domenica 5 agosto 2012

SAN GAETANO da Thiene


Nacque a Vicenza dalla nobile famiglia dei Thiene nel 1480, e fu battezzato con il nome di Gaetano, in ricordo di un suo celebre zio, il quale si chiamava così perché era nato a Gaeta.

Laureatosi a Padova in materie giuridiche a soli 24 anni, si dedicò allo stato ecclesiastico, senza però farsi ordinare sacerdote, perché non si sentiva degno; fondando nel contempo nella tenuta di famiglia a Rampazzo, una chiesa dedicata a S. Maria Maddalena, che è ancora oggi la parrocchia del luogo.
Trasferitosi a Roma nel 1506, divenne subito segretario particolare di papa Giulio II, ed ebbe l’incarico di scrittore delle lettere pontificie, ufficio questo che gli diede l’opportunità di conoscere e collaborare con tante persone importanti.
Siamo nel periodo dello splendore rinascimentale, che vede concentrati a Roma grandi artisti, intenti a realizzare quanto di più bello l’arte era in grado di offrire, e che ancora oggi il Vaticano e Roma offrono all’ammirazione del mondo; nel contempo però la vita morale della curia papale, del popolo e del clero, a Roma come altrove, non brillava certo per santità di costumi.
Gaetano non si lasciò abbagliare dallo splendore della corte pontificia, né si scoraggiò per la miseria morale che vedeva; egli ripeteva: “Roma un tempo santa, ora è una Babilonia”; invece di fuggire e ritirarsi in un eremo, da uomo intelligente e concreto, passò all’azione riformatrice, cominciando da sé stesso; incoraggiato da una suora agostiniana bresciana Laura Mignani, che godeva di fama di santità.
Prese ad assistere gli ammalati dell’ospedale di San Giacomo, si iscrisse all’Oratorio del Divino Amore, associazione che si riprometteva di riformare la Chiesa partendo dalla base, il tutto alternandolo con il lavoro in Curia; anche in queste attività conobbe altre personalità, che avevano lo stesso ideale riformista.
Nel settembre 1516 a 36 anni, accettò di essere ordinato sacerdote, ma solo a Natale di quell’anno, volle celebrare la prima Messa nella Basilica di S. Maria Maggiore. In una lettera scritta a suor Laura Mignani a cui era legato da filiale devozione, Gaetano confidò che durante la celebrazione della Messa, gli apparve la Madonna che gli depose tra le braccia il Bambino Gesù; per questo egli è raffigurato nell’arte e nelle immagini devozionali con Gesù Bambino tra le braccia.


Ritornato nel Veneto, nel 1520 fondò alla Giudecca in Venezia l’Ospedale degli Incurabili. Instancabile nel suo ardore di apostolato e di aiuto verso gli altri, ritornò a Roma e nel 1523 insieme ad altri tre compagni: Bonifacio Colli, Paolo Consiglieri, Giampiero Carafa (vescovo di Chieti, diventerà poi papa con il nome di Paolo IV), chiese ed ottenne dal papa Clemente VII, l’autorizzazione a fondare la “Congregazione dei Chierici Regolari” detti poi Teatini, con il compito specifico della vita in comune e al servizio di Dio verso gli altri fratelli. 


Il nome Teatini deriva dall’antico nome di Chieti (Teate), di cui uno dei fondatori il Carafa, ne era vescovo. L’ispirazione che egli sentiva impellente, era di formare e donare alla Chiesa sacerdoti che vivessero la primitiva norma della vita apostolica, perciò non ebbe fretta a stendere una Regola, perché questa doveva essere il santo Vangelo, letto e meditato ogni mese, per potersi specchiare in esso.
Le costituzioni dell’Ordine furono infatti emanate solo nel 1604. I suoi chierici non devono possedere niente e non possono neanche chiedere l’elemosina, devono accontentarsi di ciò che i fedeli spontaneamente offrono e di quanto la Provvidenza manda ai suoi figli; con le parole di Gesù sempre presenti: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”.


Nel 1527 avvenne il feroce ‘Sacco di Roma’ da parte dei mercenari Lanzichenecchi, il papa Clemente VII della famiglia fiorentina de’ Medici, fu costretto a rifugiarsi in Castel S. Angelo difeso dal Corpo delle Guardie Svizzere, che subì pesanti perdite negli scontri.
Anche s. Gaetano da Thiene, come tanti altri religiosi, fu seviziato dai Lanzichenecchi e imprigionato nella Torre dell’Orologio in Vaticano; riuscito a liberarsi si rifugiò a Venezia con i compagni dell’Istituzione.
Rimase nel Veneto fino al 1531, fondando, assistendo e consolidando tutte le Case del nuovo Ordine con le annesse opere assistenziali; accolse l’invito del celebre tipografo veneziano Paganino Paganini, affinché i Padri Teatini si istruissero nella nuova e rivoluzionaria arte della stampa tipografica, inventata nel 1438 dal tedesco Giovanni Gutenberg.


Nel 1533 per volere del papa Clemente VII, si trasferì insieme al suo collaboratore il beato Giovanni Marinoni, nel Vicereame di Napoli, stabilendosi prima all’Ospedale degli Incurabili, fondato in quel tempo dalla nobile spagnola Maria Lorenza Longo, insieme ad un convento di suore di clausura, dette ‘le Trentatrè’, istituzioni ancora oggi felicemente funzionanti; e poi nella Basilica di S. Paolo Maggiore posta nel cuore del centro storico di Napoli, nella città greco-romana. 


La sua attività multiforme si esplicherà a Napoli fino alla morte; fondò ospizi per anziani, potenziò l’Ospedale degli Incurabili, fondò i Monti di Pietà, da cui nel 1539 sorse il Banco di Napoli, il più grande Istituto bancario del Mezzogiorno; suscitò nel popolo la frequenza assidua dei sacramenti, stette loro vicino durante le carestie e le ricorrenti epidemie come il colera, che flagellarono la città in quel periodo, peraltro agitata da sanguinosi tumulti.
Per ironia della sorte, fu proprio il teatino cofondatore Giampiero Carafa, divenuto papa Paolo IV a permettere che nell’Inquisizione, imperante in quei tempi, si usassero metodi diametralmente opposti allo spirito della Congregazione teatina, essenzialmente mite, permissiva, rispettosa delle altre idee.
E quando le autorità civili vollero instaurare nel Viceregno di Napoli, il tribunale dell’Inquisizione, il popolo napoletano (unico a farlo nella storia triste dell’Inquisizione in Europa) si ribellò; la repressione spagnola fu violenta e ben 250 napoletani vennero uccisi, per difendere un principio di libertà.


Gaetano in quel triste momento, fece di tutto per evitare il massacro e quando si accorse che la sua voce non era ascoltata, offrì a Dio la sua vita in cambio della pace; morì a Napoli il 7 agosto 1547 a 66 anni, consumato dagli stenti e preoccupazioni e due mesi dopo la pace ritornò nella città partenopea.
L’opera che più l’aveva assillato nella sua vita, era senza dubbio la riforma della Chiesa, al contrario del contemporaneo Martin Lutero, operò la sua riforma dal basso verso l’alto, formando il clero e dedicandosi all’apostolato fra i poveri, i diseredati e gli ammalati, specie se abbandonati. 


A quanti gli facevano notare che i napoletani non potevano essere così generosi negli aiuti, come i ricchi veneziani, rispondeva: “E sia, ma il Dio di Venezia è anche il Dio di Napoli”.
Il popolo napoletano non ha mai dimenticato questo vicentino di Thiene, venuto a donarsi a loro fino a morirne per la stanchezza e gli strapazzi, in un’assistenza senza risparmio e continua. La piazza antistante la Basilica di S. Paolo Maggiore è a lui intitolata, ma la stessa basilica, per secoli sede dell’Ordine, è ormai da tutti chiamata di S. Gaetano; il suo corpo insieme a quello del beato Marinoni, del beato Paolo Burali e altri venerabili teatini è deposto nella cripta monumentale, che ha un accesso diretto sulla piazza, ed è meta di continua devozione del popolo dello storico e popoloso rione. 


Nella piazza, come in altre zone di Napoli, vi è una grande statua che lo raffigura; da secoli è stato nominato compatrono di Napoli. Il suo è uno dei nomi più usati da imporre ai figli dei napoletani e di tutta la provincia. Egli venne beatificato il 23 novembre 1624 da papa Urbano VIII e canonizzato il 12 aprile 1671 da papa Clemente X.
San Gaetano da Thiene è la testimonianza di quanto la Chiesa nei secoli, attraverso i suoi figli, sia stata sempre all’avanguardia e con molto anticipo sul potere laico, nel realizzare, inventare e gestire opere di assistenza in tutte le sue forme per il popolo, specie dove c’è sofferenza. Ecco così i Monti di Pietà per giusti prestiti ed elargizioni, l’istituzione degli ospedali, orfanotrofi, ospizi, lebbrosari, ecc. a cui ieri come oggi i governanti più avveduti e non ostili, hanno dato il loro consenso o il prosieguo, anche se a distanza a volte di molto tempo.


Autore: Antonio Borrelli

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Congregazione
per gli Istituti di Vita Consacrata
e le Società di Vita Apostolica
Prot. n. T. 66 - 1\94
DECRETO
Il Superiore Generale dell'Ordine dei Chierici Regolari, detti Teatini, con mandato del
Capitolo Generale, celebrato nell'anno 1991, ha inoltrato richiesta affinché nel testo delle
Costituzioni, già approvate nell'anno 1984, possano essere inserite alcune modifiche.
La Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, viste ed
esaminate attentamente dette modifiche, col presente Decreto le conferma ed approva tali e quali
sono contenute nel testo conservato nel proprio archivio, a norma di Diritto.
Nessun parere contrario.
Roma, 8 luglio 1994
Edoardo Card. Martinez
Prefetto
Jesus Torres, C.M.F.
Sottosegr.


BREVE PROSPETTO STORICO
Fin dalle origini della Chiesa ci furono uomini e donne che vollero seguire e imitare Cristo
più da vicino con la pratica dei Consigli evangelici.
Tra le famiglie religiose che lo Spirito Santo suscita sempre nella Chiesa e che la Chiesa
stessa, con la sua autorità, approva canonicamente, si deve collocare l'Ordine dei Chierici Regolari,
detti Teatini, fondato da S. Gaetano, insieme a Gian Pietro Carafa - in seguito Papa Paolo IV-,
Bonifacio de' Colli e Paolo Consiglieri. Tale fondazione, dopo l'emissione della professione solenne
nella Basilica Vaticana di S. Pietro Apostolo, che avvenne il 14 settembre 1524, meritò da Urbano
VIII il titolo di singolare e nobilissimo vanto della Chiesa.
Veniamo chiamati Teatini dal vescovo di Chieti (Teate) Gian Pietro Carafa, che fu il primo
Preposito del nuovo Ordine.
2
Questa originaria comunità, composta dai quei quattro ecclesiastici che erano membri della
Compagnia del Divino Amore, nata a Roma come centro e cenacolo della riforma evangelica,
venne costituita da Clemente VII col Breve Pontificio "Exponi nobis" del 24 giugno 1524.
Successivamente, poi, la Congregazione dei Chierici Regolari fu approvata e confermata dallo
stesso pontefice con la Bolla "Dudum pro parte vestra" il 7 marzo 1533.


La Congregazione dei Teatini, cronologicamente parlando, fu il primo di quegli Istituti che
ebbero parte importante nella Riforma della Chiesa nel secolo XVI e che aprirono la strada a quel
rinnovamento che poi fu sancito dal Concilio di Trento.
Come norma fondamentale ed indiscussa di vita, i nostri Fondatori adottarono la stessa
regola che nostro Signore Gesù Cristo lasciò ai suoi discepoli: il Vangelo.
Deposti gli abiti prelatizi, rinunciato ai benefici ecclesiastici e ai propri beni, i nostri Padri,
come veri poveri di Cristo Signore, abbandonarono ogni cosa per Lui; anzi, confidando nella Divina
Provvidenza, stabilirono di vivere senza chiedere elemosine, senza possedere beni o rendite annue,
ma solo con i proventi del proprio ministero pastorale e con le offerte spontanee dei fedeli.
Il loro stile di vita, in comune e del comune, prendeva esempio e modello dalla vita dei
Discepoli del Signore del tempo della nascente Chiesa apostolica.
A queste norme, i nostri Padri aggiungevano una scrupolosa osservanza dei Sacri Canoni e
degli Statuti o Costituzioni che, man mano, si davano secondo la facoltà loro concessa dal Sommo
Pontefice.
Soltanto nel 1604 veniva reso pubblico il primo Codice di leggi del nostro Istituto, poi
canonicamente approvato, con la Lettera apostolica "Etsi ex debito", da Clemente VIII, il 28 luglio
1604.


Pertanto, tutti i religiosi della nostra Congregazione sono legati tra loro dalla Professione, e
in particolare, da quella solenne.
Ad imitazione dello spirito del Padre S. Gaetano, i religiosi Teatini abbracciano la
professione dei Consigli evangelici come la via più sicura e spedita per raggiungere la perfezione
della carità e della santità sacerdotale, ed altresì per incrementare, nel limite del possibile, l'impegno
apostolico.
Inoltre, questa nostra vita consacrata, mediante la professione dei consigli evangelici, avrà
un più efficace aiuto nel perfezionamento della stessa vita comune; la quale, poi, viene favorita e
rafforzata sia con la preghiera comune di tutti i religiosi - la cui massima espressione è la
celebrazione del Mistero Eucaristico - sia con la carità generosa verso tutti i fratelli.
Possiamo quindi essere certi che, anche nel nostro tempo, lo spirito di S. Gaetano, nostro
Padre, continuerà ad essere presente nella Chiesa di Cristo, sempre bisognosa di rinnovamento,
tanto più efficacemente quanto più costante sarà, nella nostra famiglia religiosa, la preoccupazione
di attingere alle sorgenti genuine della perfezione cristiana.
3
PROEMIO
I. SCOPO E NATURA DELL’ ORDINE

1. I nostri Fondatori, desiderosi di servire Dio con maggiore serenità d’animo, mossi da divina
ispirazione, decisero di emettere i tre voti sostanziali della vita religiosa, cioè povertà, castità,
obbedienza e vestendo il solito e comune abito clericale, di abitare insieme, vivendo in comune e
del comune, nell’umile e devoto servizio di Dio, nella misura da Lui stesso data. Conducendo una
vita clericale in umile e immediata dipendenza e speciale protezione del Romano Pontefice e della
Sede Apostolica, decretarono di dedicarsi alla predicazione della Parola di Dio, all’ascolto delle
confessioni e agli studi della Sacra Teologia e dei Sacri Canoni, per il progresso delle loro anime e
di quelle degli altri fedeli.
2. Questo stile di vita, tratto dalla forma di vita degli Apostoli, come è scritto negli Atti,
confermato da Clemente VII e da altri sommi Pontefici, assimilato dagli usi e dalla tradizione dei
nostri Padri, conservato fino ad oggi dai Nostri nelle Costituzioni, è sembrato conveniente
revisionarlo accuratamente, in ottemperanza alle ultime disposizioni della Sede Apostolica, perchè
ogni religioso teatino sappia ciò che deve o non deve fare.

II. L’OSSERVANZA DELLE NOSTRE LEGGI
3. Nello scrivere ed esporre queste cose, intendiamo non solo che si osservi fedelmente quanto
stabilito dalla legge naturale, da quella evangelica e dai sacri canoni ma anche perchè, rafforzati
dal vincolo dei tre voti e da queste Costituzioni religiose, con l’aiuto di Dio, possiamo più
facilmente aderire alla via della perfetta carità (cf. c. 598 § 2).
4. Poichè dunque questo nostro stile di vita religioso si basa sugli Atti degli Apostoli e sui
Sacri Canoni della Chiesa, il Codice delle Costituzioni è soggetto, come ogni legge Canonica, a
continua revisione e aperto ai segni dei tempi. Solo il Capitolo Generale, però, ha l’autorità di
emanare nuove leggi e di abrogare le vecchie a norma dell’articolo 180 delle Costituzioni. Il Codice
poi di queste nostre medesime Costituzioni, in cui si fondono elementi spirituali e giuridici,
approvato dalla competente Autorità Ecclesiastica, può essere modificato soltanto con il consenso
della stessa Autorità (cf. c. 587 § 2 e 3). L’interpretazione autentica delle Costituzioni spetta sempre
alla S. Sede.
4
5. Per salvaguardare la serenità e la tranquillità delle coscienze, dichiariamo, tuttavia, che pur
rimanendo la sanzione, nè le Costituzioni, nè altre nostre regole sono vincolanti come peccato, a
meno che non si tratti di un precetto o di disprezzo. D’altra parte non abbiamo alcun precetto al di
fuori della legge naturale o divina, della legge ecclesiastica o dei tre voti religiosi. Ai Superiori
della nostra Congregazione tuttavia non manca l’autorità di obbligare sotto colpa, specialmente per
cose gravi e se l’ordine è espresso con le parole: “comandiamo in virtù di santa obbedienza”. Stiano
tuttavia attenti i Superiori a non comandare nulla imprudentemente, e si astengano dai troppi
precetti per evitare interiori turbamenti ai confratelli.
6. Perché le Costituzioni siano ben ricordate e quotidianamente meglio osservate, siano lette
almeno una volta all’anno nella comunità. I Superiori non possono concedere ad alcun religioso
dispense generali riguardo alle disposizioni delle Costituzioni; in caso di vera necessità e in materia
disciplinare, possono concedere, al singolo religioso e per quella circostanza, la dispensa richiesta.
Tutte queste cose siano valutate nel Signore, tenendo presente le disposizioni canoniche per evitare
di andare oltre i propri poteri in cose che richiedono l’autorità superiore. A tutti quelli che
abbracceranno questa regola, auguriamo pace e misericordia.

PARTE PRIMA
I CHIERICI REGOLARI NELLA CHIESA

CAPITOLO I
VITA FRATERNA IN COMUNE

7. La vita fraterna in comune, con la quale, sia chierici che laici, siamo radunati in Cristo come
in una speciale famiglia, deve essere pervasa da tanta carità, che realizzando in casa lo stesso stile
di vita, diveniamo tutti imitatori di quelli di cui si legge che ebbero un cuore solo e un’anima sola,
nonché dei nostri Fondatori che a quella vita apostolica si ispirarono (cf. cc. 602 e 607 § 2).
8. Questa carità, come dice s. Agostino, è particolarmente salvaguardata se i voti, la
professione e la religione tutta sono al servizio della carità; ferire la carità è lo stesso che offendere
Dio; è stata tanto raccomandata da Cristo e dagli Apostoli che se manca essa, c'è il vuoto; se è
presente, vi è tutto.
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9. Nelle nostre comunità vi sia il vero amore fraterno, affinché la vita comune diventi per tutti
un aiuto reciproco per realizzare ciò che è più importante e utile: è questa la forza dei voti e il fine
dei consacrati. Per questo fine noi viviamo insieme nel nome di nostro Signore Gesù Cristo e in
modo tanto stretto che, come disse il fondatore del nostro Ordine, s. Gaetano, nè luoghi, né morte
possono spezzare questo vincolo.
10. E poiché lo stesso Cristo Signore è presente misticamente in ogni fratello, vi sia fra tutti un
reciproco rispetto per realizzare ogni cosa ordinatamente secondo il pensiero dell’Apostolo. Sulle
nostre labbra non compaia neppure una minima mormorazione o diffamazione; sopportiamo
pazientemente gli uni i difetti degli altri, portando gli uni i pesi degli altri, con carità sincera e con
evangelica mansuetudine, come conviene a persone che sono state messe insieme e sono governate
dalla divina Provvidenza, secondo gli scritti dei nostri Maggiori.
11. Non vi sia tra noi altra differenza o modo di vivere di quello comandato dal precetto
dell’amore di Dio o dalla Legge della Chiesa.
12. Perciò, per il posto o l’ordine di importanza, tra noi, viga la regola della libertà evangelica
che deve essere osservata ovunque. Ma se per buoni motivi si deve osservare la precedenza, allora
al Preposito Generale spetta il primo posto in tutto l’Ordine, al Preposito Provinciale nella sua
Provincia, al Preposito Locale nella sua casa e a seguire i rispettivi Vicari, quindi gli altri Sacerdoti
e Diaconi, secondo l’ordine della professione, gli altri Professi, secondo il proprio ordine, i Novizi e
infine i Postulanti.
13. Nessun chierico o laico si allontani dalla casa senza il permesso del Preposito. Ma se si tratta
di una assenza prolungata il Superiore Maggiore, col consenso del suo consiglio e per giusto
motivo, può concedere al religioso di dimorare fuori dalla casa dell’Istituto, per non più di un
anno, eccetto il caso di malattia, di studio, o di apostolato per conto dell’Istituto (cf. c. 665 § 1).
14. Si deve sempre avere rispetto per il silenzio, che è custode della Religione. Quando siamo in
casa, in Chiesa, in sagrestia , nei luoghi comuni, si cerchi di parlare a bassa voce.
15. Per far crescere e conservare lo spirito della famiglia, tutti si sottomettano alla regolare
disciplina e ai lavori della comunità; ci sia lo sforzo di partecipare ad un’unica mensa, contenti del
comune, senza particolarità e ricercatezza di cibo o vestito; ciascuno consideri la propria camera
come un porto in cui rifugiarsi; i mezzi di comunicazione sociale siano usati con misura,
discrezione e prudenza. In tutte le nostre case vi sia sempre un luogo riservato per i soli religiosi
(cf. cc. 666 - 667 § 1).
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CAPITOLO II
I TRE VOTI RELIGIOSI
16. I tre voti religiosi, con i quali ci siamo offerti al Dio Altissimo, dobbiamo osservarli con
santità e fedeltà immutabile. Per questo plaudiamo a coloro che, sull'esempio dei nostri Padri, prima
di andare a letto, genuflessi davanti a Dio, rinnovano la loro professione.

La castità
17. Il voto di castità, abbracciato per il Regno dei cieli, comporta l'impegno della perfetta
continenza nel celibato. Per cui avendo consacrato a Dio il corpo e la mente, manteniamoci limpidi
nello sguardo, nel muoverci, nel parlare e nella compostezza di tutta la persona per mostrarci a tutti,
già in terra, come testimoni luminosi della futura risurrezione (cfr. c. 599).
18. Coscienti tuttavia di portare questo dono prezioso in vasi di creta, ciascuno sostenga questa
lotta con forte umiltà e con umile fortezza, come diceva il nostro Padre San Gaetano; si impegni
dunque a crocifiggere la propria carne con i suoi vizi e concupiscenze; innalzi, assiduamente,
preghiere e suppliche a Colui che può farci realizzare la speranza promessaci; viva, con intimo
fervore di spirito, il mistero eucaristico; abbia filiale devozione verso la Beata Maria Vergine; e non
trascuri quei mezzi naturali che giovano alla salute del corpo e dello spirito. Così facendo, quasi per
un innato istinto spirituale, viene respinto tutto ciò che è nocivo e pericoloso, mentre bisogna
ricordare che la castità ha maggiore possibilità di riuscita quando tra i membri della Comunità vige
un intenso amore fraterno.

La povertà
19. La povertà, che è la via più agevole per arrivare a Dio e il più grande e sicuro sostegno per
la famiglia religiosa di Cristo, dev'essere praticata in pubblico e in privato. Il voto di povertà, a
norma delle Costituzioni, comporta la limitazione e la dipendenza nell'usare e nel disporre dei beni
(cf. c. 600). Perciò, nessuno abbia assolutamente nulla di proprio, ma tutti vivano in comune e del
comune.
20. Quando i Nostri emettono la prima professione, mossi dallo spirito evangelico, affidino
liberamente a chi vogliono l'amministrazione, l'uso e l'usufrutto dei propri beni. Tutti poi, sia
chierici che laici, prima della professione perpetua, rinunzino, con effetti possibilmente anche civili,
a tutti i loro beni, per vivere da veri poveri di Cristo, davvero bisognosi, come i nostri Fondatori,
non avendo sotto il cielo nient'altro che la nostra povertà evangelica, fondata solo sull'amore e sulla
Provvidenza di Dio (cf c. 668 & 1 e 4).
21. Le offerte ed ogni altro bene, dati ai Nostri, da parenti o estranei, a qualsiasi titolo, siano
messi in comune. Nessuno, senza il permesso e il beneplacito del Superiore, usi per sé le offerte
ricevute, né trattenga, depositata presso estranei, qualsiasi di queste cose, senza l'approvazione del
Superiore: il contrario significherebbe diventarne proprietari. Ciò che viene dato ad uno dal
Superiore, non sia dato ad un altro senza il suo permesso.
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22. Tutto ciò che il religioso guadagna per sua iniziativa o per conto dell'Istituto, lo guadagna
per l'Istituto. E tutto ciò che gli può entrare per pensione, sovvenzione o assicurazione, a qualsiasi
titolo, tutto viene acquisito dall'Istituto.
23. La povertà, inoltre, sia visibile nelle singole stanze, nelle vesti e nelle supellettili di ognuno.
Da noi non è stabilito alcun colore o forma determinata nei vestiti o nell'abito religioso, né ci sono
divieti a riguardo; è importante per noi essere sempre dignitosi come si addice a dei chierici. L'abito
che portiamo, perciò, sia il segno della nostra consacrazione e testimonianza di povertà, secondo le
norme emanate dalle Conferenze Episcopali e le valide consuetudini dei luoghi in cui viviamo (cf.
cc. 284 e 669).
24. Nel mangiare, osserviamo, attentamente, la frugalità e la sobrietà, che sono proprie della
povertà; e rispettiamo, diligentemente, i digiuni prescritti dalla Chiesa.
25. Sebbene né la Professione, né i Sacri Canoni ci vietano di possedere in comune rendite
annue, tuttavia, per restare liberi da ogni vincolo, asteniamocene spontaneamente, in modo che,
non condizionati dagli affari secolari, possiamo imitare la povertà di Cristo Signore, degli Apostoli
e di tutti coloro che, come si legge negli Atti, erano un cuor solo e un'anima sola, ricordando
sempre: Non affannatevi dunque dicendo: che cosa mangeremo o che cosa berremo, il Padre vostro
celeste infatti sa che ne avete bisogno.
26. Noi chierici dobbiamo vivere dell'Altare e del Vangelo e di quanto spontaneamente ci
viene offerto dai fedeli, senza chiedere alcuna elemosina ai secolari, né direttamente, né tramite
altri; tutta la nostra speranza deve essere posta nelle parole di Cristo Signore che dice: Cercate
prima il Regno di Dio e la sua giustizia e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta.

L'obbedienza
27. Ognuno di noi deve osservare, ed in essa eccellere, l'obbedienza, scelta nella sequela di
Cristo, fattosi obbediente fino alla morte. Diceva S. Gaetano: nell'obbedienza e nella morte di me
stesso sta la gloria del mio Creatore.
28. Al Romano Pontefice, a cui siamo tenuti ad obbedire anche in forza dei voti, dobbiamo
particolare riverenza, amore e sottomissione, professandoci figli consacrati al suo fedele servizio.
29. I membri del nostro Ordine, mossi dallo spirito di fede e di amore, nella sequela di Cristo,
che si è fatto obbediente fino alla morte, si obbligano alla sottomissione della propria volontà ai
legittimi superiori, quali rappresentanti di Dio, quando questi comandano nel rispetto delle nostre
Costituzioni (cf. c. 601). Ricordandosi dunque che hanno rinunciato alla propria volontà per amore
di Dio e solo per Lui, obbediscano ai loro superiori, non solo esteriormente, ma li seguano con
grande amore e profonda stima. Perciò sarà impegno di tutti conoscere la volontà del Superiore,
seguirla e rispettarla. Si obbedisca, come al Superiore e senza lamentele, a chiunque il Superiore ha
affidato delle particolari incombenze.
30. I Superiori, da parte loro, come sono a capo degli altri in dignità ed ufficio, allo stesso
modo, siano primi nelle virtù religiose ed, esercitando l'autorità, in spirito di servizio e di amore
verso i fratelli, li amino come Dio li ama. Governino i sudditi quali figli di Dio e, nel rispetto della
loro persona umana, ne promuovano una spontanea sottomissione e una libera adesione, per
ottenerne, negli uffici loro affidati e nelle iniziative, una cooperazione dinamica e responsabile.
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31. Eccellino, perciò, i Nostri nell'osservanza dei Consigli evangelici; infatti dalla nostra
integrale fedeltà ad essi dipende il progresso spirituale sia nell'attività apostolica che nella
contemplazione delle cose di Dio. Questo ci insegna, come al solito, con poche parole, il nostro
Padre S. Gaetano: la vita attiva consiste nell'accettare lavoro e povertà; la contemplativa, invece,
esige purezza d'intenzioni, custodia dei sensi, obbedienza alle interiori ispirazioni.

CAPITOLO III
IL MINISTERO DELLA PAROLA E LA PREGHIERA

32. Il nostro particolare modo di vivere la vita religiosa, scaturito dagli Atti degli Apostoli,
esige, più di ogni altra cosa, che, dando ovunque testimonianza della risurrezione del Signore, ci
dedichiamo, con assiduità, al ministero della Parola e alla preghiera e ci impegniamo, con tutte le
forze, alla salvezza dei fratelli. Quindi dobbiamo considerare come propria del nostro stato religioso
qualsiasi attività, opera o ministero, specialmente se ad esse ci chiama l'ubbidienza o la carità.
33. Conserviamo fedelmente la missione e le attività proprie del nostro Ordine, adattandole alle
necessità dei tempi e dei luoghi, usando anche nuovi e più opportuni mezzi, perché le nostre
Comunità siano, sempre, attente alla voce dello Spirito, che soffia dove vuole. Quando questa voce,
poi, è stata, chiaramente, riconosciuta, sia messa in pratica nel ministero e nella edificazione del
Corpo di Cristo (cf. c. 577).
34. I Nostri, nelle opere di apostolato, si aiutino scambievolmente, in modo che, cercando prima
di tutto il Regno di Dio, possano evitare anche l'ombra della vanagloria per guadagnare più
facilmente le anime dei fratelli. Perciò, in ogni casa, coloro che hanno ricevuto qualche incombenza
apostolica, scambiandosi reciprocamente le sperienze, portino avanti il proprio lavoro sotto la guida
del Preposito.
35. I Prepositi, nell'assegnare determinati impegni apostolici ai propri religiosi, abbiano cura di
rispettare le loro capacità intellettive e di volontà, come pure le loro doti naturali e di grazia; siano,
inoltre, definite le modalità d'azione, perché non accada che, qualcuno troppo occupato, non abbia
neppure un po' di tempo per se stesso.
36. I nostri religiosi abbiano particolare attenzione per coloro che frequentano le nostre chiese:
non cerchino il proprio comodo o gli interessi personali, abbiano solo cura della salvezza delle
anime, e si guardino bene dall'immischiarsi nei loro affari temporali, come redigere testamenti o
come erogare elemosine, specialmente se destinati a favore della nostra famiglia religiosa; questo
per evitare non solo il peccato dell'avarizia, ma anche il solo sospetto.
Il permesso per i religiosi di predicare nelle nostre chiese o oratori, può essere dato anche
solo dai Prepositi locali (cf. c. 765).
37. I sacramenti siano amministrati gratuitamente e con dovuta diligenza e trasparenza. Pur non
dimenticando i principi dell'esenzione, i nostri Religiosi siano sottomessi all'autorità dei Vescovi, ai
quali devono rispetto devoto e riverenza in tutto ciò che riguarda la cura delle anime, l'esercizio
pubblico del culto divino e le altre opere di apostolato (cf. c. 678).
38. Prima di mandare qualche confratello dal Vescovo diocesano per una convenzione scritta su
qualche ufficio ecclesiastico che gli si vuole affidare in diocesi, o per il permesso da ottenere dagli
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Ordinari del luogo per l'esercizio di qualsiasi altro ministero, l'interessato sia scrupolosamente
esaminato, a meno che la sua idoneità non consti da altre fonti; se poi risulta idoneo, allora siano
accuratamente rispettate le prescrizioni dei Canoni (cf. cc. 681 e 682).
La predicazione della Parola di Dio
39. Ci stia veramente a cuore collaborare con il Vangelo alla edificazione della Chiesa, all'umile
servizio del Padrone della messe perché, ardenti di zelo per le anime, possiamo essere identificati
come figli di S. Gaetano, che veniva chiamato cacciatore delle anime. Quindi tutti e ciscuno di noi
che ci gloriamo di militare sotto il vessillo della croce, specialmente i costituiti in Sacris,
dedichiamoci, con sollecitudine e con tutte le forze, al bene della Chiesa, nella predicazione, nella
catechesi, nelle parrocchie e nelle chiese, nell'istituzione di oratori o di altri tipi di associazioni,
nell'educazione dei giovani, e in qualsiasi altra opera di apostolato, a noi affidato, affinché gli
uomini possano aderire a Lui che è Via, Verità e Vita (cf. cc. 768 e 801).
40. I Nostri, presentandosi l'occasione, non trascurino l'opera missionaria, affinché, anche nei
tempi moderni, si possa imitare lo zelo dei nostri Maggiori, i quali si prodigarono generosamente,
come è risaputo, sia tra i pagani che tra i cristiani erranti per ricondurrli alla piena unità con la
Chiesa (cf. c. 783).
41. Questi ministeri ecclesiastici, nonché l'attività apostolica, siano strettamente uniti alla
Santissima Eucarestia, nella quale naturalmente è contenuto tutto il bene spirituale della Chiesa,
cioè Cristo che vivifica gli uomini, e sulla quale deve fondarsi ogni comunità cristiana.
42. Nell'esercizio del ministero, dal quale nasce e si alimenta la fede, ci si impegni soprattutto a
proporre, integralmente e fedelmente, il mistero di Cristo, a educare rettamente nei costumi gli
ascoltatori e a spingere e infiammare il loro animo all'amore di Dio.
Il permesso di cui hanno bisogno i nostri Religiosi per stampare scritti di natura religiosa o
di morale, può essere loro dato dai superiori maggiori (cfr c. 832).

LA PREGHIERA

La liturgia delle ore
43. Le preghiere del Divino Ufficio, cioè il cantico di lode che viene cantato nei cieli e che il
Sommo Sacerdote, Cristo Gesù, ha introdotto sulla terra, sia celebrato in comune, con devozione e
puntualità, da tutti, chierici e laici e, per quanto è possibile, con la partecipazione del popolo,
rispettando le norme rituali del libro della Liturgia delle Ore e i tempi propri (cfr. c. 1173).
44. E' importante che i Chierici Regolari, fedeli alle loro origini, abbiano grande stima per
l'Ufficio Divino, infatti mentre pregano con esso, soli o con i fedeli, partecipano alla massima lode
che la Chiesa tributa pubblicamente a Dio. Con l'Ufficio diventiamo, veramente, voce della sposa
che parla allo sposo Cristo, anzi voce e supplica di Cristo che con il suo corpo mistico si rivolge al
Padre (cfr. c. 1173).
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45. Il Preposito si preoccupi di organizzare gli impegni della giornata in modo tale da ottenere
da tutti la migliore partecipazione possibile al divino Ufficio; ma se, per l'attività apostolica di
qualche comunità, a causa del limitato numero dei religiosi o di studio, è difficile celebrare in
comune tutto l'Ufficio, ogni giorno, allora si dia la dovuta importanza ai cardini di questa Liturgia:
le Lodi mattutine e i Vespri. Tuttavia i Prepositi si preoccupino che la recita, in comune di tali Ore,
non sia tralasciata se non per gravi motivi.
46. E' importante inoltre, nella domenica, essendo fin dalle origini il giorno festivo da proporre
e inculcare alla pietà di tutti, e nelle altre solennità della Chiesa, cantare, se si ritiene opportuno, in
comune, l'Ufficio con la Messa, rispettando la natura di ciascuna parte.
47. I sacerdoti e i diaconi sono tenuti a completare, privatamente, quelle parti
dell'Ufficio che non è stato recitato comunitariamente; anche i laici sono invitati a recitare l'Ufficio
per diventare più perfetti discepoli del Signore e per gustare più intimamente le insondabili
ricchezze di Cristo (Ccf. c. 1174 & 1).
Altre forme di preghiera
48. Come ci dice la stessa Verità, bisogna sempre pregare. Seguendo, perciò, l'esempio dei
nostri Maggiori, dobbiamo unire alla Liturgia delle Ore la pratica dell'orazione mentale affinché il
Signore, da noi contemplato, e senza il quale non possiamo far nulla, dia incremento alle nostre
opere e corrobori le nostre forze nella trasmissione del Suo vangelo ai lontani (cf. c. 663 & 3).
49. Due volte al giorno, dopo la lettura o l'omelia che si tiene nella celebrazione delle Lodi e dei
Vespri, come vera proclamazione della Parola di Dio, dedichiamo tranquillamente alla riflessione
un congruo spazio di tempo, in modo da non dedicare meno di mezz'ora al giorno alla
contemplazione delle cose divine (cf. c. 663 § 1).
50. Prima di andare a dormire si reciti la Compieta, ultima preghiera della giornata, in comune o
in privato, secondo l'opportunità; infine, si faccia un adeguato esame di coscienza su pensieri,
parole e opere (cf. c. 664).
51. Seguendo le orme degli Apostoli che prendevano il cibo con gioia e semplicità di cuore, nel
riunirci per la mensa comune, benediciamo di tutto cuore Dio che colma di beni gli affamati, apre
la sua mano e arricchisce tutti con la sua benedizione.
Dopo il pranzo, fatto il consueto ringraziamento, preghiamo Dio per i benefattori,
soprattutto per quelli ricordati a mensa, come raccomandava S. Gaetano ai Suoi.
52. Ciascuno di noi abbia cura di recitare il piccolo Ufficio o il Rosario della B. Vergine Maria;
come è richiesto dalla vera devozione alla Vergine Santissima, particolare Patrona del nostro
Ordine, con il titolo della Purità, e modello e protettrice di ogni vita consacrata (cfr. c. 663 § 5).
53. In ogni mese, ci sia un giorno dedicato al ritiro spirituale; e, per incrementare il fervore dello
spirito e l'accurata osservanza delle Costituzioni, ogni anno, i nostri religiosi, messo da parte
qualsiasi altra preoccupazione, si dedichino, per alcuni giorni, unicamente, alle cose della spirito
(cfr. c. 663 § 5).
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CAPITOLO IV
CELEBRAZIONE DEI SACRAMENTI

La Santissima Eucarestia
54. All'assiduità della preghiera dobbiamo unire l'uso frequente dei Sacramenti che, in quanto
atti di Cristo e della Chiesa, sono segni e mezzi con i quali si manifesta e si corrobora la fede, si
rende culto a Dio e si realizza la nostra santificazione.
55. Il sacramento dell'Eucarestia, culmine al quale tende tutta l'attività della Chiesa e sorgente
da cui promana tutta la sua forza, deve avere il massimo onore e deve essere da noi celebrato tutti i
giorni, perché sia davvero in Cristo il centro della nostra Congregazione (cf cc. 608 e 897).
56. Perciò, i nostri Religiosi partecipino, nel limite del possibile, tutti i giorni, al sacrificio
eucaristico, ricevino il Santissimo Corpo di Cristo e adorino lo stesso Signore presente nel
Sacramento. Si segua, in questo, l'esempio dei Padri e dei nostri Antichi che alimentavano la loro
vita alla duplice mensa della Parola di Dio e della Eucarestia e, massimamente, S. Gaetano, il quale
era solito celebrare, solennemente, tutti i giorni e che, secondo la storia, in quel tempo, fu tra i primi
sostenitori della comunione frequente al Corpo di Cristo (cf c. 663 & 2).
57. Il Sacrificio Eucaristico può essere concelebrato, quotidianamente, da tutti i sacerdoti della
Casa, a meno che l'utilità dei fedeli non richieda o consigli diversamente. Tutti i Religiosi presenti,
chierici o laici, ciascun nel suo ruolo, svolga il suo ufficio, secondo il grado dell'Ordine o del
ministero liturgico. Tuttavia, ad ognuno resta la libertà di celebrare privatamente, però, non in
contemporanea nella stessa chiesa o oratorio dove si sta concelebrando cf c. 902).

La penitenza
58. I Nostri devono dedicarsi a una costante conversione dell'anima a Dio perché, perseverando
continuamente nella penitenza e nel rinnovamento, Cristo prenda forma in noi (cf. c. 664).
59. Ora, per un incessante rinnovamento in Lui, sia i chierici che i laici, pur coscienti di nessuna
colpa grave, accostiamoci, con frequenza, al Sacramento della Penitenza, perché diventando più
puri, per mezzo di un attento esame di coscienza e della confessione, possiamo ottenere da Dio il
perdono dei peccati e dalla Chiesa la pace (cf. c. 664).
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60. Per quanto riguarda la libertà dei fratelli di scegliersi il confessore e il direttore spirituale, si
osservi scrupolosamente quanto stabilito dal diritto comune. I Prepositi, tuttavia, provvedano con
diligenza che i religiosi abbiano disponibilità di confessori idonei, dai quali possano confessarsi con
frequenza (cf. c. 630).
Assistenza spirituale degli ammalati e dei moribondi
61. A coloro che sono affetti da lunga malattia, si porti volentieri la Santa Comunione, secondo
il loro devoto desiderio, e siano dati loro gli aiuti spirituali necessari perché Dio li aiuti e li salvi.
62. Se il paziente dovesse aggravarsi e trovarsi in pericolo di vita, per la malattia o per l'età, il
Superiore si preoccupi non soltanto di fargli amministrare i Sacramenti della Penitenza, della
Eucarestia e dell'Unzione degli Infermi, ma anche di mettergli accanto qualcuno che lo conforti, lo
sostenga e lo disponga al grande passo per la Patria celeste.
63. Quando si capisce che la morte è vicina, i confratelli, se è possibile, si radunino nella stanza
dell'infermo e accompagnino con preghiere e salmi la sua anima che sta per partire.

CAPITOLO V
CURA DELLE SACRE SCRITTURE

64. Le pagine delle Sacre Scritture contengono la Parola di Dio e, poiché ispirate, sono
veramente Parola di Dio, offerta a tutti. Perciò i nostri Religiosi, specialmente quelli che si
dedicano alla predicazione della Parola, approfondiscano, con impegno, la conoscenza delle stesse,
perché non succeda di diventare vuoti annunziatori della Parola di Dio per un mancato ascolto
interiore (cf. c. 663 & 1).

65. Sforziamoci di imitare i nostri Fondatori e i nostri Maggiori i quali, dalla quotidiana e
assidua meditazione delle fonti delle Sacre Scritture, attinsero l'eminente scienza di Cristo Gesù e
stabilirono quella suprema norma dalla quale promana lo stile di vita della nostra Congregazione.
66. I nostri Sacerdoti quindi, chiamati dallo stesso nostro Padre S. Gaetano, padri e ministri del
Vangelo, si accostino con piacere al sacro testo, sia attraverso la divina parola proposta dalla sacra
Liturgia, nella quale Dio parla senza intermediari con la Sposa del suo diletto Figlio, sia attraverso
letture appropriate, sia attraverso istruzioni e altri sussidi, ovunque, diffusi nei nostri giorni.
Si ricordino, tuttavia, che la lettura delle Sacre Scritture per diventare un colloquio tra Dio e
l'uomo, deve accompagnarsi sempre alla preghiera; infatti quando preghiamo parliamo con Lui e
Lui ascoltiamo quando leggiamo la sua parola.

67. I Nostri diano grande importanza all'Ufficio delle Letture che offre materia di fruttuosa
meditazione della Sacra Scrittura e ottime pagine di autori di spiritualità; e facciano del loro meglio
per dispensare a tutti quello che hanno ricevuto e offrire la propria dottrina come nutrimento al
popolo di Dio.

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68. Essendo le nostre comunità apostoliche per vocazione, si impegnino tutti ad acquistare, di
giorno in giorno, una più profonda conoscenza della Sacra Tradizione dei Padri e della Scrittura, sia
del Nuovo che del Vecchio Testamento; nutrano i fedeli con la parola di Dio; ne illuminino le
menti, ne rafforzino la volontà; infiammino i cuori degli uomini dell'amore divino e contemplando
Dio, come in uno specchio, nelle fonti della Rivelazione, arrivino a Lui per vederLo, faccia a faccia,
così come Egli è.
69. E infine, seguendo l'esempio dei nostri Padri, Maggiori e Missionari, ovunque pionieri
autentici della Parola di Dio, impegnamoci perché, preparati ad ogni opera di bene, da questo
approfondito studio e venerazione della Parola di Dio, che è eterna, la stessa possa, oggi, per mezzo
nostro come un tempo lo fu per mezzo di S. Gaetano e i suoi figli, ovunque si diffonda e venga e glorificata.

CAPITOLO VI
CONSUETUDINI DEL NOSTRO ORDINE

70. Dio, il solo santo e santificatore, ha voluto chiamarci affinché, conducendo una vita in
comune e con il medesimo abito, secondo i Sacri Canoni e la professione dei tre voti, noi tutti
potessimo attendere, umilmente, all'opera della santificazione; al cui raggiungimento contribuirà
molto il rispetto e la pratica di alcune consuetudini del nostro Istituto, opportunamente tenute in
conto e fedelmente conservate e vissute.
Riti e decoro nelle chiese
71. E' tradizione propria del nostro Ordine, fin dalle origini, eccellere nella vita liturgica e
nello zelo per la casa di Dio perciò, seguendo l'insegnamento dello stesso San Gaetano, che propagò
mirabilmente lo splendore del culto divino, tutti noi dobbiamo impegnarci per compiere i riti e le
cerimonie con precisione, dignità e decoro. Questo è un dovere specifico e altamente qualificante
dei Chierici Regolari.
72. Per questa ragione, i Prepositi curino di far osservare, diligentemente, le rubriche del
Messale e della Liturgia delle Ore; tuttavia, se sorge qualche dubbio nella loro interpretazione, si
cerchi la soluzione nel proprio Cerimoniale liturgico, se poi non si può desumere neppure da quello,
ci si attenga alla primitiva tradizione della nostra Congregazione.
73. Le chiese, nelle quali viene celebrata e conservata la Santissima Eucarestia, e nelle quali si
riuniscono i fedeli e viene adorata la presenza del nostro Salvatore, offertosi per noi sull'altare del
sacrificio a beneficio e sollievo dei fedeli, siano ben pulite, fornite di tutto il necessario per il culto
religioso e predisposte al meglio per la preghiera e le funzioni sacre.
74. Si ricordino i Nostri di mantenere, ovunque ma specialmente nelle chiese, un
comportamento consono al loro stato, da esternarlo nella compostezza e modestia del volto, nei
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gesti, nelle parole e in tutta la loro persona, la quale deve ispirare serietà, equilibrio e pienezza di
senso religioso.
75. Le suppellettili degli altari, i vasi sacri e tutte le altre cose che appartengono al culto siano
pulite, splendenti e, come conviene, collocate e conservate ciascuna al suo posto.
E' dalla cura e dalla diligenza con cui si trattano queste che viene valutato lo spirito dei religiosi.
76. A ben poco, però, serviranno le cerimonie, anche se belle e solenni, se non sono indirizzate a
realizzare l'educazione e la crescita cristiana dei fedeli. Curino, perciò, i Nostri la scienza e l'arte
liturgica, in modo che, per mezzo del loro sacro ministero, Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo sia,
ogni giorno, più efficacemente lodato dalle comunità in cui operano.
Ospitalità
77. Quando qualcuno dei nostri religiosi arriva in casa nostra da un'altra città o regione,
cerchiamo di offrirgli tutta la nostra benevola e umana disponibilità. Dopo aver ringraziato Dio, gli
si dia, secondo le lodevoli abitudini del posto, l'abbraccio e il bacio di pace; gli si dia poi ciò che è
necessario, ricordando le parole del Signore: ero pellegrino e mi avete ospitato.
78. La stessa cosa si faccia con chi deve partire: gli si dia, senza aspettarne richiesta, quanto è
necessario per le spese del viaggio poiché, facendogli del bene, lo indirizzeremo certamente a Dio.
Se qualcuno poi fosse stato destinato ad altra casa, lo si accompagni alla porta e dandogli il
bacio della pace, lo si congeda con affettuosità.
79. Ricordando infine che nei pellegrini è presente il Signore in persona, accogliamoLo con
grande umanità, come ci insegna la carità, in tutti coloro che ci chiedono ospitalità per diventare
così cooperatori della Verità.
L'opportuna distensione dello spirito
80. Gli esempi e l'autorità dei Santi Padri e l'esperienza quotidiana ci insegnano che per
mantenere la disciplina regolare non è nocivo, anzi giova moltissimo, permettere, di quando in
quando, sereni e allegri periodi di distensione ai Religiosi per sollevarli dalle impegnative fatiche
degli studi, dalle preoccupazioni del ministero pastorale e dalle stesse rigide osservanze
comunitarie.
81. I Prepositi delle Case, pertanto, attenendosi alle norme stabilite dai Capitoli e dai Superiori
Maggiori, facciano in modo che i confratelli possano ritemprare le loro stanche energie,
concedendo loro un congruo e sufficiente tempo di riposo (ferie), nel quale possano rimanere, una o
più volte all'anno, fuori Casa, secondo le consuetudini del posto, sempre però nei termini consentiti
dalla propria professione.
82. Per concludere, i Nostri interrompano il servizio pastorale e le pratiche religiose non per
dissipare il loro spirito, ma per renderlo più alacre, vigoroso e sollecito agli impegni e all'attuazione
delle cose di Dio.
Cura degli infermi
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83. Bisogna provvedere attentamente a chi si dovesse ammalare, offrendogli accuratamente
tutto il necessario. Si faccia, poi, particolare attenzione agli anziani e a quanti sono fisicamente
deboli.
84. Il Preposito abbia nei loro riguardi paterno affetto e, se necessario, li faccia accudire da
persona che sia ricca , non solo, delle comuni virtù ma, in particolare, di carità e pazienza. In
questo ci è di fulgido esempio il nostro Padre San Gaetano, eminente nel dar sollievo agli ammalati,
pronto a servirli personalmente e a nutrirli con le proprie mani.
Ci sia una parte riservata della casa, dove, per la stessa comodità degli ammalati, possano
accedere per una visita anche i secolari, senza dover per questo disturbare l'osservanza religiosa.
85. Il Preposito e anche gli altri, per quanto è possibile, visitino gli ammalati tutti i giorni o
almeno ogni due giorni, ricordandosi delle parole del Signore: ero ammalato e mi avete visitato.
86. Se qualcuno per motivi di salute necessita cambiare clima o luogo, prima preghi; quindi
esponga ogni cosa al Preposito; e in fine, in tutta serenità e tranquillità, si attenga alle sue decisioni
come alla migliore delle soluzioni.
87. Inoltre, si preoccupino i Prepositi che ognuno dei membri da loro governati siano iscritti,
secondo le leggi nazionali, sia ecclesiastiche che civili, a quelli Istituti Assicurativi e Assistenziali,
nei quali si provvede, opportunamente, all'assicurazione, all'assistenza sanitaria e al sostentamento
degli invalidi per infermità o per vecchiaia.
Suffragi per i defunti
88. Quando muore qualcuno, sia esso professo, novizio o postulante, la salma, accompagnata da
tutti, sia portata in chiesa. Quindi, a tempo opportuno, secondo gli usi locali, si faccia la Liturgia
della sepoltura, si celebri la messa esequiale e si designi un sacerdote che, per trenta giorni, celebri
l'Eucarestia in suffragio del defunto.
89. La notizia del decesso venga comunicata, al più presto, alle altre Provincie e allora, tutti i
sacerdoti dell'Ordine, ricevuta la notizia, celebreranno due Sante Messe in suffragio di quell'anima;
mentre quelli che non sono sacerdoti partecipino due volte al sacrificio eucaristico ricevendo il
Corpo del Signore.
90. Alla morte del Sommo Pontefice e del Preposito Generale si celebri una Messa solenne in
tutte le nostre Case. Alla morte del Vescovo diocesano, venga celebrata una Messa solenne nelle
Case di quella Diocesi.
91. Nella settimana della Commemorazione dei Defunti, si faccia una concelebrazione per tutti i
Fratelli defunti dell'Ordine.
92. Ogni Casa dell'Ordine abbia un proprio e conveniente luogo per la sepoltura dove, nel
rispetto e culto idonei alla nostra vita consacrata, siano seppelliti i corpi dei nostri fratelli in attesa
della risurrezione.
93. Alla morte di un genitore di qualsiasi nostro religioso, nella Casa dove dimora il figlio,
venga concelebrata una Messa solenne. Se il figlio è sacerdote gli sarà consentito celebrare la
Messa nel loro anniversario, se invece non lo è, il Preposito darà l'incarico a un sacerdote per
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celebrare il Sacrificio per loro. Nella morte del padre o della madre di un Religioso già defunto, la
Messa solenne sarà celebrata in una Casa scelta dal Provinciale.
CAPITOLO VII
FRATERNI RAPPORTI CON LE SUORE TEATINE
94. L'Ordine dei Chierici Regolari e le Suore Teatine dell'Immacolata Concezione, avendo, tra
di loro, una speciale spirituale comunione , formano, in seno alla Santa Madre Chiesa, una famiglia
più larga, unita strettamente dal vincolo della carità e della Tradizione.
95. Ma poichè ciascuno dei due Istituti ha differenti doni, secondo la grazia loro concessa,
ciascuno di essi gode di legittima autonomia di vita e partecipa alla missione della Chiesa, secondo
la propria natura e il proprio fine specifico (cfr c. 577).
96. Tuttavia, i nostri Religiosi, ricchi di spirito di fraterna collaborazione, nell'esercizio del loro
ministero sacramentale, dottrinale e pastorale, si ricordino di aiutare, nel limite delle loro
possibilità, le Suore Teatine.
97. Cerchino pertanto i Nostri di favorire una stabile comunione con esse, dalla quale, per
quanto è possibile, si realizzi, con aiuto scambievole, la stessa attività apostolica dell'una e dell'altra
famiglia religiosa per un maggiore bene della Chiesa e per un luminoso esempio di unità per tutti.


S E C O N D A P A R T E
AMMISSIONE E FORMAZIONE DEI CHIERICI REGOLARI

Capitolo I
I Postulanti
98. Sempre rispettando le norme emanate dalla Santa Sede e dall'Ordinario del luogo e con la
necessaria prudenza, la nostra famiglia religiosa ha tutto il diritto di incrementare l'Opera
Vocazionale per la ricerca di nuovi candidati . Tuttavia si ricordino i Nostri che la migliore
propaganda e invito ad abbracciare la vita dei Chierici Regolari rimane sempre, unitamente alla
preghiera, l'esempio della propria vita.
99. Si mantengano e si favoriscano i seminari minori o altri istituti simili, dove, allo scopo di
incrementare le vocazioni, si provveda a dare una particolare formazione religiosa insieme a
quella umanistica e scientifica, con la quale i giovani siano abilitati ad accedere, ciascuno nel
proprio territorio, agli studi superiori (cfr c. 234).
100. I Capitoli e i Prepositi si impegnino a fondare ovunque simili istituti e a sostenerli con aiuti
opportuni.
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Ammissione al postulantato
101. Per l'incremento del Culto Divino e di tutto l'Ordine, è fondamentale accogliere tra di noi
solo a coloro che, condotti dallo Spirito Santo, esprimono esemplarità di vita e vengono ritenuti
validi per l'Ordine.
102. Per cui l'interessato, prima di essere ammesso, venga invitato a una intensa preghiera e
quindi a presentare al Preposito una domanda scritta di suo pugno. Quindi, sia esaminato
scrupolosamente, tenuto conto della sua età e maturità, il suo spirito religioso, la sua fede cattolica,
la sua retta intenzione, la sua libertà, le sue capacità spirituali, morali e intellettuali, il suo stato di
salute, fisico e psichico, senza trascurare la sua costituzione o indole naturale, probabilmente,
ereditate dalla famiglia. Si valuti inoltre la sua idoneità a mantenere gli impegni sacerdotali e a
compiere i doveri propri della nostra Congregazione (cfr. c. 642).
103. Se dopo un accuratissimo esame, non risultano ostacoli alla sua ammissione, il postulante
può essere accettato con il consenso della maggioranza del Consiglio Locale, purché sia dello stesso
parere anche il Preposito. Tuttavia, se egli è stato in un'altra Casa, non può essere ammesso senza
l'espressa licenza del Preposito Provinciale.
104. Colui che è stato ammesso al postulantato nel nostro Ordine ha un tempo, per osservare
attentamente il nostro stile di vita, che va da un minimo di sei mesi a un massimo di un anno.
105. Quindi il Postulante sia affidato dal Preposito ad uno dei confratelli, il quale non solo possa
darne un giudizio sulla sua idoneità e vocazione, ma possa anche completarne, se necessario e nella
maniera più opportuna, il bagaglio delle sue conoscenze religiose.

CAPITOLO II
I NOVIZI
106. Secondo un'antichissima tradizione dell'Ordine, nessun Novizio venga ammesso al
probandato o alla professione, se non dopo lungo e sperimentato tempo di prova. Trascorso, poi, il
tempo del postulantato, il Postulante, se è ritenuto idoneo, dopo aver presentato richiesta sottoscritta
e dopo alcuni giorni di esercizi spirituali, potrà essere ammesso al Noviziato dal Preposito
Provinciale con il consenso del suo Consiglio, a norma del Diritto (cfr cc. 641 - 645).
107. Il noviziato, con il quale si incomincia la vita nella nostra Congregazione, è ordinato a far sì
che i Novizi possano prendere meglio conoscenza della vocazione divina e di quella propria del
nostro Istituto, sperimentarne lo stile di vita, formarsi mente e cuore secondo il suo spirito; e al
tempo stesso verificarne le intenzioni e l'idoneità (c. 646).
Nomina del Maestro dei Novizi
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108. Appena il Postulante è stato accolto, con rito liturgico, secondo la tradizione, nel Noviziato,
il formando sia affidato dal Preposito Provinciale al Maestro dei Novizi, a cui compete la direzione.
La nomina del Maestro deve essere fatta, anno per anno, dal Preposito Provinciale con il consenso
del suo Consiglio Pleno, anche se la stessa persona, se si ritiene opportuno, può essere confermata
per più anni.
109. Per questo ufficio sia scelto un sacerdote di voti solenni, dotato di integrità di vita e serietà
di condotta, di prudenza e discrezione, di mitezza e forza, secondo le circostanze e le persone;
capace di partecipare, volentieri e assiduamente, con tutti gli altri, ai comuni lavori della Comunità;
ben erudito nelle cose divine, ecclesiastiche e nostre: in grado di insegnare agli altri, con le parole e
con l'esempio, la legge di Dio, i suoi consigli e la via della perfezione.
Compito del Maestro dei Novizi
110. E' compito del Maestro discernere e provare la vocazione dei Novizi e prepararli a vivere,
gradualmente, la via della perfezione, propriamente specifica del nostro Istituto.
111. Perciò egli, per l'ufficio ricevuto dal Preposito Provinciale, insegni, con diligenza e
sollecitudine, ai Novizi a lui affidati: ad amare Dio con tutto il cuore; a disprezzare le lusinghe e i
piaceri del mondo; a praticare la povertà e l'umiltà in tutte le cose; ad abbracciare l'ubbidienza, con
prontezza e gioia; ad amare, al massimo grado, la purezza e l'innocenza della vita; a fare ogni
giorno il proprio esame di coscienza; a verificare, settimanalmente, metodi e progressi nel loro
cammino religioso; a confrontare con il Vangelo il loro quotidiano modo di vivere e a confessarsi
frequentemente.
112. Li esorti inoltre a manifestare a lui, con immediatezza e spontaneità, tentazioni ed anche
singoli pensieri; a non perder tempo in cose inutili; ad evitare le vane occupazioni mondane; ad
osservare il silenzio nei luoghi e nei tempi stabiliti; ad amare il fervore e l'assiduità della preghiera;
a provare il gusto delle cose divine e a vivere, con la massima diligenza, le tradizioni proprie del
nostro Ordine. A questo scopo, i Novizi siano ben istruiti sulla spiritualità, sull'indole, sul fine e
sulla storia del nostro Ordine (cfr. c. 652 § 2).
Altre cose riguardanti i Novizi
113. I Novizi, consapevoli della loro responsabilità, si impegnino ad una attiva collaborazione
con il proprio Maestro per poter rispondere fedelmente alla grazia della divina chiamata; gli altri
religiosi della Casa si adoperino alla formazione dei Novizi, per la parte che loro spetta,
sopratutto con la preghiera e il buon esempio (cfr. c. 652 § 3 e 4).
114. Il tempo del noviziato sia impegnato a realizzare la richiesta formazione, e perciò i novizi,
prima della professione, non siano occupati in studi e mansioni che non riguardino direttamente tale
formazione, ma attendano al culto divino, alle celebrazioni ecclesiastiche, alla rinuncia di se stessi e
alla lettura di libri spirituali e idonei alla pietà. Dopo essersi occupati delle cose spirituali, se ne
hanno bisogno, si dedichino diligentemente agli studi classici (Cfr. c. 652 § 5).
115. Perchè il Noviziato sia valido deve essere compiuto in una casa regolarmente designata a
tale scopo a norma del Diritto e deve durare un anno intero, salvo le facoltà concesse dal Diritto ai
Superiori Maggiori per entrambi i casi. Tuttavia il Preposito Provinciale, ascoltato il Maestro dei
Novizi, può prorogare questo tempo, però non oltre i sei mesi (Cfr. cc. 647 § 2, 648 § 1 e 653 § 2).
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116. Un'assenza dalla Casa di Noviziato che superi i tre mesi, continuati o discontinui, rende
invalido il noviziato. Un'assenza che superi i quindici giorni deve essere recuperata (c. 649 §1).
117. I Novizi non devono essere ammessi ad alcun Ordine e, se sono già con gli Ordini Sacri, non
devono dedicarsi a ministeri pastorali. Ma se a volte questo fosse richiesto, per necessità del luogo
o per altro giusto motivo, bisogna domandare il permesso del Preposito Provinciale.
118. Durante il tempo del noviziato, almeno ogni tre mesi, il Maestro presenti al Preposito
Provinciale e suo Consiglio una relazione sul comportamento di ogni singolo novizio. Chi venisse
giudicato non idoneo ai ministeri ecclesiastici o di peso all'Ordine, non sia ammesso alla
Professione per nessun motivo.
119. Avvicinandosi il tempo della Professione, accertati tutti i requisiti canonici, ciascuno dei
Novizi faccia, con il consenso del Maestro, la domanda di ammissione ai voti, scritta di suo pugno e
firmata, al Preposito Provinciale, a cui spetta, con il consenso del Consiglio Pleno, ammettere alla
professione temporanea, dopo aver ottenuto per la validità l'approvazione del Preposito Generale.
120. Terminato il tempo della prova, i novizi, mossi da spirito evangelico, fermo restando quanto
prescritto dall'art. 20 delle Costituzioni, facciano alcuni giorni di esercizi spirituali; quindi,
seguendo il rito e la formula lasciata dai nostri Maggiori, emettano la professione dei tre essenziali
voti della vita religiosa e cioè di povertà, di castità e di obbedienza. I voti siano emessi,
ordinariamente per tre anni, o nelle mani del Preposito Generale o in quelle del Preposito
Provinciale o di un legittimo Delegato.
121. I Novizi, tuttavia, possono lasciare l'Ordine, come pure il Superiore Maggiore competente
può dimetterli. Se poi persistesse il dubbio circa la loro idoneità alla professione, il Superiore
Maggiore competente può prorogare il tempo del noviziato, però non oltre i sei mesi (cfr. c. 653).
122. Il foglio nel quale il Novizio ha trascritto la formula della professione sia sottoscritto anche
da chi ha ricevuto la professione e da due padri che vi hanno partecipato, i quali attestano che, loro
presenti, NN. ha emesso la professione. Il documento sarà quindi conservato nell'archivio della
Provincia e relativa copia in quello della Curia Generalizia.

CAPITOLO III
I Professi Juniores
123. Con la prima professione, con la quale i Novizi si consacrano a Dio e vengono incorporati
nella nostra famiglia religiosa, inizia un altro importantissimo e necessario periodo di prova che
viene chiamato Juniorato e che dura fino alla professione solenne. In questo periodo viene
perfezionato l'orientamento a vivere più profondamente la vita dei Chierici Regolari e a proseguire,
in modo più idoneo, la nostra missione nella Chiesa Cfr. c. 659 § 1).
124. I Juniores, quindi, emessa la prima professione, devono vivere sotto la cura e la guida del
Maestro.
Il Maestro dei Juniores
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125. Il Maestro dei Juniores, nei limiti del possibile, deve avere gli stessi requisiti sopra elencati
per il Maestro dei Novizi; la sua nomina viene fatta, anno per anno, dal Preposito Provinciale, con il
consenso del Consiglio Pleno, e può essere reiterata, se lo si ritiene opportuno, per più anni.
126. Per l'autorità ricevuta dal Preposito Provinciale, il Maestro dei Juniores guidi i medesimi
seguendo le norme del Diritto e le direttive stabilite dal Capitolo Generale. Ogni anno si indica un
Consiglio Provinciale speciale per esaminare la vita e il comportamento di questi fratelli più
giovani e, ascoltato il loro Maestro, si diano opportunamente le indicazioni ritenute più idonee (Cfr. c. 659 § 2).

La professione solenne
127. Ordinariamente, la prima professione viene emessa per un triennio. Trascorso questo tempo,
i professi juniores che, spontaneamente e con domanda firmata, ne fanno richiesta e vengono, dal
Preposito Provinciale con il consenso del Consiglio Pleno, giudicati idonei, premessi gli esercizi
spirituali, siano ammessi alla rinnovazione della professione o alla professione solenne, altrimenti
se ne vadano. In ogni caso, se si ritiene opportuno, il tempo della professione temporanea, può
essere prorogato dal Preposito Provinciale, dopo aver sentito il Consiglio, tuttavia il tempo totale
dei voti temporanei non può superare il sessennio (cfr. cc. 655 e 657 § 1 e 2).
128. Per la validità della professione solenne, nel nostro Ordine, oltre alle condizioni richieste dal
Diritto comune, si richiede l'approvazione del Preposito Generale, salvo il caso di chi, vivendo
presso la Curia Generalizia per motivi di studi o per altra ragione, sia stato ammesso direttamente
da lui, con il consenso del suo Consiglio ordinario (cfr. cc. 656 e 658).
129. Ottenuta dal Preposito Generale la licenza per l'emissione della professione solenne, ogni
candidato, a norma delle Costituzioni n. 20, faccia la rinuncia ai suoi beni, questa avrà valore dal
giorno della emissione della professione.
130. Nell'emettere la professione solenne, si osservino, accuratamente, il rito e la formula
prescritta nel nostro Rituale. Il documento della professione, firmato dallo stesso professo, da colui
nelle cui mani è stata emessa e da due Padri testimoni, sia conservato nell'archivio della Provincia
e, relativa copia, in quello della Curia Generalizia.

CAPITOLO IV
Gli studi e gli studenti
131. E' necessario che i Chierici, ministri della Parola di Dio e dei Sacramenti, siano ben
preparati nel campo degli studi letterari in genere ma soprattutto nella conoscenza della Teologia e
delle altre discipline sacre, perché non succeda che i Misteri Divini siano amministrati da persone
incompetenti, con disonore dell'Ordine. Pertanto, il Preposito Generale e i Prepositi Provinciali
devono curare, principalmente, che i nostri studenti, già preparati negli studi umanistici, siano ben
guidati in filosofia, teologia, Sacre Scritture, sacri Canoni e altre discipline ecclesiastiche da validi
maestri e professori.
132. La preparazione dottrinale dei nostri religiosi che intendono accedere agli Ordini Sacri, cioè
al Diaconato permanente o al Presbiterato, è regolata dal diritto comune e dal nostro piano degli
studi affinché gli studenti, insieme alla cultura generale, adatta alle esigenze del luogo e del tempo,
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possano acquistare una vasta e solida dottrina nelle sacre discipline per poter predicare
adeguatamente il Vangelo di Cristo agli uomini del nostro tempo (Cfr. cc. 232, 264 e 659 § 3).
133. Abbiano cura i Superiori che i nostri giovani non siano solo padroni della propria lingua, ma
che sappiano bene il latino e abbiano anche una buona conoscenza di altre lingue, la cui conoscenza
sia ritenuta necessaria o utile alla loro cultura o all'esercizio del ministero pastorale.
134. Gli studenti, in tutto questo tempo, seguino assiduamente le lezioni impartite dai Professori,
sia a casa che altrove; i Superiori, a loro volta, stiano attenti che il tempo riservato allo studio non
sia sprecato inutilmente o passato nell'ozio. Ma si badi, principalmente, che gli studenti non
trascurino l'assidua preghiera e la interiore disciplina, per mettere insieme erudizione e profonda
pietà ed essere così di sprone l'uno all'altro. Durante il periodo degli studi e soprattutto nel tempo
delle vacanze,gli studenti siano iniziati alla prassi pastorale mediante opportune esperienze
pastorali, ritenute adatte, a giudizio dei Superiori, alla loro età e alle situazioni locali (cfr. c. 258).
135. Nella misura in cui lo richieda il bene dell'Ordine o anzi della Chiesa universale, il
Preposito Generale designerà una Casa nella quale vengano mandati volentieri dalle diverse
Provincie o nazioni Studenti che si segnalino per indole, virtù e ingegno a perfezionare gli studi
nelle università o facoltà ecclesiastiche (Cfr. c. 819).

CAPITOLO V
I ministri dell'altare e il conferimento degli Ordini
136. A norma di Diritto sia i postulanti che i novizi possono assolvere nelle azioni liturgiche per
incarico temporaneo la funzione di lettore, di commentatore, cantore o altro (cfr. c. 230 § 2).
137. I religiosi, ammessi nella nostra Congregazione con la professione temporanea, dopo previa
e accurata preparazione, potranno ricevere, stabilmente, dai Prepositi Provinciali, secondo il rito
liturgico prescritto, i ministeri del Lettorato e dell'Accolitato per poter proclamare la Parola di Dio
nell'assemblea liturgica, aiutare il Diacono e il Presbitero nelle azioni liturgiche e nelle altre
funzioni (cfr. c. 230 § 1).
138. Ai Nostri che hanno già emesso la professione perpetua gli si possono conferire gli Ordini
sacri del Diaconato e del Presbiterato, se così riterrà opportuno il Preposito Provinciale con il
consenso del suo Consiglio Pleno, sempre tenendo conto delle norme del Diritto e ottenuto il
permesso del Preposito Generale, a meno che non si tratti di alunni che dimorano presso la Curia
Generalizia Cfr. Cost. 128; c. 1019 § 1).
139. Riguardo al conferimento degli Ordini non si abbia fretta, si osservino le prescrizioni del
Diritto, sia per l'età dei candidati che per l'intervallo richiesto tra il Diaconato e il Presbiterato;
questo però non significa che debbano essere ammessi precisamente allora e che i Superiori non
possano rinviare l'ordinazione; ma vuole ribadire che per nessuna ragione devono ammettersi
prima, salvo qualche grave necessità o serio motivo della persona interessata (Cfr. cc. 1031 - 1032).

CAPITOLO VI
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I fratelli laici
140. Tra i religiosi del nostro Ordine che aspirano agli Ordini sacri e coloro che hanno scelto di
vivere la vita religiosa come fratelli laici, vi è la medesima fraternità, originata dall'unica
professione; si deve sempre ricordare che ogni altra differenza, nel nostro Ordine, nasce solo dagli
Ordini sacri, mediante i quali alcuni dei Nostri diventano ministri della Chiesa.
141. Perciò, oltre ai diritti e ai doveri comuni a tutti i membri della nostra Congregazione, i
fratelli laici sono tenuti ai doveri e godono dei diritti sottoelencati.
142. A coloro che ne sono ritenuti idonei possono essere affidati quegli uffici e incarichi
nell'ambito della famiglia religiosa che, a norma delle Costituzioni e del Diritto comune, siano in
grado di assolvere.
143. Pertanto, quei fratelli laici dotati di adeguata erudizione, prudenza e credito, possono dare il
loro aiuto e consiglio, quali periti o ufficiali, sia ai Prepositi che ai Capitoli dell'Ordine.
144. A tal proposito sia il Preposito Generale che gli altri Prepositi dell'Ordine provvedano che i
fratelli laici abbiano una adeguata formazione spirituale e dottrinale, come tecnica e professionale,
mediante la quale possano assolvere, con competenza e celerità, i compiti loro affidati.

CAPITOLO VII
La formazione permanente
145. Ben sapendo che il progresso dell'Ordine e il bene della Chiesa dipende soprattutto dalla
santità e dalla dottrina dei suoi membri, sull'esempio dei nostri Maggiori che nulla trascurarono per
rendere, di giorno in giorno, più fecondo il loro sacerdozio, i nostri Religiosi curino, per tutta la
vita, con assiduità e senso di responsabilità, la loro crescita spirituale, dottrinale e pratica, perché
illuminati nel sapere, la loro dottrina diventi, per il popolo di Dio, medicina dello spirito (Cfr. c.
661).
146. Questi sforzi personali, tesi a realizzare una costante e sempre più completa formazione,
devono essere sostenuti non solo dai Superiori, ma da tutta la Comunità perché, tutti e ciascuno,
secondo le proprie forze, muovendoci più speditamente verso i beni promessi, rendiamo più sicura
la nostra vocazione ed elezione.
147. E' compito dei Superiori Maggiori e dei Prepositi cercare i mezzi necessari perché questo
ardente desiderio della Chiesa sia pienamente realizzato nel nostro Ordine, fornendo ai religiosi,
con ogni cura e sollecitudine, i mezzi, il tempo e i sussidi necessari per attendere a un costante e
solido perfezionamento della loro formazione (Cfr. c.661).
148. Perciò, coloro che sono impegnati nel ministero non tralascino gli studi ecclesiastici,
frequentino lezioni di pratica pastorale, partecipino a convegni e conferenze, per mezzo delle quali
si offre loro la possibilità di acquisire una conoscenza più completa delle scienze sacre e della
metodologia pastorale (cfr. cc. 672 e 279 § 2).
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149. Tuttavia i Superiori si ricordino che il loro compito non è solo quello di promuovere un
ulteriore perfezionamento culturale e tecnico ma, in primo luogo e soprattutto, dare un orientamento
spirituale, sia ai chierici che ai laici perché, con una costante conversione del cuore e della mente,
l'uomo religioso possa consacrarsi, ogni giorno più intimamente, al servizio di Dio, accrescere
l'impegno del suo apostolato e seguire con perseveranza Cristo che chiama, ricordando le parole di
San Gaetano: La vera e inestimabile gioia consiste nel desiderio di somigliare a Gesù, interiormente
ed esteriormente, senza aspettare alcuna ricompensa.

CAPITOLO VIII
Uscita dall'Ordine
150. Il religioso che, scaduto il tempo della sua professione temporanea, volesse uscire
dall'Ordine, lo può fare. Chi, per grave motivo, volesse lasciare l'Ordine, durante la professione
temporanea, può ottenere il relativo indulto dal Preposito Generale col consenso del suo consiglio
(cfr. c. 688).
151. Allo scadere della professione temporanea, per giusta causa, un religioso può essere escluso
dalla professione successiva dal competente Superiore Maggiore, udito il suo Consiglio, sempre nel
rispetto di quanto prescrive il diritto comune (cfr. 689).
152. Per concedere o imporre a un professo di voti solenni l'indulto di esclaustrazione deve
esserci un motivo grave, come, solo per gravisssimi motivi e ponderati davanti a Dio, un religioso
di voti solenni può chiedere l'indulto di lasciare l'Ordine e quando si tratta di passaggio, di
riammissione o di dimissione di religiosi, si osservino sempre e con precisione quanto prescritto dal
diritto (cfr. cc. 684, 690. 691, 694 e 701).
153. Per quanto riguarda, coloro che, legittimamente, sono usciti dall'Ordine o da esso
legittimamente sono stati dimessi, questi non hanno alcun diritto di pretendere alcunché dall'Ordine,
qualsiasi lavoro vi abbiano prestato, tuttavia da parte nostra vi siano, ovunque, nei confronti dei
fratelli che ci hanno lasciato, gesti di equità, di evangelica carità e di benevolenza (cfr. c. 702).

PARTE TERZA
L'AMMINISTRAZIONE DI TUTTO L'ORDINE

CAPITOLO I
Struttura dell'Ordine
154. L'Ordine dei Chierici Regolari è formato da cristiani, sia chierici che laici, i quali, legati tra
loro, nello Spirito Santo, dalla stessa professione dei tre voti essenziali della vita religiosa, dalle
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stesse norme e da un medesimo governo, sono organicamente uniti in varie comunità le quali, sotto
la guida dei Prepositi, formano le Case e le Provincie.
155. Benché le singole comunità siano rette da un Preposito e tutto l'Ordine dal Preposito
Generale, a norma delle Costituzioni, redatte o, temporaneamente, da redigere dal Capitolo
Generale, vi sia fra di esse quella straordinaria comunione che la varietà, nel nostro Ordine, non
solo non noccia alla sua unità, ma piuttosto la manifesti.
156. Poiché le Case e le Provincie, che costituiscono l'intero Ordine dei Chierici Regolari,
differiscono, in qualche modo, tra di loro per disciplina e patrimonio spirituale, tuttavia esse sono
affidate all'unico orientamento pastorale del Preposito Generale affinché, godendo di pari dignità,
possano usufruire degli stessi diritti ed essere tenute agli stessi obblighi, dichiarati in queste
Costituzioni.
157. Ad ogni Casa dell'Ordine siano assegnati almeno tre religiosi di voti solenni.
158. Nel nostro Ordine che è clericale e inoltre di diritto pontificio, le mansioni di governo, in
senso stretto, avvenute per canonica elezione o confermate per postulazione o anche con nomina
dopo consultazione, siano affidate solo ai Vocali. Gli altri uffici, anche se comportano
partecipazione alla potestà di governo o di giurisdizione, possono essere conferiti anche ai religiosi
laici a norma di Diritto universale e di queste Costituzioni (cfr. cc. 129 § 2, 588 § 2, 589 e 625 § 3).
159. A norma dello stesso diritto, l'Ordine, le Provincie e le singole Case, legittimamente erette,
godono di personalità giuridica. Esse, poi, vengono rappresentate, agendo in loro nome, dai singoli
superiori: dal Preposito Generale, dai Prepositi Provinciali e dagli altri Prepositi dopo la canonica
presa di possesso del loro ufficio (cfr. c. 634 § 1).
160. Tenuto presente il bene della Chiesa e dell'Ordine, e messo al sicuro quanto serve al corretto
progresso della vita religiosa, secondo le finalità e lo spirito dei Chierici Regolari, l'erezione come
la soppressione di una Provincia deve essere decretata solo dal Capitolo Generale; la erezione o la
soppressione di una Casa viene proposta dal Capitolo Provinciale e poi decretata dal Preposito
Generale con il consenso del suo Consiglio Pleno, a norma di diritto (cfr. cc. 581, 585, 609, 610 e
616 § 1).
CAPITOLO II
IL CAPITOLO GENERALE
161. Per la salvaguardia di una regolare osservanza e per il progresso di tutto l'Ordine, sono di
grande utilità i Capitoli Generali, purché celebrati nel rispetto delle norme stabilite. Il Capitolo
Generale, in quanto rappresenta tutto il nostro Ordine, ha in sé la suprema autorità ed è il vero
segno di unità nella carità. Il suo compito principale è:
1. Tutelare il patrimonio dell'Ordine di cui nel c. 578 e promuovere, secondo lo
stesso, un adeguato rinnovamento;
2. eleggere il Preposito Generale e i suoi Consultori;
3. erigere e sopprimere le Provincie (cfr. Cost. 160);
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4. trattare gli affari di maggiore importanza per l'Ordine;
5. emanare norme per tutto l'Ordine, alle quali tutti devono attenersi; queste sono valide
fino al Capitolo Generale successivo;
6. abrogare, derogare o cambiare le Costituzioni, per concessione di indulto apostolico,
a norma del n. 180 delle Costituzioni (cfr. cc. 587 § 2 e 631 § 1).
Quali Padri devono partecipare al Capitolo Generale
162. Intervengono al Capitolo:
1. il Preposito Generale;
2. i Consultori Generali;
3. i Prepositi Provinciali. Ma se qualcuno di essi ne fosse impedito, a pieno titolo, ne
prenderà il posto il Vicario Provinciale;
4. i delegati delle singole Provincie, secondo il numero stabilito dal precedente Capitolo
Generale, in modo tale però che il loro numero non sia inferiore a quello di chi vi
partecipa ex officio (cfr. c. 631 § 1).
163. Sia il Preposito Generale, con il consenso del suo Consiglio, come il Capitolo Generale
hanno il diritto di far partecipare degli esperti al Capitolo. Questi hanno voce consultiva nelle
sedute plenarie, deliberativa, invece se sono dei Nostri, nelle commissioni del Capitolo.
Convocazione del Capitolo Generale
164. Il Capitolo Generale ordinario venga convocato ogni sei anni e tutte le volte che muore il
Preposito Generale o se, per qualsiasi altra causa, egli dovesse rinunciare al suo ufficio; mentre il
Capitolo Generale straordinario sarà convocato quando, per gravi motivi, sembrerà opportuno al
Preposito Generale con il consenso del suo Consiglio. Spetta solo al Preposito Generale, o nel caso,
al Vicario Generale o a chi ne fa le veci convocare il Capitolo Generale, mediante lettera circolare,
come si suol chiamare, da mandare otto mesi prima del suo inizio.
165. Nella lettera convocatoria, il Padre Generale esponga ad ogni Provincia, in un documento
allegato:
1. i suoi intendimenti, nonché i problemi di maggiore importanza, i desideri e le proposte
fatti pervenire da qualunque religioso da trattare in Capitolo (cfr. c. 631 § 3).
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2. Quattro mesi prima della celebrazione del Capitolo, il Segretario Generale raccolga gli
Atti contenenti le proposte dei singoli Capitoli Provinciali per il Capitolo Generale, nonché le
relazioni sullo stato religioso ed economico delle singole Provincie.
3. Esaminati accuratamente questi Atti, il Preposito Generale, dopo aver sentito il suo
Consiglio, due mesi prima della celebrazione del Capitolo, invii ai Padri convocati per lo
stesso un nuovo documento, nel quale si evidenzia quanto segue:
a) una sintesi del contenuto degli Atti di cui sopra;
b) un sommario degli argomenti da trattare nel Capitolo;
c) qualche notizia di presentazione dei Padri che parteciperanno al Capitolo.
166. Perché il Capitolo operi validamente necessita la presenza di almeno i due terzi di coloro
che lo compongono e la presenza di chi, legittimamente, lo presiede.
167. Nel giorno prestabilito, i Padri tutti insieme, specialmente quelli che stanno per entrare in
Capitolo, se le norme liturgiche lo permettono, concelebrino solennemente la Messa dello Spirito
Santo. La stessa cosa si faccia in tutte le chiese del nostro Ordine.
Dopo di questo:
1. All'ora stabilita, il Preposito Generale o il Vicario o chi ne fa le veci, convocherà i
Padri capitolari nel luogo designato e recitato l'inno allo Spirito Santo con relativi
versetti, come di consueto, prima di ogni altra cosa, con semplicità e nel rispetto
della verità, siano risolti eventuali dubbi, se ve ne sono, in merito al diritto di
partecipazione di qualcuno degli intervenuti al Capitolo.
2. Quindi si incarichino o si eleggano tra i Capitolari due Scrutatori.
3. Subito dopo, con votazione segreta, siano eletti il Presidente e il Segretario. Non
venga eletto Presidente il Generale in carica.
4. Il Presidente eletto emetta, davanti a tutti, la professione di fede, secondo la formula
approvata dalla Sede Apostolica, e quindi si metta al primo posto.
5. A questo punto, Il Preposito Generale leggerà la sua relazione sullo stato di tutto
l'Ordine, questa deve essere esaminata e approvata dal Capitolo e data copia
ad ogni Padre.
6. Fatto questo, rinuncierà alla sua carica; consegnerà subito i timbri dell'Ordine e,
quanto prima, i documenti. Da questo momento tutta l'autorità del governo
dell'Ordine è nel Capitolo. Tuttavia l'amministrazione ordinaria, al di fuori del
Capitolo, rimane al Padre Generale fino all'elezione e alla presa di possesso del
nuovo Preposito Generale.
Il Preposito Generale però rimarrà vicino al Presidente e non al posto che gli
competerebbe per la professione.
7. Il Preposito Generale, poi, per permettere a tutti di esprimere più liberamente il
proprio parere su di lui, esca dalla sala del Capitolo.
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All'inizio di ogni sessione, il Segretario legga davanti a tutti il verbale della
precedente sessione.
8. Se il Presidente lo riterrà opportuno, vengano eletti uno o più Moderatori del
Capitolo.
9. Venga stabilito un ordine relativo agli argomenti da trattare dal Capitolo. Il
Presidente, prima della elezione del Preposito Generale, può proporre che siano
trattati tutti quegli argomenti che gli sembreranno utili e necessari al progresso
dell'Ordine.
10. Se si ritiene utile, siano designati due o tre Padri qualificati, competenti delle
cose trattate, i quali insieme al Presidente si interessino di scegliere, tra gli argomenti
proposti al Capitolo, quelli che sembrerà opportuno trattare davanti a tutti.
Elezione del Generale e dei suoi Consultori
168. Il Preposito Generale venga eletto in questo modo: il Presidente, dopo una breve riflessione
su ciò che si sta facendo, si raccolga in preghiera insieme agli altri supplicando Dio di rendere
disponibili le loro volontà all'importanza di tale cosa; recitino, devotamente, l'inno allo Spirito
Santo con gli annessi versetti e orazione; a questo punto, ciascun Capitolare, seguendo l'ordine di
professione, compilata la scheda, con il nome di chi si vuole eleggere, la collochi nell'urna posta su
di un tavolo al centro della sala e ritorni al suo posto. Gli Scrutatori, quindi, ragguagliati dal
Presidente sui loro compiti, aprono l'urna, ne versano le schede, le contano e aprendole, a voce alta,
dichiarano i voti che ha ricevuto ciascuno.
169. Per l'elezione del Generale si richiede almeno la maggioranza dei due terzi dei suffragi dei
presenti al Capitolo. Se al termine dei primi tre scrutini, nessuno ha raggiunto la maggioranza
richiesta, si procede per altri tre scrutini, nei quali è richiesta solamente la maggiranza assoluta.
Se nessuno risulta ancora eletto, si proceda ad un altro scrutinio, nel quale avranno voce passiva
solo i due religiosi che nella precedente votazione hanno ottenuto più voti. Se in quest'ultimo
scrutinio hanno ottenuto entrambi il medesimo numero di voti, venga considerato eletto il più
anziano di professione; e se sono uguali nella professione, il più anziano di età. Perché i Padri
possano giungere ad una più concorde e accurata elezione, è preferibile non avere più di due
scrutinii per sessione (Cfr c. 119 § 1).
170. Appena il Preposito Generale è stato eletto ed ha accettato l'elezione, si reciti il "Te Deum
laudamus" con relativi versetti e preghiere; quindi l'eletto emetta, davanti a tutti, la professione di
fede e il giuramento di fedeltà secondo la formula approvata dalla Sede Apostolica; poi ognuno per
ordine passerà davanti a lui per promettergli obbedienza e reverenza. Da questo momento, colui che
ha assolto le funzioni di Presidente tornerà al posto della sua professione; il Generale uscente
prenda posto accanto al nuovo eletto, come lo era prima accanto al Presidente, o alla sua sinistra, e
non torni al posto della professione se non dopo la chiusura del Capitolo (cfr. c. 833 § 8).
171. Se il Padre Generale eletto non è presente, gli si comunichi immediatamente la sua elezione;
intanto il Presidente e i Padri continuano il Capitolo. Se invece è presente, ne prenderà la
presidenza e insieme agli altri Padri tratterà tutte quelle cose che gli sembreranno pertinenti
all'utilità di tutti.
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172. Siano quindi eletti, a scrutinio segreto, almeno tre Consultori, il primo dei quali sarà il
legittimo Vicario Generale di tutto l'Ordine. Questi formano il Consiglio Generale Ordinario del
Preposito Generale. Per l'elezione dei Consultori Generali si richiede la maggioranza assoluta dei
suffragi nei primi tre scrutinii. Se in questi primi tre scrutinii non viene raggiunta la maggioranza
assoluta, dopo basterà la maggioranza relativa del Capitolo.
173. Al termine dell'elezione dei Consultori del Preposito Generale e dopo aver espletato quanto
altro necessario, tutti i Padri del Capitolo si riuniranno di nuovo insieme; il Segretario del Capitolo
leggerà davanti a tutti gli Atti e i Decreti; dopo, singolarmente, ciascuno li firmerà, secondo l'ordine
di professione; quindi, al momento convenuto, si recheranno tutti in chiesa per la celebrazione della
Messa di ringraziamento e il Capitolo viene sciolto.

ALTRE COSE RELATIVE AL CAPITOLO
Preghiere da recitarsi in tutto l'Ordine
174. Tutti i giorni, durante il Capitolo, si reciti nelle nostre Case l'inno allo Spirito Santo con i
versetti e l'orazione propria perché Dio ispiri ai Padri quanto è necessario per la sua gloria e per
l'utilità del nostro Ordine.
Gli Scrutatori
175. Prima dell'elezione del Presidente, siano nominati tra i Capitolari due Scrutatori che
giureranno di compiere fedelmente il loro servizio e di mantenere il segreto circa le operazioni di
scrutinio, anche dopo il Capitolo. Se invece vengono eletti, per questa elezione, fungeranno da
Scrutatori i due Capitolari più anziani di professione.
Il Segretario del Capitolo
176. E' compito del Segretario del Capitolo ricevere le lettere indirizzate al Capitolo da
qualunque parte provengano e, a suo luogo e tempo, per ordine del Presidente prima e del Preposito
Generale dopo, leggerle davanti a tutti o enunciarne i punti essenziali e rispondere a ciascuna a suo
tempo. Inoltre, deve scrivere accuratamente tutti gli Atti e i Decreti emanati dal Capitolo e, prima
che questo sia sciolto, lasciare una copia di tutto timbrata e firmata da tutti i Padri partecipanti.
Il Moderatore o i Moderatori
177. Il compito del Moderatore è proporre al Capitolo, dietro la guida del Presidente, l'ordine
degli argomenti da trattare e guidare il procedimento delle discussioni (cfr. Cost. 167 § 8).
Procedura nell'esposizione dei pareri
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178. Il Presidente o il Preposito Generale, dopo la sua elezione, quando propongono un
argomento, se lo crederanno opportuno, esporranno per primi il proprio parere, quindi seguiranno
gli altri, per ordine, anteponendo però sempre il servizio e la gloria di Dio, l'utilità e il progresso
dell'Ordine agli interessi personali. Se viene trattato qualcosa menzionato nelle Costituzioni, il
Segretario ne legga a tutti il testo.

Rispetto del segreto
179. Qualsiasi cosa è stata trattata dal Capitolo e la cui rivelazione può nuocere alla pace, sia
diligentemente tenuta in segreto; come non deve essere rivelato prima quanto deve essere reso
pubblico dopo; nessuno poi riveli a chi ha dato o negato il proprio voto.

I Decreti capitolari
180. a) Tutto ciò che è stato decretato dalla maggioranza del Capitolo, si ritenga ratificato e
confermato per l'intero Ordine.
b) Quando si tratta di abrogare, sostituire o aggiornare qualsiasi articolo o materia
costituzionale, o di risolvere questioni di grande importanza o di imporre oneri, è necessario
raggiungere il consenso dei due terzi del Capitolo e l'approvazione della Santa Sede (cfr. c. 587 §
2).
c) Se un Padre arriva dopo l'inizio del Capitolo, può entrare con gli altri; tuttavia rimane
confermato tutto ciò che era stato sancito in precedenza.

CAPITOLO III
IL PREPOSITO GENERALE
181. Il Preposito Generale, guida e padre del nostro Ordine, esercita il mandato ricevuto da Dio,
per mezzo del ministero della Chiesa, in spirito di servizio e gode di autorità e giurisdizione su tutte
le Provincie, le Case e i religiosi in tutto ciò che riguarda il governo delle realtà spirituali e
temporali, verso le quali deve agire con la massima diligenza e fedeltà. A lui dunque devono
ubbidire tutti, con prontezza, ricordando le parole del Libro Sacro: obbedite ai vostri superiori e
siate loro sottomessi. Egli, però, sia vigilante come colui che deve rendere conto delle anime dei
sudditi (cfr. cc. 617 e 622).
182. Si ricordi il Preposito Generale che più che con le parole deve insegnare con l'esempio;
finché gode di buona salute, partecipi con gli altri, per quanto a lui possibile, alla regolare disciplina
e agli impegni della vita comune, sia assiduamente presente alla mensa comune e si accontenti del
vitto comunitario e del vestito (cfr. c. 624 § 1).
183. Il Preposito Generale viene eletto canonicamente dal Capitolo per un sessennio; se si ritiene
opportuno, potrà essere rieletto per un altro sessennio; la sua autorità non cessa con il sessennio, ma
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dura fino al momento in cui rinunzia al suo incarico all'inizio del Capitolo. Non potrà assolutamente
essere rieletto Generale, se non dopo un intervallo di sei anni; tuttavia può essere impegnato in
qualsiasi altro ufficio dell'Ordine. All'ufficio di Preposito Generale deve essere eletto un sacerdote
che abbia già compiuto i trentacinque anni di età e cinque anni di professione solenne.
184. Abbia come norma la riunione mensile dei Consultori per trattare tutto quello che riguarda il
governo dell'Ordine, nel rispetto di quanto previsto dal Diritto.
185. Il Preposito Generale, personalmente o tramite dei Visitatori delegati, visiti almeno una
volta nel sessennio tutto l'Ordine (cfr. c. 628 § 1 e 3).
186. Il Preposito Generale, alla scadenza del suo mandato, o nel caso il Vicario Generale o chi ne
fa le veci, prepari una relazione scritta sullo stato religioso, apostolico ed economico di tutto
l'Ordine, che dovrà essere poi presentata nel Capitolo Generale.
187. Quantunque il governo di tutto l'Ordine è di principale pertinenza del Preposito Generale,
tuttavia sarà necessario il consenso del Consiglio Pleno:
a) oltre ai casi previsti dal Diritto universale (cfr. c. 627, § 2) e dalle Costituzioni art. 190 e 191,
almeno nei seguenti casi:
1. nell'indicare i casi riguardanti l'amministrazione ordinaria o straordinaria delle Provincie
(cfr. Cost. 260);
2. nello stabilire i contributi che le Provincie devono versare al fondo comune dell'Ordine
(cfr. Cost. 262);
3. nell'interpretazione delle Costituzioni in cose pratiche, qualora sorgessero forti dubbi.
Tuttavia, i Decreti del Capitolo non possono essere cambiati o abrogati neppure
con il consenso del Consiglio.
4. nella erezione o soppressione di Case (cfr. cc. 609, 612, 616 § 1 e 733);
b) Si richiede almeno il Consiglio ordinario:
5. nella concessione di licenza per l'alienazione di qualunque cosa che superi la somma
stabilita dal Consiglio Generale Pleno (cfr. c. 638 § 3).
6. nella erezione, nel trasferimento o nella soppressione della Casa di Noviziato; e che un
candidato possa fare il noviziato in un'altra Casa del nostro Ordine (cfr. c. 647 § 1-
2).
7. nei casi contemplati nel capitolo su "Uscita dall'Ordine" (cfr. Cost. 150-153);
8. nella nomina sessennale degli Ufficiali della Curia generalizia (cfr. Cost. 197);
9. nella nomina dei Consultori Generali, qualora si debba sostituire qualcuno che è stato
rimosso o sia morto;
10. ogni qualvolta debba convocarsi un Capitolo straordinario (cfr. Cost. 164);
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11. nel trasferimento di un religioso da una Provincia a un'altra;
12. qualora si debbano comminare pene gravi, sempre rispettando il can. 699 § 1;
13. nell'istituzione del Consiglio generale economico (cfr. Cost. 211);
14. nell'invito di periti al Capitolo Generale (cfr. Cost. 163);
15. nella designazione di una Casa Provinciale per ciascuna Provincia (cfr. Cost. 238).
188. Salvo i casi previsti dal Diritto universale, anche se in molti casi il Preposito Generale può
fare a meno del consenso dei Consultori, almeno in queste circostanze si preoccupi di sentirne il
parere:
1. nella nomina del Vicepreposito della Casa di Sant'Andrea della Valle:
2. nella nomina di Visitatori che lo sostituiscano nella visita a tutto l'Ordine o alle sole
Province o Case;
3. nella delega ai Vocali che presiederanno, in suo nome e con pieno diritto, i Capitoli
Provinciali;
4. nell'approvazione delle deliberazioni dei Capitolo Provinciali;
5. nella concessione della licenza per l'emissione dei voti temporanei dei Novizi e
nell'ammissione dei Juniores alla professione solenne;
6. nella promozione dei professi di voti solenni ai singoli Ordini Sacri;
7. in tutte quelle cose in cui crederà opportuno consultarli.

CAPITOLO IV
Prerogative dei Padri Consultori
189. Ogni sessennio siano eletti dal Capitolo Generale almeno tre Consultori che collaborino con
il Preposito Generale nella conduzione del governo dell'Ordine. Se, assente qualche Consultore,
sorgesse qualche necessità impellente, allora chi presiede il Consiglio può chiamare, per ottenere il
numero richiesto dei Consultori, o un Superiore Maggiore o un ufficiale generale.
190. Il Consiglio Generale Ordinario unitamente ai Prepositi Provinciali costituisce il Consiglio
Generale Pleno, questo verrà convocato e celebrato collegialmente almeno una volta ogni tre anni.
191. Il motivo di questa convocazione nasce dalla necessità che tutti i Padri trattino insieme i
maggiori problemi riguardanti la vita di tutte e ciascuna Provincia dell'Ordine (cfr. Cost. 187) o di
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quei problemi proposti dal Preposito Generale, nonché di quelli che, anche se per diritto sono di
pertinenza del Capitolo Generale, si prevede non possano essere differiti fino a tale data.
192. Il Vicario Generale sostituisce, legittimamente, il Preposito Generale, ogni qualvolta questi
è assente o impedito o per qualsiasi altra ragione lascia la sede vacante. Tuttavia la sua autorità
insieme agli altri Consultori non va oltre quello che era di pertinenza del Padre Generale con i
medesimi. L'ufficio di Vicario Generale non può essere abbinato a quello di Economo Generale.
193. Se dovesse capitare qualcosa di grave mentre il Preposito Generale sta fuori Roma per la
visita di qualche Casa, bisognerà attendere il suo ritorno per derimere la questione con i suoi
Consultori; ma se la cosa è urgente e non si può rinviare, si risolva ogni cosa, con il consenso dei
Consultori, a norma dell'articolo 189 delle Costituzioni.
194. Se muore il Preposito Generale o se, per altro motivo, rimane la sede vacante, il Vicario
Generale ne informi, immediatamente con lettera circolare, tutti i Padri di ogni Provincia; quanto
prima convochi il Capitolo, in una data stabilita con i Consultori; tutte quelle cose che possono
essere rimandate al Capitolo Generale, vengano rimandate; risolva invece, con gli altri Consultori a
norma delle Cost. art. 189, ciò che non può attendere. Nel caso in cui anche il Vicario Generale
fosse impedito o morto, ne assume l'ufficio il maggiore dei Consultori, con le stesse modalità
prescritte per il Vicario.

CAPITOLO V
Gli Ufficiali della Curia Generalizia
195. La Curia Generalizia dell'Ordine è formata da quelle persone e istituzioni che collaborano
con il Preposito Generale nel governo dell'Ordine, e specificamente nella promozione della vita
religiosa dei confratelli e nell'esercizio della potestà giudiziale, a norma del Diritto.
196. Oltre ai Consultori, dei quali sopra, vanno dati alla Curia Generalizia: il Procuratore presso
la Santa Sede, il Segretario, l'Economo, il Postulatore delle Cause dei Santi dell'Ordine, nonché il
Prefetto dell'Archivio generalizio e della Biblioteca. Se non vi sono in sé motivi contrari, gli
incarichi di questi ufficiali possono abbinarsi con quello dei Consultori Generali, fermo restando
quanto prescritto dal n. 192 delle Costituzioni.
197. La nomina degli Ufficiali della Curia Generalizia spetta solo al Preposito Generale, con il
consenso del suo Consiglio. Detti Ufficiali prima di essere ammessi ad esercitare le loro mansioni
nella Curia, sono tenuti a promettere di attendere fedelmente al loro compito e di mantenere il
segreto, secondo il modo e gli scopi determinati dal Diritto o dalle Costituzioni.
198. In rapporto all'esercizio della potestà giudiziale in Curia riguardo alle cause e alle persone,
siano osservate le prescrizioni dei Sacri Canoni, quando poi si tratta di cose relative al governo
dell'Ordine, ci si attenga alle Costituzioni (cfr. c. 1427 § 1 e 2).
Il Procuratore Generale
199. Il Procuratore Generale ha il compito di trattare, presso la Santa Sede, gli affari dell'Ordine
approvati dal Preposito Generale o semplicemente quelli a lui affidati dallo stesso. Per questo
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ufficio sia eletto un religioso che abbia il massimo equilibrio nella conduzione dei problemi, che
abbia una naturale predisposizione a trattarli e che il suo amore per l'Ordine sia tale da curarne gli
interessi con grande attenzione, con fede e con tenacia. Custodisca con la massima diligenza: Bolle,
Brevi, Decreti, Rescritti, Atti e tutto ciò che riguarda l'Ordine o un religioso, mandando agli
interessati la trascrizione autentica, scritta di propria mano, del relativo documento.
Il Segretario Generale
200. Il Preposito Generale per poter attendere meglio al suo compito abbia un Segretario che viva
nella stessa Casa generalizia e che svolga il suo ufficio annotando e scrivendo tutti i documenti e gli
atti relativi al governo dell'Ordine. In forza del suo ufficio, il Segretario Generale funge anche da
notaio in tutte le faccende relative all'Ordine. Il Segretario Generale deve essere un uomo dotato di
solida istruzione, capacità e prudenza, e cioè un uomo a cui si può manifestare tutto il
manifestabile, senza pericolo d'essere rivelato.
201. Il compito principale del Segretario Generale consiste in: proporre, su indicazione del
Preposito Generale, gli argomenti da trattare; partecipare ai Consigli Generali e trascriverne le
deliberazioni; comporre gli elenchi o i cataloghi delle Province, delle Case e dei Religiosi che in
esse vivono e aggiornarli, continuamente con nuovi dati; curare che gli atti della Curia siano redatti
e catalogati e che gli stessi o le loro copie siano custoditi in archivio. Spetta inoltre a lui registrare
tutti gli atti e i documenti relativi a decreti, disposizioni, obbligazioni ed ogni altra cosa di
competenza del notaio; deve fedelmente annotare, per iscritto, tutto ciò che viene fatto e questo
indicando luogo, giorno e anno; e infine mostrare, dal registro, a chi legittimamente lo chiedesse atti
o documenti e dichiarare la conformità delle copie con la propria firma.
202. Deve costodire, con la massima diligenza, tutti i documenti che riguardano l'intero Ordine,
le singole Case o le Province. Venga sistemato quindi, in un luogo sicuro, un archivio nel quale
vengono conservati con un certo ordine e diligentemente chiusi tutti i documenti e gli scritti che
riguardano gli interessi spirituali e temporali dell'Ordine; dei documenti ivi contenuti si faccia
inoltre un inventario o "catalogo", con una breve sintesi di ogni singolo scritto.
203. Gli atti della Curia, destinati ad avere effetto giuridico, devono essere timbrati con il
timbro dell'Ordine e sottoscritti, per la loro validità, dall'Ordinario che li emana e dal Segretario
Generale.
204. L'archivio deve stare chiuso; di questo ne abbiano le chiavi il Preposito Generale e il
Segretario Generale; nessuno può accedervi, né prelevarrne documenti se non per breve tempo e
con il permesso del Preposito Generale o del Segretario. Tuttavia è nel diritto degli interessati
ricevere documenti autentici, fotocopiati o fotostatici se sono, per loro natura, pubblici o riguardano
la loro situazione personale.
205. Nell'archivio vi sia un armadio o una cassaforte ermeticamente chiusa e non asportabile,
nella quale vengono custoditi, con la massima diligenza, i documenti dei quali si deve mantenere il
segreto. Ogni anno, poi, vengano bruciati quei documenti relativi a cause criminali sulla moralità e i
cui responsabili sono morti o la cui causa, con sentenza di condanna, è stata conclusa da un
decennio, conservando, tuttavia, una sintesi dei fatti che riporti il testo della sentenza definitiva.
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206. Si preoccupi il Segretario di conservare diligentemente gli atti e i documenti di ogni
Provincia e Casa dell'Ordine e i rispettivi inventari o "cataloghi" siano redatti in duplice copia, di
cui una viene conservata nell'archivio di provenienza e l'altra in quello generale.
207. Infine, il Segretario curi la redazione di un bollettino ufficiale nel quale venga scritto tutto
ciò che, in qualche modo, può riguardare il governo, la storia o l'attualità del nostro Ordine; questo
poi venga spedito a tutti i religiosi.
L'Economo Generale e il Consiglio Economico
208. Al compito di Economo Generale sia nominato per un sessennio un religioso del nostro
Ordine, professo di voti solenni, preso tra i membri del Consiglio Economico.
209. L'Economo Generale prima di assumere il suo ufficio farà promessa di amministrare nel
migliore dei modi e fedelmente i beni dell'Ordine; farà anche un preciso e ben dettagliato inventario
dei beni immobili e di tutti i beni mobili di valore o di altro, conservandone una copia nell'archivio
amministrativo e una nell'archivio della Curia.
210. L'Economo Generale inoltre tenga ben ordinati i libri delle entrate e delle uscite; alla fine
di ogni anno dia diligentemente conto dell'amministrazione; custodisca in un apposito armadio e nel
dovuto ordine i documenti e gli strumenti, nei quali siano comprovati i diritti dell'Ordine; una copia
autentica di questi venga depositata nell'archivio della Curia (cfr. c. 1284 § 2-3-8 e 9).
211. A norma di Diritto, sia istituito il Consiglio Economico che sarà presieduto dal Preposito
Generale o da un suo Delegato; il Consiglio dovrà essere composto da almeno tre membri, non
esclusi i laici, i quali devono essere competenti in diritto civile e distinguersi per rettitudine di vita,
da nominarsi a giudizio del Preposito Generale con il consenso del Consiglio Generale. Compito
del Consiglio Economico è quello di esaminare, approvare o non approvare i bilanci, ogni anno, sia
dell'Ordine che delle Province e, rispettando le indicazioni del Preposito Generale, preparare il
bilancio di previsione per l'anno successivo, sia per le entrate che per le uscite (cfr. c. 1280).
Il Postulatore per le Cause dei Santi
212. Compito principale del Postulatore Generale, eletto a norma di Diritto, è trattare la
beatificazione dei Servi di Dio e la canonizzazione dei Beati dell'Ordine presso la Congregazione
della Causa dei Santi in Roma, promuoverne il culto tra i fedeli e divulgarne la biografia e la
conoscenza della loro santità.
213. Nel disbrigo di questi compiti e nelle spese da sostenere, si preoccupi di chiedere il parere
del Preposito Generale e dei Consultori; almeno una volta all'anno riferisca al Consiglio sullo stato
delle Cause, sulle entrate e sulle spese sostenute. Se per qualsiasi, motivo il Postulatore Generale
dovesse essere rimosso dal suo incarico, si consulti prima la Congregazione per la Causa dei Santi.
L'Archivista e il Bibliotecario dell'Ordine
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214. Alla cura dell'Archivio storico e della Biblioteca della Curia, il Preposito Generale ponga un
religioso veramente esperto e profondo conoscitore della storia del nostro Ordine.
215. Nella Casa della Curia Generalizia vi sia un luogo destinato a conservare, ben disposti e
ordinati, i documenti riguardanti in qualche modo la storia del nostro Ordine, sia negli originali che
nelle copie autentiche; e ci sia pure la Biblioteca Generale nella quale vengano diligentemente e
sistematicamente catalogati sia i libri pubblicati dai Nostri o altri che in qualche modo si riferiscono
alla nostra storia. Per cui di ogni libro pubblicato o da pubblicare dai Nostri, l'autore ne invii subito
e gratuitamente due esemplari alla biblioteca della Curia. Per consultare poi libri e ducumenti ivi
custoditi ci si attenga alle norme stabilite dal Preposito Generale.

CAPITOLO VI
IL CAPITOLO PROVINCIALE
216. Quanto è stato detto del Capitolo Generale per tutto l'Ordine, analogamente, si può dire del
Capitolo Provinciale in quello che riguarda la Provincia. Pertanto, le norme che sono state stabilite
per la celebrazione del Capitolo Generale siano osservate, nel limite del possibile, anche per questo
(cfr. c. 632).
217. I compiti del Capitolo sono:
1. salvaguardare nella Provincia il patrimonio dell'Ordine e promuoverne un confacente
rinnovamento;
2. trattare e definire tutto ciò che riguarda la vita e l'attività della Provincia, in conformità
alle disposizioni e ai Decreti dei Capitoli Generali e, in modo particolare, curare l'impegno dei
religiosi nella promozione e nel sostegno delle vocazioni, nonché nella formazione e nel
sostegno dei candidati;
3. esaminare la relazione sullo stato religioso, apostolico ed economico di tutta la Provincia,
presentata dal Preposito Provinciale e questa, una volta approvata, deve essere mandata
al Preposito Generale;
4. proporre al Preposito Generale la erezione o la soppressione di una casa;
5. indicare quali sono le cose in cui si richiede il voto deliberativo del Consiglio Locale;
6. inoltre eleggere:
6.1. il Preposito Provinciale;
6.2. i tre Consultori, dei quali il primo eletto sarà il Vicario Provinciale;
6.3. altri due Consultori i quali, con i primi tre, formeranno il Consiglio
Provinciale Pleno;
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6.4. i delegati al Capitolo Generale e i loro sostituti.
Quali Padri devono partecipare al Capitolo Provinciale
218. Intervengono al Capitolo:
1. il Preposito Generale che presiede allo stesso Capitolo o un suo Delegato;
2. il Preposito Provinciale;
3. tutti i Vocali della Provincia;
4. i Vocali della Provincia che vivono in Sant'Andrea della Valle.
Sono Vocali solo quei sacerdoti che hanno già compiuto tre anni di professione solenne e
che godono quindi di voce attiva e passiva. Questi devono tutti partecipare al Capitolo.
219. Quanto detto nelle Costituzioni nell'art. 163 riguardo alla facoltà di far intervenire degli
esperti al Capitolo Generale, analogamente si deve intendere per il Capitolo Provinciale.
Convocazione del Capitolo Provinciale
220. A) Il Capitolo Provinciale Ordinario si celebrerà:
1. al termine del triennio;
2. ogni qualvolta viene convocato il Capitolo Generale.
B) Il Capitolo Provinciale straordinario invece si celebrerà:
1. quando lo crederà opportuno il Preposito Provinciale con il consenso del Consiglio Pleno;
2. nel caso in cui il Preposito Provinciale dovesse morire o, per qualsiasi altra causa,
dovesse cessare dal suo ufficio.
221. Il Capitolo Provinciale, con lettera circolare da mandare due mesi prima del suo inizio, sia
convocato dal Preposito Provinciale o, se il caso lo richiede, dal Vicario Provinciale o da cului che
ne fa le veci. Prima della convocazione di qualsiasi Capitolo si deve consultare il Preposito
Generale circa il luogo e il tempo nei quali si ritiene più opportuna la sua celebrazione.
222. La preparazione del Capitolo Provinciale sia fatta secondo quanto detto per il Capitolo
Generale, naturalmente, con le opportune distinzioni: nella lettera di convocazione siano manifestati
gli argomenti proposti dal Consiglio Provinciale e altresì i punti essenziali da trattare in Capitolo.
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223. Gli argomenti proposti dal Preposito Provinciale siano quindi studiati nei Capitoli locali; le
conclusioni poi e le eventuali nuove proposte, con relativi opinioni e suggerimenti, siano mandate
immediatamente al Capitolo.
224. Trenta giorni prima dell'inizio del Capitolo Provinciale, i singoli Prepositi mandino al
Preposito Provinciale una sintesi degli atti dei Capitoli Locali e una relazione sullo stato religioso
ed economico della Casa.
Altre cose riguardanti il Capitolo
225. Per l'elezione del Preposito Provinciale come per i Consultori, si osservi la stessa prassi
stabilita per l'elezione del Preposito Generale e dei suoi Consultori.
226. I Delegati al Capitolo Generale siano eletti dai singoli Capitoli, volta per volta, e in maniera
tale che risultino eletti solo coloro che hanno ottenuto la maggioranza assoluta dei suffragi nei primi
tre scrutini, la relativa nel quarto. Si faccia la stessa cosa per l'elezione dei loro sostituti.
227. Gli atti del Capitolo, debitamente timbrati e firmati dai singoli Padri, siano conservati
nell'archivio Provinciale, tuttavia una loro copia, firmata dal Preposito Provinciale e dal Segretario
del Capitolo, deve essere mandata al Preposito Generale, mentre a tutte le Provincie dell'Ordine
deve essere mandata, subito, una loro sintesi. Le Deliberazioni del Capitolo, approvate dal
Preposito Generale, hanno vigore in tutta la Provincia fino al Capitolo Provinciale successivo. I
Delegati al itolo Generale prima di avere espletato la loro missione, non possono essere trasferiti ad
altra Provincia.
CAPITOLO VII
Il Preposito Provinciale e il suo Consiglio
228. Il Preposito Provinciale, essendo Superiore Maggiore e Ordinario della Provincia, gode di
piena potestà e giurisdizione su tutte le Case e i Religiosi di sua competenza. Pertanto è suo dovere
fondamentale mostrarsi a tutti quale modello di disciplina e di osservanza della Forma di vita
Apostolica, mantenendo, per primo e davanti a tutti, fedeltà alle norme di vita comune proprie dei
Chierici Regolari. Comunque tutti, in spirito di fede, come si addice a servi di Dio, siano a lui
sottomessi, quale rappresentante di Dio. Egli poi che, a motivo del suo ufficio, è il Mediatore tra il
Preposito Generale e i Prepositi locali, manifestando piena fedeltà alla suprema autorità dell'Ordine
e fiducia grande nei Rettori delle Case, si faccia promotore di fraterne relazioni tra le Comunità e di
interscambio di esperienze tra le stesse affinché, tutti e volentieri, lavorino tenacemente al servizio
della Chiesa e al progresso dell'Ordine (cfr. cc. 620 e 622).
229. Il Preposito Provinciale sia eletto canonicamente dal Capitolo Provinciale per un triennio; se
si crederà opportuno potrà essere rieletto dal Capitolo per un altro triennio. Una sua nuova elezione
non è possibile prima che siano trascorsi altri tre anni, tuttavia la sua elezione deve essere sempre
confermata dal Preposito Generale. All'ufficio di Preposito Provinciale sia eletto un sacerdote che
abbia compiuto almeno i trenta anni e cinque di professione solenne.
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230. Il Preposito Provinciale nel governo della Provincia sia coadiuvato dai Consultori
Provinciali i quali formano il Consiglio Provinciale.
231. L'ufficio dei Consultori dura per un triennio. Il primo eletto tra di loro ricopre l'ufficio di
Vicario Provinciale, e pertanto egli sostituisce il Preposito Provinciale quando questi è assente o è
impedito o, per qualsiasi altro motivo, viene meno al suo ufficio. L'ufficio di Vicario Provinciale è
incompatibile con quello di Economo Provinciale.
232. A - Tra le altre cose, è diritto e dovere del Preposito Provinciale:
1. visitare ogni anno, personalmente o per mezzo di altri, tutte le case della Provincia (cfr. c.
628 § 1 e 3);
2. indire assemblee dei religiosi e possibilmente presiederle per un conveniente
aggiornamento dottrinale degli stessi e per ottenere da tutti una più responsabile
collaborazione nella realizzazione delle opere;
3. presiedere, se possibile, i Capitoli locali (cfr. Cost. 254);
4. concedere il permesso ai Nostri per pubblicazioni di scritti di cui nell'art. 42 delle
Costituzioni (cfr. c. 832).
B - Sebbene in molte cose il Preposito Provinciale può agire senza il consenso dei suoi
Consultori, eccetto i casi previsti dal diritto universale, almeno nelle cose che seguono,
abbia cura di ascoltare il loro consiglio:
1. nella nomina dei Consultori Locali (cfr. Cost. 247);
2. nell'accettazione dei Postulanti al Noviziato (cfr. Cost. 106; cc. 641 e 645);
3. nel prorogare il tempo di Noviziato, dopo aver ascoltato il Maestro dei Novizi (cfr. c. 653
§ 2; Cost. 115);
4. nell'ammettere i religiosi alla rinnovazione dei voti, ma non oltre il secondo triennio (cfr.
c. 689; Cost. 127);
5. nell'ammissione dei suoi religiosi ai Ministeri (cfr. c. 230; Cost. 137);
6. nella visita annuale a tutte le Case della Provincia, mediante un membro del Consiglio
Provinciale Pleno, in caso di legittimo impedimento (cfr. c. 628 § 1 e 3);
7. nel trasferimento di un religioso da una Casa a un'altra.
233. Oltre a quanto detto nell'articolo precedente, il Preposito Provinciale almeno in queste cose
necessita, senz'altro,
a) del consenso del Consiglio Pleno:
1. nella nomina, a norma del diritto comune:
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1.1. dei Prepositi che devono presiedere alle singole Case per un triennio (cfr. Cost. 246);
1.2. del Maestro dei Novizi e del Prefetto dei Juniores (cfr. Cost. 108 e 125);
2. nell'approvazione della relazione dello stato economico della Provincia che deve essere
presentata ogni anno dall'Economo Provinciale (cfr. Cost. 243 § 2);
3. nell'ammissione dei Novizi alla professione temporanea (cfr. Cost. 119); nell'ammissione
dei Juniores alla professione solenne (cfr. Cost. 138) e quando qualcuno dei Nostri deve
essere promosso agli Ordini Sacri (cfr. Cost. 138); in questi casi però necessita chiedere
anche la licenza del Preposito Generale (cfr. Cost. 138);
4. ogni volta che c'è da convocare il Capitolo Provinciale straordinario (cfr. Cost. 220 § 1);
5. nel definire per le Case ciò che deve ritenersi di ordinaria o straordinaria amministrazione
(Cfr. Cost. 258);
6. stabilire i contributi delle singole Case per il fondo comune della Provincia (cfr. Cost.
261);
7. per la validità di qualsiasi alienazione o di altri affari in cui la situazione patrimoniale
della Provincia o della Casa potrebbe subirne detrimento (cfr. c. 638 § 3);
8. nell'emettere una dichiarazione di dimissione ipso facto (cfr. c. 694 § 2);
9. nel trasmettere al Preposito Generale tutti gli atti riguardanti la dimissione di un religioso
(cfr. c. 697 § 3);
10. nell'istruire un processo e la decisione di dimissione (cfr. c. 699 § 1);
11. parimenti per l'espulsione di un confratello da una casa religiosa (cfr. c. 703);
b) è sufficiente il consenso del Consiglio Ordinario:
1. per la nomina triennale degli Ufficiali Provinciali (cfr. Cost. 240);
2. nella costituzione del Consiglio Economico (cfr. Cost. 187 § 9, 211 e 243);
3. nel far venire degli esperti al Capitolo Provinciale (cfr. Cost. 163 e 219);
4. nel concedere a un religioso il permesso di dimorare fuori di una Casa dell'Istituto (cfr. c.
665 § 1; Cost. 13).
234. E' diritto e dovere del medesimo Consiglio Provinciale Pleno esaminare e approvare la
relazione sullo stato religioso, apostolico ed economico della Provincia che il Preposito Provinciale
o il Vicario, se egli è assente per qualche motivo, presenta alla scadenza del triennio.
235. Quando il Consiglio Provinciale Pleno si riunisce per una deliberazione, sebbene si devono
convocare tutti i Padri Consultori, tuttavia quanto deciso da almeno tre presenti e da chi
legittimamente lo presiede, ciò deve ritenersi sancito e confermato.
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236. Il Consiglio Provinciale Ordinario si deve riunire una volta al mese, quello Pleno ogni tre
mesi o tutte le volte che il Preposito Provinciale riterrà opportuno convocarlo.
237. Una volta all'anno interveranno al Consiglio Provinciale Pleno tutti i sacerdoti della
Provincia che operano principalmente nella formazione dei nostri giovani per dare un resoconto
della loro attività.
238. Ogni Provincia abbia la sua Casa Provinciale, designata dal Preposito Generale con il
consenso del suo Consiglio. Tuttavia il Provinciale può scegliere anche un'altra casa della Provincia
come sua casa di residenza (cfr. Cost. 187 § 11).
239. In caso di morte del Preposito Provinciale, o di rinuncia o destituzione, il Vicario
Provinciale, con voto deliberativo del Consiglio Pleno e con il consenso del Padre Generale, deve
convocare quanto prima il Capitolo Provinciale straordinario, il quale gode di tutte le facoltà di
quello ordinario.
CAPITOLO VIII
Gli Ufficiali della Curia Provinciale
240. Hanno il titolo di Ufficiali:
1. il Segretario Provinciale;
2. l'Economo Provinciale;
3. l'Archivista Provinciale.
4. Oltre a quello che si dirà, a questi uffici si deve analogamente applicare, fatte le debite
distinzioni, quanto già detto nelle Cost. 195,211,214 e 215 per gli uffici generali.

Il Segretario Provinciale
241. In ogni Provincia dell'Ordine venga designato un sacerdote di integra reputazione e al di
sopra di ogni sospetto, che compia l'ufficio di Segretario e di Notaio e al quale si riconoscano
analogamente gli stessi compiti sopra attribuiti al Segretario Generale. Sia suo compito compilare i
registri nei quali figuri, principalmente, l'ingresso di ciascun religioso nell'Ordine, l'inizio del
Noviziato, l'emissione della Professione temporanea e di quella solenne, il giorno di ammissione
agli Ordini; abbia cura, inoltre, di compilare il libro degli Annali (Cronache?) nel quale venga
riportato tutto ciò che si ritiene degno di nota o di utilità comune. In un libro speciale, inoltre, deve
annotare tutte quelle cose che, nel tempo della visita canonica, vengono proposte dal Preposito
Generale e dal Preposito Provinciale da mettere in pratica quotidianamente, per meglio viverle.
242. Alla morte di qualsiasi dei Nostri, il Segretario Provinciale ne dia subito comunicazione al
Preposito Generale, al suo Segretario e a tutte le Province, affinché ricevuta la notizia, venga
annotata nel "Libro dei Defunti" e vengano offerti i suffragi prescritti, perché coloro che vivono
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possano pregare Dio affinché, colui che, nella speranza della vita eterna, ha fedelmente seguito
Cristo, possa vivere più intimamente unito a Lui per l'eternità.
L'Economo Provinciale e il Consiglio Economico
243. A norma del diritto, ogni Provincia, in quanto persona giuridica, deve avere il proprio
Consiglio economico, formato dall'Economo Provinciale e da almeno due Consultori. Infine, ciò
che è stato stabilito, sopra, nelle Costituzioni, articoli 208-211, per l'amministrazione economica di
tutto l'Ordine, analogamente deve applicarsi a tutte le Province e Case dell'Ordine. Le competenze
del Consiglio Economico della Provincia sono:
1. vigilare su tutto ciò che riguarda la situazione economica delle Case e della Provincia e
renderne conto al Consiglio Provinciale;
2. raccogliere tutte le notizie necessarie per redigere l'inventario della Provincia e delle Case
da comunicare, con esattezza e tempestivamente, al Consiglio Generale;
3. comunicare, a tempo e luogo, al Preposito Provinciale e suo Consiglio quanto può essere
utile al bene comune;
4. suggerire, con prudenza, secondo le circostanze, i tempi e i luoghi, tutto ciò che è
pertinente alla così detta realtà amministrativa-economica e cose analoghe;
5. preparare, su indicazioni del Preposito Provinciale, il bilancio di previsione delle entrate e
delle uscite, previste per l'anno successivo, in tutta la Provincia.
L'Archivista Provinciale
244. Il Preposito Provinciale con il suo Consiglio, nello stesso modo come stabilito per la Curia
Generalizia, scelga, come Archivista della Provincia, un religioso con le stesse qualità e dottrina
richieste per l'Archivista Generale. Pertanto, nella Casa Provinciale, venga scelto un luogo adatto
per conservare i documenti, con la stessa cura e diligenza, com'è giusto, pari a quelle dell'Archivio
Generale, e inoltre per poterli consultare necessita osservare le disposizioni date dal Preposito
Provinciale.

CAPITOLO IX
IL GOVERNO LOCALE
Il Preposito locale
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245. Il Preposito locale è l'animatore di tutta la Comunità, posto come premuroso padre e fratello
per i fratelli, non trascuri nulla per favorire nel migliore dei modi la coesione, il fervore spirituale e
l'impegno nell'espletamento dei propri doveri, impegnandosi, insieme ai confratelli a lui affidati, ad
edificare in Cristo una fraterna comunità, vera famiglia riunita nel nome del Signore e partecipe
della Sua presenza. Agisca in modo tale quindi, come diceva San Gaetano, da farsi amare dai
sudditi, abbinando la carità alla osservenza regolare.
I confratelli tuttavia, in spirito di fede, abbiano umilmente nei confronti del proprio
Preposito rispettosa ubbidienza e, come membra di Cristo, nei loro fraterni rapporti, si prevengano
nella reciproca stima, conservando l'unità nel vincolo della pace, dalla quale scaturisce grande forza
apostolica (cfr. cc. 602 e 619).
246. All'ufficio di Preposito sia nominato un Vocale che, dal momento della sua nomina, gode di
potestà canonica su tutti i membri della comunità. Il suo mandato tuttavia ha inizio dopo la
canonica presa di possesso del suo ufficio. Viene nominato per un triennio; protrà essere rieletto
nella stessa Casa consecutivamente solamente per un'altro triennio. La nomina del Preposito venga
fatta previa una opportuna consultazione degli interessati (cfr. cc. 622 e 625 § 3).
247. Il Preposito abbia due Consultori designati dal Preposito Provinciale, dopo aver ascoltato il
suo Consiglio Pleno, il loro compito è quello di coadiuvare il Preposito nel governo della comunità.
Il primo designato tra questi ottiene, in forza della stessa designazione, il compito di Vicario della
Casa, e quindi assolve al compito di vice del Preposito ogniqualvolta questi è assente o
legittimamente impedito. I due formano il Consiglio del Preposito locale.
248. Spetta al Capitolo Provinciale determinare quali sono i casi nei quali il voto dei Consultori è
deliberativo.
249. Spetta al Preposito locale, ascoltato il suo Consiglio, conferire l'incarico di Segretario, di
Economo o degli altri ufficiali locali. A tutti gli altri religiosi, laici, chierici o presbiteri, sia affidato
dal Preposito un qualche ministero o ufficio, nel quale, per amore di Cristo, possano dedicarsi per
l'utilità comune o per qualche necessità dei singoli.
Il Segretario locale
250. Compito del Segretario locale è quello di aiutare il suo Preposito e la sua Comunità,
eseguendo tutto ciò che a lui compete. E' di sua competenza, perciò, redigere gli atti ufficiali del
Consiglio e del Capitolo locale, nonché quelli della Casa; come pure annotare e conservare, in
apposito libro, le disposizioni emanate dai Superiori Maggiori, nonché quanto è stato decretato in
occasione della Visita canonica. E' pure di sua competenza, se manca il Cronista, scrivere gli
Annali della Casa, nei quali possa evidenziarsi per mezzo del nostro Istituto il passaggio del
Signore nella Chiesa.
L'Economo e il Consiglio Economico
251. In ogni Casa vi sia pure un Economo il cui principale compito è quello di aver cura, sotto la
guida del Preposito, delle cose temporali; ed ancora vi sia, a norma di diritto, anche il Consiglio
economico a cui, fatte le debite distinzioni, si deve attribuire quanto detto nelle Costituzioni, articoli
208, 211 e 243, nei confronti dei Consigli economici Generale e Provinciale (cfr. c. 636 § 1).
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252. L'Economo abbia cura di compilare il libro delle entrate e delle uscite perché, almeno
quattro volte all'anno, possa rendere conto al Consiglio e al Capitolo locale, oltre che al Preposito
Generale o Provinciale o loro Delegati in occasione della Visita canonica. Ogni anno, nel mese di
gennaio, trasmetta all'Economo Provinciale il rendiconto annuale della Casa, approvato dal
Consiglio locale. Prima del 15 marzo poi, l'Economo Provinciale lo trasmetta, debitamente
approvato dal Consiglio Provinciale Pleno, insieme con gli altri bilanci della Provincia,
all'Economo Generale.
Il Capitolo locale
253. Il Capitolo Locale, da costituirsi in ogni Casa, è di grande importanza sia per il Preposito
nella conduzione del suo ufficio, sia per la comunità tutta, sia per i singoli religiosi, per l'aiuto e la
spinta che riesce a dare non soltanto come segno di unità ed espressione di comune impegno nella
famiglia religiosa, ma perché rende i religiosi responsabili e realmente partecipi del bene e del
cammino di tutta la comunità. Generalmente, il Capitolo Locale si radunerà almeno una volta al
mese e ogni qual volta si devono trattare problemi per la cui soluzione il Capitolo Generale o il
Preposito Generale o Provinciale richiedeno il consenso del Capitolo Locale.
254. Costituiscono il Capitolo Locale: il Preposito Provinciale, il Preposito della Casa e tutti i
religiosi di voti solenni assegnati a quella Casa.


CAPITOLO X
L'AMMINISTRAZIONE DEI BENI TEMPORALI DELL'ORDINE
255. L'Ordine dei Chierici Regolari nonché qualunque sua Provincia o Casa, legittimamente
erette, sono, per il diritto stesso, persone giuridiche e, pertanto, capaci di acquistare, possedere,
amministrare e alienare i beni temporali (cfr. c. 634 § 1).
256. Ma poiché i beni temporali dell'Ordine sono beni ecclesiastici, la loro amministrazione viene
regolata, principalmente, dalle norme del diritto patrimoniale di tutta la Chiesa, nonché da queste
Costituzioni che devono esprimere e favorire la nostra specifica povertà (cfr. c. 635 § 1).
257. I beni dell'Ordine, delle Province e di qualsiasi Casa sono amministrati dal rispettivo
Economo, sotto la guida del proprio Superiore e del Consiglio economico (cfr. cc. 636 § 1 e 1280).
258. Agli Economi, a motivo del loro ufficio, è lecito spendere e gestire ciò che non supera
l'ordinaria amministrazione. Per quello che riguarda l'amministrazione straordinaria si deve
chiedere il permesso del proprio Superiore e del Consiglio. E' compito del Consiglio Pleno,
Generale o Provinciale, stabilire più precisamente, nell'ambito delle proprie competenze, quali atti
appartengono all'ordinaria o alla straordinaria amministrazione.
259. Il Preposito Generale con il consenso del suo Consiglio notifichi per iscritto ai Prepositi
Provinciali e questi, con il consenso del proprio Consiglio, ai Prepositi Locali quali sono le loro
facoltà per gli atti di straordinaria amministrazione e inoltre definiscano quali sono i limiti e la
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misura che la oltrepassano, rispettando quanto prescritto sia dal diritto canonico che civile e
attenendosi altresì alle condizioni dei luoghi e dei tempi.
260. A nessuno è permesso contrarre debiti o di alienare beni di qualsiasi genere, se non per vera
e urgente necessità e con il permesso del Superiore competente e del suo Consiglio, dopo aver
inoltre ascoltato il Consiglio economico e nel rispetto del diritto (cfr. cc. 638 § 3, 1290 e 1298).
261. Per provvedere in modo più adeguato all'interscambio dei beni nell'ambito dell'Ordine e per
soddisfare a una fraterna cooperazione economica, si istituiscano dei fondi comuni per tutto
l'Ordine e per ciascuna Provincia, i quali saranno sostenuti particolarmente con i contributi che il
Consiglio, sia Generale che Provinciale Pleno, riterranno opportuno definire per ogni Provincia o
Casa.
262. Infine, perché i Nostri diano una testimonianza di collettiva carità e di evangelica povertà,
sia la Congregazione che qualsiasi sua persona giuridica destinino di cuore qualcosa delle proprie
sostanze per le necessità della Chiesa e per i bisogni dei poveri, che dobbiamo amare nel cuore di
Cristo; tuttavia nella donazione di questi beni si unisca alla carità la prudenza cristiana (cfr. c. 640).
Questo è lo stile di vita della nostra famiglia religiosa,
e se noi, con cuore grande e generoso, lo mettiamo in pratica,
saremo accetti a Dio e graditi agli uomini:
stabilmente tesi a cercare il Regno di Dio
che è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo
perchè Dio sia glorificato in noi e in tutti.
(Rom. 14, 17-19)
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OSSERVAZIONI
Alla cortese attenzione del Rev.mo Padre Generale e dei suoi collaboratori.
Rev.mo Padre,
alla fine di questo lavoro di traduzione delle Costituzioni, mi permetto, se la cosa può essere di
utilità, di segnalare alcune cose che potrebbero, forse, venir corrette nel prossimo Capitolo
Generale, se così sembrerà opportuno:
1) Art. 121: la seconda parte ripete quanto già stato detto nel n. 115;
2) art. 148: la citazione del c. 672 non è relativa al tema trattato;
3) art. 187,4: il can. 612 non è pertinente al tema;
4) art. 208: dall'articolo si evince che prima bisogna eleggere i Consultori e poi l'Economo;
5) art. 210: alla fine dell'anno l'Economo deve dare conto dell'amministrazione: a chi?
6) art. 232, B,6: è stato già detto nel medesimo articolo al A,1;
7) art. 233,a,3: la triplice ripetizione della citazione dell'art. 138 è eccessiva, basta alla fine dell'art.
8) sempre art. 233, b,4: il paragrafo è contenuto perfettamente nelle citate Cost. n. 13
9) correzione di alcuni sbagli di stampa:
a) pag. 17: correggere: "quaerimonia" in "querimonia";
b) pag.75, art. 162,4 "ex officio";
c) errore di numerazione negli ultimi due articoli.
Con la speranza di aver fatto cosa utile, cordialmente saluto.
P. Vincenzo Cosenza, C.R.
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AVE MARIA!

venerdì 3 agosto 2012

"Amate l'Immacolata senza porre nessun limite perché sempre sarà meno di quanto si deve."

Bartolome Esteban Murillo 1670-75.jpg

                                                                                                             
Amate l'Immacolata senza porre nessun limite perché sempre sarà meno di quanto (che) si deve.


fr. Massimiliano Maria Kolbe



















Catecismo para niños


"AVE! AVE! AVE! MARIA!" 











San Massimiliano Maria Kolbe, santa Teresa di Lisieux, San Francesco d'Assisi: alcuni di "...quelli che hanno fatto scuola sul cammino della santità e della gioia. ..."


ECCO alcuni di 
"...quelli che hanno fatto scuola sul cammino della santità e della gioia: sant'Agostino, san Bernardo, san Domenico, Sant'Ignazio di Loyola, san Giovanni della Croce, santa Teresa d'Avila, san Francesco di Sales, san Giovanni Bosco.



  
Ma noi vogliamo ricordare in modo più marcato tre figure, che ancora oggi attirano moltissimo l'insieme del popolo cristiano. E anzitutto il Poverello d'Assisi, sulle cui tracce si sforzano di mettersi numerosi pellegrini dell'Anno Santo. Avendo abbandonato tutto per il Signore, egli, grazie a madonna povertà, ricupera qualcosa, si può dire, della beatitudine primordiale, quando il mondo uscì, intatto, dalle mani del Creatore. Nella spogliazione estrema, ormai quasi cieco, egli poté cantare l'indimenticabile Cantico delle creature, la lode di frate sole, della natura intera, divenuta per lui come trasparente, specchio immacolato della gloria divina, e perfino la gioia davanti alla venuta di «sora nostra morte corporale»: «Beati quilli ke se trovarà ne le tue sanctissime voluntati».




In tempi più vicini a noi, santa Teresa di Lisieux ci mostra la via coraggiosa dell'abbandono nelle mani di Dio, al quale essa affida la propria piccolezza. Ma non per questo essa ignora il sentimento dell'assenza di Dio, cosa di cui il nostro secolo, a suo modo, fa la dura esperienza: «Talvolta all'uccellino (a cui essa si paragona) sembra di credere che non esista altra cosa all'infuori delle nuvole che l'avvolgono . . . È quello il momento della gioia perfetta per il povero debole esserino . . . Che gioia per lui restarsene là malgrado tutto, fissare la luce invisibile che si nasconde alla sua fede» (53).



Infine come non ricordare, immagine luminosa per la nostra generazione, l'esempio del beato San Massimiliano Maria Kolbe, genuino discepolo di san Francesco? Durante le prove più tragiche, che insanguinarono la nostra epoca, egli si offrì spontaneamente alla morte per salvare un fratello sconosciuto; e i testimoni ci riferiscono che il luogo di sofferenze, ch'era di solito come un'immagine dell'inferno, fu in qualche modo cambiato, per i suoi infelici compagni come per lui stesso, nell'anticamera della vita eterna dalla sua pace interiore, dalla sua serenità e dalla sua gioia.


Nella vita dei figli della Chiesa, questa partecipazione alla gioia del Signore non si può dissociare dalla celebrazione del mistero eucaristico, ov'essi sono nutriti e dissetati dal suo Corpo e dal suo Sangue. Di fatto, in tal modo sostenuti, come dei viandanti sulla strada dell'eternità, essi già ricevono sacramentalmente le primizie della gioia escatologica. 


"AVE, REGINA COELORUM!
AVE, DOMINA ANGELORUM!"

«Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete.


"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta


Domenica 05 Agosto 2012, XVIII Domenica del Tempo Ordinario - Anno B

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 6,24-35.
Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafarnao alla ricerca di Gesù. Trovatolo di là dal mare, gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose: «In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?». Gesù rispose: «Questa è l'opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato». Allora gli dissero: «Quale segno dunque tu fai perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane dal cielo, ma il Padre mio vi dà il pane dal cielo, quello vero; il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete.
Traduzione liturgica della Bibbia
Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 5 Capitolo 354 pagina 391.
2La spiaggia di Cafarnao formicola di gente che sbarca da una vera flottiglia di barche di tutte le dimensioni. E i primi che sbarcano vanno cercando fra la gente se vedono il Maestro, un apostolo, o almeno un discepolo. E vanno chiedendo...Un uomo, finalmente, risponde: «Maestro? Apostoli? No. So­no andati via subito dopo il sabato e non sono tornati. Ma tor­neranno perché ci sono dei discepoli. Ho parlato adesso con uno di loro. Deve essere un grande discepolo. Parla come Giairo! È andato verso quella casa fra i campi, seguendo il mare».L’uomo che ha interrogato fa correre la voce, e tutti si preci­pitano verso il luogo indicato. Ma, fatto un duecento metri sul­la riva, incontrano tutto un gruppo di discepoli che vengono verso Cafarnao gestendo animatamente. Li salutano e chiedo­no: «Il Maestro dove è?». I discepoli rispondono: «Nella notte, dopo il miracolo, se ne è andato coi suoi, colle barche, al di là del mare. Vedemmo le vele, al candore della luna, andare verso Dalmanuta». «Ah! ecco! Noi lo cercammo a Magdala presso la casa di Ma­ria e non c’era! Però... potevano dircelo i pescatori di Magdala!».«Non lo avranno saputo. Sarà forse andato sui monti d’Arbela in preghiera. Ci fu già un’altra volta, lo scorso anno avanti la Pasqua. Io l’ho incontrato allora, per somma grazia del Si­gnore al suo povero servo» dice Stefano. «Ma non torna qui?». «Certamente tornerà. Ci deve dare il commiato e gli ordini. Ma che volete?». «Sentirlo ancora. Seguirlo. Farci suoi». «Adesso va a Gerusalemme. Lo ritroverete là. E là, nella Casa di Dio, il Signore vi parlerà se per voi è utile il seguirlo.
3Perché è bene che sappiate che, se Egli non respinge alcuno, noi abbiamo in noi elementi che sono respingenti la Luce. Ora, chi ne ha tanti da essere non solo saturo di essi - che poco male sarebbe, perché Egli è Luce e nel divenire lealmente suoi con volontà decisa la sua Luce ci penetra e vince le tenebre - ma da esserne composto e affezionato ad essi come alla carne della nostra persona, allora è bene che costui si astenga dal venire, a meno che non si distrugga per ricrearsi novello. Meditate, dun­que, se avete in voi la forza di assumere un nuovo spirito, un nuovo modo di pensare, un nuovo modo di volere. Pregate per poter vedere la verità sulla vostra vocazione. E poi venite, se credete. E voglia l’Altissimo, che ha guidato Israele nel “pas­saggio”, guidare voi, in questo “pèsac”, a venire sulla scia dell’Agnello, fuori dai deserti, alla Terra eterna, al Regno di Dio» dice Stefano, parlando per tutti i compagni. «No, no! Subito! Subito! Nessuno fa ciò che Egli fa. Lo vo­gliamo seguire» dice la folla in tumulto. Stefano ha un sorriso di molte espressioni. Apre le braccia e dice: «Perché vi ha dato il buono e abbondante pane volete ve­nire? Credete che vi dia in futuro solo questo? Egli promette ai suoi seguaci ciò che è sua dote: il dolore, la persecuzione, il martirio. Non rose ma spine, non carezze ma schiaffi, non pane ma pietre sono pronte per i “cristi”. E così dico senza essere be­stemmiatore, perché i suoi veri fedeli saranno unti coll’olio san­to fatto della sua Grazia e del suo patire; e “unti” noi saremo per essere le vittime sull’altare e i re nel Cielo». «Ebbene? Ne sei geloso forse? Ci sei tu? Ci vogliamo essere noi pure. Il Maestro è di tutti».«Sta bene. Ve lo dicevo perché vi amo e voglio che sappiate ciò che è essere “discepoli”, onde non essere poi dei disertori. Andiamo allora tutti insieme ad attenderlo alla sua casa. Il tramonto ha inizio ed ha principio il sabato. Egli verrà per pas­sarlo qui avanti la partenza».
4E vanno verso la città, parlando. E molti interrogano Stefa­no ed Erma, che li ha raggiunti, i quali, agli occhi degli israeli­ti, hanno una luce speciale perché allievi prediletti di Gamaliele. Molti chiedono: «Ma che dice Gamaliele di Lui?», altri: «Vi ci ha mandati lui?», e altri ancora: «Non si è doluto di perder­vi?», oppure: «E il Maestro che dice del grande rabbi?». I due rispondono pazienti: «Gamaliele parla di Gesù di Nazaret come del più grande uomo di Israele». «Oh! più grande di Mosè?» dicono quasi scandalizzati.«Egli dice che Mosè è uno dei tanti precursori del Cristo. Ma non è che il servo del Cristo».«Allora per Gamaliele questo è il Cristo? Dice così? Se così dice rabbi Gamaliel, la cosa è decisa. Egli è il Cristo!». «Non dice ciò. Non riesce ancora a credere questo, per sua sventura. Ma dice che il Cristo è sulla terra perché egli gli ha parlato molti anni fa. Egli e il saggio Illele. E attende il segno che quel Cristo gli ha promesso per riconoscerlo» dice Erma.«Ma come ha fatto a credere che quello era il Cristo? Che fa­ceva quello? Io sono vecchio quanto Gamaliele, ma non ho mai sentito che da noi fossero fatte le cose che il Maestro fa. Se non si persuade di questi miracoli, che vide mai di miracoloso in quel Cristo per potergli credere?». «Lo vide unto della Sapienza di Dio. Egli dice così» risponde ancora Erma.«E allora cosa è per Gamaliele questo?». «Il più grande uomo, maestro e precursore di Israele. Quan­do potesse dire: “È il Cristo”, sarebbe salva l’anima sapiente e giusta del mio primo maestro» dice Stefano, e termina: «Ed io prego perché ciò sia, a qualunque costo». «E se non lo crede il Cristo, perché vi ci ha mandati?». «Noi volevamo venirci. Egli ci ha lasciati venire dicendo che era bene». «Forse per poter sapere e riferire al Sinedrio...» dice insi­nuando uno. «Uomo, come parli? Gamaliele è un onesto. Non fa la spia a nessuno, e specie ai nemici di un innocente!» scatta Stefano, e pare un arcangelo tanto è sdegnato e quasi raggiante nel suo sdegno santo. «Gli sarà spiaciuto perdervi, però» dice un altro. «Sì e no. Come uomo che ci voleva bene, sì. Come spirito molto retto, no. Perché ha detto: “Egli è da più di me e di me più giovane. Perciò io potrò chiudere gli occhi in pace sul vostro futuro sapendovi del ‘Maestro dei maestri’”». «E Gesù di Nazaret che dice del grande rabbi?».«Oh! non ha che parole elette per lui!». «Non ne è invidioso?».«Dio non invidia» dice severo Erma. «Non fare supposizioni sacrileghe». «Ma per voi allora è Dio? Ne siete certi?». E i due ad una voce: «Come di essere vivi in questo momen­to». E Stefano termina: «E vogliate crederlo pure voi per posse­dere la vera Vita».
5Sono da capo sulla spiaggia che si muta in piazza e la tra­versano per andare a casa. Sulla soglia è Gesù che carezza dei bambini.Discepoli e curiosi si affollano chiedendo: «Maestro, quando sei venuto?». «Da pochi momenti». Il viso di Gesù ha ancora la maestà solenne, un poco estatica, di quando ha molto pregato. «Sei stato in orazione, Maestro?» chiede Stefano a voce bas­sa per riverenza, così come ha curva la persona per lo stesso motivo. «Sì. Da che lo comprendi, figlio mio?» dice Gesù posandogli la mano sui capelli scuri con una dolce carezza. «Dal tuo volto d’angelo. Sono un povero uomo, ma è tanto limpido il tuo aspetto che su esso si leggono i palpiti e le azioni del tuo spirito».«Anche il tuo è limpido. Tu sei uno di quelli che fanciulli re­stano...». «E che c’è sul mio viso, Signore?». «Vieni in disparte e te lo dirò», e lo prende per il polso por­tandolo in un corridoio oscuro. «Carità, fede, purezza, genero­sità, sapienza; e queste Dio te le ha date, e tu le hai coltivate e più lo farai. Infine, secondo il tuo nome, hai la corona: d’oro pu­ro, e con una grande gemma che splende sulla fronte. Sull’oro e sulla gemma sono incise due parole: “Predestinazione” e “Pri­mizia”. Sii degno della tua sorte, Stefano. Va’ in pace con la mia benedizione». E gli posa nuovamente la mano sui capelli, men­tre Stefano si inginocchia per poi curvarsi a baciargli i piedi.
6Tornano dagli altri. «Questa gente è venuta per sentirti...» dice Filippo. «Qui non si può parlare. Andiamo alla sinagoga. Giairo ne sarà contento».Gesù davanti, dietro il corteo degli altri, vanno alla bella si­nagoga di Cafarnao; e Gesù, salutato da Giairo, vi entra, ordi­nando che tutte le porte restino aperte perché chi non riesce ad entrare possa sentirlo dalla via e dalla piazza che sono a fianco della sinagoga.Gesù va al suo posto, in questa sinagoga amica, dalla quale oggi, per buona sorte, sono assenti i farisei, forse già partiti pomposamente per Gerusalemme. E inizia a parlare.«In verità vi dico: voi cercate di Me non per sentirmi e per i miracoli che avete veduto, ma per quel pane che vi ho dato da mangiare a sazietà e senza spesa. I tre quarti di voi per questo mi cercava e per curiosità, venendo da ogni parte della Patria nostra. Manca perciò nella ricerca lo spirito soprannaturale, e resta dominante lo spirito umano con le sue curiosità malsane, o per lo meno di una imperfezione infantile, non perché sempli­ce come quella dei pargoli, ma perché menomata come l’intelli­genza di un ottuso di mente. E con la curiosità resta la sensua­lità e il sentimento viziato. La sensualità che si nasconde, sotti­le come il demonio di cui è figlia, dietro apparenze e in atti ap­parentemente buoni, e il sentimento viziato che è semplice­mente una deviazione morbosa del sentimento e che, come tut­to ciò che è “malattia”, abbisogna e appetisce a droghe che non sono il cibo semplice, il buon pane, la buona acqua, lo schietto olio, il puro latte, sufficienti a vivere e a vivere bene. Il senti­mento viziato vuole le cose straordinarie per essere scosso e per provare il brivido che piace, il brivido malato dei paralizzati, che hanno bisogno di droghe per provare sensazioni che li illu­dano di essere ancora integri e virili. La sensualità che vuole soddisfare senza fatica la gola, in questo caso, col pane non su­dato, avuto per bontà di Dio.
7I doni di Dio non sono consuetudine, sono lo straordinario. Non si possono pretenderli, né impigrirsi dicendo: “Dio me li darà”. È detto: “Mangerai il pane bagnato col sudore della tua fronte”, ossia il pane guadagnato col lavoro. Ché se Colui che è Misericordia ha detto: “Ho compassione di queste turbe, che mi seguono da tre giorni e non hanno più da mangiare e potrebbe­ro venire meno per via prima di avere raggiunto Ippo sul lago, o Gamala, o altre città”, e ha provveduto, non è però detto che Egli debba essere seguito per questo. Per molto di più di un po’ di pane, destinato a divenire sterco dopo la digestione, Io vado seguito. Non per il cibo che empie il ventre ma per quello che nutre l’anima. Perché non siete soltanto animali che devono brucare e ruminare, o grufolare e ingrassare. Ma anime siete! Questo siete! La carne è la veste, l’essere è l’anima. È lei che è duratura. La carne, come ogni veste, si logora e finisce, e non merita curarla come fosse una perfezione alla quale va data ogni cura.Cercate dunque ciò che è giusto procurarsi, non ciò che è in­giusto. Cercate di procurarvi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna. Questo, il Figlio dell’uomo ve lo darà sempre, quando voi lo vogliate. Perché il Figlio dell’uomo ha a sua disposizione tutto quanto viene da Dio, e può darlo, Egli padrone, e magnanimo padrone, dei tesori del Padre Dio, che ha impresso su di Lui il suo sigillo perché gli occhi onesti non siano confusi. E se voi avrete in voi il cibo che non perisce, potrete fare opere di Dio essendo nutriti del cibo di Dio».
8«Che dobbiamo fare per fare le opere di Dio? Noi osservia­mo la Legge ed i Profeti. Perciò già siamo nutriti di Dio e fac­ciamo opere di Dio». «È vero. Voi osservate la Legge. Meglio ancora: voi “conosce­te” la Legge. Ma conoscere non è praticare. Noi conosciamo, ad esempio, le leggi di Roma, eppure un fedele israelita non le pratica altro che in quelle formule che sono imposte dalla sua condizione di suddito. Per il resto noi, parlo dei fedeli israeliti, non pratichiamo le usanze pagane dei romani pur conoscendo­le. La Legge che voi tutti conoscete ed i Profeti dovrebbero, in­fatti, nutrirvi di Dio e darvi perciò capacità di fare opere di Dio. Ma per fare questo dovrebbero essere divenute un tutt’uno con voi, così come è l’aria che respirate e il cibo che assimilate, che si mutano entrambi in vita e sangue. Mentre essi rimangono estranei, pure essendo di casa vostra, così come può esserlo un oggetto della casa, che vi è noto e utile, ma che, se venisse a mancare, non vi leva l’esistenza. Mentre... oh! provate un poco a non respirare per qualche minuto, provate a stare senza cibo per giorni e giorni... e vedrete che non potete vivere. Così do­vrebbe sentirsi il vostro io nella denutrizione e nell’asfissia del­la Legge e dei Profeti, conosciuti ma non assimilati e fatti tutt’uno con voi. Questo Io sono venuto ad insegnare e a dare: il succo, l’aria della Legge e dei Profeti, per ridare sangue e respi­ro alle vostre anime morenti di inedia e di asfissia. Voi siete si­mili a bambini che una malattia rende incapaci di conoscere ciò che è atto a nutrirli. Avete davanti dovizie di cibi, ma non sape­te che vanno mangiati per mutarsi in cosa vitale, ossia che vanno veramente fatti nostri, con una fedeltà pura e generosa alla Legge del Signore che ha parlato a Mosè e ai Profeti per voi tutti. Venire dunque a Me per avere aria e succo di Vita eterna, è dovere. Ma questo dovere presuppone una fede in voi. Perché se uno non ha fede, non può credere alle parole mie, e se non crede non viene a dirmi: “Dàmmi il vero pane”. E se non ha il vero pane non può fare opere di Dio, non avendo capacità di farle. Perciò per essere nutriti di Dio e per fare opere di Dio è necessario che voi facciate l’opera-base, che è questa: credere in Colui che Dio ha mandato».
9«Ma che miracoli fai Tu dunque perché noi si possa credere in Te come in Mandato da Dio e perché si possa vedere su Te il sigillo di Dio? Che fai Tu che già, sebbene in forma minore, non abbiano fatto i Profeti? Mosè ti ha superato, anzi, perché, non per una volta tanto, ma per quarant’anni, nutrì di meraviglioso cibo i nostri padri. Così è scritto: che i nostri padri per qua­rant’anni mangiarono la manna del deserto, ed è detto che per­ciò Mosè diede loro da mangiare pane venuto dal cielo, egli che poteva».«Siete in errore. Non Mosè ma il Signore poté fare questo. E nell’Esodo si legge: “Ecco: Io farò piovere del pane dal cielo. Esca il popolo e ne raccolga quanto basta giorno per giorno, e così Io provi se il popolo cammina secondo la mia legge. E il sesto gior­no ne raccolga il doppio per rispetto al settimo dì che è il saba­to”. E gli ebrei videro il deserto ricoprirsi, mattina per mattina, di quella “cosa minuta come ciò che è pestato nel mortaio e si­mile alla brina della terra, simile al seme di coriandolo, e dal buon sapore di fior di farina incorporata col miele”. Dunque non Mosè, ma Dio provvide alla manna. Dio che tutto può. Tutto. Pu­nire e benedire. Privare e concedere. Ed Io ve lo dico, delle due cose preferisce sempre benedire e concedere a punire e privare.Dio, come dice la Sapienza, per amore di Mosè - detto dall’Ecclesiastico “caro a Dio e agli uomini, di benedetta memo­ria, fatto da Dio simile ai santi nella gloria, grande e terribile per i nemici, capace di suscitare e por fine ai prodigi, glorificato nel cospetto dei re, suo ministro al cospetto del popolo, conosci­tore della gloria di Dio e della voce dell’Altissimo, custode dei precetti e della Legge di vita e di scienza” - Dio, dicevo, per amore di questo Mosè, nutrì il suo popolo col pane degli angeli, e dal cielo gli donò un pane bell’e fatto, senza fatica, contenente in sé ogni delizia ed ogni soavità di sapore. E - ricordate bene ciò che dice la Sapienza - e poiché veniva dal Cielo, da Dio, e mostrava la sua dolcezza verso i figli, aveva per ognuno il sapo­re che ognuno voleva, e dava ad ognuno gli effetti desiderati, essendo utile tanto al pargolo, dallo stomaco ancora imperfetto, come all’adulto, dall’appetito e digestione gagliardi, alla fan­ciulla delicata come al vecchio cadente. E anche, per testimo­niare che non era opera d’uomo, capovolse le leggi degli ele­menti, onde resistè al fuoco, esso, il misterioso pane che al sor­gere del sole si squagliava come brina. O meglio: il fuoco - è sempre la Sapienza che parla - dimenticò la propria natura per rispetto all’opera di Dio suo Creatore e dei bisogni dei giu­sti di Dio, di modo che, mentre è solito ad infiammarsi per tor­mentare, qui si fece dolce per fare del bene a quelli che confida­vano nel Signore.Per questo allora, trasformandosi in ogni maniera, servì alla grazia del Signore, nutrice di tutti, secondo la volontà di chi pregava l’eterno Padre, affinché i figli diletti imparassero che non è il riprodursi dei frutti che nutrisce gli uomini, ma è la pa­rola del Signore quella che conserva chi crede in Dio. Infatti non consumò, come poteva, la dolce manna, neppure se la fiam­ma era alta e potente, mentre bastava a scioglierla il dolce sole del mattino, affinché gli uomini ricordassero e imparassero che i doni di Dio vanno ricercati dall’inizio del giorno e della vita, e che per averli occorre anticipare la luce e sorgere, per lodare l’Eterno, dalla prima ora del mattino.Questo insegnò la manna agli ebrei. Ed Io ve lo ricordo per­ché è dovere che dura e durerà sino alla fine dei secoli. Cercate il Signore ed i suoi doni celesti senza poltrire fino alle tarde ore del giorno o della vita. Sorgete a lodarlo prima ancora che lo lo­di il sorgente sole, e pascetevi della sua parola che conserva e preserva e conduce alla Vita vera.Non Mosè vi diede il pane del Cielo, ma in verità lo diede il Padre Iddio, e ora, in verità delle verità, è il Padre mio quello che vi dà il vero Pane, il Pane novello, il Pane eterno che dal Cielo discende, il Pane di misericordia, il Pane di Vita, il Pane che dà al mondo la Vita, il Pane che sazia ogni fame e leva ogni languore, il Pane che dà, a chi lo prende, la Vita eterna e l’eter­na gioia».
10«Dacci, o Signore, di codesto pane, e noi non morremo più». «Voi morrete come ogni uomo muore, ma risorgerete a Vita eterna se vi nutrirete santamente di questo Pane, perché esso fa incorruttibile chi lo mangia. Riguardo a darvelo sarà dato a coloro che lo chiedono al Padre mio con puro cuore, retta inten­zione e santa carità. Per questo ho insegnato a dire: “Dacci il pane quotidiano”. Ma coloro che se ne nutriranno indegnamen­te diverranno brulichio di vermi infernali, come i gomor di manna conservati contro l’ordine avuto. E quel Pane di salute e vita diverrà per loro morte e condanna. Perché il sacrilegio più grande sarà commesso da coloro che metteranno quel Pane su una mensa spirituale corrotta e fetida, o lo profaneranno mescolandolo alla sentina delle loro inguaribili passioni. Meglio per loro sarebbe non averlo mai preso!».
11«Ma dove è questo Pane? Come lo si trova? Che nome ha?». «Io sono il Pane di Vita. In Me lo si trova. Il suo nome è Ge­sù. Chi viene a Me non avrà più fame, e chi crede in Me non avrà mai più sete, perché i fiumi celesti si riverseranno in lui estinguendo ogni materiale ardore. Io ve l’ho detto, ormai. Voi mi avete conosciuto, ormai. Eppure non credete. Non potete credere che tutto quanto è in Me. Eppure così è. In Me sono tutti i tesori di Dio. E a Me tutto della terra è dato, onde in Me sono riuniti i gloriosi Cieli e la militante terra, e fino la penan­te e attendente massa dei trapassati in grazia di Dio sono in Me, perché in Me e a Me è ogni potere. Ed Io ve lo dico: tutto quanto il Padre mi dà verrà a Me. Né Io scaccerò chi a Me vie­ne, perché sono disceso dal Cielo non per fare la mia volontà ma quella di Colui che mi ha mandato. E la volontà del Padre mio, del Padre che mi ha mandato, è questa: che Io non perda nemmeno uno di quelli che mi ha dato, ma che Io li risusciti all’ultimo giorno. Ora la volontà del Padre che mi ha mandato è che chiunque conosce il Figlio e crede in Lui abbia la Vita eter­na e Io lo possa risuscitare nell’Ultimo Giorno, vedendolo nutri­to della fede in Me e segnato del mio sigillo».
12Vi è non poco brusìo nella sinagoga e fuori della stessa per le nuove e ardite parole del Maestro. E questo, dopo avere per un momento preso fiato, volge gli occhi sfavillanti di rapimento là dove più si mormora, e sono precisamente i gruppi in cui so­no dei giudei. Riprende a parlare.«Perché mormorate fra voi? Sì, Io sono il figlio di Maria di Nazaret figlia di Gioacchino della stirpe di Davide, vergine con­sacrata nel Tempio e poi sposata a Giuseppe di Giacobbe, della stirpe di Davide. Voi avete conosciuto, in molti, i giusti che det­tero vita a Giuseppe, legnaiuolo regale, e a Maria, vergine ere­de della stirpe regale. Ciò vi fa dire: “Come può costui dirsi di­sceso dal Cielo?», e il dubbio sorge in voi.Vi ricordo i Profeti nelle loro profezie sull’Incarnazione del Verbo. E vi ricordo come, più per noi israeliti che per qualsiasi altro popolo, è dogmatico che Colui che non osiamo chiamare non potesse darsi una Carne secondo le leggi della umanità, e umanità decaduta per giunta. Il Purissimo, l’Increato, se si è mortificato a farsi Uomo per amore dell’uomo, non poteva che eleggere un seno di Vergine più pura dei gigli per rivestire di Carne la sua Divinità.Il pane disceso dal Cielo al tempo di Mosè è stato riposto nell’arca d’oro, coperta dal propiziatorio, vegliata dai cherubini, dietro i veli del Tabernacolo. E col pane era la Parola di Dio. E giusto era che ciò fosse, perché sommo rispetto va dato ai doni di Dio e alle tavole della sua Ss. Parola. Ma che allora sarà sta­to preparato da Dio per la sua stessa Parola e per il Pane vero che è venuto dal Cielo? Un’arca più inviolata e preziosa dell’ar­ca d’oro, coperta dal prezioso propiziatorio della sua pura vo­lontà di immolazione, vegliata dai cherubini di Dio, velata dal velo di un candore verginale, di una umiltà perfetta, di una ca­rità sublime e di tutte le virtù più sante. E allora? Non capite ancora che la mia paternità è in Cielo e che perciò Io di là vengo? Sì, Io sono disceso dal Cielo per com­piere il decreto del Padre mio, il decreto di salvazione degli uo­mini secondo quanto promise al momento stesso della condan­na e ripeté ai Patriarchi e ai Profeti.Ma questo è fede. E la fede viene data da Dio a chi ha l’ani­mo di buona volontà. Perciò nessuno può venire a Me se non lo conduce a Me il Padre mio, vedendolo nelle tenebre ma rettamente desideroso di luce. E scritto nei Profeti: “Saranno tutti ammaestrati da Dio”. Ecco. È detto. È Dio che li istruisce dove andare per essere istruiti di Dio. Chiunque, dunque, ha udito in fondo al suo spirito retto parlare Iddio, ha imparato dal Padre a venire a Me».«E chi vuoi che abbia sentito Iddio o visto il suo Volto?» chie­dono in diversi che cominciano a mostrare segni di irritazione e di scandalo. E terminano: «Tu deliri, oppure sei un illuso». «Nessuno ha veduto Iddio eccetto Colui che è da Dio; questo ha veduto il Padre. E questo Io sono.
13Ed ora udite il “credo” della vita futura, senza il quale non ci si può salvare. In verità, in verità vi dico che chi crede in Me ha la Vita eter­na. In verità, in verità vi dico che Io sono il Pane della Vita eter­na. I vostri padri mangiarono nel deserto la manna e morirono. Perché la manna era un cibo santo ma temporaneo, e dava vita per quanto necessitava a giungere alla terra promessa da Dio al suo popolo. Ma la Manna che Io sono non avrà limitazione di tempo e di potere. È non solo celeste, ma è divina, e produce ciò che è divino: l’incorruttibilità, l’immortalità di quanto Dio ha creato a sua immagine e somiglianza. Essa non durerà quaran­ta giorni, quaranta mesi, quaranta anni, quaranta secoli. Ma durerà finché durerà il tempo, e sarà data a tutti coloro che di essa hanno fame santa e gradita al Signore, che giubilerà di darsi senza misura agli uomini per cui si è incarnato, onde ab­biano la Vita che non muore.Io posso darmi, Io posso transustanziarmi per amore degli uomini, onde il pane divenga Carne e la Carne divenga Pane per la fame spirituale degli uomini, che senza questo Cibo mo­rirebbero di fame e di malattie spirituali. Ma se uno mangia di questo Pane con giustizia, egli vivrà in eterno. Il pane che Io darò sarà la mia Carne immolata per la vita del mondo, sarà il mio Amore sparso nelle case di Dio, perché alla mensa del Si­gnore vengano tutti coloro che sono amorosi o infelici e trovino ristoro al loro bisogno di fondersi a Dio e di trovare sollievo al loro penare».
14«Ma come puoi darci da mangiare la tua carne? Per chi ci hai presi? Per belve sanguinarie? Per selvaggi? Per omicidi? A noi ripugna il sangue e il delitto».«In verità, in verità vi dico che molte volte l’uomo è più di una belva, e che il peccato fa più che selvaggi, che l’orgoglio dà sete omicida, e che non a tutti dei presenti ripugnerà il sangue e il delitto. E anche in futuro l’uomo tale sarà, perché Satana, il senso e l’orgoglio lo fanno belluino. E perciò con maggior biso­gno che mai dovete e dovrà l’uomo sanare se stesso dai germi terribili con l’infusione del Santo. In verità, in verità vi dico che se non mangerete la Carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo Sangue, non avrete in voi la Vita. Chi mangia degnamente la mia Carne e beve il mio Sangue ha la Vita eterna ed Io lo ri­susciterò all’Ultimo Giorno. Perché la mia Carne è veramente Cibo e il mio Sangue è veramente Bevanda. Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue rimane in Me ed Io in lui. Come il Padre vivente mi inviò, ed Io vivo per il Padre, così chi mi man­gia vivrà anch’egli per Me e anderà dove lo mando, e farà ciò che Io voglio, e vivrà austero come uomo e ardente come serafi­no, e sarà santo, perché per potersi cibare della mia Carne e del mio Sangue si interdirà le colpe e vivrà ascendendo per fini­re la sua ascesa ai piedi dell’Eterno».«Ma costui è folle! Chi può vivere in tal modo? Nella nostra religione è solo il sacerdote che deve essere purificato per offri­re la vittima. Qui Egli ci vuole fare, di noi, tante vittime della sua follia. Questa dottrina è troppo penosa e questo linguaggio è troppo duro! Chi li può ascoltare e praticare?» sussurrano i presenti, e molti sono discepoli già riputati tali.
15La gente sfolla commentando. E molto assottigliate ap­paiono le file dei discepoli quando restano solo nella sinagoga il Maestro e i più fedeli. Io non li conto, ma dico che, ad occhio e croce, sì e no se si arriva a cento. Perciò ci deve essere stata una bella defezione anche nelle schiere dei vecchi discepoli or­mai al servizio di Dio.Fra i rimasti sono gli apostoli, il sacerdote Giovanni e lo scriba Giovanni, Stefano, Erma, Timoneo, Ermasteo, Agapo, Giuseppe, Salomon, Abele di Betlemme di Galilea e Abele il già lebbroso di Corozim col suo amico Samuele, Elia (quello che la­sciò di seppellire il padre per seguire Gesù), Filippo di Arbela, Aser e Ismaele di Nazaret, più altri che non conosco di nome. Questi tutti parlano piano fra loro commentando la defezione degli altri e le parole di Gesù, che pensieroso sta con le braccia conserte appoggiato ad un alto leggio.«E vi scandalizzate di ciò che ho detto? E se vi dicessi che vedrete un giorno il Figlio dell’uomo ascendere al Cielo dove era prima e sedersi al fianco del Padre? E che avete capito, as­sorbito, creduto fino ad ora? E con che avete udito e assimilato? Solo con l’umanità? È lo spirito quello che vivifica e ha valore. La carne non giova a niente. Le mie parole sono spirito e vita, e vanno udite e capite con lo spirito per averne vita. Ma ci sono molti fra voi che hanno morto lo spirito perché è senza fede. Molti di voi non credono con verità. E inutilmente stanno pres­so a Me. Non ne avranno Vita, ma Morte. Perché vi stanno, co­me ho detto in principio, o per curiosità o per umano diletto, o, peggio, per fini ancora più indegni. Non sono portati qui dal Padre per premio alla loro buona volontà, ma da Satana. Nes­suno può venire a Me, in verità, se non gli è concesso dal Padre mio. Andate pure, voi che vi trattenete a fatica perché vi vergo­gnate, umanamente, di abbandonarmi, ma avete ancora mag­gior vergogna di rimanere al servizio di Uno che vi pare “pazzo e duro”. Andate. Meglio lontani che qui per nuocere». E molti altri si ritraggono di fra i discepoli, fra i quali lo scriba Giovanni e Marco, il geraseno indemoniato, guarito mandando i demoni nei porci. I discepoli buoni si consultano e corrono dietro a questi fedifraghi tentando di fermarli.
16Nella sinagoga sono ora Gesù, il sinagogo e gli apostoli... Gesù si volge ai dodici che, mortificati, stanno in un angolo e dice: «Volete andarvene anche voi?». Lo dice senza acredine e senza mestizia. Ma con molta serietà.Pietro, con impeto doloroso, gli dice: «Signore, e dove vuoi che si vada? Da chi? Tu sei la nostra vita e il nostro amore. Tu solo hai parole di Vita eterna. Noi abbiamo conosciuto che Tu sei il Cristo, Figlio di Dio. Se vuoi, cacciaci. Ma noi, di nostro, non ti lasceremo neppure... neppure se Tu non ci amassi più...», e Pietro piange senza rumore, con grandi lacrimoni...Anche Andrea, Giovanni, i due figli di Alfeo, piangono aper­tamente, e gli altri, pallidi o rossi per l’emozione, non piangono, ma soffrono palesemente. «Perché vi dovrei cacciare? Non sono stato Io che ho eletto voi dodici?...». Giairo, prudentemente, si è ritirato per lasciare Gesù libero di confortare o redarguire i suoi apostoli. Gesù, che ne nota la silenziosa ritirata, dice, sedendosi accasciato come se la rivela­zione che fa gli costasse uno sforzo superiore a quello che Egli può fare, stanco come è, disgustato, addolorato: «Eppure uno di voi è un demonio». La parola cade lenta, paurosa, nella sinagoga, nella quale è solo allegra la luce delle molte lampade... e nessuno osa dire nulla. Ma si guardano l’un l’altro con pauroso ribrezzo e ango­sciosa indagine e, con una ancor più angosciosa e intima do­manda, ognuno esamina se stesso... Nessuno si muove per qualche tempo. E Gesù resta solo, sul suo sedile, le mani incrociate sui ginocchi, il viso basso. Lo alza infine e dice: «Venite. Non sono già un lebbroso! O mi credete tale?...». Allora Giovanni corre avanti e gli si avviticchia al collo di­cendo: «Con Te, allora, nella lebbra, mio solo amore. Con Te nella condanna, con Te nella morte, se credi che ciò ti attenda...»; e Pietro striscia ai suoi piedi e li prende e se li met­te sugli omeri e singhiozza: «Qui, premi, calpesta! Ma non mi fare pensare che Tu diffidi del tuo Simone».Gli altri, vedendo che Gesù carezza i due primi, si fanno avanti e baciano Gesù sulle vesti, sulle mani, sui capelli... Solo l’Iscariota osa baciarlo sul viso. Gesù si alza di scatto, e quasi lo respinge bruscamente tanto lo scatto è improvviso, e dice: «Andiamo a casa. Domani sera, di notte, partiremo con le barche per Ippo».



AVE MARIA!