giovedì 28 giugno 2012

Fra Daniele Natale e il Purgatorio - "Fui condannato a due/tre ore di purgatorio. «Ma come?, mi chiesi, solo due/tre ore? E poi potrò rima nere per sempre vicino a Dio eterno Amore?». Feci un salto di gioia e mi sentii come un figlio prediletto. ..."


Fra Daniele Natale (ora è Servo di Dio) e il Purgatorio

 
fra daniele sedutoSono un semplice fratello laico cappuccino. Ho svolto la mia vita facendo il lavoro che mi competeva: portinaio, sacrista, questuante, cuciniere. Spesso mi recavo, bisaccia in spalla, a chiedere l'elemosina di porta in porta. Ogni mattino facevo la spesa per il convento.
Mi conoscevano tutti e mi volevano bene. Ogni volta che compravo qualcosa mi facevano degli sconti. Quelle poche lire, anziché consegnarle al superiore, le conservavo per la corrispondenza, per le mie piccole necessità ed anche per aiutare dei militari che bussavano alla porta del convento.
Si era nell'immediato dopo guerra. Io ero a San Giovanni Rotondo, mio paese nativo, nel medesimo convento di Padre Pio. Da un po' di tempo avvertivo dei dolori all'apparato digerente. Mi sottoposi a visita medica ed il medico diagnosticò un male incurabile: tumore.
Con la morte nel cuore andai a raccontare tutto a Padre Pio, il quale, dopo avermi ascoltato, bruscamente mi disse: «Operati!». Rimasi confuso e reagii. Dissi: Padre, non ne vale la pena! Il medico non mi ha dato nessuna speranza. Ormai so di dover morire. «Non importa ciò che ti ha detto il medico: operati, ma a Roma nella tale clinica e dal tale professore». Il Padre mi disse queste cose con tale forza e con tanta sicurezza che io risposi: «Si, Padre, lo farò». Allora lui mi guardò con dolcezza e, commosso, aggiunse: «Non temere, io sarò sempre con te». La mattina dopo ero già in viaggio per Roma. Mentre ero seduto sul treno, avvertii a fianco a me una presenza misteriosa: era Padre Pio che manteneva la promessa di starmi vicino. Quando arrivai a Roma, seppi che la clinica era «Regina Elena»; il professore si chiamava Riccardo Moretti. Verso sera feci il mio ingresso in clinica. Sembrava che tutti mi aspettassero, come se qualcuno avesse annunciato il mio arrivo. Mi accolsero immediatamente. Subito dopo il consulto medico, il direttore sanitario venne a chiedermi il consenso per l'intervento previsto per il giorno dopo. Io apposi la firma richiesta. Alle ore 7.00 del mattino ero già in sala operatoria. Mi prepararono per l'intervento. Nonostante l'anestesia, rimasi sveglio e cosciente: mi raccomandai al Signore con le stesse parole che Lui rivolse al Padre prima di morire: «Padre, nelle tue mani raccomando il mio spirito». I medici cominciarono l'intervento ed io sentivo tutto ciò che dicevano; soffrivo dolori atroci, ma non mi lamentai, anzi ero contento di sopportare tanto dolore che offrivo a Gesù e mi accorgevo come tutte quelle sofferenze rendevano la mia anima sempre più pura dai miei peccati. Ad un certo punto mi addormentai. Quando ripresi coscienza mi dissero che ero stato tre giorni in coma prima di morire. Mi presentai dinanzi al trono di Dio. Vedevo Dio, ma non come giudice severo, bensì come Padre affettuoso e pieno di amore. Allora capii che il Signore aveva fatto tutto per amor mio, che si era preso cura di me dal primo all'ultimo istante della mia vita, amandomi come se io fossi l'unica creatura esistente su questa terra. Mi resi anche conto però che, non solo non avevo ricambiato questo immenso amor divino, ma l'avevo del tutto trascurato.
Fui condannato a due/tre ore di purgatorio. «Ma come?, mi chiesi, solo due/tre ore? E poi potrò rima nere per sempre vicino a Dio eterno Amore?». Feci un salto di gioia e mi sentii come un figlio prediletto. La visione scomparve ed io mi ritrovai in purgatorio. Le due/tre ore di purgatorio mi erano state date soprattutto per aver mancato al voto di povertà, per aver conservato per me quelle poche lire, come ho detto prima. Erano dolori terribili che non si sapeva da dove venissero, però si provavano intensamente. I sensi che più avevano offeso Dio in questo mondo: gli occhi, la lingua... provavano maggior dolore ed era una cosa da non credere perché laggiù nel purgatorio, uno si sente come se avesse il corpo e conosce/riconosce gli altri come avviene nel mondo. Intanto, non erano passati che pochi momenti di quelle pene e già mi sembrava che fosse un'eternità. Quello che più fa soffrire nel purgatorio non è tanto il fuoco, pur tanto intenso, ma quel sentirsi lontani da Dio, e quel che più addolora è di aver avuto tutti i mezzi a disposizione per la salvezza e di non averne saputo approfittare. Pensai allora di andare da un confratello del mio convento per chiedergli di pregare per me che ero nel purgatorio. Quel confratello rimase meravigliato perché sentiva la mia voce, ma non vedeva la mia persona, e chiese: «Dove sei? perché non ti vedo?». Io insistevo e, vedendo che non avevo altro mezzo per raggiungerlo, cercai di toccarlo; ma le mie braccia si incrociavano senza toccarsi. Solo allora mi resi conto di essere senza corpo. Mi accontentai di insistere perché pregasse molto per me e me ne andai. «Ma come? - dicevo a me stesso - non dovevano essere solo due/tre ore di purgatorio?... e sono tra scorsi già trecento anni?». Almeno così mi sembrava. Ad un tratto mi apparve la Beata Vergine Maria e la scongiurai, la implorai dicendole: «O santissima vergine Maria, madre di Dio, ottienimi dal Signore la grazia di tornare sulla terra per vivere ed agire solo per amore di Dio!». Mi accorsi anche della presenza di Padre Pio e supplicai anche lui: «Per i tuoi atroci dolori, per le tue benedette piaghe, Padre Pio mio, prega tu per me Id dio che mi liberi da queste fiamme e mi conceda di continuare il purgatorio sulla terra». Poi non vidi più nulla, ma mi resi conto che il Padre parlava alla Ma donna. Dopo pochi istanti mi apparve di nuovo la Beata Vergine Maria: era la Madonna delle Grazie, ma senza Gesù Bambino. Ella chinò il capo e mi sorrise. In quel preciso momento ripresi possesso del mio corpo, aprii gli occhi e stesi le braccia. Poi, con un movi mento brusco, mi liberai del lenzuolo che mi copriva. Ero stato accontentato, avevo ricevuto la grazia! La Madonna mi aveva esaudito. Subito dopo, quelli che mi vegliavano e pregavano, spaventatissimi, si precipitarono fuori dalla sala per andare in cerca di infermieri e di dottori. In pochi minuti la clinica era in subbuglio. Credevano tutti che io fossi un fantasma e decisero di chiudere bene la porta e sparire per un certo timore degli spiriti.
Al mattino seguente, mi alzai molto presto e mi sedetti su di una poltrona. Malgrado la porta fosse accuratamente custodita, alcuni riuscirono ad entra re e mi chiesero spiegazione dell'accaduto. Per tran quillizzarli, dissi che stava arrivando il medico di guardia, il quale avrebbe raccontato l'accaduto. Di solito i medici non arrivavano prima delle ore dieci. Quella mattina erano ancora le ore sette e io dissi ai presenti: «Guardate: il medico sta arrivando, ora sta parcheggiando la macchina nel tal posto». Ma nessuno volle credermi. Ed io: «Ora sta attraversando la strada, porta la giacca sul braccio e si passa la mano sulla testa come fosse preoccupato, non so cosa avrà!...». Ma nessuno dava credito alle mie parole. Allora dissi: affinché crediate che io non vi mento, vi confermo che ora il medico sta salendo in ascensore e sta per bussare alla porta. Avevo appena finito di parlare, che la porta si aprì ed il medico entrò con grande meraviglia di tutti i presenti. Con le lacrime agli occhi il dottore disse: «Sì, adesso credo: credo in Dio, credo nella Chiesa, credo in Padre Pio...».
Quel dottore, che prima non credeva o la cui fede era ad acqua di rose, confessò che quella notte non era riuscito a chiudere occhio pensando alla mia morte da lui accertata senza darsi spiegazione. Disse che malgrado il certificato di morte da lui stilato era tornato per rendersi conto di cosa era successo quel la notte che tanti incubi gli aveva procurato, perché quel morto (che ero io) non era un morto come gli altri. In effetti, non si era sbagliato!

CONCLUSIONE
Dopo questa esperienza, fra Daniele visse veramente il purgatorio su questa terra purificandosi
attraverso malattie, sofferenze e dolori, e uniformandosi sempre e in tutto alla volontà di Dio.  Ricordiamo solo alcuni interventi da lui subiti: prostata, colicisti, aneurisma della vena porta addominale con relativa protesi, tumore alla vescica, intervento dopo un terribile incidente stradale nei pressi di Bologna, tralasciando altri ricoveri e dolori non solo fisici, ma anche morali.
Alla sorella Felicetta che gli chiedeva come si sentisse in salute fra Daniele confidò: «Sorella mia, sono più di 40 anni che non ricordo cosa significhi star bene!».

Fra Daniele è morto il 6 luglio 1994.
Mentre la sua salma era composta nella cappella dell'Infermeria del convento dei Frati Cappuccini in San Giovanni Rotondo e si recitava il Santo Rosario in suffragio della sua anima benedetta, ad alcuni dei pre senti parve che fra Daniele muovesse le labbra, come per rispondere al Rosario, alle Ave Maria. La voce si sparse in un baleno, tanto che il superiore padre Livio Di Matteo, per una certa serenità interiore, volle accertarsi che non si trattasse di morte apparente. Per questo fece venire dalla vicina Casa Sollievo della Sofferenza il dottor Nicola Silvestri Aiuto di Medicina legale ed il dottor Giuseppe Fasanella Assistente di Medicina legale i quali praticarono a fra Daniele l'elettrocardiogramma e gli misurarono anche la temperatura, accertandone così definitivamente il decesso.
Ora fra Daniele gode certamente la visione beatifica di Dio e dal cielo sorride, benedice e protegge.

Tratto da: "fra Daniele Natale - racconta...le sue esperienze con Padre Pio" di padre Remigio Fiore

Ave, Ave, Ave,
Ave Maria!

Papa Benedetto XVI: "Con la preghiera costante e fiduciosa il Signore ci libera dalle catene, ci guida per attraversare qualsiasi notte di prigionia che può attanagliare il nostro cuore, ci dona la serenità del cuore per affrontare le difficoltà della vita, anche il rifiuto, l’opposizione, la persecuzione."


BENEDETTO XVI

Ven Espíritu Santo, ven por medio de la poderosa intercesión del Corazón Inmaculado de María, tu amadísima Esposa
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 9 maggio 2012
Cari fratelli e sorelle,
oggi vorrei soffermarmi sull’ultimo episodio della vita di san Pietro raccontato negli Atti degli Apostoli: la sua carcerazione per volere di Erode Agrippa e la sua liberazione per l’intervento prodigioso dell’Angelo del Signore, alla vigilia del suo processo a Gerusalemme (cfr At 12,1-17).
Il racconto è ancora una volta segnato dalla preghiera della Chiesa. San Luca, infatti, scrive: «Mentre Pietro dunque era tenuto in carcere, dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una preghiera per lui» (At 12,5). E, dopo aver miracolosamente lasciato il carcere, in occasione della sua visita alla casa di Maria, la madre di Giovanni detto Marco, si afferma che «molti erano riuniti e pregavano» (At 12,12). Fra queste due annotazioni importanti che illustrano l’atteggiamento della comunità cristiana di fronte al pericolo e alla persecuzione, viene narrata la detenzione e la liberazione di Pietro, che comprende tutta la notte. La forza della preghiera incessante della Chiesa sale a Dio e il Signore ascolta e compie una liberazione impensabile e insperata, inviando il suo Angelo.


Il racconto richiama i grandi elementi della liberazione d’Israele dalla schiavitù dell’Egitto, la Pasqua ebraica. Come avvenne in quell’evento fondamentale, anche qui l’azione principale è compiuta dall’Angelo del Signore che libera Pietro. E le stesse azioni dell’Apostolo - al quale viene chiesto di alzarsi in fretta, di mettersi la cintura e di legarsi i fianchi – ricalcano quelle del popolo eletto nella notte della liberazione per intervento di Dio, quando venne invitato a mangiare in fretta l’agnello con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano, pronto per uscire dal Paese (cfr Es 12,11). Così Pietro può esclamare: «Ora so veramente che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode» (At 12,11). Ma l’Angelo richiama non solo quello della liberazione di Israele dall’Egitto, ma anche quello della Risurrezione di Cristo. Narrano, infatti, gli Atti degli Apostoli: «Ed ecco, gli si presentò un angelo del Signore e una luce sfolgorò nella cella. Egli toccò il fianco di Pietro e lo destò» (At 12,7). La luce che riempie la stanza della prigione, l’azione stessa di destare l’Apostolo, rimandano alla luce liberante della Pasqua del Signore che vince le tenebre della notte e del male. L’invito, infine: «Metti il mantello e seguimi» (At 12,8), fa risuonare nel cuore le parole della chiamata iniziale di Gesù (cfr Mc 1,17), ripetuta dopo la Risurrezione sul lago di Tiberiade, dove il Signore dice per ben due volte a Pietro: «Seguimi» (Gv 21,19.22). E’ un invito pressante alla sequela: solo uscendo da se stessi per mettersi in cammino con il Signore e fare la sua volontà, si vive la vera libertà.


Vorrei sottolineare anche un altro aspetto dell’atteggiamento di Pietro in carcere; notiamo, infatti, che, mentre la comunità cristiana prega con insistenza per lui, Pietro «stava dormendo» (At 12,6). In una situazione così critica e di serio pericolo, è un atteggiamento che può sembrare strano, ma che invece denota tranquillità e fiducia; egli si fida di Dio, sa di essere circondato dalla solidarietà e dalla preghiera dei suoi e si abbandona totalmente nelle mani del Signore. Così deve essere la nostra preghiera: assidua, solidale con gli altri, pienamente fiduciosa verso Dio che ci conosce nell’intimo e si prende cura di noi al punto che – dice Gesù – «perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura…» (Mt 10, 30-31). Pietro vive la notte della prigionia e della liberazione dal carcere come un momento della sua sequela del Signore, che vince le tenebre della notte e libera dalla schiavitù delle catene e dal pericolo di morte. La sua è una liberazione prodigiosa, segnata da vari passaggi descritti accuratamente: guidato dall’Angelo, nonostante la sorveglianza delle guardie, attraversa il primo e il secondo posto di guardia, sino alla porta di ferro che immette in città: e la porta si apre da sola davanti a loro (cfr At 12,10). Pietro e l’Angelo del Signore compiono insieme un tratto di strada finché, rientrato in se stesso, l’Apostolo si rende conto che il Signore lo ha realmente liberato e, dopo aver riflettuto, si reca in casa di Maria, la madre di Marco, dove molti dei discepoli sono riuniti in preghiera; ancora una volta la risposta della comunità alla difficoltà e al pericolo è affidarsi a Dio, intensificare il rapporto con Lui.


Qui mi pare utile richiamare un’altra situazione non facile che ha vissuto la comunità cristiana delle origini. Ce ne parla san Giacomo nella sua Lettera. E’ una comunità in crisi, in difficoltà, non tanto per le persecuzioni, ma perché al suo interno sono presenti gelosie e contese (cfr Gc 3,14-16). E l’Apostolo si chiede il perché di questa situazione. Egli trova due motivi principali: il primo è il lasciarsi dominare dalle passioni, dalla dittatura delle proprie voglie, dall’egoismo (cfr Gc 4,1-2a); il secondo è la mancanza di preghiera – «non chiedete» (Gc 4,2b) – o la presenza di una preghiera che non si può definire come tale – «chiedete e non ottenete, perché chiedete male, per soddisfare le vostre passioni» (Gc 4,3). Questa situazione cambierebbe, secondo san Giacomo, se la comunità parlasse tutta insieme con Dio, pregasse realmente in modo assiduo e unanime. Anche il discorso su Dio, infatti, rischia di perdere la sua forza interiore e la testimonianza inaridisce se non sono animati, sorretti e accompagnati dalla preghiera, dalla continuità di un dialogo vivente con il Signore. Un richiamo importante anche per noi e le nostre comunità, sia quelle piccole come la famiglia, sia quelle più vaste come la parrocchia, la diocesi, la Chiesa intera. E mi fa pensare che hanno pregato in questa comunità di san Giacomo, ma hanno pregato male, solo per le proprie passioni. Dobbiamo sempre di nuovo imparare a pregare bene, pregare realmente, orientarsi verso Dio e non verso il bene proprio.


La comunità, invece, che accompagna la prigionia di Pietro è una comunità che prega veramente, per tutta la notte, unita. Ed è una gioia incontenibile quella che invade il cuore di tutti quando l’Apostolo bussa inaspettatamente alla porta. Sono la gioia e lo stupore di fronte all’azione di Dio che ascolta. Così dalla Chiesa sale la preghiera per Pietro e nella Chiesa egli torna per raccontare «come il Signore lo aveva tratto fuori dal carcere» (At 12,17). In quella Chiesa dove egli è posto come roccia (cfr Mt 16,18), Pietro racconta la sua «Pasqua» di liberazione: egli sperimenta che nel seguire Gesù sta la vera libertà, si è avvolti dalla luce sfolgorante della Risurrezione e per questo può testimoniare sino al martirio che il Signore è il Risorto e «veramente ha mandato il suo angelo e lo ha strappato dalle mani di Erode» (At 12,11). Il martirio che subirà poi a Roma lo unirà definitivamente a Cristo, che gli aveva detto: quando sarai vecchio un altro ti porterà dove tu non vuoi, per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio (cfr Gv 21,18-19).


Cari fratelli e sorelle, l’episodio della liberazione di Pietro raccontato da Luca ci dice che la Chiesa, ciascuno di noi, attraversa la notte della prova, ma è la vigilanza incessante della preghiera che ci sostiene. Anche io, fin dal primo momento della mia elezione a Successore di san Pietro, mi sono sempre sentito sorretto dalla preghiera di voi, dalla preghiera della Chiesa, soprattutto nei momenti più difficili. Ringrazio di cuore. Con la preghiera costante e fiduciosa il Signore ci libera dalle catene, ci guida per attraversare qualsiasi notte di prigionia che può attanagliare il nostro cuore, ci dona la serenità del cuore per affrontare le difficoltà della vita, anche il rifiuto, l’opposizione, la persecuzione. L’episodio di Pietro mostra questa forza della preghiera. E l’Apostolo, anche se in catene, si sente tranquillo, nella certezza di non essere mai solo: la comunità sta pregando per lui, il Signore gli è vicino; anzi egli sa che «la forza di Cristo si manifesta pienamente nella debolezza» (2Cor 12,9). La preghiera costante e unanime è un prezioso strumento anche per superare le prove che possono sorgere nel cammino della vita, perché è l’essere profondamente uniti a Dio che ci permette di essere anche profondamente uniti agli altri. Grazie.











LAUDETUR  JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!


"DOV'E' IL TUO TESORO LI' E' ANCHE IL TUO CUORE"

Coroncina della Divina Misericordia




Il nostro cuore ha
22 miliardi di cellule, con circa 100 mila battiti al giorno e
40 milioni all’anno:
quante di queste cellule e 
quanti di questi battiti noi consacriamo 
ogni giorno 
a Gesù Eucaristico?
Molto pochi,
o forse neppure uno! ESAMINIAMOCI.
(P. Stefano Pio M. Manelli, FI)

Ven Espíritu Santo, ven por medio de la poderosa intercesión del Corazón Inmaculado de María, tu amadísima Esposa


NOS CUM PROLE PIA
BENEDICAT VIRGO MARIA

mercoledì 27 giugno 2012

Squarci di vita missionaria della Beata Maria Baouardy



Squarci di vita missionaria  
della Beata Maria di Gesù Crocifisso


La traversata da Aden a Madras è stata buona: Madre Elia stava benissimo. La Madre Sottopriora, suor Maria del Salvatore ed io, abbiamo avuto un po' di mal di mare. Padre Lazzaro è venuto a trovarci a Madras. Come era impressionato vedendoci! Aveva le lacri­me agli occhi: ci ha raccontato quanto avesse sofferto da quando ci aveva lasciato. Siamo rimasti un giorno a Madras e siamo in seguito partiti per Vellore, con Padre Lazzaro. Mon­signore è rimasto a Madras con Padre Graziano per degli affari. Abbiamo trascorso cinque giorni presso le suore del Buon Pastore; sono state molto buone con noi. Un giorno mentre ero nella cappella, sentii una grande tristezza pensando a suor Stefania ed a suor Eufrasia. Ero in quel momento, molto tentata contro la Madre sottopriora e suor Maria del Salvato­re; mi sembrava che esse prendessero di me tutto a male. Madre Elia mi rimproverava mol­to. Allora io mi rivolsi a Gesù e mi lamentai con Lui. Vidi un uomo che mi disse: Perché ti lamenti di esse? Una di esse sarà presto tua madre e l'altra la tua maestra di noviziato. Quando sentii ciò, ebbi molta pena, pensando che Madre Elia stava per morire. In effetti, durante la notte, ella fu molto sofferente a Vellore, e pensai che il calice era molto vicino.

Dopo ciò, Padre mio, ci siamo fermati in molti posti, prima di arrivare al Vicariato di Monsignore; ma non è accaduto niente di particolare. Arrivando a Calcutta, una grande pro­cessione è venuta a prendere Monsignore. Credendo che fossimo vicini alla chiesa, siamo scese dalla vettura, cosa che ha molto stancato nostra Madre; malgrado ciò, ella era con­tentissima di vedere tutti gli onori resi a Mons. Maria Ephrem. A Calcutta, nostra Madre si mise a letto. Monsignore e il Padre Lazzaro avevano molta pena nel vederla sofferente; Pa­dre Graziano anche, ma se l'aspettava perché sapeva tutto. 

Monsignore era desolato di que­sto terzo sacrificio che il Signore stava per domandare. Non potendo più prolungare il suo soggiorno presso di noi, parti per Mangalore con Padre Graziano; Padre Lazzaro restò con noi a Calcutta. Il giorno della partenza di Monsignore, ero molto tentata contro Padre Laz­zaro e contro le nostre suore. Mi recai in cappella e dissi a Gesù: È possibile, Signore, che io possa vivere con questo Padre e con queste suore, senza nostra Madre? E piangevo mol­to. Il pensiero che l'una sarebbe stata un giorno la mia Madre e l'altra la mia Maestra, mi faceva venire molte tentazioni.

 Allora, Padre mio, mi addormentai; e durante il mio sonno,
vidi un uomo con due bimbi; e quest'uomo mi mostrava tutto ciò che io avevo fatto duran­te la mia vita, e mi disse: Vedi, io sopporto tutto ciò per te; e tu, non vuoi sopportare ciò per me! Sono io che le ho scelte; sono io che ho loro ispirato di farti ciò; sono io che ten­go i cuori nella mia mano e li faccio cambiare quando voglio. Mormori sempre, perché ho fatto morire suor Stefania e suor Eufrasia, e perché voglio che Madre Elia sia seppellita qui! Nello stesso tempo, vidi un bimbo che mi presentava un calice e una croce molto pe­santi. Il calice era pieno; mi sembrava che, in tutta la mia vita, io non ne avessi bevuto una goccia. Quel bambino mi disse: Prima della tua morte, occorre che lo svuoti; e morirai su questa croce; e tutti i rami ai quali ti attaccherai, io li taglierò. Risvegliandomi, feci ge­nerosamente il sacrificio di nostra Madre, sebbene con molto dolore. Sa, Padre mio, quan­to costa a un figlio fare il sacrificio della propria madre, e soprattutto di una madre come Madre Elia. Nostra Madre è stata così buona per me durante la sua malattia! Il buon Dio lo permetteva, per farmi sentire di più il sacrificio. Fu solo il giorno della sua morte che fu molto severa con me; ma per questo, non la amavo meno, al contrario. Nel momento in cui ella stava per spirare, Madre Sottopriora e suor Maria del Salvatore domandarono perdono a nostra Madre, pregandola di dire loro un'ultima parola e di benedirle. Feci come loro; nostra Madre non mi rispose: O Madre cara, le dissi, dica anche a me un'ultima parola. Fa' tutto ciò che ti si dirà, rispose. Grazie, Madre cara, ripresi, non dimenticherò mai queste parole! Do­po queste parole entrò in agonia, pur conservando la sua conoscenza. Ci guardava, faceva se­gno a Padre Lazzaro di prendere cura delle sue figlie. Il Padre rispose: Sì, Madre, lei Sa quan­to le ami; ne avrò cura. Egli è stato fedele alla sua promessa. Nostra Madre ha domandato di rinnovare i suoi voti; suor Maria del Salvatore li ha pronunziati ad alta voce. Dopo questo mo­mento, nostra Madre restò tranquilla con Gesù. È morta come una santa. Ora, Padre mio, so­no distaccata da tutto». ("Il piccolo nulla" cap. 12)


LAUDETUR  JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!



lunedì 25 giugno 2012

HERMOSA REFLEXION SOBRE LA SAGRADA COMUNION....POR FAVOR LEEDLA, DIOS OS COLMARA DE GRACIAS y BENDICIONES....







    Ven Espíritu Santo, ven por medio de la poderosa intercesión del Corazón Inmaculado de María, tu amadísima Esposa

Lectura espiritual. CONSIDERACIÓN 34

De la Sagrada Comunión
Tomad y comed; éste es mi Cuerpo.
Mt. 26, 26.
PUNTO 1
Consideremos la grandeza de este Santísimo Sacramento de la Eucaristía, el amor inmenso que Jesucristo nos manifestó con tan precioso don y el vivo deseo que tiene de que le recibamos sacramentado.
Veamos, en primer lugar, la gran merced que nos hizo el Señor al darse a nosotros como alimento en la santa Comunión. Dice San Agustín que con ser Jesucristo Dios omnipotente, nada mejor pudo darnos, pues ¿qué mayor tesoro puede recibir o desear un alma que el sacrosanto Cuerpo de Cristo? Exclamaba el profeta Isaías (12, 4): Publicad las amorosas invenciones de Dios.
Y, en verdad, si nuestro Redentor no nos hubiese favorecido con tan alta dádiva, ¿quién hubiera podido pedírsela? ¿Quién se hubiera atrevido a decirle: “Señor, si deseáis demostrar vuestro amor, ocultaos bajo las especies de pan y permitid que por manjar os recibamos?...”. El pensarlo nomás se hubiera reputado por locura. “¿No parece locura el decir: comed mi carne, bebed mi sangre?”, exclamaba San Agustín.
Cuando Jesucristo anunció a los discípulos que este don del Santísimo Sacramento que pensaba dejarles, no podían creerle, y se apartaron del Señor, diciendo (Jn. 6, 61): “¿Cómo puede éste darnos a comer su carne?... Dura es esta doctrina; ¿y quién lo puede oír?” Mas lo que al hombre no le es dado ni imaginar, lo pensó y realizó el gran amor de Cristo.
San Bernardino dice que el Señor nos dejó este Sacramento en memoria del amor que nos manifestó en su Pasión, según lo que Él mismo nos dijo (Lc. 22, 19): “Haced esto en memoria mía”. No satisfizo Cristo su divino amor –añade aquel Santo (t. 2, serm. 54)– con sacrificar la vida por nosotros, sino que ese mismo soberano amor le obligó a que antes de morir nos hiciera el don más grande de cuantos nos hizo, dándose Él mismo para manjar nuestro.
Así, en este Sacramento llevó a cabo el más generoso esfuerzo de amor, pues como dice con elocuentes palabras el Concilio de Trento (ses. 13, c. 2), Jesucristo en la Eucaristía prodigó todas las riquezas de su amor a los hombres.
¿No se estimaría por muy amorosa fineza –dice San Francisco de Sales– el que un príncipe regalase a un pobre algún exquisito manjar de su mesa? ¿Y si le enviase toda su comida? ¿Y, finalmente, si el obsequio consistiera en un trozo de la propia carne del príncipe, para que sirviese al pobre de alimento?... Pues Jesús en la sagrada Comunión nos alimenta, no ya con una parte de su comida ni un trozo de su Cuerpo, sino con todo Él: “Tomad y comed; éste es mi Cuerpo” (Mt. 26, 26); y con su Cuerpo nos da su Sangre, alma y divinidad.
De suerte que –como dice San Juan Crisóstomo–, dándosenos Jesucristo mismo en la Comunión, nos da todo lo que tiene y nada se reserva para Sí; o bien, según se expresa Santo Tomás: “Dios en la Eucaristía se entrega todo Él, cuanto es y cuanto tiene”. Ved, pues, cómo ese Altísimo Señor, que no cabe en el mundo –exclama San Buenaventura–, se hace en la Eucaristía nuestro prisionero... Y dándose a nosotros real y verdaderamente en el Sacramento, ¿cómo podremos temer que nos niegue las gracias que le pidamos? (Ro. 8, 32).

AFECTOS Y SÚPLICAS
¡Oh Jesús mío! ¿Qué es lo que os pudo mover a daros Vos mismo a nosotros para alimento nuestro? ¿Y qué más podéis concedernos después de este don para obligarnos a amaros? ¡Ah, Señor! Iluminadme y descubridme ese exceso de amor, por el cual os hacéis manjar divino a fin de uniros a estos pobres pecadores... Mas si os dais todo a nosotros, justo es que nos entreguemos a Vos enteramente...
¡Oh, Redentor mío! ¿Cómo he podido ofenderos a Vos, que tanto me amáis y que nada omitisteis para conquistar mi amor? ¡Por mí os hicisteis hombre; por mí habéis muerto; por amor a mí os habéis hecho alimento mío!... ¿Qué os queda por hacer? Os amo, Bondad infinita; os amo, infinito amor. Venid, Señor, con frecuencia a mi alma e inflamadla en vuestro amor santísimo, y haced que de todo me olvide y sólo piense en Vos y a Vos sólo ame...
¡María, Madre nuestra, orad por mí y hacedme digno por vuestra intercesión de recibir a menudo a vuestro Hijo Sacramentado!

PUNTO 2
Consideremos en segundo lugar el gran amor que nos mostró Jesucristo al otorgarnos este altísimo don... Hija solamente del amor es la preciosa dádiva del Santísimo Sacramento. Necesario fue para salvarnos, según el decreto de Dios, que el Redentor muriese.
Mas ¿qué necesidad vemos en Jesucristo, después de su muerte, permanezca con nosotros para ser manjar de nuestras almas?... Así lo quiso el amor.
No más que para manifestarnos el inmenso amor que nos tiene instituyó el Señor la Eucaristía, dice San Lorenzo Justiniano, expresando lo mismo que San Juan escribió en su Evangelio (Jn. 13, 1): “Sabiendo Jesús que era llegada su hora del tránsito de este mundo al Padre, como hubiese amado a los suyos que vivían en este mundo, los amó hasta el fin”.
Es decir, cuando el Señor vio que llegaba el tiempo de apartarse de este mundo, quiso dejarnos maravillosa muestra de su amor, dándonos este Santísimo Sacramento, que no otra cosa significan las citadas palabras: “los amó hasta el fin”, o sea, “los amó extremadamente, con sumo e ilimitado amor”, según lo explican Teofilacto y San Juan Crisóstomo.
Y notemos, como observa el Apóstol (1 Co. 11, 23-24), que el tiempo escogido por el Señor para hacernos este inestimable beneficio fue el de su muerte. En aquella noche en que fue entregado, tomó el pan, y dando gracias, le partió y dijo: “Tomad y comed; éste es mi Cuerpo”.
Cuando los hombres le preparaban azotes, espinas y la cruz para darle muerte cruelísima, entonces quiso nuestro amante Jesús regalarle la más excelsa prenda de amor.
¿Y por qué en aquella hora tan próxima a la de su muerte, y no antes, instituyó este Sacramento? Hízolo así, dice San Bernardino, porque las pruebas de amor dadas en el trance de la muerte por quien nos ama, más fácilmente duran en la memoria y las conservamos con más vivo afecto.
Jesucristo, dice el Santo, se había dado a nosotros de varias maneras; habíasenos dado por Maestro, Padre y compañero por luz, ejemplo y víctima. Faltábale el postrer grado de amor, que era darse por alimento nuestro, para unirse todo a nosotros, como se une e incorpora el manjar con quien le recibe, y esto lo llevó a cabo entregándose a nosotros en el Sacramento.
De suerte que no se satisfizo nuestro Redentor con haberse unido solamente a nuestra naturaleza humana, sino que además quiso, por medio de este Sacramento, unirse también a cada uno de nosotros particular e íntimamente.
“Es imposible –dice San Francisco de Sales– considerar a nuestro Salvador en acción más amorosa ni más tierna que ésta, en la cual, por decirlo así, se anonada y se hace alimento para penetrar en nuestras almas y unirse íntimamente con los corazones y cuerpos de sus fieles”.
Así dice San Juan Crisóstomo a ese mismo Señor a quien los ángeles ni a mirar se atreven: “Nos unimos nosotros y nos convertimos con Él en un solo cuerpo y una sola carne”. ¿Qué pastor –añade el Santo– alimenta con su propia sangre a las ovejas? Aun las madres, a veces, procuran que a sus hijos los alimenten las nodrizas. Mas Jesús en el Sacramento nos mantiene con su mismo Cuerpo y Sangre, y a nosotros se une (Hom. 60).
¿Y con qué fin se hace manjar nuestro? Porque ardentísimamente nos ama y desea ser con nosotros una misma cosa por medio de esa inefable unión (Hom. 51).
Hace, pues, Jesucristo en la Eucaristía el mayor de todos los milagros. “Dejó memoria de sus maravillas, dio sustento a los que le temen” (Sal. 110, 4), para satisfacer su deseo de permanecer con nosotros y unir con los nuestros su Sacratísimo Corazón.
“¡Oh admirable milagro de tu amor –exclama San Lorenzo Justiniano–, Señor mío Jesucristo, que quisiste de tal modo unirnos a tu Cuerpo, que tuviésemos un solo corazón y un alma sola inseparablemente unidos contigo!”.

San Claudio de la Colombière, gran siervo de Dios, decía: “Si algo pudiese conmover mi fe en el misterio de la Eucaristía, nunca dudaría del poder, sino más bien del amor, manifestados por Dios en este soberano Sacramento. ¿Cómo el pan se convierte en Cuerpo de Cristo? ¿Cómo el Señor se halla en varios lugares a la vez? Respondo que Dios todo lo puede. Pero si me preguntan cómo Dios ama tanto a los hombres que se les da por manjar, no sé qué responder, digo que no lo entiendo, que ese amor de Jesús es para nosotros incomprensible”.
Dirá alguno: Señor, ese exceso de amor por el cual os hacéis alimento nuestro, no conviene a vuestra majestad divina... Mas San Bernardo nos dice que por el amor se olvida el amante de la propia dignidad. Y San Juan Crisóstomo (Serm. 145) añade que el amor no busca razón de conveniencia cuando trata de manifestarse al ser amado; no va a donde es conveniente, sino a donde le guían sus deseos.
Muy acertadamente llamaba Santo Tomás (Op. 68) a la Eucaristía Sacramento de amor. Y San Bernardo, amor de los amores. Y con verdad Santa María Magdalena de Pazzi denominaba el día del Jueves Santo, en que el Sacramento fue instituido, el día del Amor.

AFECTOS Y SÚPLICAS

¡Oh amor infinito de Jesús, digno de infinito amor! ¿Cuándo, Señor, os amaré como Vos me amáis?... Nada más pudisteis hacer para que yo os amase, y yo me atreví a dejaros a Vos, sumo e infinito Bien, para entregarme a bienes viles y miserables...
Alumbrad, ¡oh Dios mío!, mis ignorancias; descubridme siempre más y más la grandeza de vuestra bondad, para que me enamore de Vos, amor mío y mi todo. A Vos, Señor, deseo unirme a menudo en este Sacramento, a fin de apartarme de todas las cosas, y a Vos sólo consagrar mi vida... Ayudadme, Redentor mío, por los merecimientos de vuestra Pasión.
Socorredme también, ¡oh Madre de Jesús y Madre mía! Rogadle que me inflame en su santo amor.

PUNTO 3

Consideremos, por último, el gran deseo que tiene Jesucristo de que le recibamos en la santa Comunión... Sabiendo Jesús que era llegada su hora... (Jn. 13, 1); mas, ¿por qué Jesucristo llama su hora a aquella noche en que había de comenzarse su dolorosa Pasión?... Llamábala así porque en aquella noche iba a dejarnos este divino Sacramento, con el fin de unirse al mismo Jesús con las almas amadísimas de sus fieles.
Ese excelso designio movible a decir entonces (Lc. 22, 15): “Ardientemente he deseado celebrar esta Pascua con vosotros”; palabras con que denota el Redentor el vehemente deseo que tenía de esa unión, con nosotros en la Eucaristía... Ardientemente he deseado... Así le hace hablar el amor inmenso que nos tiene, dice San Lorenzo Justiniano.
Quiso quedarse bajo las especies de pan, a fin de que cualquiera pudiese recibirle; porque si hubiese elegido para este portento algún manjar exquisito y costoso, los pobres no hubiesen podido recibirle a menudo. Otra clase de alimento, aunque no fuese selecto y precioso, acaso no se hallaría en todas partes. De suerte que el Señor prefirió quedarse bajo las especies de pan, porque el pan fácilmente se halla dondequiera y todos los hombres pueden procurársele.
El vivo deseo que el Redentor tiene de que con frecuencia le recibamos sacramentado movíale no sólo a exhortarnos muchas veces o invitarnos a que lo recibiésemos: “Venid, comed mi Pan, y bebed mi Vino que os he mezclado. Comed, amigos, y bebed; embriagaos los muy amados” (Pr. 9, 5; Cant. 5, 1); vino a imponérnoslo como precepto: “Tomad y comed; éste es mi Cuerpo” (Mt. 26, 26).
Y a fin de que acudamos a recibirle, nos estimula con la promesa de la vida eterna. “Quien come mi Carne, tiene vida eterna. Quien come este Pan, vivirá eternamente” (Jn. 6, 55-56). Y de no obedecerle, nos amenaza con excluirnos de la gloria: “Si no comiereis la Carne del Hijo del Hombre no tendréis vida en vosotros” (Jn. 6, 54).
Tales invitaciones, promesas y amenazas nacen del deseo de Cristo de unirse a nosotros en la Eucaristía; y ese deseo procede del amor que Jesús nos profesa, porque –como dice San Francisco de Sales– el fin del amor no es otro que el de unirse al objeto amado, puesto que en este Sacramento Jesús mismo se une a nuestras almas (el que come mi Carne y bebe mi Sangre, en Mí mora y Yo en él) (Jn. 6, 57); por eso desea tanto que le recibamos. “El amoroso ímpetu con que la abeja acude a las flores para extraer la miel –dijo el Señor a Santa Matilde no puede compararse al amor con que Yo me uno a las almas que me aman”.
¡Oh, si los fieles comprendiesen el gran bien que trae a las almas la santa Comunión!... Cristo es el dueño de toda riqueza, y el Eterno Padre le hizo Señor de todas las cosas (Jn. 13, 3).
De suerte que, cuando Jesús penetra en el alma por la sagrada Eucaristía, lleva consigo riquísimo tesoro de gracias. “Vinieron a mí todos los bienes juntamente con ella” dice Salomón (Sb. 7, 11) hablando de la eterna Sabiduría.
Dice San Dionisio que el Santísimo Sacramento tiene suma virtud para santificar las almas. Y San Vicente Ferrer dejó escrito que más aprovecha a los fieles una comunión que ayunar a pan y agua una semana entera.
La Comunión, como enseña el Concilio de Trento (sec. 13, c. 2), es el gran remedio que nos libra de las culpas veniales y nos preserva de las mortales; por lo cual, San Ignacio, mártir, llama a la Eucaristía “medicina de la inmortalidad”. Inocencio III dice que Jesucristo con su Pasión y muerte nos libró de la pena del pecado, y con la Eucaristía nos libra del pecado mismo.
Este Sacramento nos inflama en el amor de Dios. “Me introdujo en la cámara del vino; ordenó en mí la caridad. Sostenedme con flores, cercadme de manzanas, porque desfallezco de amor” (Cant. 2, 4-5). San Gregorio Niceno dice que esa cámara del vino es la santa Comunión, en la cual de tal modo se embriaga el alma en el amor divino, que olvida las cosas de la tierra y todo lo creado; desfallece, en fin, de caridad vivísima.
También el venerable Padre Francisco de Olimpio, teatino, decía que nada nos inflama tanto en el amor de Dios como la sagrada Eucaristía. Dios es caridad; es fuego consumidor (1 Jn. 4, 8; Dt. 4, 24). Y el Verbo Eterno vino a encender en la tierra ese fuego de amor (Lucas. 12, 49).
Y, en verdad, ¡qué ardentísimas llamas de amor divino enciende Jesucristo en el alma de quien con vivo deseo lo recibe Sacramentado!
Santa Catalina de Siena vio un día a Jesús Sacramentado en manos de un sacerdote, y la Sagrada Forma le parecía brillantísima hoguera de amor, quedando la Santa maravillada de cómo los corazones de los hombres no estaban del todo abrasados y reducidos a cenizas por tan grande incendio.
Santa Rosa de Lima aseguraba que, al comulgar, parecíale que recibía al sol. El rostro de la Santa resplandecía con tan clara luz, que deslumbraba a los que la veían, y la boca exhalaba vivísimo calor, de tal modo, que la persona que daba de beber a Santa Rosa después de la Comunión sentía que la mano se le quemaba como si la acercase a un horno.
El rey San Wenceslao solamente con ir a visitar al Santísimo Sacramento se inflamaba aun exteriormente de tan intenso ardor, que a un criado suyo, que le acompañaba, caminando una noche por la nieve detrás del rey, le bastó poner los pies en las huellas del Santo para no sentir frío alguno.
San Juan Crisóstomo decía que, siendo el Santísimo Sacramento fuego abrasador, debiéramos, al retirarnos del altar, sentir tales llamas de amor que el demonio no se atreviese a tentarnos.
Diréis, quizá, que nos os atrevéis a comulgar con frecuencia porque no sentís en vosotros ese fuego del divino amor. Pero esa excusa, como observa Gerson, sería lo mismo que decir que no queréis acercaros a las llamas porque tenéis frío. Cuanta mayor tibieza sintamos, tanto más a menudo debemos recibir el Santísimo Sacramento, con tal que tengamos deseos de amar a Dios.
“Si acaso te preguntan los mundanos –escribe San Francisco de Sales en su Introducción a la vida devota– por qué comulgas tan a menudo..., diles que dos clases de gente deben comulgar con frecuencia: los perfectos, porque, como están bien dispuestos, quedarían muy perjudicados en no llegar al manantial y fuente de la perfección, y los imperfectos, para tener justo derecho de aspirar a ella...”.
Y San Buenaventura dice análogamente: “Aunque seas tibio, acércate, sin embargo, a la Eucaristía, confiando en la misericordia de Dios. Cuanto más enfermos estamos, tanto más necesitamos del médico”. Y, finalmente, el mismo Cristo dijo a Santa Matilde: “Cuando vayas a comulgar, desea tener todo el amor que me haya tenido el más fervoroso corazón, y Yo acogeré tu deseo como si tuvieses ese amor a que aspiras”.
AFECTOS Y SÚPLICAS
¡Oh amantísimo Señor de las almas! Jesús mío, no podéis ya darnos prueba mayor para demostrarnos el amor que nos tenéis. ¿Qué más pudierais inventar para que os amásemos?...
Haced, ¡oh Bondad infinita!, que yo os ame desde hoy viva y tiernamente. ¿A quién debe amar mi corazón con más profundo afecto que a Vos, Redentor mío, que después de haber dado la vida por mí os dais a mí Vos mismo en este Sacramento?... ¡Ah Señor! ¡Ojalá recuerde yo siempre vuestro excelso amor y me olvide de todo y os ame sin intermisión y sin reserva!...
Os amo, Dios mío, sobre todas las cosas, y a Vos sólo deseo amar. Desasid mi corazón de todo afecto que para Vos no sea... Gracias os doy por haberme concedido tiempo de amaros y de llorar las ofensas que os hice. Deseo, Jesús mío, que seáis único objeto de mis amores. Socorredme y salvadme, y sea mi salvación el amaros con toda mi alma en ésta y en la futura vida...
María, Madre nuestra, ayudadme a amar a Cristo y rogad por mí.
(“Preparación para la muerte” – San Alfonso María de Ligorio)

AVE MARIA!
IMMACOLATA MIA E MIO TUTTO!