San Roberto Bellarmino
Vescovo e dottore della Chiesa
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Montepulciano, Siena, 1542 - Roma, 17 settembre 1621
Roberto Bellarmino nacque a Montepulciano nel 1542 da una ricca e numerosa famiglia. Nel 1560 entrò nella Compagnia di Gesù. Studiò a Padova e a Lovanio e al Collegio romano di Roma. In quegli anni tra i suoi alunni c'era anche san Luigi Gonzaga. Venne creato cardinale e arcivescovo di Capua nel 1599. Divenne un affermato teologo postridentino. Scrisse molte opere esegetiche, pastorali e ascetiche; fondamentali per l'apologetica sono i voluminosi libri «De controversiis». Con un'opera semplice nella struttura ma ricca di sapienza come il suo «Catechismo» fu "maestro" di tante generazioni di fanciulli. Famoso anche un altro suo volume «L'arte del ben morire». Morì il 17 settembre 1621 a Roma. Nel 1930, ebbe da papa Pio XI la triplice glorificazione di beato, di santo e di dottore della Chiesa.
Etimologia: Roberto = splendente di gloria, dal tedesco
Emblema: Bastone pastorale
Martirologio Romano: San Roberto Bellarmino, vescovo e dottore della Chiesa, della Compagnia di Gesù, che seppe brillantemente disputare nelle controversie teologiche del suo tempo con perizia e acume. Nominato cardinale, si dedicò con premura al ministero pastorale nella Chiesa di Capua e, infine, a Roma si adoperò molto in difesa della Sede Apostolica e della dottrina della fede.
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L'infanzia e la giovinezza
Nacque terzo di dieci fratelli in una numerosa famiglia di origini nobili ma in via di impoverimento economico. Suo padre era Vincenzo Bellarmino e sua madre, Cinzia Cervini, molto pia e religiosa, era sorella del cardinale Marcello Cervini, che divenne papa Marcello II. Fu educato per desiderio della madre nel collegio gesuita della sua città natale, fondato da poco tempo; entrò all'età di diciotto anni nella Compagnia di Gesù, il 20 settembre 1560, ed ammesso alla prima professione religiosa il giorno dopo, nonostante il parere contrario del padre che preferiva per lui una carriera politica laica. Fin da giovanissimo mostrò le sue ottime doti letterarie ed ispirandosi agli autori latini come Virgilio compose diversi piccoli poemi sia in lingua volgare che in lingua latina. Uno dei suoi inni dedicato alla figura di Maria Maddalena fu inserito poi per l'uso nel breviario. Dal 1560 al 1563 studiò nel Collegio Romano a Roma, futura Pontificia Università Gregoriana, sede della scuola gesuita. Iniziò successivamente a studiare materie umanistiche prima a Firenze e poi a Mondovì sempre in scuole del suo ordine religioso. Nel 1567 intraprese lo studio della teologia, dapprima a Padova e poi nel 1569 fu inviato a completare questi studi a Lovanio nelle Fiandre, dove poté acquisire una notevole conoscenza delle eresie più importanti del suo tempo. L'opera come professore Dopo l’ordinazione sacerdotale avvenuta la Domenica delle palme del 1570 a Gand in Belgio, guadagnò rapidamente notorietà sia come insegnante sia come predicatore; in quest’ultima veste era capace di attirare al suo pulpito sia cattolici che protestanti[1], persino da altre aree geografiche. Iniziato l'insegnamento di teologia nel 1570 a Lovanio, fu richiamato nel 1576 in Italia da Papa Gregorio XIII che gli affidò la cattedra di “Controversie” da poco istituita nel Collegio Romano, cioè di Apologetica, attività che svolse fino al 1587. Era da poco tempo terminato il Concilio di Trento e la Chiesa Cattolica, attaccata dalla Riforma protestante aveva necessità di analizzare e verificare la propria identità culturale e soprattutto spirituale. L'attività e le opere di Roberto Bellarmino si inserirono proprio in questo contesto storico. Egli si dimostrò adeguato alla difficoltà del compito dell'insegnamento e le lezioni che egli tenne confluirono nella sua grande e più famosa opera di più volumi Le controversie. Questa monumentale opera teologica rappresenta il primo tentativo di sistematizzare le varie controversie teologiche dell’epoca, ed ebbe un’enorme risonanza in tutta Europa. Presso le chiese protestanti in Germania ed in Inghilterra furono istituite specifiche cattedre d'insegnamento per fornire una replica agli argomenti difesi dal Bellarmino circa l'ortodossia cattolica e la sua aderenza alla Bibbia e alla storia della Chiesa. L’opera completa non è stata ancora rimpiazzata come testo classico [1], anche se, come si può facilmente intuire, l’avanzamento degli studi critici ha diminuito il valore di alcuni suoi argomenti storici. (Continua) |
"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
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venerdì 13 maggio 2016
San Roberto Bellarmino
martedì 31 marzo 2015
31. Riflettiamo
Ridere per non piangere
Lo confesso: piango spesso sull’odierna situazione ecclesiale, in cui sono orfano di padre e di madre. Non ho più il sostegno, in una lotta che si fa sempre più aspra, dell’autorità benefica di un Pastore universale all’altezza della sua missione, né il conforto di sentirmi al sicuro in seno a quella santa Madre Chiesa la cui dirigenza, in nome della misericordia verso chi non vuol saperne, è diventata matrigna con chi le è fedele. Ma non si può sempre piangere; quand’anche fossero lacrime sante che lavano l’anima e la preparano a consolazioni celesti, la nostra fragile psiche, ferita dal peccato originale, ha bisogno di sollevarsi ogni tanto con quei mezzi umani che il buon Dio ha pur concesso alla nostra specie. Fra questi c’è senz’altro l’umorismo, che contiene un segreto per resistere alle peggiori prove dell’esistenza – segreto prezioso, soprattutto se la prova è del tutto inedita.
Non so se dobbiamo essergliene grati, ma ogni giorno il caro buontempone della pampa, per carpire il plauso dello Zeitgeist mondano, ci fornisce nuovi motivi per ridere o piangere, a seconda dello stato d’animo del momento. Una delle ultime sparate (ma già trita e ritrita nella sostanza) è che ci sono persone così buone che, per colpa degli altri, sono costrette a commettere reati perché non possono agire altrimenti; basterebbe regalare loro un sorriso o una carezza perché evitassero di farlo. Pensate per esempio a un drogato che vi punta addosso un coltello per derubarvi, o magari a un mafioso che spara nel mucchio per colpire uno come lui, o ancora a un adepto del novello califfo che stacca teste a ripetizione, e provate a dargli una carezza… Vi abbraccerà commosso e ritornerà un angioletto (ma non azzardatevi a provare a convertirlo, sarebbe gretto proselitismo; ancor meno a dirgli che il peccato grave non è lecito a nessuno e in nessuna circostanza, sarebbe bieco moralismo). Via, si parte tutti per la Siria!
Secondo la vulgata dei vaticanisti prezzolati, nel conclave del 2005 l’argentino sarebbe stato il favorito di un altro cardinale gesuita che si batteva da tempo per un “rinnovamento” radicale della Chiesa, ma era troppo anziano e malato per prenderne il timone. Nulla di più falso: risulta invece da testimonianze dirette che, interpellato sul confratello come nuovo candidato, il celebre biblista abbia respinto l’ipotesi con non celato disprezzo: «È troppo ignorante!». La superbia intellettuale, stigma dell’élite gesuitica radical-chic, preferì che diventasse papa il nemico giurato di sempre piuttosto che un personaggio di scarsa cultura, contando comunque su una futura strategia di boicottaggio sistematico… Una volta morto – a quanto pare suicida e, quindi, in odore di dannazione eterna – il paladino dei non credenti, al conclave successivo non ci fu più, evidentemente, l’opposizione del gruppo da lui capeggiato; il seguito lo conoscono tutti. La valutazione del livello di cultura dell’eletto è peraltro l’unico elemento su cui possiamo ritrovarci in sintonia con il defunto – oltre, naturalmente, la pur invisa scelta dell’ultimo autentico successore di Pietro.
L’ignoranza rappresenta di solito, sul piano morale, una scusante, eccetto quando si tratta di ignoranza crassa; la contestazione “colta” e pervicace della verità rivelata è invece un peccato ben più grave. Per ignoranza, ad ogni modo, si possono dire solenni sciocchezze senza nemmeno rendersi conto che esse ricadono sotto gli anatematismi (quelle limpide e liberanti proposizioni che iniziano con si quis dixerit e terminano conanathema sit) dei Concili di Trento e Vaticano I, che un pontefice dovrebbe almeno aver sentito nominare, se non altro nella sua giovinezza. Che le affermazioni incriminate non rientrino nel magistero ufficiale o esprimano eventualmente opinioni private non cambia nulla: si quis dixerit, è sufficiente averle pronunciate. Se poi non vengono nemmeno ritrattate, non c’è nulla da fare: la scomunica, in questi casi, è automatica. Qui non viene più da ridere, perché la situazione si fa tragica.
Un papa che cada in eresia cessa di esserlo ipso facto, ci assicura san Roberto Bellarmino. Se questo è chiaro a livello teologico, sul piano canonico la questione è ben più delicata: ci vorrebbe un concilio che dichiarasse formalmente l’eresia e chiedesse al papa di abiurare o di dimettersi – cosa impensabile, nella situazione attuale. Ma come si è potuto arrivare ad una simile degenerazione? La risposta è molto semplice: grazie a un concilio che è stato definito pastorale (senza peraltro che alcuno, in cinquant’anni, ci spiegasse che cosa ciò significhi esattamente), ma che in realtà ha provocato uno stravolgimento radicale delle convinzioni comuni concernenti i punti più importanti della fede, quelli per i quali vale o non vale la pena di credere e di appartenere alla Chiesa. È un innegabile dato di fatto: l’ermeneutica della rottura trova spesso consistente fondamento in testi costellati di affermazioni ambigue, imprecise o decisamente problematiche dal punto di vista dottrinale, per non parlare di quelli che, appena enunciato un principio in maniera cristallina, lo smentiscono subito dopo con ipotesi, riserve e considerazioni contrarie, o di quelle “eccezioni” vaghe e non ben delimitate che scardinano in pratica le norme poco prima ribadite… Non c’è che dire: le commissioni, controllate da vescovi e teologi progressisti, lavorarono con estrema finezza per ottenere il consenso dell’assise senza dare a vedere i loro veri obiettivi.
Tutti sanno che a un ladro, per forzare una porta o una finestra, basta trovare una fessura abbastanza larga per infilarvi il piede di porco; una volta penetrato nella casa, essa sarà alla sua mercé. Una piccola crepa può provocare il crollo di una diga possente, tanto è forte la pressione dell’acqua; poi si salvi chi può. Le cosiddette “aperture” del Vaticano II si sono ben presto trasformate da spiragli in voragini abissali, per la fede e la salvezza delle anime… Padre Pio soleva parlare delle riunioni che si tengono all’Inferno per architettare piani distruttivi a danno della Chiesa e chiedeva a Dio di poter morire prima di vederne lo sfacelo; fu accontentato giusto in tempo, ma lo sfascio era già iniziato. Egli profetizzò l’èra della falsa misericordia (quella che, anziché liberarne il peccatore, lo imprigiona nel suo peccato). Ora, nella “Chiesa rinnovata”, la sua figura è diventata un idolo, per molti che non vanno mai a Messa e a confessarsi non ci pensano neppure. Nonostante svariati tentativi, il diavolo non riuscì a neutralizzarlo in vita; che ci stia riuscendo adesso? La vendetta è in effetti un piatto che si mangia freddo, fosse pure mezzo secolo dopo. Ma il cornuto sa che gli rimane poco tempo; lo sapeva pure Padre Pio. Ride bene chi ride ultimo.
Attenti al lupo
Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete. […] Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco (Mt 7, 15-16.19).
Sapete qual è uno dei frutti peggiori dei falsi profeti? È quella che gli specialisti di “morale” hanno battezzato opzione fondamentale. Secondo questa bella teoria, in parole povere, uno può pure rimpinzarsi ogni giorno di siti pornografici e andare a donne (o a uomini) più volte a settimana senza commettere peccato, dato che in realtà, nella sua coscienza, non approva quei comportamenti e non ne ha fatto una scelta di vita. È come dire che, siccome non sono d’accordo con chi compie certe azioni per convinzione, posso compierle tranquillamente ogni volta che ne ho voglia, purché non sia per orientamento stabile. Il medesimo “ragionamento” si può evidentemente estendere a qualsiasi crimine: violentare un bambino, strangolare la moglie, seviziare il convivente… tutto può essere moralmente scusato, basta che l’opzione di fondo di chi lo fa sia buona. Isteria, fariseismo o sfacciataggine all’ennesima potenza?
«Com’è possibile che succedano certe cose?… Ma dove andremo a finire?», ci si chiede sgomenti guardando il telegiornale. Con la premessa appena esposta, tuttavia, certi fatti non destano alcuna meraviglia; sono semplicemente l’ultima conseguenza di un’ideologia disastrosa. È pur vero che in proporzione, grazie a Dio, pochi hanno studiato una certa morale post… conciliare; ma quei pochi che l’hanno studiata, oltre a riportarne una deformazione mentale permanente, hanno poi provocato danni incalcolabili tramite il loro ministero, specie nella predicazione e nella confessione: è il cosiddetto effetto “sasso nello stagno”. Come potrebbero del resto correggere i fedeli pastori d’anime che usino, per giustificare i propri vizi, lo stesso escamotage che raccomandano agli altri?… o che sostengano che, andando a mignotte, non fanno del male a nessuno?… o che si appellino alla propria opzione fondamentale per sentirsi perfettamente in regola?… Quanti sacrilegi commettono poi dicendo Messa in quello stato!
Se un cristiano lotta contro un’attrazione per lo stesso sesso e si imbatte in un prete che lo assolve misericordiosamente assicurandogli che il buon Dio lo ha fatto così e che deve pertanto accettarsi, in quanto il vero peccato consiste nel rifiutare la propria condizione, che deve fare quel poveretto? Come minimo, far notare al confessore che sta bestemmiando il Creatore e insultando l’intelligenza del penitente. Ma poi, dove andrà a cercare qualcuno che lo aiuti realmente? Per fortuna – o meglio per grazia – lo Spirito Santo, Lui che è veramente misericordioso, trova ancora dei laici dotati di molto coraggio (ovvero di molto courage, dato che il movimento è di origine americana) e disposti a prendere sul serio l’immutabile Parola di salvezza. Certo, non saranno ricevuti in Vaticano come le associazioni “cattoliche” che si battono per i diritti degli omosessuali… ma che importa, ciò che conta è poter essere un giorno ricevuti in Paradiso.
Un alto rischio rimane tuttavia per quanti non sono in grado di smascherare i lupi travestiti da agnelli. Se poi si oppongono pure ottusamente a chi cerca di svegliarli, rinfacciandogli di non essere in sintonia con la star ecclesiastico-mondana del momento, rimane soltanto da pregare, consacrando in pari tempo al Cuore immacolato quanti più bambini possibile, perché almeno la Madonna li preservi dall’essere irrimediabilmente manipolati a casa e a scuola. Bisogna in effetti preparare una generazione nuova, che possa sostituire quella che non sarà in condizione di superare l’imminente castigo: «Io ho abbandonato la mia casa, ho ripudiato la mia eredità; ho consegnato ciò che ho di più caro nelle mani dei suoi nemici. […] Molti pastori hanno devastato la mia vigna, hanno calpestato il mio campo. Hanno fatto del mio campo prediletto un deserto desolato […]. Essi hanno seminato grano e mietuto spine, si sono stancati senza alcun vantaggio; restano confusi per il loro raccolto a causa dell’ira ardente del Signore» (Ger 12, 7.10.13).
Fra i ministri di Dio, in verità, non sono molti ad ammettere apertamente il proprio smarrimento per la cattiva qualità del raccolto o per la sua completa assenza: bisogna far comunque buon viso a cattivo gioco, ripetendosi a vicenda che, certo, i frutti pastorali non sono incoraggianti, ma ora tutto sta cambiando e ben presto turbe di gente assetata di misericordia invaderanno di nuovo le nostre parrocchie, ormai liberate dal timore di scontrarsi con clericali ostacoli alla loro ricerca… Appena terminato il “sinodo” che avrà imposto nuovi itinerari di riconciliazione per i fedeli in situazione irregolare, scatterà la sanatoria universale, già indetta in veste di “anno santo” pensato ad hoc. Ma in fin dei conti – come ci hanno insegnato – non dobbiamo cercare i risultati, noi lavoriamo per la gloria (quella di sentirci buoni e riconosciuti perché diamo tutto a tutti, senza mai dire di no a nessuno: le donne di strada, almeno, si fan pagare…). Tu credevi di essere un prete, ma in realtà volevano un assistente sociale – che in più dà pure un po’ di conforto spirituale, quando serve, e ogni tanto esegue qualche rito religioso, che non fa mai male. Basterà questo per non finire nel fuoco?
venerdì 28 settembre 2012
Teoria geocentrica ed eliocentrica: INTERESSANTE ARTICOLO DEL DOTT. GIANCARLO INFANTE
Una controversia dalla quale la Chiesa cattolica non ha tratto esplicito beneficio, è quella relativa alla questione galileiana, con il conseguente abbandono della cosmologia geocentrica per l’adozione di quella eliocentrica.
Ben note sono le polemiche che Galilei, innanzitutto, innescò con la gerarchia ecclesiastica. Famosi i processi che egli subì da parte della Chiesa rinascimentale, accusata, ingiustamente, di arretratezza culturale, oscurantismo, ecc.
Altrettanto conosciuto è lo sfruttamento, sproporzionato, di tale complessa vicenda da parte dei circoli anticlericali, che fiutarono in questa controversia astronomica la possibilità di sferrare un micidiale attacco non solo alla cosmologia e filosofia scolastica, ma al cuore stesso della dottrina facente capo alla Chiesa romana. Certo, non sono mancate voci autorevoli che hanno abilmente cercato di ridimensionare tale erronea interpretazione. Tra le altre, quella dell’allora cardinale ...
... Ratzinger che citò testualmente Bloch, «con il suo marxismo romantico», il quale scrisse che «il sistema eliocentrico - così come quello geocentrico - si fonda su presupposti indimostrabili». Ratzinger spiega che, secondo Bloch, «il vantaggio del sistema eliocentrico rispetto a quello geocentrico non consiste perciò in una maggior corrispondenza alla verità oggettiva, ma soltanto nel fatto che ci offre una maggiore facilità di calcolo». Ratzinger prosegue il suo intervento chiamando in causa il filosofo agnostico P. Feyerabend, secondo il quale: « ‘La Chiesa dell’epoca di Galileo si attenne alla ragione più che lo stesso Galileo, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina galileiana. La sua sentenza contro Galileo fu razionale e giusta, e solo per motivi di opportunità politica se ne può legittimare la revisione’.
Dal punto di vista delle conseguenze concrete della svolta galileiana, infine, C. F. von Weizsacker fa ancora un passo avanti, quando vede una ‘via direttissima’ che conduce da Galileo alla bomba atomica» (1).
Per quanto riguarda la precedente osservazione di Bloch, citata da Ratzinger, è necessaria una pun-tualizzazione. Non è vero infatti che la teoria di Copernico apportava una semplificazione di calcolo, dal momento che gli epicicli utilizzati da Tolomeo per spiegare il moto retrogrado dei pianeti non vennero eliminati dall’ipotesi eliocentrica, che postulava un terzo moto di declinazione della Terra, oltre a quelli di rotazione e rivoluzione.
La teoria copernicana pertanto non produsse «nessun progresso nella precisione dell’osservazione, come pure negli strumenti matematici o nella fisica. La teoria geocentrica e quella eliocentrica rendono conto senza dubbio egualmente dei fenomeni, sono equivalenti dal punto di vista dell’osservazione» (2). Come rendendosi conto di questo stato di fatto, l’illustre Karl Popper giunse alla conclusione che: «La rivoluzione copernicana, dunque, non prende le mosse da delle osservazioni, ma da un’idea di carattere religioso o mitologico» (3), che cercheremo di indicare in questo intervento. «Se i due sistemi erano pressoché equivalenti in quanto a complessità» (4) resta da comprendere il motivo che sta alla base di tale sovvertimento della visione celeste.
Al di là di ogni sterile polemica, è bene allora premettere che, in tale controversia, solo apparentemente scientifica, emergono prospettive finora sottaciute, che esulano dal ristretto ambito astronomico al quale sembrano riferirsi, per confluire nelle forme inquietanti della cultura e della religiosità iniziatica, le cui radici affondano nella più cupa era primordiale, ove ragione e superstizione costituivano un unico «corpus» dottrinale.
Non per pura coincidenza, peraltro, con l’avvento della rivoluzione astronomica rinascimentale ha ripreso vigore, insieme alla cosiddetta filosofia induttiva propria della scienza moderna, quella pletora di idoli e di credenze irrazionali e naturalistiche che l’imporsi del cristianesimo aveva relegato nei luoghi oscuri della clandestinità, in seguito alle condanne inequivocabili impartite dai Padri della Chiesa (5).
E’ chiaro che chi non è sensibile a questi temi, potrebbe giudicare fuori luogo porre in relazione la nascita e l’affermazione di un modello astronomico, che si impose dopo una pungente polemica con i difensori della tradizione aristotelico-tomista, con quelle pratiche e credenze proprie della più oscura magia, che ai nostri occhi appaiono prive di qualunque fondamento razionale, se non proprio frutto di fantasia. Che rapporto infatti ci può essere fra le bizzarre formule di invocazione di quei «diavoli che hanno la potenza di scompigliare i cuori degli uomini e delle donne» (6) con le asettiche relazioni geometriche che descrivono il tranquillo transito dei pianeti intorno al sole? Apparentemente, niente.
Tuttavia, è risaputo che proprio la magia e le pratiche occulte hanno svolto un ruolo centrale nella determinazione dei nuovi indirizzi culturali, in particolare il razionalismo scientifico, che andavano formandosi dopo il disfacimento del Medioevo, epoca: «che rappresentò per l’Europa una straordinaria culminazione spirituale (ogni commento sarebbe davvero superfluo, da questo punto di vista, circa la ridicola storiella dei ‘secoli bui’), prima che gli elementi disgregatori dell’Ecumene medievale finissero per travolgere anche quelle organizzazioni esoteriche che ne rappresentarono in certo modo il simbolo più augusto. E difatti tali Ordini si estinsero e solo la Massoneria poté sopravvivere, anche se profondamente modificata» (7).
A ben vedere, allora, è possibile rilevare una stretta attinenza fra eliocentrismo e magia, ovvero fra scienza (apparente) e dottrina (mascherata), che proietta la complessa questione della rivoluzione scientifica rinascimentale nell’oscuro ambito del pitagorismo magico. Infatti, il modello eliocentrico possiede una doppia valenza, dal momento che può essere considerato sia secondo la nota prospettiva copernicana ma anche e soprattutto secondo l’accezione mistica di Giordano Bruno, che vedeva in esso come un sigillo spirituale, segreto, da sfruttare, per rimettere in gioco quelle entità spirituali spodestate dalla dottrina evangelica, ma alle quali si rifacevano, e si rifanno, i cultori della religiosità egizia e del linguaggio allusivo e simbolico.
Mircea Eliade, dopo aver riconosciuto che: «Un risultato estremamente sorprendente degli studi contemporanei è stata la scoperta del ruolo che la magia e l’esoterismo ermetico hanno avuto non solo nel Rinascimento italiano, ma anche nel trionfo della ‘nuova astronomia’ di Copernico, cioè nella teoria eliocentrica del sistema solare», attesta chiaramente che: «Se Giordano Bruno salutò con entusiasmo le scoperte di Copernico, ciò non fu in primo luogo per la loro importanza scientifica e filosofica; fu perché per Giordano Bruno l’eliocentrismo aveva un profondo significato religioso e magico. Durante la sua permanenza in Inghilterra, Bruno profetizzò l’imminente ritorno della religione egizia com’è descritta nell’Asclepio, il famoso testo ermetico. Interpretando il diagramma celeste copernicano come un geroglifico dei misteri divini, Bruno si sentiva superiore a Copernico, che intendeva la propria teoria solo da matematico» (8). Fantasie di un visionario, quelle di Bruno?
I riferimenti all’aspetto metafisico ed ermetico presente nel modello eliocentrico sono ben noti. Copernico stesso li espose, nel «De revolutionibus orbium coelestium», pubblicato alla fine della sua vita, nel 1543. In tale ambito, l’astronomo polacco rivolge una dedica al Papa Paolo III nella quale riconosce di aver preso spunto dai pitagorici Filolao ed Eraclide Pontico, oltre che dall’enigmatico Ermete Trismegisto, circa l’idea rivoluzionaria del moto terrestre (9). Nel corso della sua opera, in particolare nel «Capitolo X», Copernico si riallaccia chiaramente all’arcaica metafisica solare, esaltando il sole solennemente, al pari di una divinità: «In mezzo a tutti [i pianeti] sta il sole. In effetti, chi in questo tempio bellissimo, potrebbe collocare questa lampada in un luogo diverso o migliore da quello da cui possa illuminare tutto quanto insieme? Per questo, non a torto, alcuni lo chiamano lucerna del mondo, altri mente, altri guida. Trismegisto [lo chiama] Dio visibile. Così, certamente, il sole, come su un trono regale, governa la famiglia degli astri che gli sta intorno» (10). E’ alla luce di tali misticheggianti argomentazioni, in linea con quelle sostenute, tra l’altro, da Marsilio Ficino, primo traduttore del «Corpus Hermeticum», pubblicato nel 1471, che l’astronomo polacco si convinse della validità della tesi dell’immobilità del sole e della rotazione terrestre. Copernico infatti si riannodò all’idea pitagorica che, siccome l’immobilità è da ritenersi più nobile del movimento, allora il sole, aspetto visibile di una presunta divinità invisibile, non può muoversi intorno alla terra, ma stazionare al centro della compagine planetaria.
Questa è la concezione metafisico-pitagorica che costituisce l’idea basilare dell’ambivalente paradigma copernicano. Tutte le tabelle, le prove scientifiche (si fa per dire) prodotte dall’astronomo polacco, che da platonico si dimostrò alquanto disinteressato all’osservazione celeste, sono tese alla conferma di tale presupposto ermetico, successivamente oscurato dagli sviluppi puramente astronomici della teoria. L’idea della rotazione terrestre, divenuta al giorno d’oggi più che una certezza, non possiede dunque un vero e proprio fondamento scientifico, nonostante la raffinatezza formale delle prove ricercate «a posteriori» nel corso di cinquecento anni, durante i quali tutti gli studiosi di tutte le Università ed Osservatori del mondo, accettando senza ombra di dubbio tale ipotesi, si sono impegnati a dimostrarla come vera. Anzi, come reale. Occorre invece riconoscere che l’unica palese certezza alla quale tutti sono soggetti, è la sensazione di immobilità della terra. Alla quale, però, secondo le istruzioni della filosofia galileiana, ben pochi attribuiscono fondamento.
Un’autorevolissima prova dell’immobilità della terra, potrebbe essere addirittura l’esperienza di Michelson e Morley, effettuata nel 1887 per misurare la velocità della terra nello spazio cosmico, identificato con il misterioso etere, ma che ripetutamente fallì. Infatti, se l’etere fosse immobile e la terra in movimento, allora si dovrebbe rilevare il cosiddetto «vento d’etere». Se invece non si misura nessun vento d’etere, ciò significa o che l’etere è completamente trascinato dalla terra nel suo moto rotatorio e traslatorio, o semplicemente che la terra è immobile. Ovviamente, questa seconda possibilità non viene presa nemmeno lontanamente in considerazione, perché la scienza accademica esclude in modo radicale qualunque riferimento alla quiete terrestre (11). Pertanto, influenzata dalle conclusioni scientifiche ufficiali, l’opinione pubblica al giorno d’oggi è assolutamente convinta che - come sosteneva Galilei - la palese immobilità della terra sia solo apparente ed illusoria, perché i sensi ingannano, e che invece la terra ruoti intorno al sole a più di centomila chilometri all’ora, ed intorno a sé a più di mille chilometri orari, con un moto misterioso, visto che non si rilevano effetti fisici consistenti. E poiché questo è il paradigma scientifico dominante, certamente pochi, sono propensi a credere il contrario. Ovvero, che la realtà è fonte di luce, e che l’occhio non si inganna quando giudica la terra in quiete ed il sole muoversi e tramontare, come invece sosteneva il Bellarmino (12).
Definitivamente archiviate le tesi scolastiche fondate sulla metafisica aristotelica, che allacciavano in modo certo il cosmo reale a Dio, tramontata l’idea di una cosmologia che risalga dalla contemplazione delle creature al creatore, secondo lo spirito ed il monito paolino (13), si è assunto, inconsapevolmente, insieme al modello scientifico eliocentrico, anche il presupposto occulto, di matrice egizia, in esso custodito, al quale si rifacevano gli ermetisti. Ovvero, l’idea dell’esistenza di uno spirito centrale, bramoso di potere e gloria, intorno al quale gravitano tutti gli altri spiriti minori, come indicano alcuni passi del «Corpus Hermeticum». Allora, altro che sognatore! In tale prospettiva, sembra proprio che Bruno avesse ragione, quando individuava nel modello eliocentrico una forma di religiosità vincente, perché fondata su di un potere spirituale misterioso, riattivabile mediante pratiche magiche segrete, e ben disciplinate. Aveva ragione quando, esaltando questo modello per i suoi alti contenuti spirituali, si impegnava a restituire ai demoni vincolati al Sole «il potere sulle vicende e sui disordini della terra, operandovi ogni genere di scompiglio, per le città e le popolazioni in generale e per ciascun individuo in particolare», come recita il «Poimandres», XVI, 14.
Benché profetizzasse una nefasta concezione, e come il realizzarsi dell’oscuro avvento della «bestia», sotto le forme autorevoli ed insospettabili dei canoni scientifici, comunque Bruno non si sbagliava. Se quanto stiamo scrivendo non costituisce una pura farneticazione, i risvolti iniziatici contenuti nel pentacolo copernicano sembrano essere del tutto ragguardevoli. Infatti, il semplice ed innocuo modellino del sole centrale contornato da una serie di pianeti - raffigurato dappertutto in modo sbagliato, perché non è possibile rispettare le giuste proporzioni che intercorrono fra le masse e le distanze dei corpi che compongono tale modello - riproduce in metafora l’arcaica religiosità naturalistica di indole solare, collegata all’idea dialettica del tempo ciclico che si ripete perennemente, nell’alternanza degli opposti, all’interno del quale l’uomo è come imprigionato ed impossibilitato ad esprimere la propria potenza spirituale.
In tale linea interpretativa, il modello eliocentrico diventa allora il baluardo, il manifesto, il simbolo dell’uomo massonico, celebrato sia dai cosiddetti iniziati, che dai cultori dell’antico, ma sempre attuale, sapere egizio (14). E tacitamente approvato da una grande massa di inconsapevoli «profani», che si fermano alle soglie del suo ben noto significato apparente, senza minimamente immaginare che, invece, in esso sono contenuti, simbolicamente, quegli argomenti naturalistici, riconducibili alla «mistica» eraclitea, che esaltano la confusione del bene e del male, del vero e del falso, e di tutti gli opposti. Argomenti assai graditi al celebrato spirito centrale, di natura ambigua, contraddittoria, menzognera. Idolo al tempo stesso imprevedibile e ovvio, benevolo e maligno, eccelso e bestiale, vero e falso, luce e tenebra. Ovvero, lucifero.
Il numero che gli iniziati attribuiscono al sole, è infatti il «seicentossessantasei», la cifra della bestia, citata dall’apostolo Giovanni, nel capitolo 13 dell’«Apocalisse». Tale cifra, in relazione al sole, è celebrata anche nell’ambito numerologico. Un esempio è costituito dal quadrato magico del sole, composto da trentasei cifre (6 righe e 6 colonne), tale che sommando i numeri in ogni direzione, si ottiene 111 che moltiplicato per il nume-ro delle cifre di ciascuna linea (6) dà appunto il numero apocalittico e solare 666.
Numeri a parte, per quanto riguarda il possibile rapporto fra la fatidica cifra apocalittica e la scienza moderna, abbiamo fornito un’importante interpretazione circa un significativo episodio in cui incorsero Galilei ed il padre Riccardi, incaricato di concedere l’«imprimatur» necessario per la pubblicazione dell’opera «Dialogo sui due massimi sistemi del mondo» (15). Il quadrato magico del sole. Immagine tratta dal libro, H. Hoffmann, «La verità sul segreto di Fatima» Edizioni Mediterranee, Roma, 1985 Padre Riccardi si insospettì per via di un curioso simbolo, contenente tre delfini in circolo, presente sul frontespizio di tale opera, che si diceva fosse il marchio della tipografia.
Tale marchio però non compariva su altri libri pubblicati dallo stesso stampatore. Ebbene, a nostro avviso, il cosiddetto «marchio dei delfini» non è altro che una forma simbolizzata della cifra «seicentosessantasei». Ingrandimento del cosiddetto «marchio dei delfini» - 666 Questa piccola, ma indicativa scoperta ci ha molto impressionato. Infatti, ci è sembrato strano che una così importante opera galileiana contenesse un inspiegabile riferimento simbolico alla cultura iniziatica ed anticristiana, che costituiva altresì come una sorta di inquietante premessa ai contenuti ivi espressi.
Di certo, la possibilità di incorrere in errore è quanto mai presente, specialmente in un campo così ambiguo ed insidioso come quello relativo al sapere iniziatico. Tuttavia, il sospetto che ci sia qualcosa di grosso, dal punto di vista spirituale, finora sottaciuto, dietro il cambio di paradigma astronomico rinascimentale, permane. Anche se questa possibilità aprirebbe il campo ad una prospettiva insolita, alla quale in parte abbiamo alluso, e che pone in relazione la simbolica bestia apocalittica con diversi aspetti della scienza moderna, in un certo senso in grado di «sedurre gli abitanti della terra», impossessandosi delle menti e delle azioni («fronte e mani») degli uomini, e di compiere, con la sua raffinata tecnologia, «grandi prodigi» (16).
Prospettiva insolita, dicevamo, alla luce della quale gli insigni padri della scienza, Galilei, Newton Einstein, tanto per fare i nomi più rappresentativi, sembrano costituire come un’intoccabile triade della ragione scientifica. Una triade di sei, sulla quale si è fondata in gran parte, quasi al pari di una nuova «eresia» razionalistica, la scienza moderna. D’altronde, proprio in tale chiave interpretativa, ognuno di questi tre grandi personaggi ha in una qualche misura sfidato e contrastato l’autorità della Chiesa di Roma.
A cominciare da Galilei che, sotto la parvenza di cristiano osservante, schernì il Papa nella stessa opera che sembra contenere, semicelata, nel frontespizio, la «cifra della bestia». Proseguendo con Newton, che addirittura riteneva il Papa e la Chiesa romana l’anticristo e la Bestia (17). Proprio lui che, nelle sue abbondanti e poco conosciute ricerche alchemiche, scelse lo pseudonimo «Jeova Sanctus Unus» (18), in sintonia - forse inconsapevole - con l’uso dei satanisti di farsi simili a Dio. Fino al grande Einstein, forse anche «gran maestro», visto che il suo nome compare sugli elenchi pubblici dei massoni celebri, che celebrava il panteismo spinoziano come soluzione agli interrogati-vi religiosi, giungendo ad ironizzare con pungenti affermazioni sulla infinita Sapienza (19) e sulla possibilità, per noi certezza, che Dio sia persona (20). Frontespizio dell’opera galileiana, «Dialogo sui due massimi sistemi»
Da questo punto di vista, i tre grandi scienziati appaiono non solo come i principali fondatori della cosiddetta scienza moderna. Ma anche, e soprattutto, come i maggiori demolitori di quella precedente. Che proponeva il quadro di un cosmo armonico - niente affatto azzardato, perché rigorosamente fondato su principi logici ben definiti e formalizzati -, ordinato a Dio. Un cosmo sacralizzato. Un tempio cosmologico, oggi irriso, che i servi del Signore avevano eretto nei lunghi secoli di ascesa medievale, per celebrare razionalmente Dio all’interno della sua creazione, partendo dalla realtà visibile, per giungere a quella invisibile ed eterna. La distruzione di questo tempio spirituale non è stata però senza conseguenze. Alcune delle quali svelate dai più recenti, riprovevoli, sviluppi della scienza in campo bellico e genetico. Sviluppi che delineano una società che si evolve di continuo secondo linee tecnologiche e paganizzanti, che la rendono sempre più superba, violenta, imbarbarita. Di fronte a questo Egitto spirituale, sarebbe però troppo ingenuo rimpiangere un Medioevo ormai concluso, insieme alle sue concezioni, alle sue molteplici luci ed ombre.
Ogni epoca esprime infatti le proprie contraddizioni, al giorno d’oggi però divenute globali. Allora, non resta che «protendersi verso il futuro», ed al pari di Neemia, afflitto per la distruzione di Gerusalemme, sollecitare il «resto d’Israele» all’opera di ricostruzione delle sacre mura spirituali. Opera che corrisponde alla coraggiosa ricerca e difesa della Verità, Via e Vita. Ovvero, Gesù Maestro. Prospettiva insolita, dicevamo. Ripetutamente scartata, nel corso degli ultimi anni. Tuttavia, come se fondata su una specifica iniziazione, quella paolina, essa si ripresenta. Inspiegabilmente, rinforzata.
Note
1) J. Ratzinger, «La crisi della fede nella scienza», tratto da: «Svolta per l’Europa? Chiesa e modernità nell’Europa dei rivolgimenti», Paoline, Roma, 1992, pagine 76-79.
2) J. P. Verdet, «Storia dell’astronomia», Longanesi, Milano, 1995, pagina 78.
3) K. Popper, «Congetture e confutazioni», Il Mulino, Bologna, 1972, pagina 177.
4) W. Shea, «Copernico: un rivoluzionario prudente», Le Scienze, edizione italiana di Scientific American, collana: «I grandi della scienza», numero 20, 2004, pagina 69.
5) Lattanzio, nel «De origine erroris», attua una critica durissima irridendo le divinità pagane ed il loro culto, denunciando nel contempo la «vetustatis auctoritas», l’autorità dell’antichità classica, intesa come improponibile cultura dell’assurdo. E San Giovanni Crisostomo considera idolatrica qualunque pratica magica, in quanto azione diretta del demonio. Sant’Agostino condanna senza mezzi termini le prospettive teurgiche, il culto delle statue-dei in quanto fonte di pericolosa magia, e come tentativo diabolico, niente affatto divino, di manipolazione del reale. Nel libro VIII della «Civitas Dei» egli definisce la demonologia come frutto di una curiosità nefasta: «sia che la si chiami magia o col nome ancor più odioso di geotia o con quello più nobile di teurgia».
6) Da «Il Vero Libro del 500» - La Clavicola del Re Salomone», Brancato Editore, Catania, 1989, pagina 27.
7) G. Faraci, «Il vero fine della Massoneria», Arktos, Carmagnola (Torino) 1993, pagina 30.
8) M. Eliade, «Occultismo, stregoneria e mode culturali», Sansoni, Firenze, 2004, pagina 57.
9) Copernico (1473 - 1543), dopo aver studiato per quattro anni a Cracovia (Polonia), si trasferì in Italia. Egli trascorse 10 anni tra le Università di Bologna e di Padova. In questo periodo aderì al neoplatonismo, che influenzò la sua opera scientifica. Si dice che egli desse molto risalto ad una lettera pitagorica, nella quale lo stesso Pitagora ammoniva che: «... non dobbiamo divulgare a tutti e in ogni luogo quanto abbiamo appreso con sforzi tanto grandi, allo stesso modo che è vietato agli uomini qualunque penetrare nei segreti degli dei elísei ...». Forse anche in base a tale sentenza, Copernico fu sempre molto restio a pubblicare la sua ipotesi.
10) Queste affermazioni copernicane riecheggiano chiaramente quanto espresso a più riprese nel «Corpus Hermeticum», e nell’ «Asclepius», 29: «Il sole stesso non trae tanto dalla sua luce il potere di illuminare le stelle, quanto dalla sua divinità e santità: questo, o Asclepio, devi considerare come secondo Dio che governa tutte le cose e illumina tutti gli esseri viventi della terra, dotati di anima o no … Il sole allora, poiché il mondo è eterno, governa eternamente le cose capaci di vivere, cioè tutto il complesso della vitalità che esso distribuisce in continuazione». E nel passo successivo, il 30, si dà come un significato mistico ed allegorico al presunto movimento della terra: «Il mondo si muove nella stessa vita dell’eternità e in questa stessa eternità di vita è il luogo del mondo. Perciò il mondo non si arresterà mai né mai perirà, avvolto e protetto come da un vallo da questa eternità di vita … Il movimento del mondo è costituito da una duplice attività; il mondo è vivificato eternamente dall’eternità che lo circonda e contemporaneamente dà vita agli esseri che contiene».
11) «Uno studioso francese ha comunque avanzato l’ipotesi che il vero significato dell’esperimento Michelson - Morley sia la fattuale immobilità della Terra, con conseguente ritorno al punto di vista pre-copernicano. Si veda: Maurice Ollivier, ‘Physique moderne et réalité’, Èditions du Cédre, Paris, 1962», S. Waldner, «Nota introduttiva» a B. Thüring, «Einstein e il Talmud», Edizioni di Ar, Padova, 1977, pagina 12, nota 5.
12) Confronta la lettera di San Roberto Bellarmino al padre Foscari, 12 aprile 1615, in Galilei, «Opere», XII, pagina 171.
13) Confronta la «Lettera ai Romani», 1, 18-32.
14) Il ritorno del sapere egizio è fondato sugli insegnamenti del mitico Ermete Trismegisto, cheincarna la figura del sacerdote e teurgo pagano. Nell’«Asclepio», Ermete rivela tra l’altro la teoria delle statue-dei e del loro potere magico. Il neoplatonico Giamblico distingue in proposito la posizione del «teologos», che detiene la conoscenza degli dei, da quella del «theurgos», che invece agisce direttamente sulla divinità ed il cui prototipo è costituito appunto da Ermete. Il fedelissimo discepolo di Plotino, Porfirio, nel «De regressu animae», indica nella teurgia la più alta pratica di magia, come elemento di primaria importanza nel processo di riunificazione con il divino. Il vero teurgo interagisce ed evoca gli dei, esortandoli ad interagire con la dimensione concreta nella quale si esplicano le vite sia dell’iniziato che del profano. Egli opera in una prospettiva cosmogonica, perseguita dopo una lunga opera di trasformazione interiore, di levigazione della pietra occulta, all’interno della quale riconosce le tracce del divino, che solo il vero teurgo sarebbe in grado di attivare, al fine di ristabilire l’armonia universale, trarre l’ordine dal caos, rifuggendo da tutto quanto possa oscurare la sua presunta comunione con il divino.
15) Confronta il breve saggio, G. Infante, «Le radici esoteriche della scienza moderna», Edizioni Segno, Udine, 2006, II 4.
16) Secondo San Tommaso, «Quaestio» 178 della «Secunda Secundae», «De Gratia miraculorum», solo Dio è in grado di compiere miracoli «per manifestare il soprannaturale», modificando in modo straordinario e per fini spirituali l’ordine da Lui fissato nella natura. Satana invece, tramite i suoi emissari, opera dei prodigi, che sono falsi miracoli, perché non hanno «il sigillo divino». Egli opera per sconvolgere e contrastare l’ordine naturale con mezzi puramente naturali. Pertanto, il prodigio imita il miracolo nel suo svolgersi, ma non nel suo essere.
17) «Si sono spesso sottolineati alcuni aspetti ‘ereticali’ del pensiero di Newton: il suo conclamato arianesimo, nel senso originario del termine, che implica una professione di fede antitrinitaria; l’identificazione dell’Anticristo con il Papa, e della Bestia con la Chiesa cattolica, responsabile della grande apostasia», in M. Mamiani, «Introduzione», I. Newton, «Trattato sull’Apocalisse», Bollati Boringhieri, Torino, 1994, pagina xv.
18) Confronta M. White, «Newton l’ultimo mago», Rizzoli, Milano 2001, pagina 197.
19) «Quando gli chiesero quale sarebbe stata la sua reazione se l’eclissi di sole del 1919 avesse invalidato la sua teoria, Einstein rispose: ‘Mi sarebbe molto dispiaciuto per il povero Signore - la teoria è giusta’ », S. L. Jaki, «Dio e i cosmologi», Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1991, pagina 97, nota 32.
20) Scrive Einstein: «Nella loro lotta per il bene etico, i dottori della fede devono trovare il coraggio di rinunciare alla dottrina di un Dio personale, vale a dire, di rinunciare a quella fonte di paura e di speranza che nel passato consegnò tanto potere nelle mani dei preti». Ed a proposito di Gesù, lo scienziato ebreo afferma che: «E’ del tutto possibile che si possano compiere imprese più grandi di quelle di Gesù; infatti, tutto quello che la Bibbia scrive di lui è poeticamente abbellito», A. Einstein, «Pensieri di un uomo curioso», Mondadori, Milano, 1997, pagine 115, 116. Ma, a parte il presunto abbellimento poetico al quale allude Einstein, domandiamo: chi sarebbe in grado di compiere qualcosa di più grande della morte, risurrezione e transustanziazione di Cristo? Ovvero, come più propriamente disse San Michele Arcangelo: «Chi è come Dio?».
Dott. Giancarlo Infante (http://www.miliziadisanmichelearcangelo.org/)
Articolo pubblicato su EffediEffe.com. Rilanciato su M.S.M.A. con autorizzazione dell'autore Dott. Giancarlo Infante (Amico della M.S.M.A.)
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