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venerdì 26 dicembre 2014

FESTA DI SAN GIOVANNI EVANGELISTA

FESTA DI SAN GIOVANNI
EVANGELISTA

1. In quel tempo: Gesù disse a Pietro: “Séguimi!”, ecc. (Gv 21,19). In questo vangelo vengono proposti due argomenti:
- l’imitazione di Cristo,
- l’amore di Cristo verso il suo fedele discepolo.

I. l’imitazione di cristo

2. “Séguimi!”, dice Gesù a Pietro, e lo ripete ad ogni fedele cristiano. Séguimi, anche tu nudo come io sono nudo, anche tu libero da impedimenti come lo sono io.
Dice Geremia: “Tu mi chiamerai padre e non cesserai di seguirmi” (Ger 3,19). Séguimi dunque, deponi il tuo bagaglio: così carico non puoi tener dietro a me che corro. “Io ho corso, arso dalla sete” (Sal 61,5), la sete della salvezza dell’uomo. Dove corse? Alla croce. Corri anche tu dietro a lui, e come lui ha portato la sua croce per te, così anche tu porta per te la tua. E dice Luca: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinne­ghi se stesso”, rinunciando alla propria volontà, “prenda la sua croce”, mortificando la carne, “ogni giorno”, cioè in continuazione, “e così mi segua” (Lc 9,23). Così dunque “séguimi!”.
In altro senso: se vuoi venire a me e se desideri trovarmi, “segui me”, cioè vieni con me in disparte. Disse infatti ai discepoli: “Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’. Erano infatti molti quelli che andavano e venivano, e non avevano neanche più il tempo di mangiare” (Mc 6,31).
Ahimè, quanti stimoli carnali, quanta confusione di pensieri che vanno e vengono per il nostro cuore, così che non troviamo più il tempo di mangiare il cibo dell’eterna dolcezza, di provare il sapore della contemplazione interiore. E quindi il Maestro pietoso dice: “Venite in disparte”, lontano dalla folla tumultuosa, “in un luogo solitario”, cioè nella solitudine della mente e del corpo, “e riposatevi un po’”. Veramente un po’, perché è scritto nell’Apocalisse: “Si fece silenzio in cielo per circa mezz’ora” (Ap 8,1). “Chi mi darà ali come di colomba, per volare e trovare riposo?” (Sal 54,7).
E anche Osea: “Ecco, io la allatterò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore” (Os 2,14). In queste tre espressioni è indicato il triplice stato degli incipienti, dei proficienti e dei perfetti.
Allatta gli incipienti quando li illumina con la grazia perché crescano, e quindi progrediscano [proficienti] di virtù in virtù; poi li allontana dal tumulto dei vizi e dalla confusione dei cattivi pensieri e li conduce nel deserto, cioè nella quiete della mente, e lì, divenuti ormai perfetti, parla al loro cuore. E questo si avvera quando provano la dolcezza dell’ispirazione divina e si elevano totalmente nel gaudio dello spirito. Oh, quanto grande è allora nel loro cuore la devozione, la lode e l’esultanza. Con l’intensità della loro devozione si elevano al di sopra di se stessi, con la grandezza della lode vengono condotti al di sopra di se stessi, e con la grandezza dell’esul­tanza sono come portati al di fuori di sé. Dunque “séguimi!”
Il Signore parla come una madre amorosa che, quando vuole abituare il figlioletto a camminare, gli mostra un pane o una mela: Vieni, gli dice, e te lo do! E quando il bambino si avvicina che quasi lo prende, la madre a poco a poco allunga il passo, e sempre mostrando ciò che ha in mano continua a dirgli: Vieni, se vuoi prenderlo! Anche alcuni uccelli tirano fuori dal nido i loro piccoli e con il loro volo insegnano loro a volare e a seguirli nell’aria (cf. Dt 32,11) .
La stessa cosa fa Cristo: per indurci a seguirlo, propone se stesso come esempio e ci promette il premio nel suo Regno.

3. “Séguimi”, dunque, perché io conosco la strada giusta per la quale condurti. Leggiamo nei Proverbi: “Ti mostrerò la via della sapienza; ti condurrò per i sentieri della rettitudine; quando vi sarai entrato non saranno intralciati i tuoi passi, e se corri non inciamperai” (Pro 4,11­12). La via della sapienza è la via dell’umiltà: ogni altra è via del­la stoltezza e della superbia. Le vie giuste ci ha mostrato quando ha detto: “Imparate da me” (Mt 11,29).
Il sentiero è largo solo due piedi (circa mezzo metro), di modo che una persona non può affiancarsi all’altra; ed è chiamato in lat. semita, quasi a dire semis iter, mezza strada, da semis, metà, e iter, strada.
I sentieri della rettitudine sono la povertà e l’obbedienza, e per essi Cristo, povero e obbediente, ti guida con il suo esempio. In essi non c’è alcuna tortuosità, ma tutto è diritto e chiaro. Ma – cosa meravigliosa! –, pur essendo così stretti, si afferma che in essi il cammino non è intralciato. Invece la via del mondo è larga e spaziosa; ma per i secolari, che vi camminano come ubriachi, essa non è mai abbastanza larga: per l’ubriaco la via è sempre stretta, per quanto larga sia. La malizia, la perfidia trovano tutto stretto; invece la povertà e l’obbedienza, proprio per il fatto che sono strette danno la libertà: perché la povertà rende ricchi e l’obbedienza rende liberi. E colui che corre dietro a Gesù in questi sentieri non trova l’in­ciampo della ricchezza e della propria volontà.
“Séguimi”, dunque, e ti mostrerò “ciò che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrò in cuore di uomo” (1Cor 2,9). “Séguimi, e ti darò” – come è detto in Isaia – “tesori nascosti e ricchezze ben celate” (Is 45,3); e ancora: “Allora vedrai e sarai raggiante, si meraviglierà e si dilaterà il tuo cuore” (Is 60,5). Vedrai Dio faccia a faccia, com’egli è (cf. 1Cor 13,12; 1Gv 3,2); sarai ricco di delizie e delle ricchezze della duplice stola dell’anima e del corpo; il tuo cuore sarà estasiato di fronte ai cori degli angeli, ai troni dei beati, e così si gonfierà di gioia e proromperà nel canto dell’esultanza e della lode. Dunque “séguimi!”.

II. l’amore di cristo verso il suo fedele discepolo

4. “Pietro, voltatosi...” ecc. (Gv 21,20). Chi veramente segue Cristo, desidera che tutti lo seguano, e perciò si rivolge al prossimo con lo zelo dello spirito, con la preghiera devota e con la predicazione della Parola. Questo è il significato del “volgersi” di Pietro. E con questo concordano le parole dell’Apocalisse: “Lo sposo e la sposa”, cioè Cristo e la chiesa, “dicono: Vieni! E chi ascolta ripeta: Vieni!” (Ap 22,17). Cristo con le ispira­zioni e la chiesa con la predicazione dicono all’uomo: Vieni! E chi sente, da Cristo e dalla chiesa, questo richiamo, lo ripeta al suo prossimo: Vieni, cioè: segui Gesù.
“Pietro, dunque, voltatosi, vide che il discepolo che Gesù amava li seguiva” (Gv 21,20). Gesù ama chi lo segue; infatti dice: “Il mio servo Caleb, che mi ha seguito, lo introdurrò in questa terra che ha percorso: la sua stirpe la possederà” (Nm 14,24).
“Il discepolo che Gesù amava”. Dice la Glossa: Pur non nominandolo, con queste parole viene come distinto dagli altri, non perché Gesù amasse solo lui, ma perché lo preferiva agli altri. Amava anche gli altri, ma questo più intimamente. Lo gratificò di una maggiore tenerezza del suo amore perché l’aveva chiamato quando era ancora vergine, e perché vergine era rimasto: anche per questo gli affidò la Madre. E questo discepolo, durante l’ultima cena, posò il capo sul petto del Signore. Fu un grande segno di amore che lui solo posasse il capo sul petto del Signore, “nel quale sono racchiusi tutti i tesori della sapienza e della scienza” (Col 2,3). E questo fatto era come il presagio di quanto avrebbe scritto sugli “arcani” della divinità, molto meglio degli altri.

5. Osserva che Giacobbe riposò su di una pietra, e Giovanni sul petto di Gesù: quello mentre era in cammino, questi durante la cena. In Giacobbe quindi sono indicati i “pelle­grini" (viatori), in Giovanni i beati comprensori: quelli sono in cammino, questi sono già arrivati alla patria. Leggiamo nella Genesi che Giacobbe, uscito da Bersabea, si dirigeva verso Aram. Volendo riposarsi, si mise sotto la testa una pietra e si addormentò. In sogno vide una scala drizzata e gli angeli che salivano e scendevano su di essa, e il Signore stava alla sommità (cf. Gn 28,10-13).
Giacobbe è figura del giusto ancora pellegrino e alle prese con molteplici conflitti; egli esce da Bersabea, che s’interpreta “settimo pozzo”, e raffigura la cupidigia del mondo, che è come un pozzo senza fondo, come il “settimo giorno” di cui si legge che non ha fine; e si dirige verso Aram, che s’interpreta “eccelso”, cioè verso la Gerusalemme celeste. Dice infatti Abacuc: “Salirò e mi unirò al nostro popolo ormai in pace” (Ab 3,16), che ha trionfato sulla nequizia del secolo.
E poiché desidera alleviare la fatica della sua peregrinazione, il giusto si mette sotto il capo una pietra e si addormenta. Il capo è la mente, la pietra è la costanza nella fede, la scala drizzata è la duplice carità verso Dio e verso il prossimo, gli angeli sono i giusti che salgono a Dio con l’elevazione della mente e scendono verso il prossimo con la compassione dell’animo. Quindi il pellegrino, per riposare, ferma la mente sulla saldezza della fede. Si legge nei Proverbi: “Il leprotto, razza paurosa, ha la sua tana nella roccia” (Pro 30,26). Il leprotto, animale timido, è figura del povero nello spirito, che per la sua timidezza è esposto a tutte le ingiustizie, e quindi colloca il letto della sua speranza nella roccia della fede, dove può riposare e dormire e vedere in se stesso, eretta, la scala della carità.
E osserva che il Signore sta alla sommità della scala per due scopi: per reggerla, e per accogliere coloro che salgono su di essa. Infatti egli sostiene il peso della nostra fragilità, affinché possiamo salire con le opere della carità; e accoglie coloro che salgono, affinché con lui che è eterno e beato, siamo eterni e beati anche noi. E allora in quella cena dell’eterna sazietà, riposeremo anche noi, con Giovanni, sul petto di Gesù. Il cuore nel petto è l’amore nel cuore. Riposeremo perciò nel suo amore, perché lo ameremo con tutto il cuore e con tutta l’anima, e in lui troveremo ogni tesoro di sapienza e di scienza.
O amore di Gesù! O tesoro nascosto nell’amore, o sapienza di ineguagliabile sapore e scienza che tutto conosce! “Mi sazierò quando apparirà la tua gloria” (Sal 16,15). E “Questa è la vita eterna: che conoscano te, unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo (Gv 17,3). A lui la lode e la gloria per i secoli eterni. Amen.

III. sermone allegorico

6. “Un’aquila grande dalle grandi ali e di grande apertura alare, piena di piume variopinte, venne sul Libano e portò il midollo del cedro” (Ez 17,3). L’aquila, così chiamata per l’acutezza della sua vista (lat. aquilaacumen), è figura del beato Giovanni, che elevato al di sopra di sé con l’acutissima intuizione della sua mente, poté contemplare e raccontarci l’Unigenito Figlio che sta nel seno del Padre, il Verbo che era fin dal principio (cf. Gv 1,18.1). “E noi sappiamo che la sua testimonianza è verace” (Gv 21,24).
Dice Ezechiele: “Ognuno dei quattro animali aveva fattezze di uomo; poi fattezze di leone a destra e fattezze di toro a sinistra, e fattezze d’aquila al di sopra dei quattro” (Ez 1,10). Nella destra è indicata la prosperità, nella sinistra l’avversità. Matteo e Marco, che sono raffigurati nell’uomo e nel leone, furono a destra: scrissero infatti dell’incar­nazione e della predicazione di Cristo, fatti nei quali ci fu della prosperità. Luca poi è raffigurato nel toro, che veniva offerto nei sacrifici; infatti incomincia dal sacerdozio e quindi accompagna Cristo fino all’immolazione nel tempio e sull’altare della croce, dove c’è l’avversità della passione. Giovanni in fine è raffigurato nell’aquila, che vola più in alto di tutti gli uccelli: e proprio lui svelò e penetrò più profondamente degli altri nel mistero; per questo è detto di lui: “al di sopra dei quattro”.
Fa però meraviglia che dica: “al di sopra dei quattro”, perché anche lui è uno dei quattro. Egli era dunque al di sopra di sé stesso. Veramente al di sopra di se stesso perché parlò al di sopra di quanto possa parlare un uomo, e quindi è chiamato: “grande aquila dalle grandi ali”.
Quanto grandi fossero le ali di quest’aquila lo dice la lettura della messa di oggi, presa dal libro dell’Ecclesiastico: “In mezzo alla chiesa aprì la sua bocca” (Eccli 15,5). Ed è ciò che dice anche l’Apocalisse: “Vidi poi e udii la voce di un’aquila che volava nell’alto del cielo” (Ap 8,13), nel quale è simboleggiata la chiesa, nel cui centro, e cioè per tutti comunitariamente, “aprì la sua bocca”. “E il Signore lo riempì dello spirito della sapienza e dell’intelligenza” (Eccli 15,5). Ecco le due grandi ali con le quali volò fino al mistero della divinità: “In principio era il Verbo”, ecc. (Gv 1,1).

7. L’aquila era “di grande apertura alare”. Le virtù sono come le ali dell’anima che si estendono grandemente quando si aprono alla opere di carità. E questo concorda con ciò che è detto nella lettura della messa di oggi: “Chi teme Dio fa il bene, e chi pratica la giustizia otterrà anche la sapienza: essa gli andrà incontro come una madre onorata, e lo accoglierà come una vergine sposa” (Eccli 15,1-2). Il beato Giovanni, poiché onorava Dio con filiale e casto timore, fece il bene, cioè si profuse in opere di carità. E questo ti balzerà agli occhi più chiaro della luce se leggi la sua epistola, nella quale scrisse sulla carità in modo straordinario, in quanto l’aveva in sé. “Incominciò infatti a fare e poi ad insegnare” (At 1,1). E praticò anche la giustizia perché, come è detto nell’Ecclesiastico: “Era come un vaso di oro massiccio, ornato di ogni pietra preziosa” (Eccli 50,10). E poiché aveva in sé la giustizia, cioè la verità del vangelo, la praticò, cioè ne raccolse i frutti.
Dice il Signore nel vangelo: Chi lascia il padre, la madre, la moglie, riceverà il centuplo, ecc. (cf. Mt 19,29). Il beato Giovanni lasciò, per il Signore, sia la madre che la sposa; e il Signore gli diede un’altra madre, non una madre qualsiasi, ma la sua stessa Madre. Infatti dice: “Gli andrà incontro come una madre onorata”. La beata Maria, Madre del Figlio di Dio, onorata di doni di virtù e di privilegi di grazie, andò incontro al beato Giovanni ai piedi della croce: stavano lei a destra e lui a sinistra; e lì, come vergine sposa, lo accolse, vergine lei e vergine lui.
Narra Giovanni: “Gesù, vedendo la Madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla Madre: Donna, ecco il tuo figlio. Poi disse al discepolo: Ecco tua madre. E da quel momento il discepolo la prese con sé” (Gv 19,26-27), come sua madre, o in custodia. O perla splendente di verginità, beato Giovanni, che meritò di essere accolto come figlio dalla Madre del Figlio di Dio e di avere per madre la Madre di Dio!

8. Della sua intemerata verginità è detto quindi: “Aquila piena di piume variopinte”. E in Giobbe troviamo: “Morirò nel mio piccolo nido, e moltiplicherò i miei giorni come la palma” (Gb 29,18).
L’uccello costruisce il suo nido imbottendolo all’inter­no di piume e rendendolo soffice tutt’all’intorno, e ciò per due ragioni: perché le uova non si rompano a contatto con i ramoscelli, e i piccoli, ancora implumi, trovino riposo e calore tra il soffice delle piume. Il piccolo nido del beato Giovanni fu il suo umile sentire. E osserva che non è detto nido, ma piccolo nido. La verginità infatti si conserva con l’umiltà. La vergine superba non è vergine, ma corrotta. Nel diminutivo nìdulus, piccolo nido, è indicata appunto l’umiltà. Il suo nido fu costruito di soffici piume, ornato cioè della soavità della purezza verginale: in esso le uova dei suoi pensieri restarono intatti e i frutti delle opere trovarono impulso e silenzio.
Quest’aquila dunque fu “piena di piume variopinte”, perché dalla purezza della mente pervenne alla stupenda varietà delle opere. Stupenda varietà: gigli mescolati alle rose! Di questi due fiori dice la lettura della messa: “Lo rivestirà di una stola di gloria”, per quanto riguarda la purezza verginale, “accumulerà su di lui un tesoro di gioia e di esultanza” (Eccli 15,5-6), per le sue opere meravi­gliose. E anche se non concluse la sua vita con il martirio, fu martire ugualmente perché fu gettato in una vasca di olio bollente, fu relegato in esilio a Patmos, a Efeso gli fu dato da bere veleno: tuttavia, per grazia di Dio, uscì illeso da tutti questi tormenti, e “moltiplicò come palma i suoi giorni”. La palma non perde il suo verde né con il gelo né con la siccità e il caldo; così il beato Giovanni non perdette la forza d’animo e la verginità del corpo né tra le persecu­zioni né tra le tentazioni.
E così morì nel suo piccolo nido, perché perseverò nella verginità fino alla morte. Oppure, il suo piccolo nido io lo chiamo sepolcro: in esso, celebrati i divini misteri, come oggi discese vivo e si coricò, come volesse dormire2.

9. “Venne sul Libano e portò il midollo del cedro”. Il monte Libano, che s’interpreta “candore”, raffigura la patria celeste, i cui abitanti (Nazarei) sono più candidi della neve (cf. Lam 4,7). E nell’Apocalisse: “Essi cammineranno con me in bianche vesti, perché ne sono degni” (Ap 3,4).
Il cedro, pianta altissima (cf. 4Re 19,23; Is 2,13), simboleggia l’altezza della divinità. Volò dunque l’aquila dalle grandi ali fino alla patria celeste e portò il midollo del cedro, quando disse: “In principio era il Verbo”, ecc. Oppure: il cedro, albero che non marcisce, raffigura l’umanità di Cristo, che non conobbe corruzione, e il cui midollo è la divinità. Prese quindi il midollo del cedro e lo portò a noi quando disse: “Il Verbo si fece carne, ed abitò tra noi” (Gv 1,14). E questo concorda con ciò che dice la lettura della messa: “Lo nutrì con il pane di vita e di intelligenza e lo dissetò con l’acqua della sapienza e della salvezza” (Eccli 15,3). Essere nutriti con il pane di vita ed essere dissetati con l’acqua della sapienza, altro non è che prendere il midollo del cedro.
Preghiamo quindi il beato Giovanni affinché, per le sue preghiere, il Signore ci conceda di disprezzare le cose terrene e innalzarci alle celesti per essere nutriti con il midollo del cedro. Ce lo conceda colui che è benedetto nei secoli dei secoli. Amen.

IV. sermone morale

10. “Una grande aquila”. In senso morale si possono considerare tre cose: La salda fede del giusto o del penitente, la sua speranza sicura, la sua carità perfetta.
La fede salda: “Grande aquila dalle grandi ali, e di grande apertura alare”. L’aquila deve il suo nome all’acutezza della sua vista o anche del becco; e quando il becco s’ingrossa e l’aquila non è più in grado di prendere il cibo, lo arrota, per così dire, sfregandolo contro una pietra, e così si dice che si rinnova: “Si rinnoverà come quella dell’aquila la tua giovinezza” (Sal 102,5).
L’aquila ha una vista così acuta, che quando è nell’aria scorge i pesciolini nella profondità dell’acqua. Così il penitente, così il cristiano, con l’occhio del cuore, illuminato dalla fede, giacché tanto vedi quanto credi, scorge i segreti di Dio e li proclama apertamente con la bocca. Dice infatti l’Apostolo in merito all’acutezza dello sguardo e del becco: “Con il cuore si crede per ottenere la giustizia, e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza (Rm 10,10).
Questa in verità è la “grande aquila” – grande infatti e acuto è l’occhio della fede –, che vede il Figlio di Dio mentre scende nel grembo della Vergine, lo vede nato in una stalla, adagiato in una mangiatoia, avvolto in fasce, offerto nel tempio e riscattato con l’of­ferta dei poveri; lo vede mentre fugge in Egitto, pellegrino per il mondo, seduto sopra un asinello, insultato dalla folla, battuto con i flagelli, coperto di sputi, abbeverato di fiele e aceto, sospeso nudo sul patibolo, deposto nel sepolcro, mentre conduce schiava dall’inferno la schiavitù, quando risorge dal sepolcro, mentre sale al cielo, mentre riempie gli apostoli di Spirito Santo, e in fine nel giudizio, quando ricompenserà ciascuno secondo le sue opere.
Ecco l’aquila, grande perché acuta di vista e di rostro (cioè franca di parola). Dice infatti l’Apostolo: “La nostra bocca si è aperta a voi, o Corinzi!” (2Cor 6,11). Ciò che credeva con certezza nel cuore, lo predicava a chiare parole, libero da ogni condizionamento.
“Dalle grandi ali”. Su questo abbiamo la concordanza dell’Apocalisse: “Furono date alla donna due ali della grande aquila, perché volasse nel deserto verso il suo rifugio” (Ap 12,14). La donna è l’anima del penitente, della quale Isaia dice: “Come una donna abbandonata e con l’animo afflitto, il Signore ti ha richiamata” (Is 54,6). Le sue due ali sono la contrizione e la confessione, con le quali vola nel deserto della penitenza, in cui trova il rifugio di pace e di tranquillità.
E osserva che queste ali sono dette grandi. Infatti le ali della vera contrizione hanno quattro grandi penne. La prima è l’amarezza dei peccati passati, la seconda è il fermo proposito di non ricadervi, la terza è il perdono di ogni offesa dal profondo del cuore, la quarta è la ripara­zione verso tutti coloro che sono stati offesi.
E anche nell’ala della confessione ci sono quattro grandi penne. La prima è umiliarsi con la mente e con il corpo davanti al sacerdote. Maria [Maddalena], dice il vangelo, sedeva ai piedi del Signore (cf. Lc 10,39); e Isaia: “Scendi, siedi nella polvere, o vergine figlia di Babilonia; siedi in terra” (Is 47,1). Scendi con l’umiltà della mente, siedi nella polvere o nella terra con l’umiliazione del corpo. La seconda è l’accusa completa e particolareggiata dei propri peccati: “Accuserò me stesso” (Sal 31,5); e di nuovo: “Sono io che ho peccato, io che ho agito iniquamente” (2Re 24,17). La terza è la precisazione delle circostanze del peccato, che consiste nella risposta a queste domande: Che cosa? Chi? Dove? Per mezzo di chi? Quante volte? Perché? In che modo? Quando? La quarta è l’accettazione rispettosa e pronta della penitenza ordinata dal sacerdote, in modo da poter dire con Samuele: “Parla, Signore, che il tuo servo ti ascolta!” (1Re 3,9).
E per ciò che riguarda la soddisfazione, cioè l’esecuzione della penitenza, aggiunge: “e di grande apertura alare”. Infatti la mano, che prima era come rattrappita nel dare l’elemosina, ora si apre e si distende. Marco racconta che c’era nella sinagoga un uomo che aveva una mano inaridita. E il Signore gli disse: Stendi la tua mano! E quello la distese e riebbe l’uso della mano (cf. Mc 3,1-5). Le ginocchia erano deboli e quasi contratte; i piedi non erano più in grado di svolgere la loro funzione, perché ne erano stati privati dalla pigrizia, come è detto nei Proverbi: “Dice il pigro: C’è una leonessa sul sentiero, c’è un leone sulla strada; e come la porta gira sui cardi­ni, così il pigro si rigira nel suo letto” (Pro 26,13-14). Ma ora corre e piega le ginocchia alla preghiera. Ecco “la grande aquila, dalla grande apertura alare”.

11. La speranza sicura. “Piena di piume variopinte”. Su questo c’è un riferi­mento in Giobbe: “Forse che al tuo comando si alzerà in alto l’aquila e porrà il suo nido in luoghi ardui?” (Gb 39,27). Infatti il penitente, o anche il religioso, si solleva dalle cose terrene con le ali suddette, al comando del Signore che dice: “Venite dietro a me” (Mt 4,19), ecc., e anche: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti” (Mt 8,22); “e mette il suo nido in luoghi ardui”, pone cioè la sua speranza nel premio della vita eterna. Fabbrica questo nido con le piume della pazienza e della bontà. Con queste piume aveva fabbricato il suo nido anche Giobbe, quando diceva: “Anche se mi ucciderà, io spererò in lui” (Gb 13,15). Si può render facile il patire, se non viene meno la pazienza (Ovidio).
“Piena di piume variopinte”. Quando si moltiplicano le tentazioni e le persecuzioni, il giusto fabbrica il suo nido con le piume della pazienza, con esse copre se stesso e le sue opere e così con la sua pazienza salva la sua anima (cf. Lc 21,19).



12. La carità perfetta. “Venne sul Libano e portò il midollo del cedro”. Il cedro, che con il suo aroma mette in fuga i serpenti, è figura della carità che scaccia dal cuore del giusto i serpenti dell’invidia, dell’ira, del rancore e dell’odio.
Nella prima lettera ai Corinzi (1Cor 13,4-5), l’Apostolo dice: “La carità non è invidiosa” perché, nulla bramando in questo mondo, ignora l’invidia dei successi altrui; “non agisce ingiustamente” perché, operando solo per amore di Dio e del prossimo, rifugge da tutto ciò che non è retto; “non pensa male” perché, con la mente ferma all’amore della purezza, mentre estirpa dalle radici qualsiasi odio, si guarda bene dal rimuginare nella mente ciò che contamina; per questo è detto che sta sul monte Libano, che s’inter­preta “candore”, al quale va il giusto a prendere il midollo del cedro. Il midollo simboleggia la dolcezza della contemplazione o anche la compassione verso il prossimo; infatti innalzan­dosi all’amore di Dio, è impregnato della sua dolcezza; quando poi si volge all’amore del prossimo, allora usa il midollo della compassione.
Preghiamo dunque il Signore Gesù Cristo che ci conceda di volarcene lontano dai peccati con le ali della contri­zione e della confessione e di mettere il nido della speranza nelle cose celesti e di prendere così il midollo della duplice carità: carità verso Dio e carità verso il prossimo. Ce lo conceda colui che è benedetto nei secoli. Amen.
AMDG et BVM


sabato 1 marzo 2014

I Giovanni di Gesù eucaristico.



I Giovanni di Gesù eucaristico.

«Sacerdoti miei prediletti, oggi è la vostra festa.
È il giorno che ricorda l'ultima Cena, l'istituzione della Eucarestia e del 
nuovo Sacerdozio nel Cenacolo di Gerusalemme.
È la vostra festa, perché spiritualmente nel Cenacolo eravate presenti 
anche voi, a cui è stato partecipato il Sacerdozio ministeriale di Gesù.
Sono la Mamma di voi Sacerdoti, perché da Gesù mi siete stati affidati, in 
maniera particolare, nella persona del vostro fratello Giovanni.

Entrate oggi nel Cenacolo del mio Cuore Immacolato.
Apritemi la porta della vostra casa sacerdotale, perché vi possa entrare 
come Mamma che vi ama, vi forma e vi conduce, assecondando anche 
il desiderio che oggi, con la sua lettera, vi ha comunicato il mio Papa, 
primo figlio della mia materna predilezione.
È questo il modo più bello di vivere il giovedì santo dell'anno mariano, 
a Me consacrato. 
Allora Io vi conduco a realizzare pienamente il mistero di amore del vostro 
Sacerdozio; vi aiuto ad essere fedeli agli impegni che avete assunto, 
in particolare a quello del celibato; vi indico il cammino che dovete 
percorrere per rispondere a un così grande dono, che vi è stato dato da
mio figlio Gesù.

Vi porto ad essere Sacerdoti secondo il suo Cuore divino e misericordioso.

- Per questo vi faccio crescere in una profonda intimità di vita con 
Me, in maniera semplice e spontanea, in modo che Io possa vivere con voi, 
nella dimora della vostra vita sacerdotale,
come vivevo nella sua casa con l'apostolo Giovanni.

Guardate i bambini come si lasciano condurre dalla mamma, 
seguono le sue indicazioni, ascoltano i suoi insegnamenti, si attendono 
tutto da lei.
Così fate anche voi.
Abituatevi a fare ogni cosa con Me: quando vi alzate, pregate, celebrate 
la santa Messa, recitate la liturgia delle Ore, siete assorbiti dalla 
vostra attività apostolica.
Anche quando rendete più bella la Chiesa, volete fare cose nuove, 
fatele con Me, in spirito di filiale confidenza e di abituale dipendenza.
Allora mai nulla turberà la pace del vostro cuore.
Se il mio Avversario farà di tutto per portarvi al turbamento, troverà 
attorno a voi una corazza impenetrabile e voi sarete sempre immersi in 
una pace inalterabile, sarete condotti alla cima più alta della quiete interiore 
e della contemplazione.

- Vi conduco anche ad una abituale intimità di vita, di amore, 
di adorazione, di ringraziamento e di riparazione a Gesù presente nella 
Eucarestia.
Con lo slancio della fede che vi illumina, con la fiamma dell'amore che vi 
consuma, con la forza di amanti sinceri, di sentinelle vigilanti, voi dovete 
andare al di là dell'apparenza per sperimentare nell'anima la presenza di 
Gesù nella Eucarestia, perché, sotto il candido velo di ogni Ostia 
consacrata,  Gesù è realmente presente fra voi.

Voi non lo potete vedere; è come se foste qui e Lui fosse al di là di una 
porta chiusa.
C'è soltanto questo diaframma, che vi impedisce di vederlo con gli occhi, 
di ascoltarlo con le orecchie, di comunicare con Lui attraverso i sensi 
esterni del corpo.
Ma voi dovete andare oltre le apparenze per fare comunione con Lui, 
attraverso le potenze dell'anima.

Guidaci o Madre, alla salvezza eterna. 

La potenza dell'intelletto vi fa vedere Gesù nello splendore del suo Corpo 
glorioso, come è apparso a Me dopo la sua resurrezione, tutto luce, col 
volto incantevole, con i capelli d'oro, coi suoi occhi di un azzurro intenso, 
coi suoi piedi, che hanno tanto camminato per voi, ancora
illuminati dalle piaghe che lo hanno trafitto, con un sorriso di una bontà 
infinita e con il suo Cuore ferito, da cui scaturiva una fonte luminosa di 
amore e di Grazia.
Vedetelo, con la luce dell'intelletto, nello splendore della Sua divinità.
Gesù vi si rivelerà ancora di più, si comunicherà maggiormente a voi e 
così lo contemplerete in una maniera più bella, di come lo potreste 
vedere con i sensi del corpo.

La potenza della volontà vi orienta a fare sempre il suo divino Volere.
Come una bussola è diretta verso il polo nord, così la vostra volontà viene 
attirata irresistibilmente dal Suo Volere.
Quando qualche volta da esso vi discostate, quasi senza accorgervi, vi è in 
voi una forza che vi dirige nella giusta direzione, perché la vostra volontà 
viene assorbita dalla sua divina Volontà.
Allora la vostra mente diventa sempre più illuminata, perché voi pensate 
come Lui pensa, volete quello che Lui vuole e così vivete in una intimità 
di vita con Gesù che, nella vostra esistenza sacerdotale, adempie ancora 
oggi la sua divina missione di fare la Volontà del Padre:
"- Io vengo, o Dio, a compiere la tua Volontà. - Non la mia, ma la tua 
Volontà sia fatta".

Con la potenza dell'amore venite attirati irresistibilmente dal suo Cuore 
divino e misericordioso.
Figliolini miei, il vostro cuore si immerga completamente nel suo 
Cuore Eucaristico, perché possiate entrare in una personale intimità di 
vita con Lui.
Allora Gesù prende il vostro piccolo cuore, lo apre, lo dilata, lo riempie 
del Suo amore. Lui ama in voi e voi amate in Lui e così venite sempre 
più immersi nel vortice stupendo della sua divina e perfetta carità.
Allora come Giovanni era l'apostolo prediletto, chiamato ad avere una 
profonda intimità di vita con Gesù, vivente nel suo Corpo umano, così voi 
diventate i nuovi Giovanni, chiamati ad avere una profonda intimità di vita 
col suo Corpo glorioso, realmente presente in stato di vittima e
nascosto sotto le apparenze del Pane consacrato, che è custodito in 
ogni Tabernacolo della terra.

Figli prediletti, cercate Gesù per appagare la vostra sete di beatitudine; 
andate da Lui per soddisfare il vostro grande bisogno di amore; 
posate anche voi il capo sul suo Cuore, per sentire il suo battito; 
vivete sempre con Lui, voi che siete chiamati ad essere i Giovanni di
Gesù Eucaristico.

- Vi confido ora il mio materno volere che Gesù Eucaristico trovi, 
nelle vostre Chiese, la sua regale Reggia, dove viene onorato ed 
adorato dai fedeli, ove è anche perennemente circondato
da innumerevoli schiere di Angeli, di Santi e di anime purganti.

Fate in modo che il Santissimo Sacramento venga ancora circondato 
di fiori e di luci, come segni indicativi del vostro amore e della vostra 
tenera pietà. Esponetelo frequentemente alla venerazione dei fedeli; 

moltiplicate le ore di adorazione pubblica per riparare l'indifferenza,
gli oltraggi, i numerosi sacrilegi e la terribile profanazione, a cui viene 
sottoposto durante le
messe nere, un culto diabolico e sacrilego, che sempre più si diffonde e 
che ha come vertice atti innominabili ed osceni verso la Santissima 
Eucarestia.
Per questo il mondo è immerso nella notte più profonda, nella tenebra 
del peccato e della impurità, dell'egoismo e dell'odio, dell'avarizia e 
della empi età ed ormai pare che non vi sia più nulla capace di 
trattenerlo dal cadere in un abisso senza fine.
Ma la grande ora della giustizia e della divina misericordia è ormai giunta.
A voi, miei Sacerdoti prediletti, che siete chiamati ad essere la Luce 
del mondo, tocca ora il compito di illuminare la terra, in questi giorni 
di densa oscurità.
Allora oggi vi domando di lasciarmi entrare nella casa della vostra vita 
sacerdotale, perché è giunta anche l'ora del trionfo in voi 
del Cuore Immacolato della vostra Mamma Celeste».

(Dongo (Como), 31 marzo 1988. Giovedì Santo. MSM)


domenica 16 giugno 2013

S. GIOVANNI EVANGELISTA.



1. VIRTÙ E PREROGATIVE DI S. GIOVANNI EVANGELISTA. - 

S. Giovanni evangelista è profeta..., apostolo..., evangelista..., sacerdote..., pontefice..., vergine..., martire... Perché vergine, esce sano e salvo dalla caldaia dell'olio bollente; non ne è né scottato, né offeso... Egli ha l'insigne favore, l'invidiabile fortuna di riposare sul petto del divin Maestro... Gesù Cristo sceglie lui, morendo, lui ch'era vergine, a custode della Vergine sua madre...



 S. Giovanni è il solo che apertamente parli della divinità di Gesù Cristo, dell'origine del Verbo, della sua eternità, della sua generazione, della ispirazione dello Spirito Santo, della Santissima Trinità, dell'umiltà della divinità, delle relazioni, degli attributi divini... Mentre S. Matteo, S. Marco, S. Luca raccontano i misteri e le opere dell'umanità di Gesù Cristo, S. Giovanni s'innalza, come aquila, nel sommo dei cieli e si spinge fino nel seno di Dio, a contemplare la divinità, per parlarne poi con meravigliose e sublimi parole...


 L'Unigenito, che è nel seno del Padre, dà a conoscere al suo discepolo vergine, al suo apostolo diletto, gli arcani, i misteri, i sacramenti della divinità nascosti fin dall'origine del mondo. Giovanni ce li svela e come un sole risplendente, spande su l'universo la luce della divinità del Verbo e lo investe dell'amore divino. Il Crisostomo non si perita di asserire che San Giovanni aveva istruito, col suo Vangelo, gli angeli medesimi intorno ai segreti del Verbo incarnato, da essi prima ignorati; dimodoché si può chiamare il dottore dei cherubini e dei serafini (Praef. in S. Ioann.).


Auxilium Christianorum o.p.n.

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martedì 11 giugno 2013

San Giovanni Apostolo . « Iste custos Virginis - « Costui è il custode della Vergine »



LA FESTA DI S. GIOVANNI APOSTOLO ED EVANGELISTA
e gli omaggi di santa Gertrude



Un giorno, durante l'Avvento, mentre Geltrude pregava l'Apostolo ed evangelista S. Giovanni, lo vide avvolto in un paludamento giallo, cosparso di aquile d'oro. Quegli abiti volevano significare che S. Giovanni, durante la sua vita mortale, benchè elevato in altissime sfere per l'estasi della contemplazione, pure aveva saputo abbassarsi nella valle profonda di una convinta umiltà. 

Osservando più attentamente quegli abiti, Geltrude si accorse che le aquile d'oro erano adorne di un bordo rosso. Quel colore significava che S. Giovanni, per elevarsi nella contemplazione, prendeva sempre, come punto di partenza, il ricordo della Passione di Gesù di cui era stato testimonio oculare, soffrendo nell'intimo del cuore, compassione fervidissima. Così, salendo di grado in grado, trasvolava fino alle più sublimi altezze della mistica e là fissava, col suo sguardo d'aquila, il centro del vero Sole, cioè la Maestà divina. 

Egli portava anche due gigli d'oro: uno sulla spalla destra, l'altro sulla sinistra; su quello di destra erano mirabilmente incise queste parole: « Discipulus quem diligebat Jesus - Il discepolo che Gesù amava»; su quello di sinistra queste altre: « Iste custos Virginis - « Costui è il custode della Vergine ». Prove evidenti che Giovanni fu prediletto da Gesù e custode del giglio purissimo del cielo, cioè della Vergine Madre.


Giovanni portava anche un magnifico ornamento sul petto, per ricordare il privilegio avuto di riposare alla Cena sul dolcissimo petto di Gesù; su di esso erano incise, a caratteri d'oro brillante, queste lettere: « In principio erat Verbum » per indicare la forza vigorosa con cui inizia il suo Vangelo. Geltrude chiese al Signore: « Perchè mai, amorosissimo Gesù, presenti a me indegna il tuo prediletto discepolo? ». Rispose l'amabile Maestro: « Voglio stabilire fra te e Lui una amicizia tutta speciale; poichè non hai nessun Apostolo che ti sia protettore, ti accordo S. Giovanni come tuo fedele Patrono presso di me in cielo ». 

Riprese ella: « Insegnami, dolcissimo Salvatore, quale omaggio potrò renderGli, per essere a Lui gradita ». « Chiunque vorrà rendersi propizio questo apostolo - riprese Gesù - potrà dire ogni giorno un Pater Noster in onor suo per ricordargli i sentimenti di dolce fedeltà che irradiarono dal suo cuore quando insegnai quella preghiera, onde ottenere la grazia di perseverare nel mio amore fino alla morte ».


Nella solennità delle stesso Apostolo, mentre Geltrude assisteva con maggior divozione a Mattutino, il discepolo che Gesù tanto teneramente amava, (e che perciò deve essere da tutti particolarmente amato), le apparve colmandola di tenerezza. Ella gli raccomandò parecchie Consorelle che si erano affidate alle sue preghiere: il Santo ricevette benevolmente i voti di tutti, dicendo: « Io assomiglio al mio Signore, amo quelli che mi amano ». Geltrude insistette: « Quale grazia potrò io ottenere in questa dolce solennità? ». Rispose il Santo: « Vieni meco, tu che sei l'eletta del mio Dio. Riposiamo insieme sul seno di Gesù, dove sono racchiusi i tesori tutti del cielo ». Così dicendo la condusse davanti al Redentore e la dispose in modo che il capo di Geltrude riposasse alla destra, ed il suo alla sinistra del petto di Gesù.


Mentre entrambi riposavano soavemente sul Cuore divino, Giovanni, segnando con rispettosa tenerezza il petto di Gesù Cristo, disse: « Ecco il Santo dei Santi che a se attrae tutto il bene del cielo e della terra ». Allora Geltrude chiese a Giovanni perchè mai avesse scelto il lato sinistro, lasciando a lei il destro. Gli rispose: « Ho scelto la parte sinistra, perchè, avendo vinto le battaglie della vita, sono diventato un unico spirito con Dio, e posso penetrare là, dove non può giungere la carne. Ti ho posta all'apertura del divin Cuore, perchè, vivendo tu ancora in terra, non avresti potuto penetrare i segreti nascosti ai aviatori mentre là, ti sarà facile attingere la dolcezza e le consolazioni che la forza del divino amore diffonde continuamente su coloro che ne mostrano il desiderio ».

Intanto i battiti del Cuore di Gesù rapivano l'anima di Geltrude. « O prediletto del Signore », chiese ella a S. Giovanni, « questi palpiti armoniosi che allietano tanto l'anima mia, letiziarono anche la tua quando riposasti, durante la Cena, sul petto del Salvatore? ». « Sì, li sentii e la soavità loro passò l'anima mia fino alla midolla, come il profumato idromele impregna della sua dolcezza un morsello di pane fresco; di più l'anima mia divenne ardente, come vaso posto su di un fuoco violento ». 

Riprese Geltrude: « Come mai dunque, nel Vangelo, hai lasciato solo intravvedere i segreti amorosi del Cuore di Cristo, celando sotto silenzio quello che pure avrebbe servito per il profitto delle anime? ». Rispose egli: « Il mio ministero, in quei primi tempi della Chiesa, doveva limitarsi a dire sul Verbo divino, Figlio eterno del Padre, poche altissime parole che l'intelligenza umana potesse sempre meditare, senza mai esaurirne la ricchezza; agli ultimi tempi era riservata la grazia di sentire la dolce eloquenza dei battiti del Cuore di Gesù. A questa intuizione suprema il mondo invecchiato ringiovanirà, si scuoterà dal torpore e verrà infiammato dal fuoco del divino amore ».

Mentre Geltrude ammirava la bellezza di S. Giovanni, il quale le era apparso riposando sul petto del Signore, sentì queste parole a lei dirette dall'Apostolo prediletto: « Io mi sono sempre mostrato a te, sotto la forma che avevo in vita, quando riposavo sul seno del Salvatore, mio unico Amico e sommo bene. Se tu vuoi, otterrò che tu mi veda tale e quale sono adesso in cielo, ove gusto le delizie della Divinità ».

Geltrude accettò il desiderato favore. Ben presto ella vide l'oceano immenso della Divinità, chiuso nel seno di Gesù; e in tale oceano scorse S. Giovanni, sotto forma di un'ape navigante, quasi piccolo pesce, con libero movimento e gioie ineffabili. Ella comprese pure che S. Giovanni si portava, di preferenza, ove la corrente della Divinità sfocia verso gli uomini.

L'Apostolo prediletto, inebbriato da quel torrente di gaudio, pareva far uscire dal suo cuore una specie. di cannula, dalle quali scorrevano abbondantemente su tutta la terra gocce di soavità divina. Erano l'emblema degli insegnamenti della sua dottrina salutare, e particolarmente del Vangelo: In principio erat Verbum.


Un'altra volta, ancora nella stessa festa, ella gustava delizie ineffabili, sentendo celebrare, con parole soavissime, l'integrità della verginità di S. Giovanni. Volgendosi all'insigne amico di Gesù, lo supplicò di ottenerle con le preghiere una custodia così delicata della castità, da poter associarsi nell'eterna vita, alle sue stesse lodi per la gloria di Dio. Geltrude ebbe da S. Giovanni questa risposta: « Per poter condividere il premio della vittoria, nell'eterna beatitudine, bisogna correre la mia stessa carriera durante la terrena vita ». 

Ed aggiunse: « Nel mio pellegrinaggio sulla terra, mi sono ricordato assai spesso della tenera familiarità con la quale l'amabilissimo Gesù mi ha guardato, ricompensando quel senso di candore che mi ha fatto abbandonare la sposa e rinunciare alle nozze per seguirlo. 
Fui poi sempre vigilante per non offendere nè con parole, nè con opere questa squisita virtù, così cara al mio adorato Maestro. 
Gli altri Apostoli si contentavano di evitare ciò che poteva essere sospetto, ma nel resto, agivano con una certa libertà. "Erant cum mulieribus et Maria, Matre Jesu" dicono gli atti degli Apostoli (Atti 1, 14). In quanto a me agivo con tale precauzione che, senza esimermi di sovvenire alle necessità corporali o spirituali delle donne, pure non ho mai cessato di circondarmi di riguardi; avevo l'abitudine, in questi casi, d'invocare la divina Bontà ed è appunto per questo che si canta di me: "In tribulatione invocasti me et exaudivi te" (Sal. LXXX, 8), perchè Il Signore non permise mai che il mio affetto ferisse la purezza di nessuno. Per ricompensarmi, l'amatissimo mio Maestro, volle che la virtù della castità fosse lodata più in me che in altri, e m'ha dato in cielo un posto di speciale dignità. Negli splendori fulgidissimi d'una gloria meravigliosa, ricevo direttamente con delizia inebbriante, l'irradiazione di quell'amore che è lo specchio senza macchia e lo splendore della luce eterna (Sap. XII, 26). 
Ogni volta che nella Chiesa si fa memoria della mia castità, Gesù mi saluta con un gesto pieno di tenerezza e colma il mio cuore di gioie ineffabili. Tale gaudio, come dolce liquore, penetra la parte più intima dell'anima mia; perciò si canta a mia lode: "Ti porrò come un sigillo alla mia presenza" (Agg. 11, 24), cioè come il ricettacolo che deve ricevere l'impronta del mio amore più ardente e più soave».

Geltrude, inalzata a conoscenze di ordine più elevato, comprese che, secondo le parole del Signore: In domo Patris mei mansiones multae sunt - Vi sono molte mansioni nella casa del Padre mio (Giov. XIV, 2), vi erano specialmente tre dimore, nelle quali coloro che avevano custodito l'íntegrità della verginale purezza, godono la beatitudine eterna. 

La prima è per coloro che, come fu detto degli Apostoli, fuggirono ciò ch'era sospetto, ma accolsero ragionevolmente ciò che non lo era. Se qualche tentazione assalì la loro anima, seppero vincerla generosamente; se talora soccombettero, si rialzarono però subito, mediante la penitenza.


La seconda dimora è per coloro che, in ogni occasione sospetta, o meno, fuggirono assolutamente ogni causa di tentazione. Essi castigarono la loro carne e la ridussero in servitù, al punto che non avrebbe potuto ricalcitrare allo spirito. In questa seconda dimora vennero collocati S. Giovanni Battista e molti altri santi personaggi; da una parte, la bontà di Dio li ha gratuitamente santificati, dall'altra essi cooperarono alla grazia, fuggendo il male e praticando il bene.


La terza dimora è per coloro che, prevenuti dalla dolcezza delle divine benedizioni, sembrano avere orrore naturale al male; così, quando le circostanze li mettono in comunicazione coi buoni, o coi cattivi, serbano saldamente la stessa ripugnanza per il male e lo stesso fervore per il bene, decisi di serbare l'anima loro senza macchia alcuna. Queste persone, conoscono bensì le debolezze della natura, ma ne ritraggono profitto, quando nell'esercizio dei doveri di carità, sentono che devono diffidare del loro cuore; trovano occasione di umiliarsi e di vigilare maggiormente su loro stessi, secondo queste parole di S. Gregorio: « E' la caratteristica delle anime virtuose di temere il peccato, anche là dove esso non esiste ». Fra questi S. Giovanni Evangelista ha il primo posto. Perciò nella sua festa si canta « Colui che sarà vincitore », cioè dell'affezione umana, « sarà una colonna del mio tempio », cioè la salda base che sopporterà l'abbondanza delle delizie divine. « E scriverò su di lui il mio nome », manifestando che l'ho segnato con la dolcezza della divina familiarità. « E il nome della città, la nuova Gerusalemme », cioè riceverà interiormente ed esteriormente una ricompensa speciale per ciascuna persona di cui avrà promosso la salvezza eterna.

A ciò si riallaccia un'altra visione che ebbe più tardi. Ella si domandava perchè mai si esaltasse tanto la verginità di S. Giovanni Evangelista, essendo egli stato sul punto di contrarre nozze terrene, mentre S. Giovanni Battista che non aveva conosciuto desideri terrestri, era meno lodato per questa virtù.


Il Signore, che scruta i pensieri e distribuisce i doni, le mostrò questi due Santi in una visione significativa. S. Giovanni Battista era seduto su di un elevatissimo trono, posto su di un mare deserto; S. Giovanni Evangelista si trovava in piedi, in mezzo ad una fornace così ardente, che le fiamme lo circondavano da tutte le parti. Geltrude guardava sorpresa questo spettacolo; il Signore si degnò di dargliene spiegazione: « Ti pare più ammirabile, o che Giovanni Evangelista non bruci, o che Giovanni Battista non sia sommerso? ». Ella capì allora che la ricompensa è assai differente secondo che la virtù è stata fortemente combattuta, oppure tranquillamente conservata nella pace.


Una notte, mentre Geltrude pregava sforzandosi di unirsi a Dio, vide S. Giovanni Evangelista fra le braccia del divino Maestro, prodigargli segni d'immensa tenerezza. Si prostrò allora umilmente la Santa ai piedi del Signore, per ottenere il perdono delle sue colpe. S. Giovanni le disse con bontà: « Non allontanarti per la mia presenza; ecco il tesoro che si presta agli abbracci di mille amanti, ecco le labbra che si offrono ai loro casti baci, ecco le fide orecchie pronte a raccogliere i più intimi segreti».


Durante Mattutino, mentre si cantava: « Mulier, ecce filius tuus - Donna, ecco il tuo Figlio» (Giov. XIX, 26), Geltrude vide scaturire dal Cuore di Gesù uno splendore meraviglioso che investì S. Giovanni, facendo convergere verso di Lui gli sguardi e l'ammirazione di tutti i Santi. La Vergine, che si vedeva proclamata Madre dell'Apostolo prediletto, gli mostrò gioia e tenerezza; Giovanni, a sua volta, la salutò in atto di filiale amore. Quando, durante l'Ufticio, si faceva qualche cenno a S. Giovanni, dicendo per esempio: « Questi è Giovanni che riposò sul petto di Gesù, durante la Cena. E' il discepolo che fu degno di conoscere i celesti, segreti. E' il discepolo che Gesù amava», il Santo Apostolo pareva accendersi in nuovi bagliori di gloria davanti a tutti i Santi, che lodavano Dio con maggior ardore, per glorificare il discepolo prediletto, il quale ne gustava gioie ineffabili.

A quella parola: « Apparuit charo suo Joanni ecc. - Apparve il Signore a Giovanni che amava ». Geltrude comprese che, in quella visita che Gesù fece al suo prediletto, il Signore gli rinnovò le soavi e familiari tenerezze di cui l'Apostolo aveva fatto esperienza durante la vita. Giovanni fu come mutato in un altro uomo e parve gustare già le delizie del banchetto eterno, soprattutto per tre favori, dei quali ringraziò Dio, in punto di morte.

Egli espresse il primo con queste parole: « Ho visto il tuo Volto e mi parve uscire dal sepolcro ». Rivelò il secondo con l'espressione: « I tuoi profumi, o Signore Gesù, hanno eccitato in me brame dei beni eterni ». Infine disse del terzo: « La tua voce è piena di dolcezza paragonabile al miele ». La soave presenza di Gesù gli aveva, conferito, per così dire, la gioia dell'immortalità; in virtù della scelta divina aveva ricevuto la speranza delle più dolci consolazioni; infine la tenerezza delle parole di Cristo, gli aveva fatto gustare il gaudio delle supreme delizie.

A quelle parole: « Giovanni si alzò all'invito del Signore e si mise a camminare, come se volesse seguire il suo Maestro fino ai cielo ». Ella capì che Giovanni aveva una confidenza assoluta nella bontà del suo Signore e confidava che l'Amico suo divino l'avrebbe tolto dal mondo, senza fargli sentire i dolori della morte; giacchè l'amore gli ispirò quella santa audacia, meritò di essere esaudito.

Geltrude si era meravigliata nel leggere che Giovanni non era passato fra gli orrori della morte, ma poi pensò che tale favore gli fosse accordato, perché, ai piedi della Croce aveva sofferto nell'anima la Passione del Maestro, e anche per aver conservata intatta la verginità. Ella non poteva sapere che quella grazia era il premio della sua confidenza. Ma Gesù le disse: « Ho ricompensato la compassione di Giovanni ai piedi della Croce, e la sua integrità verginale con una gloria particolare; ma mi sono compiaciuto di raccogliere la confidenza incondizionata con cui volle onorarmi, ponendo le sue speranze nell'infinita mia bontà; così l'ho tolto dalla prigione del corpo senza che subisse i terrori della morte, e ho glorificato anche il suo corpo verginale, dandogli incorrutibilità ed una specie di glorificazione ».

Benedicite omnia opera Domini Domino!