguinarie? Per selvaggi? Per omicidi? A noi ripugna il sangue e il delitto».

«In verità, in verità vi dico che molte volte l’uomo è più di una belva, e che il peccato fa più che selvaggi, che l’orgoglio dà sete omicida, e che non a tutti dei presenti ripugnerà il sangue e il delitto. E anche in futuro l’uomo tale sarà, perché Satana, il senso e l’orgoglio lo fanno belluino. E perciò con maggior biso­gno che mai dovete e dovrà l’uomo sanare se stesso dai germi terribili con l’infusione del Santo. In verità, in verità vi dico che se non mangerete la Carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo Sangue, non avrete in voi la Vita. Chi mangia degnamente la mia Carne e beve il mio Sangue ha la Vita eterna ed Io lo ri­susciterò all’Ultimo Giorno. Perché la mia Carne è veramente Cibo e il mio Sangue è veramente Bevanda. Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue rimane in Me ed Io in lui. Come il Padre vivente mi inviò, ed Io vivo per il Padre, così chi mi man­gia vivrà anch’egli per Me e anderà dove lo mando, e farà ciò che Io voglio, e vivrà austero come uomo e ardente come serafi­no, e sarà santo, perché per potersi cibare della mia Carne e del mio Sangue si interdirà le colpe e vivrà ascendendo per fini­re la sua ascesa ai piedi dell’Eterno».

«Ma costui è folle! Chi può vivere in tal modo? Nella nostra religione è solo il sacerdote che deve essere purificato per offri­re la vittima. Qui Egli ci vuole fare, di noi, tante vittime della sua follia. Questa dottrina è troppo penosa e questo linguaggio è troppo duro! Chi li può ascoltare e praticare?» sussurrano i presenti, e molti sono discepoli già riputati tali.

15 La gente sfolla commentando. E molto assottigliate ap­paiono le file dei discepoli quando restano solo nella sinagoga il Maestro e i più fedeli. Io non li conto, ma dico che, ad occhio e croce, sì e no se si arriva a cento. Perciò ci deve essere stata una bella defezione anche nelle schiere dei vecchi discepoli or­mai al servizio di Dio.
Fra i rimasti sono gli apostoli, il sacerdote Giovanni e lo scriba Giovanni, Stefano, Erma, Timoneo, Ermasteo, Agapo, Giuseppe, Salomon, Abele di Betlemme di Galilea e Abele il già lebbroso di Corozim col suo amico Samuele, Elia (quello che la­sciò di seppellire il padre per seguire Gesù), Filippo di Arbela, Aser e Ismaele di Nazaret, più altri che non conosco di nome. Questi tutti parlano piano fra loro commentando la defezione degli altri e le parole di Gesù, che pensieroso sta con le braccia conserte appoggiato ad un alto leggio.

«E vi scandalizzate di ciò che ho detto? E se vi dicessi che vedrete un giorno il Figlio dell’uomo ascendere al Cielo dove era prima e sedersi al fianco del Padre? E che avete capito, as­sorbito, creduto fino ad ora? E con che avete udito e assimilato? Solo con l’umanità? È lo spirito quello che vivifica e ha valore. La carne non giova a niente. Le mie parole sono spirito e vita, e vanno udite e capite con lo spirito per averne vita. Ma ci sono molti fra voi che hanno morto lo spirito perché è senza fede. Molti di voi non credono con verità. E inutilmente stanno pres­so a Me. Non ne avranno Vita, ma Morte. Perché vi stanno, co­me ho detto in principio, o per curiosità o per umano diletto, o, peggio, per fini ancora più indegni. Non sono portati qui dal Padre per premio alla loro buona volontà, ma da Satana. Nes­suno può venire a Me, in verità, se non gli è concesso dal Padre mio. Andate pure, voi che vi trattenete a fatica perché vi vergo­gnate, umanamente, di abbandonarmi, ma avete ancora mag­gior vergogna di rimanere al servizio di Uno che vi pare “pazzo e duro”. Andate. Meglio lontani che qui per nuocere».
E molti altri si ritraggono di fra i discepoli, fra i quali lo scriba Giovanni e Marco, il geraseno indemoniato, guarito mandando i demoni nei porci. I discepoli buoni si consultano e corrono dietro a questi fedifraghi tentando di fermarli.

16 Nella sinagoga sono ora Gesù, il sinagogo e gli apostoli...
Gesù si volge ai dodici che, mortificati, stanno in un angolo e dice: «Volete andarvene anche voi?». Lo dice senza acredine e senza mestizia. Ma con molta serietà.

Pietro, con impeto doloroso, gli dice:
«Signore, e dove vuoi che si vada? Da chi? Tu sei la nostra vita e il nostro amore. Tu solo hai parole di Vita eterna. Noi abbiamo conosciuto che Tu sei il Cristo, Figlio di Dio. Se vuoi, cacciaci. Ma noi, di nostro, non ti lasceremo neppure... neppure se Tu non ci amassi più...», e Pietro piange senza rumore, con grandi lacrimoni...
Anche Andrea, Giovanni, i due figli di Alfeo, piangono aper­tamente, e gli altri, pallidi o rossi per l’emozione, non piangono, ma soffrono palesemente.
«Perché vi dovrei cacciare? Non sono stato Io che ho eletto voi dodici?...».
Giairo, prudentemente, si è ritirato per lasciare Gesù libero di confortare o redarguire i suoi apostoli. Gesù, che ne nota la silenziosa ritirata, dice, sedendosi accasciato come se la rivela­zione che fa gli costasse uno sforzo superiore a quello che Egli può fare, stanco come è, disgustato, addolorato: «Eppure uno di voi è un demonio».
La parola cade lenta, paurosa, nella sinagoga, nella quale è solo allegra la luce delle molte lampade... e nessuno osa dire nulla. Ma si guardano l’un l’altro con pauroso ribrezzo e ango­sciosa indagine e, con una ancor più angosciosa e intima do­manda, ognuno esamina se stesso...
Nessuno si muove per qualche tempo. E Gesù resta solo, sul suo sedile, le mani incrociate sui ginocchi, il viso basso. Lo alza infine e dice: «Venite. Non sono già un lebbroso! O mi credete tale?...».
Allora Giovanni corre avanti e gli si avviticchia al collo di­cendo: «Con Te, allora, nella lebbra, mio solo amore. Con Te nella condanna, con Te nella morte, se credi che ciò ti attenda...»; e Pietro striscia ai suoi piedi e li prende e se li met­te sugli omeri e singhiozza: «Qui, premi, calpesta! Ma non mi fare pensare che Tu diffidi del tuo Simone».
Gli altri, vedendo che Gesù carezza i due primi, si fanno avanti e baciano Gesù sulle vesti, sulle mani, sui capelli... Solo l’Iscariota osa baciarlo sul viso.
Gesù si alza di scatto, e quasi lo respinge bruscamente tanto lo scatto è improvviso, e dice: «Andiamo a casa. Domani sera, di notte, partiremo con le barche per Ippo».
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Maria Mater gratiæ,
Dulcis Parens clementiæ,
Tu nos ab hoste protege,
Et mortis hora suscipe.

giovedì 9 agosto 2012

Il neonato Sant'Agnello, che aveva solo 20 giorni, di fronte all’immagine della Vergine, tra lo stupore dei genitori, esclamò: "Ave Maria!".


Quanti hanno scritto la vita di sant’Agnello Abate sono concordi nell’affermare che egli nacque a Napoli da nobili genitori di origine siracusana nel 535. La tradizione narra che la madre Giovanna, essendo sterile, pregava costantemente la Vergine affinché le fosse concesso un bambino. 
Ottenuta la grazia la pia genitrice volle offrirlo alla Madonna e, portato il neonato, che aveva solo 20 giorni, di fronte all’immagine della Vergine, tra lo stupore dei genitori, esclamò: "Ave Maria!". A ricordare tale prodigio sul luogo venne eretta una chiesa: "Sancta Maria, intercede pro miseris!". 
Di Sant’Agnello si narra che sin dalla tenera infanzia, non desiderava nulla di terreno, nulla di carnale e che piangeva colpe non sue e scelleraggini della patria menando vita eremitica.
Però, la grandezza di questo cristiano divenuto santo, non si limitò solo alla preghiera o al fioretto, ma cercò di concretizzare nelle opere la sua fede, cioè di mettersi al servizio dei bisognosi; così che alla morte dei genitori impiegò i suoi averi nella costruzione di un ospedale che da lui prese il nome. 
Il Signore premiò questo suo amore per il prossimo operando per mezzo di lui numerosissimi miracoli. Fra tutti spicca la sua apparizione a difesa di Napoli nel 581 durante l’assedio dei Longobardi.Ecco perché lo si dipinge con la bandiera nella mano destra ossia con il vessillo della Croce. La fama della sua santità crebbe a dismisura tanto da costringerlo ad andare a vivere per sette anni in un luogo sconosciuto. Solo l’apparizione della Vergine lo ridestò da farlo ritornare a Napoli dove i suoi concittadini gli prepararono un autentico trionfo, si verificarono altri miracoli che il Santo, schivo com’era, non attribuiva a sé ma alle preghiere dei malati. 
foto n.2 Santo.JPG (22487 bytes) In questo attaccamento alla sua persona sant’Agnello vide una minaccia alla sua santità e l’ancora di salvezza gli venne offerta da un monastero dove trascorse il resto della sua vita. Alla morte dell’Abate del monastero , Sant’Agnello per voto unanime dei monaci venne chiamato a sostituirlo. Morì all’età di 61 anni e precisamente il 14 dicembre del 596 ed i funerali furono un’autentica apoteosi. Il suo culto raggiunse in Napoli e nei suoi dintorni il massimo sviluppo verso il secolo XV. Tutte le biografie del Santo infatti risalgono a questo periodo. 
Da Napoli il culto passò nella provincia. E’ difficile stabilire in che anno sia arrivato nel Cilento: Probabilmente fu il suo potere taumaturgico a conquistare la nostra gente. D’altro canto dal 1300 alla fine del secolo scorso tutto il commercio del Cilento era orientato verso Napoli, agevolato da due fatti importantissimi, il mare come via di comunicazione e i numerosi feudatari delle nostre zone residenti abitualmente a Napoli. 
Il culto di Sant’Agnello compare nelle nostre zone nel 1500, allorché i cavalieri di Malta stabilirono una loro Commenda a Rodio. Fra i paesi che si dimostrarono più devoti a sant’Agnello subito di distinse Pisciotta. Per quanto riguarda il lato religioso il documento più antico riguardante Pisciotta è la Visita pastorale di Mons. Sivio Galasso, compiuta il 1° aprile 1583 conservato presso l’archivio Diocesano. Alla fine del 1800 aumenta il culto e la devozione verso sant’Agnello Abate tanto è vero che nel 1906 viene costituita la Confraternita in suo onore e viene acquistata l’attuale statua. Sarà questa Confraternita a costruire un altare dedicato al Santo nella Chiesa Madre nel 1963. La statua verrà restaurata dai fratelli Lebro di Napoli nell’anno 1979. L’anno seguente a riprova dei legami religiosi tra Napoli e Pisciotta Sua Eminenza il Cardinale Corrado Ursi Arcivescovo di Napoli visita la comunità di Pisciotta per venerare sant’Agnello Abate. 
Si fa notare ancora come tale devozione non si sia fermata a Pisciotta, ma sia arrivata ovunque i pisciottani si siano stabiliti. Ad esempio in America dove numerose sono le colonie pisciottane. Ad Amsterdam (U.S.A.) è sorta addirittura UNA Chiesa in onore di sant’Agnello con relativa Confraternita. Una numerosa rappresentanza di detta colonia il 10 agosto 1975 venne a Pisciotta, accompagnata dal suo parroco padre Giuseppe Cotugno edificando tutti per devozione e pietà. Pisciotta festeggia il suo compatrono il 10 agosto ed il14 dicembre.
Notizie prelevate dai primi calendari-giornale in occasione della festa di Sant’Agnello. Non firmate. 

"AVE MARIA!"