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sabato 15 giugno 2019

BUSCANDO MIS AMORES...


STROFA 3

S. Giovanni della Croce: Cantico Spirituale Manoscritto B - 


In cerca del mio amore
andrò per questi monti e queste rive,
non coglierò mai fiore,
non temerò le fiere,
supererò i forti e le frontiere.

SPIEGAZIONE

I - L'anima vedendo che per trovare l'Amato non le bastano i gemiti e le preghiere e l'aiuto di buoni mediatori come, secondo la prima e seconda strofa, ha fatto in passato, spinta da grande amore e da un desiderio molto verace di cercarlo, non vuoi omettere alcuna diligenza a lei possibile. Infatti quella che ama Dio davvero non si lascia vincere dalla pigrizia nel fare quanto può per trovare il Figlio di Dio, suo Sposo; anzi, anche dopo aver fatto tutto il possibile, non è soddisfatta e pensa di non aver fatto niente. Perciò in questa terza strofa, afferma di volerlo cercare da se stessa con le sue opere ed espone il modo che deve seguire per trovarlo, che è quello di esercitarsi nelle virtù e nelle pratiche spirituali della vita attiva e contemplativa, non ammettendo· perciò alcun piacere e delizia. Inoltre non si perde di coraggio, perché le forze e le insidie dei tre suoi nemici, mondo, carne e demonio, non saranno capaci di impedirle il cammino.
Dice quindi:
In cerca del mio amore
cioè del mio Amato.

2 - L'anima fa capire che per trovare davvero Dio non basta soltanto pregare con il cuore e con le labbra, neppure con l'aiuto altrui, ma è necessario che anch'essa da parte sua faccia tutto ciò che può, perché Dio suole stimare più un'opera sola propria di una persona che molte fatte da altri per lei. Perciò, ricordando qui le parole dell'Amato: Cercate e troverete (Le. II, 9), l'anima stessa risolve di andarne in cerca, per mezzo della sua opera, per non restare delusa nella ricerca, come accade a molti, i quali vorrebbero che Dio non costasse loro più che pronunziare una parola, e anche ciò fatto malvolentieri e non vogliono fare niente che costi loro un po', tanto che ad alcuni dispiace perfino di alzarsi da un luogo dove stanno comodamente. In tal modo vorrebbero che il sapore scendesse sulle loro labbra e nel loro cuore senza muovere un dito e senza mortificarsi rinunziando a qualche loro gusto, consolazione e voglia inutile.
Ma finché non usciranno in cerca dell'Amato, per quanto gridino a Dio, non lo troveranno. Anche la sposa dei Cantici lo cercava così, ma non lo trovò finché non uscì per cercarlo. Lo dice con queste parole: Nel mio letto, di notte, cercai l'amore dell'anima mia, ma non lo trovai. Mi leverò e andrò in giro per la città; per le vie e per le piazze cercherò colui che l'anima mia ama (Cant. 3, 1-2). E soggiunge di averlo trovato dopo aver sofferto alcuni travagli (Ibid. 3, 4)·

3 - Chi dunque cerca Dio volendo rimanere nei propri gusti e nelle proprie comodità, lo cerca di notte e quindi non lo trova. Colui invece che lo cerca mediante le buone opere e l'esercizio delle virtù, lasciando il letto dei suoi gusti e dei suoi piaceri, lo cerca di giorno e quindi lo trova, perché ciò che è introvabile di notte, si scopre di giorno. Di ciò parla lo Sposo nel libro della Sapienza:
Luminosa e immarcescibile è la Sapienza e facilmente è veduta da quei che l'amano e trovata da quei che la cercano. Previene coloro che la bramano, mostrandosi ad essi per prima. Chi per lei si leverà di buon mattino, non si stancherà, perché la troverà seduta alla porta di casa (Sap. 6, 13-15). Da questa frase si comprende come; uscendo dalla porta della propria volontà e dal letto dei propri gusti, l'anima appena fuori, troverà la Sapienza divina, cioè il Figlio di Dio, suo Sposo.
Perciò ella dice:

in cerca del mio amore,
andrò per questi monti e queste rive.

4 - Per monti, che sono alti, l'anima intende le virtù; per la loro altezza e per la difficoltà e il travaglio che si incontra nel salire ad esse. Afferma che per mezzo di esse si eserciterà nella vita contemplativa.
Per rive, che sono basse, intende le mortificazioni le penitenze e le altre pratiche spirituali mediante le quali, eserciterà la vita attiva insieme con quella contemplativa, di cui si è parlato, poiché per trovare certamente Dio e acquistare le virtù, sono necessarie l'una e l'altra.
È quindi come se dicesse: andrò in cerca del mio Amato, praticando le alte virtù e umiliandomi nelle mortificazioni e negli esercizi umili. Dice questo perché la via per cui si cerca Dio consiste nell'operare il bene in Lui e nel mortificare il male in sé, nel modo che l'anima spiega nel versi seguenti:

non coglierò mai fiore.

5 - Poiché per cercare Dio si richiede un cuore nudo, forte e libero da tutti i mali e i beni che puramente non sono Dio, l'anima in questo verso e nei seguenti dice quanta libertà e quanta forza le siano necessarie per cercarlo.
Nel presente afferma che non coglierà i fiori incontrati sul suo cammino, per i quali intende tutti i gusti, i contenti e i piaceri che le si possono offrire in questa vita e che le possono impedire il cammino qualora essa li voglia cogliere e accettare.
Questi sono di tre specie: temporali, sensuali e spirituali. Poiché sia gli uni che gli altri, se vi si trattiene o vi si ferma, occupano il cuore e sono all'anima di impedimento per la nudità di spirito quale si richiede per seguire la via diretta del Cristo, per andare dietro a Lui ella non coglierà nessuno dei fiori suddetti. E così è come se dicesse: non riporrò il mio cuore nelle ricchezze e nei beni che offre il mondo, né accetterò i piaceri della carne, né mi fermerò nei gusti e nelle consolazioni dello spirito per non trattenermi dal cercare il mio Amore per i monti delle virtù e per le rive dei travagli.
Dice questo per seguire un consiglio dato da David
a coloro i quali vanno per questo cammino: Divitiae si affliuant, nolite cor apponere(Sal. 61, II), cioè se le ricchezze sovrabbondano non vogliate attaccarvi il cuore, parole da applicarsi sia ai gusti sensibili come agli altri beni temporali e alle consolazioni dello Spirito.
Perciò c'è da notare che non solo i beni temporali e i piaceri materiali impediscono e contrastano il cammino verso Dio ma anche le consolazioni e i piaceri spirituali, se posseduti o cercati con. spirito di proprietà, impediscono il cammino della croce di Cristo Sposo. Per tale ragione chi vuole progredire non deve andare a cogliere questi fiori; ma non solo ciò, deve anche avere animo e forza per dire:

non temerò le fiere,
supererò i forti e le frontiere.

6 - In questi versi l'anima enumera i tre suoi nemici, mondo demonio e carne, i qu"ali le fanno guerra e cercano di renderle difficile il cammino. Per fiere intende il mondo, per forti il demonio, per frontiere la carne.

7 - Chiama fiere il mondo, poiché all'anima che incomincia ad incamminarsi verso Dio, pare che il mondo le si presenti all'immaginazione sotto l'aspetto di alcune fiere, che la minacciano e la spaventano.
Ciò accade principalmente in tre maniere: la prima le suggerisce che le verrà a mancare il favore del mondo, che perderà gli amici, la stima, il merito e perfino il patrimonio. La seconda fiera, che non è meno terribile della prima, le mette in risalto la difficoltà di rassegnarsi a non avere più gioie e consolazioni del mondo e a restare priva di tutti i suoi piaceri. La terza fiera, ancora peggiore, le fa notare che le male lingue si leveranno contro di lei, la prenderanno in giro e la disprezzeranno.
Tali cose sogliono essere messe dinanzi agli occhi di alcune anime in modo tale da rendere loro difficilissima non solo la perseveranza contro queste fiere, ma anche la possibilità di intraprendere il cammino.

8 - Ad alcune anime generose sogliono opporsi fiere più interiori e più spirituali che sono difficoltà, tentazioni, turbamenti e travagli di ogni specie attraverso cui è necessario che passino, i quali Dio invia a coloro che vuole elevare ad alta perfezione provandole e raffinandole come l'oro nel fuoco, secondo quanto afferma David: Molte sono le tribolazioni dei giusti, ma da tutte quelle li libererà il Signore (Sal. 33, 20).
Ma l'anima innamorata, che stima il suo Amato più di ogni altra cosa, confidando nell'amore e nell'aiuto di Lui, non ha paura di promettere:

non temerò le fiere,
supererò i forti e le frontiere.
9 - Dà il nome di forti ai demoni, che è il secondo nemico, poiché essi con grande forza procurano di contrastare il passo su questo cammino, perché le loro tentazioni ed astuzie sono più forti e dure a vincersi e più difficili ad intendersi di quelle del mondo e della carne ed anche perché si rafforzano con l'aiuto degli altri due nemici, mondo e carne, per lottare aspramente contro l'anima.
Pertanto David parlandone li dice forti: Fortes quaesierunt animam meam(Sal. 53, 5), cioè: I forti desiderarono l'anima mia. Della quale forza anche il profeta Giobbe dice che non vi è potere sulla terra da paragonarsi a quello del demonio, il quale fu creato in modo tale da non avere paura di nessuno (41, 24), cioè nessun potere umano può reggere in confronto con quello di lui. Perciò solo il potere divino riesce a superarlo e solo la luce divina può capire le sue astuzie.
Per questo l'anima che deve vincerne la forza, non lo potrà fare senza ricorrere alla preghiera, come del resto non potrà intenderne gli inganni senza umiltà e mortificazione. S. Paolo avvisa i fedeli con le parole seguenti:
Induite vos armaturam Dei, ut possitis stare adversus insidias diaboli, quoniam non est nobis colluctatio adversus carnem et sanguinem(Ef. 6, 11-12), vale a dire: Rivestitevi della armatura di Dio per poter resistere contro le astuzie del nemico poiché questa lotta non è come quella contro la carne e il sangue, intendendo per sangue il mondo e per armi di Dio l'orazione e la croce di Cristo, in cui si trova l'umiltà e la mortificazione di cui è stato parlato.

10 - Inoltre l'anima afferma che oltrepasserà le frontiere per le quali, come è stato detto, intende le ribellioni e le ripugnanze naturali della carne contro lo spirito, poiché, secondo quanto dice S. Paolo: Caro enim concupiscit adversus spiritum(Gal. 5, 17). La carne appetisce le cose contrarie allo spirito e si mette come sulle frontiere opponendosi al cammino spirituale. L'anima deve attraversare queste frontiere superando le difficoltà e atterrando con forza e decisione di spirito tutti gli appetiti sensitivi e tutte le affezioni naturali poiché, finché non li avrà cacciati, lo spirito ne rimarrà talmente impedito da non poter passare a vera vita e a diletto spirituale. S. Paolo ci fa intendere bene la cosa quando dice: Si spiritu facta carnis mortificaveritis, vivetis: Se mortificherete le inclinazioni e gli appetiti carnali per mezzo dello spirito, vivrete.(Rom. 8, 13):

Questo dunque è il metodo che l'anima, come dice in questa strofa, usa per andare in cerca dell'Amato, metodo che, in poche parole, consiste nell'avere costanza risoluta di non piegarsi a cogliere i fiori, coraggio di non temere le fiere, forza di oltrepassare i forti e le frontiere preoccupandosi solo di camminare per i monti e le rive delle virtù nella maniera già detta.
AMDG et DVM

venerdì 24 novembre 2017

A 5 anni cadde in un pozzo. La Madonna ve lo estrasse

"O Dio, che rendesti il tuo santo Confessore e Dottore Giovanni, 
esimio amatore della Croce e dell'abnegazione perfetta di sé: 
concedi, che, persistendo continuamente nell'imitarlo, 
conseguiamo la gloria eterna. 
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen."
Lettura 


Giovanni della Croce nacque in Spagna a Fontiveros, da genitori molto religiosi. 

Fin da piccolo apparve evidente come sarebbe stato caro alla vergine Madre di Dio: infatti, a 5 anni, cadde in un pozzo, e si salvò perché la Madonna ve lo estrasse con le proprie mani. 

Da giovane si offrì come servo nell'ospedale dei poveri a Medina del Campo. Poi entrò nell'ordine dei Carmelitani e dovette sottomettersi all'obbedienza ed essere consacrato sacerdote. 

Osservò l'antica regola dell'Ordine. Per il suo amore di una regola monastica più severa, fu dato come collaboratore, per disegno di Dio, a santa Teresa, che lo stimava come una delle persone più buone e più nobili che la Chiesa di Dio avesse in quei tempi; così poté propagare tra i frati l'osservanza della regola primitiva. 

Poiché aveva tanto lavorato e sofferto per questa riforma, Cristo gli chiese quale premio desiderava per tanta fatica; egli rispose: Dómine, pati et contémni pro te: «Signore, patire ed essere disprezzato per amor tuo!». 

Scrisse opere di mistica, piene di sapienza celeste. 

Alla fine, dopo aver sopportato coraggiosamente una malattia molto dolorosa, morì a Ubeda, nel 1591, a 49 anni di età. 
Pio XI, su indicazione della Congregazione dei Riti, lo dichiarò dottore della Chiesa universale.
V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.


Dómine, pati et contémni pro te

AMDG et BVM

domenica 23 aprile 2017

Fiori, fiere, forti e frontiere


S. Giovanni della Croce 
Cantico Spirituale “B”  

STROFA 3
In cerca del mio amore
andrò per questi monti e queste rive,
non coglierò mai fiore,
non temerò le fiere,
supererò i forti e le frontiere,

SPIEGAZIONE

1-    L'anima vedendo che per trovare l'Amato non le bastano i gemiti e le preghiere e l'aiuto di buoni mediatori come, secondo la prima e la seconda strofa, ha fatto in passato, spinta da grande amore e da un desiderio molto verace di cercarlo, non vuole omettere alcuna diligenza a lei possibile. Infatti quella che ama Dio davvero non si lascia vincere dalla pigrizia nel fare quanto può per trovare il Figlio di Dio, suo Sposo; anzi, anche dopo aver fatto tutto il possibile, non è soddisfatta e pensa di non aver fatto niente. Perciò in questa terza strofa, afferma di volerlo cercare da se stessa con le sue opere ed espone il modo che deve seguire per trovarlo, che è quello di esercitarsi nelle virtù e nelle pratiche spirituali della vita attiva e contemplativa, non ammettendo perciò alcun piacere e delizia. Inoltre non si perde di coraggio, perché le forze e le insidie dei tre suoi nemici, mondo, carne e demonio, non saranno capaci di impedirle il cammino.

Dice quindi: In cerca del mio amore cioè del mio Amato

2-    L'anima fa capire che per trovare davvero Dio non basta soltanto pregare con il cuore e con le labbra, neppure con l'aiuto altrui, ma è necessario che anch'essa da parte sua faccia tutto ciò che può, perché Dio suole stimare più un'opera sola propria di una persona che molte altre fatte da altri per lei. Perciò, ricordando qui le parole dell'Amato: Cercate e troverete (Lc 11,9), l'anima stessa risolve di andarne in cerca, per mezzo della sua opera, per non restare delusa nella ricerca, come accade a molti, i quali vorrebbero che Dio non costasse loro più che pronunziare una parola, e anche ciò fatto malvolentieri e non vogliono fare niente che costi loro un po', tanto che ad alcuni dispiace perfino di alzarsi da un luogo dove stanno comodamente. In tal modo vorrebbero che il sapore scendesse sulle loro labbra e nel loro cuore senza muovere un dito e senza mortificarsi rinunziando a qualche loro gusto, consolazione e voglia inutile.
Ma finché non usciranno in cerca dell'Amato, per quanto gridino a Dio, non lo troveranno. Anche la sposa dei Cantici lo cercava così, ma non lo trovò finché non uscì per cercarlo. Lo dice con queste parole: Nel mio letto, di notte, cercai l'amore dell'anima mia, ma non lo trovai. Mi leverò e andrò in giro per la città; per le vie e per le piazze cercherò colui che l'anima mia ama (Ct 3,1-2). E soggiunge di averlo trovato dopo aver sofferto alcuni travagli (Ct 3,4)

3-    Chi dunque cerca Dio volendo rimanere nei propri gusti e nelle proprie comodità, lo cerca di notte e quindi non lo trova. Colui invece lo cerca mediante le opere buone e l'esercizio delle virtù, lasciando il letto dei suoi gusti e dei suoi piaceri, lo cerca di giorno e quindi lo trova, perché ciò che è introvabile di notte, si scopre di giorno. Di ciò parla lo Sposo nel libro della Sapienza: Luminosa e immarcescibile è la Sapienza e facilmente è veduta da quei che l'amano e trovata da quei che la cercano. Previene coloro che la bramano, mostrandosi ad essi per prima. Chi per lei si leverà di buon mattino, non si stancherà, perché la troverà seduta alla porta di casa (Sap 6,13-15). Da questa frase si comprende come, uscendo dalla porta della propria volontà e dal letto dei propri gusti, l'anima appena fuori, troverà la Sapienza divina, cioè il Figlio di Dio, suo Sposo.

Perciò ella dice: in cerca del mio amore, andrò per questi monti e queste rive.

4-    Per monti, che sono alti, l'anima intende le virtù; per la loro altezza e per la difficoltà e il travaglio che si incontra nel salire ad esse. Afferma che per mezzo di esse si eserciterà nella vita contemplativa.
Per rive, che sono basse, intende le mortificazioni, le penitenze e le altre pratiche spirituali mediante le quali eserciterà la vita attiva insieme con quella contemplativa, di cui si è parlato, perché per trovare certamente Dio e acquistare le virtù, sono necessarie l'una e l'altra.
È quindi come se dicesse: andrò in cerca del mio Amato, praticando le alte virtù e umiliandomi nelle mortificazioni e negli esercizi umili. Dice questo perché la via per cui cerca Dio consiste nell'operare il bene in Lui e nel mortificare il male in sé, nel modo che l'anima spiega nei versi seguenti: non coglierò mai fiore.

5-    Poiché per cercare Dio si richiede un cuore nudo, forte e libero da tutti i mali e i beni che puramente non sono Dio, l'anima in questo verso e nei seguenti dice quanta libertà e quanta forza le siano necessarie per cercarlo.
Nel presente afferma che non coglierà i fiori incontrati sul suo cammino, per i quali intende tutti i gusti, i contenti e i piaceri che le si possono offrire in questa vita e che le possono impedire il cammino qualora essa li voglia cogliere e accettare.
Questi sono di tre specie: temporali, sensuali e spirituali. Poiché sia gli uni che gli altri, se vi si trattiene o vi si ferma, occupano il cuore e sono all'anima di impedimento per la nudità di spirito quale si richiede per seguire la via diretta del Cristo, per andare dietro a Lui ella non coglierà nessuno dei fiori suddetti. E così è come se dicesse: non riporrò il mio cuore nelle ricchezze e nei suoi beni che offre il mondo, né accetterò i piaceri della carne, né mi fermerò nei gusti e nelle consolazioni dello spirito per non trattenermi dal cercare il mio Amato per i monti delle virtù e per le rive dei travagli.
Dice questo per seguire un consiglio dato da David a coloro i quali vanno per questo cammino: Alla ricchezza, anche se abbonda non attaccate il cuore (Sal 61,11), parole da applicarsi sia ai gusti sensibili come agli altri beni temporali e alle consolazioni dello spirito.
Perciò c'è da notare che non solo i beni temporali e i piaceri materiali impediscono e contrastano il cammino verso Dio, ma anche le consolazioni e i piaceri spirituali, se posseduti o cercati con spirito di proprietà, impediscono il cammino della croce di Cristo Sposo. Per tale ragione chi vuole progredire non deve andare a cogliere questi fiori; ma non solo ciò, deve anche avere animo e forza per dire: non temerò le fiere, supererò i forti e le frontiere.

6-    In questi versi l'anima enumera i tre suoi nemici, mondo, demonio e carne, i quali le fanno guerra e cercano di renderle difficile il cammino. Per fiere intende il mondo, per forti il demonio, per frontiere la carne.

7-    Chiama fiere il mondo, poiché all'anima che incomincia ad incamminarsi verso Dio, pare che il mondo le si presenti all'immaginazione sotto l'aspetto di alcune fiere, che la minacciano e la spaventano.
Ciò accade principalmente in tre maniere: la prima le suggerisce che le verrà a mancare il favore del mondo, che perderà gli amici, la stima, il merito e perfino il patrimonio. La seconda fiera, che non è meno terribile della prima, le mette in risalto la difficoltà di rassegnarsi a non avere più gioie e consolazioni del mondo e a restare priva di tutti i suoi piaceri. La terza fiera, ancora peggiore, le fa notare che le male lingue si leveranno contro di lei, la prenderanno in giro e la disprezzeranno.
Tali cose sogliono essere messe dinanzi agli occhi di alcune anime in modo tale da rendere loro difficilissima non solo la perseveranza contro queste fiere, ma anche la possibilità di intraprendere il cammino.

8-    Ad alcune anime generose sogliono opporsi fiere più interiori e più spirituali che sono le difficoltà, tentazioni, turbamenti e travagli di ogni specie attraverso cui è necessario che passino, i quali Dio invia a coloro che vuole elevare ad alta perfezione provocandole e raffinandole come l'oro nel fuoco, secondo quanto afferma David: Molte sono le tribolazioni dei giusti, ma da tutte quelle li libererà il Signore (Sal 33,20)
Ma l'anima innamorata, che stima il suo Amato più di ogni cosa, confidando nell'amore e nell'aiuto di Lui, non ha paura di promettere:
                         non temerò le fiere, supererò i forti e le frontiere.

9-    Dà il nome di forti ai demoni, che è il secondo nemico, poiché essi con grande forza procurano di contrastare il passo su questo cammino, perché le loro tentazioni ed astuzie sono più forti e dure a vincersi e più difficili ad intendersi di quelle del mondo e della carne ed anche perché si rafforzano con l'aiuto degli altri due nemici, mondo e carne, per lottare aspramente contro l'anima.
Pertanto David parlandone li dice forti: I forti desiderano l'anima mia (Sal 53,5). Della quale forza anche il profeta Giobbe dice che non vi è potere sulla terra da paragonarsi a quello del demonio, il quale fu creato in modo tale da non avere paura di nessuno (41,24), cioè nessun potere umano può reggere in confronto con quello di lui. Perciò solo il potere divino riesce a superarlo e solo la luce divina può capire le sue astuzie.
Per questo l'anima che deve vincerne la forza, non lo potrà fare senza ricorrere alla preghiera, come del resto non potrà intenderne gli inganni senza umiltà e mortificazione. S. Paolo avvisa i fedeli con le parole seguenti: Rivestitevi della armatura di Dio per poter resistere contro le astuzie del nemico poiché questa lotta non è come quella contro la carne e il sangue, intendendo per sangue il mondo e per armi di Dio l'orazione e la croce di Cristo, in cui si trova l'umiltà e la mortificazione di cui è stato parlato.

10-    Inoltre l'anima afferma che oltrepasserà le frontiere per le quali, come è stato detto, intende le ribellioni e le ripugnanze naturali della carne contro lo spirito, poiché, secondo quanto dice S. Paolo: La carne appetisce le cose contrarie allo spirito  (Gal 5,17) e si mette come sulle frontiere opponendosi al cammino spirituale. L'anima deve attraversare queste frontiere superando le difficoltà e atterrando con forza e decisione di spirito tutti gli appetiti sensitivi e tutte le affezioni naturali poiché, finché non li avrà cacciati, lo spirito ne rimarrà talmente impedito da non poter passare a vera vita e a diletto spirituale. S. Paolo ci fa intendere bene la cosa quando dice: Se mortificherete le inclinazioni e gli appetiti carnali per mezzo dello spirito, vivrete 
Questo dunque è il metodo che l'anima, come dice in questa strofa, usa per andare in cerca dell'Amato, metodo che, in poche parole, consiste nell'avere costanza risoluta di non piegarsi a cogliere i fiori, coraggio di non temere le fiere, forza di oltrepassare le frontiere preoccupandosi solo di camminare per i monti e le rive delle virtù nella maniera già detta.

AMDG et BVM

venerdì 14 aprile 2017

Il vero amico della croce di Cristo


Il vero amico della croce di Cristo "cerca nel Signore più l'amaro che il dolce, propende più per le sofferenze che per le consolazioni, si sente spinto per amore di Dio più alla rinuncia che al possesso di ogni bene, tende più alle aridità e alle afflizioni che alle dolci comunicazioni, sapendo bene che solo così si segue Cristo e si rinuncia a se stessi e che agire altrimenti vuol dire cercare se stessi in Dio, cosa molto contraria all'amore" (II Salita Monte Carmelo VII, 5)

mercoledì 14 dicembre 2016

OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II, SAN GIOVANNI DELLA CROCE

VIAGGIO APOSTOLICO IN SPAGNA
CELEBRAZIONE DELLA PAROLA IN ONORE DI SAN GIOVANNI DELLA CROCE
OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II
Segovia, 4 novembre 1982

1. “Dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si conosce l’autore di esse . . . se sono
colpiti dalla loro potenza e attività, pensino da ciò quanto è più potente colui che li ha formati . . .; se, stupiti per la loro bellezza . . . pensino quanto è superiore il loro Signore, perché li ha creati lo stesso autore della bellezza” (Sap 13, 5.4.3).
Abbiamo proclamato queste parole del libro della Sapienza, cari fratelli e sorelle, nel corso di
questa celebrazione in onore di san Giovanni della Croce, accanto al suo sepolcro. Il libro della Sapienza ci parla della conoscenza di Dio per mezzo delle creature; della conoscenza dei beni visibili che rivelano il loro Artefice; della notizia che porta fino al Creatore partendo delle sue opere.

Potremmo benissimo mettere queste parole sulle labbra di Giovanni della Croce e comprendere il
senso profondo che ad esse ha voluto dare l’autore sacro. Sono parole di un saggio e di un poeta che ha conosciuto, amato e cantato la bellezza delle opere di Dio; ma soprattutto, parole di un teologo e di un mistico che ha conosciuto il suo Autore; e che attinge con incredibile radicalità alla fonte della bontà e della bellezza, addolorato per lo spettacolo del peccato che rompe l’originario equilibrio, offusca la ragione, paralizza la volontà, impedisce la contemplazione e l’amore verso
l’Autore della creazione.

2. Rendo grazie alla Provvidenza che mi ha concesso di venire a venerare le reliquie e ad evocare la figura e la dottrina di san Giovanni della Croce, al quale debbo tanto nella mia formazione spirituale. Ho imparato a conoscerlo sin dalla mia giovinezza e sono entrato in un dialogo intimo con questo maestro della fede, con il suo linguaggio e il suo pensiero, fino a culminare con l’elaborazione della mia tesi di dottorato su “La fede in san Giovanni della Croce”. Fin d’allora ho trovato in lui un amico e maestro, che mi ha indicato la luce che brilla nell’oscurità, per camminare sempre verso Dio, “senza altra luce né guida / che quella che nel cuore ardeva / Codesta mi guidava / più certo che la luce del meriggio” (S. Giovanni della Croce, Notte Oscura, 3-4).
In questa occasione saluto cordialmente i membri della provincia e diocesi di Segovia, il loro Pastore, i sacerdoti e i religiosi e religiose, le autorità e tutto il popolo di Dio che vive qui, sotto il cielo limpido della Castilla, così come coloro che sono venuti dai dintorni e dalle altre parti della Spagna.

3. Il santo di Fontiveros è il grande “maestro dei sentieri che conducono all’unione con Dio”. I suoi scritti continuano ad essere attuali e in certo qual modo spiegano e complementano i libri di santa Teresa di Gesù. Egli indica le vie della conoscenza mediante la fede, perché soltanto tale
conoscenza nella fede dispone l’intelletto “all’unione col Dio vivente”.
Quante volte, con una convinzione che sgorga dall’esperienza ci dice che la fede è il mezzo
proprio e adatto per l’unione con Dio!
È sufficiente citare un celebre testo del secondo libro della Salita al Monte Carmelo: “La fede è
essa sola il mezzo più vicino e proporzionato perché l’anima si unisca a Dio . . . perché così come Dio è infinito, essa ce lo propone infinito; e così come Egli è Trino e Uno, ce lo propone Trino e Uno . . . e così per questo solo mezzo, si manifesta Dio all’anima in divina luce, che eccede ogni intendimento. E perciò quanta più fede ha l’anima in Dio, tanto più unita è a Lui” (S. Giovanni della Croce, Salita al Monte Carmelo, II, 9, 1)
Con questa insistenza sulla purezza della fede, Giovanni della Croce non vuol negare che la
conoscenza di Dio si possa raggiungere gradualmente partendo dalle creature, come insegna il libro della Sapienza e ripete san Paolo nella Lettera ai Romani (cf. Rm 1, 18-21; cf. S. Giovanni della Croce, Cantico spirituale, 4, 1). Il dottore mistico insegna che nella fede è anche necessario privarsi delle creature, sia di quelle che si percepiscono per mezzo dei sensi che di quelle che si raggiungono con l’intelletto, per unirsi in una maniera conoscitiva con lo stesso Dio. Questa via che conduce all’unione, passa attraverso la “notte oscura” della fede.

4. L’atto di fede si concentra, secondo il santo, in Gesù Cristo, il quale, come ha affermato il
Vaticano II, “è contemporaneamente il mediatore e la pienezza di tutta la rivelazione” (Dei
Verbum, 2). Tutti conoscono la meravigliosa pagina del dottore mistico su Cristo come Parola
definitiva del Padre e totalità della rivelazione, in quel dialogo tra Dio e gli uomini: “Egli è tutto il
mio parlare e la mia risposta, Egli è tutta la mia visione e la mia rivelazione. In Lui vi ho già
parlato, risposto, manifestato e rivelato, donandolo a voi come fratello, compagno e maestro, prezzo e premio” (S. Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo, II, 22, 5).

E così raccogliendo noti testi biblici (cf. Mt 17, 5; Eb 1, 1), riassume: “Perché nel donarci, come ci ha dato, il Figlio suo, che è una Parola sua e non ne ha un’altra, ci ha detto tutto ed in una volta sola in questa unica Parola, e non ha più niente da dire” (S. Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo, II, 22, 3). Per questo la fede è la ricerca amorosa del “Dio nascosto” che si rivela in Gesù Cristo, l’Amato (cf. S. Giovanni della Croce, Cantico spirituale, I, 1-3.11).
Per di più, il dottore della fede non tralascia di puntualizzare che “Il Cristo lo troviamo nella
Chiesa”, Sposa e Madre; e che nel suo magistero troviamo la norma sicura della fede, la medicina
delle nostre ferite, la fonte della grazia: “E così”, scrive il santo, “in tutto ci dobbiamo lasciar
guidare dalla legge di Cristo uomo e della Chiesa e i suoi ministri, umanamente e visibilmente, e
tramite questa via rimediare alla nostra ignoranza e pigrizia spirituale; poiché in questa via
troveremo abbondante medicina per ogni cosa” (S. Giovanni della Croce, Salita del Monte
Carmelo, II, 22, 7).

5. In queste parole del dottore mistico troviamo una dottrina di assoluta coerenza e modernità.
Giovanni della Croce invita l’uomo di oggi, angosciato dal significato dell’esistenza, spesso
indifferente alla predicazione della Chiesa, forse scettico riguardo alle mediazioni della rivelazione di Dio, ad una ricerca onesta, che lo conduca fino alla fonte stessa della rivelazione che è il Cristo, la Parola e il Dono del Padre. Lo persuade a prescindere da tutto quello che potrebbe essere un ostacolo per la fede e lo colloca davanti a Cristo. Davanti a Colui che rivela e offre la verità e la vita divina nella Chiesa, la quale nella sua visibilità e nella sua umanità è sempre Sposa di Cristo,
il suo Corpo Mistico, garanzia assoluta della verità della fede (cf. S. Giovanni della Croce, Fiamma viva d’amore, Prol., 1).
Per questo esorta ad intraprendere una ricerca di Dio nella preghiera, affinché l’uomo “si renda
conto” della sua limitatezza temporale e della sua vocazione all’eternità (cf. S. Giovanni della
Croce, Cantico spirituale, 1, 1). Nel silenzio della preghiera si realizza l’incontro con Dio e si
ascolta quella Parola che Dio ci dice in eterno silenzio e che nel silenzio deve essere ascoltata (cf. S. Giovanni della Croce, Parole di luce e di amore, 104). Un grande raccoglimento e un
abbandono interiore, uniti al fervore della preghiera, aprono le profondità dell’anima “al potere purificatore dell’amore divino”.

6. Giovanni della Croce seguì le orme del Maestro, che si ritirava a pregare in luoghi solitari (cf. S. Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo, III, 44, 4). Amò la solitudine sonora dove si ascolta la musica silente, il rumore della fonte che sgorga e zampilla anche se è notte. Lo ha fatto durante le lunghe veglie di preghiera ai piedi dell’Eucarestia, quel pane vivo che dona la vita e che porta fino alla sorgente dell’amore trinitario.
Non si possono dimenticare le immense solitudini del Duruelo, l’oscurità e nudità del carcere di Toledo, i paesaggi andalusi della Peñuela, del Calvario, de los Mártires, a Granada. La bella e sonora solitudine segoviana dell’eremo, nelle rocce di questo convento fondato dal santo. Qui si sono consumati dialoghi d’amore e di fede; fino a quell’ultimo, commovente, che il Santo confidava con queste parole dette al Signore che gli offriva il premio per le sue opere: “Signore, quello che voglio è che Voi mi doniate di patire per Voi, e che sia io disprezzato e tenuto in poco conto”.
Così fino alla consumazione della sua identificazione con Cristo Crocifisso e della sua gloriosa pasqua a Ubeda, quando annunziò che andava a cantare il mattutino in cielo.

7. Una delle cose che più attirano l’attenzione negli scritti di san Giovanni della Croce è la lucidità con cui ha descritto la sofferenza umana, quando l’anima è investita dalla tenebra luminosa e purificatrice della fede.
Le sue osservazioni sorprendono il filosofo, il teologo e perfino lo psicologo. Il dottore mistico ci insegna la necessità di una purificazione passiva, di una notte oscura che Dio provoca nel
credente, affinché sia più pura la sua adesione nella fede, speranza e amore. Infatti è così. La
forza purificatrice dell’anima umana viene da Dio stesso. E Giovanni della Croce fu cosciente,
come pochi, di questa forza purificatrice. Dio stesso purifica l’anima fino ai più profondi abissi del suo essere, accendendo nell’uomo la fiamma viva d’amore: il suo Spirito.
Egli ha contemplato con un’ammirabile profondità di fede, e a partire dalla sua propria esperienza della purificazione della fede, il mistero di Cristo Crocifisso; fino al culmine del suo abbandono sulla croce, dove viene offerto a noi, come esempio e luce dell’uomo spirituale. Lì, il Figlio amato del Padre “ha avuto bisogno di esclamare: “Mio Dio, mio Dio perché mi hai abbandonato? (Mt 27, 46)
Quello fu l’abbandono più grande che mai aveva provato nella sua vita. E in esso Gesù ha operato
il miracolo più grande che mai avesse potuto operare nella sua vita, né in terra né in cielo, e che consistette nel riconciliare ed unire il genere umano con Dio” (cf. S. Giovanni della Croce, Salita del Monte Carmelo, II, 7, 11).

8. Anche l’uomo moderno, nonostante le sue conquiste, sfiora nella sua esperienza personale e
collettiva l’abisso dell’abbandono, la tentazione del nichilismo, l’assurdità di tante sofferenze
fisiche, morali e spirituali. La notte oscura, la prova che fa toccare il mistero del male ed esige
l’apertura della fede, acquisisce a volte dimensioni di epoca e proporzioni collettive.
Anche il cristiano e la stessa Chiesa possono sentirsi identificati con il Cristo di San Giovanni della Croce, nel culmine del suo dolore e del suo abbandono. Tutte queste sofferenze sono state
assunte dal Cristo nel suo grido di dolore e nella sua fiduciosa consegna al Padre. Nella fede, la
speranza e l’amore, la notte si converte in giorno, la sofferenza in gioia, la morte in vita.
Giovanni della Croce, con la sua esperienza, ci invita alla fiducia, a lasciarci purificare da Dio;
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nella fede intessuta di speranza e di amore, la notte comincia a conoscere “le luci dell’aurora”; si
fa luminosa come una notte di Pasqua - “O vere beata nox”, “Oh notte amabile più dell’alba” - e
annuncia la risurrezione e la vittoria, la venuta dello Sposo che unisce a sé e trasforma il cristiano:
“Amata nell’Amato trasformata”.
Magari le notti oscure che si addensano sulle coscienze individuali e sulle collettività del nostro tempo fossero vissute nella fede pura; nella speranza “che tanto ottiene quanto spera”; nell’amore ardente della forza dello Spirito, affinché si convertano in giornate luminose per la nostra umanità addolorata, in vittoria del Risorto che libera col potere della sua croce!

9. Abbiamo ricordato nella lettura del Vangelo le parole del profeta Isaia, che Cristo fece sue: “Lo
Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi, e predicare un anno di grazia del Signore” (Lc 4, 18-19).
Anche il “santo Fraticello Giovanni” - come lo chiamava la madre Teresa - fu, come Cristo, un
povero che evangelizzò con immensa gioia e amore i poveri; e la sua dottrina è come una
spiegazione di quel vangelo della liberazione dalle schiavitù e oppressioni del peccato, della
luminosità della fede che guarisce ogni cecità. Se la Chiesa lo venera come dottore mistico sin
dall’anno 1926, è perché riconosce in lui il gran maestro della verità vivente riguardo a Dio e
all’uomo.
La “Salita del Monte” e la “Notte oscura” culminano nella gioiosa libertà dei figli di Dio nella partecipazione alla vita di Dio e alla comunione con la vita trinitaria (cf. S. Giovanni della Croce, Cantico spirituale, 39, 3-6). Soltanto Dio può liberare l’uomo; questi acquisisce totalmente dignità e libertà soltanto quando sperimenta in profondità, come san Giovanni della Croce indica, la grazia redentrice e trasformante di Cristo. La vera libertà dell’uomo è la comunione con Dio.

10. Il testo del libro della Sapienza ci avvertiva “Se tanto poterono sapere da scrutare l’universo,
come mai non ne hanno trovato più presto il padrone?” (Sap 13, 19). Ecco una nobile sfida per l’uomo contemporaneo che ha esplorato le vie dell’universo. Ed ecco la risposta del mistico che
dall’altura di Dio scopre l’orma del Creatore nelle sue creature e contempla in anticipo la
liberazione della creazione (cf. Rm 8, 19-21).
Tutta la creazione, dice San Giovanni della Croce, è come bagnata dalla luce dell’Incarnazione e
della Resurrezione: “In questo innalzamento della Incarnazione del suo Figlio e della gloria della sua Resurrezione secondo la carne non soltanto il Padre ha abbellito in parte le creature, ma possiamo dire che le ha completamente vestite di bellezza e dignità” (S. Giovanni della Croce, Cantico spirituale, 39, 5.4). Il Dio che è “Bellezza” si riflette nelle sue creature.
In un abbraccio cosmico che in Cristo unisce il cielo e la terra, Giovanni della Croce ha potuto
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esprimere la pienezza della vita cristiana: “Non mi toglierai, Dio mio, quello che una volta mi
donasti nel tuo unico figlio Gesù Cristo in cui mi hai dato tutto quello che voglio . . . Miei sono i cieli
e mia è la terra; miei sono le genti; i giusti sono miei, e miei i peccatori; gli angeli sono miei, e la
Madre di Dio e tutte le cose sono mie, e lo stesso Dio è mio ed è per me, perché Cristo è mio e
tutto per me” (S. Giovanni della Croce, Parole di luce e di amore, 29-31).
11. Fratelli e sorelle: ho voluto con queste mie parole rendere un omaggio di gratitudine a San
Giovani della Croce, teologo e mistico, poeta e artista, “uomo celestiale e divino” - come lo ha
chiamato Santa Teresa di Gesù - amico dei poveri e saggio direttore spirituale delle anime. Egli è
padre e maestro spirituale di tutto il Carmelo Teresiano, il plasmatore di quella fede viva che brilla nei figli più illustri del Carmelo: Teresa di Lisieux, Elisabetta della Trinità, Raffaele Kalinowski, Edith Stein.
Chiedo alle figlie di Giovanni della Croce, le carmelitane scalze, che sappiano vivere l’essenza
contemplativa di quell’amore puro che è eminentemente fecondo per la Chiesa (cf. S. Giovanni
della Croce, Cantico spirituale, 29, 2-3). Raccomando ai suoi figli, i carmelitani scalzi, fedeli custodi di questo convento e animatori del Centro di Spiritualità dedicato al Santo, la fedeltà alla sua dottrina e la dedizione alla direzione spirituale delle anime, così come allo studio e
approfondimento della teologia spirituale.
Per tutti i figli di Spagna e di questa nobile terra segoviana, come garanzia di rigenerazione
ecclesiale, lascio queste magnifiche consegne di san Giovanni della Croce universalmente valide:
intelligenza perspicace per vivere la fede: “Un pensiero dell’uomo vale più di tutto il mondo;
pertanto solo Dio è degno di esso” (S. Giovanni della Croce, Parole di luce e di amore, 32).
Volontà impavida per esercitare la carità: “Dove non c’è amore, metti amore ed otterrai amore” (S.Giovanni della Croce, Lettera 25, a Maria dell’Incarnazione). Una fede solida e confortante, che muova costantemente ad amare veramente Dio e l’uomo; perché alla fine della vita, “quando giungerà la sera sarai giudicato sull’amore” (S. Giovanni della Croce, Parole di luce e di amore, 64).
Con la mia benedizione apostolica per tutti.