INTRODUZIONE a JEAN LAFRANCE:
LA PREGHIERA DEL CUORE
Al lettore che si accosta a queste pagine vorrei porre una domanda: “Hai mai sorpreso il tuo cuore in flagrante mentre sta pregando?”.
Quella che sto evocando qui è un’esperienza molto concreta. L’abbiamo già fatta tutti, prima o poi, nella vita, sia grazie all’incontro con un autentico uomo di preghiera, sia per aver letto un libro che ci ha immersi d’un tratto nel mistero della relazione dell’uomo con Dio. Gli scritti di Silvano dell’Athos a me fanno questo effetto: non posso leggerli senza essere subito afferrato da una preghiera che non mi lascia più. Una madre di famiglia mi confidava qualche tempo fa di essere colta da improvvise “vampate di preghiera” nel bel mezzo dei lavori domestici, mentre il tempo riservato all’orazione era arido e difficile.
Quando facciamo questa esperienza la nostra reazione immediata è quella dei pellegrini di Emmaus: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?” (Lc 24,32). Che cosa accade allora? Nessuna psicologia umana può spiegarlo. Nella nostra vita ci sono momenti nei quali intravediamo il regno dei cieli, nei quali la porta segreta del nostro cuore si apre per lasciare che ne scaturisca la preghiera. Immaginate un uomo che abbia vissuto un’esperienza di amicizia fino a vent’anni, che non abbia mai più rivisto l’amico e che da un momento all’altro veda riapparirgli davanti il suo volto: qualcosa di molto fugace, misterioso, ma comunque un’esperienza molto forte. È l’esperienza di chi si avvicina al mare: l’aria non è più la stessa, è carica di iodio. È il vento del cielo, il soffio dello Spirito santo.
Tutti noi l’abbiamo sentito passare un giorno: solo questo può attirarci a Dio e darci il gusto e il desiderio della preghiera. Non è con i ragionamenti che si impara a pregare. Non si entra nella vita di preghiera perché si è convinti che sia più perfetta, ma perché non se ne può fare a meno. Si pensi all’apostolo Paolo dopo l’esperienza sulla via di Damasco: il problema per lui non era trovare Dio, ma saper reggere il faccia a faccia con lui nel giorno della sua visita; non era cercare, ma lasciarsi cercare e trovare da lui. È allora che ha compreso che i suoi desideri erano vanità di fronte alla realtà del volto del Risorto.
Un cuore di preghiera
Tutto questo avviene nel profondo della vita trinitaria sepolta nel nostro cuore. A tratti una ventata di quella vita smarrita nelle profondità dell’essere riemerge alla coscienza e ce ne dà il gusto, l’attrattiva, l’amore. Per parlare della preghiera bisogna parlare in primo luogo della vita trinitaria sepolta nel profondo del cuore dell’uomo. E ciò che rende complesso lo sviluppo di questa vita e fa inceppare il meccanismo è che essa geme in noi in un cuore di pietra. Se non riusciamo a pregare non è per mancanza di tempo o a causa delle distrazioni, ma a causa del nostro cuore di pietra prigioniero di un “corpo di morte” (Rm 7,24).
La preghiera della quale voglio parlare in questo libro è all’incirca l’equivalente di quella che i padri d’oriente hanno chiamato “preghiera del cuore”, cioè la preghiera che cerca la sua sorgente e le sue radici nel profondo del nostro essere, al di là dell’intelletto, della volontà, dei sentimenti e anche delle tecniche di preghiera. Con la preghiera del cuore noi cerchiamo Dio in persona o le energie dello Spirito nelle profondità del nostro essere, e lo incontriamo invocando il nome di Gesù nella fede e nell’amore. Il nome di Gesù è come un dardo, una freccia che trafigge il nostro cuore e libera la gloria del Risorto sepolta in noi dal momento del battesimo.
Quando 8 parliamo di incontro con Dio bisogna intendersi bene sui termini dell’esperienza spirituale. Di fatto, l’uomo non può condividere l’essenza di Dio – perché in questo caso sarebbe Dio – ma può entrare in comunione quanto mai reale con le sue operazioni e le sue energie: “La comunione non è né sostanziale (come nel panteismo), né ipostatica (come nell’unico caso di Cristo), bensì dinamica: nelle sue energie-operazioni Dio è totalmente presente” ( P. Evdokimov, L’amore folle di Dio, Roma 1981, p. 50. 9 )
Quando dico che l’essere umano deve scoprire la preghiera del cuore o, ed è la stessa cosa, sentir battere il suo cuore di preghiera, penso alle energie dello Spirito che abitano il suo cuore (cf. Rm 8,9-11) per trasfigurarlo. Anche il corpo partecipa a questa trasfigurazione fino a essere riplasmato, trasformato e santificato dalla potenza dello Spirito. Essere nati da Dio significa essere stati in un certo senso riaccolti e riplasmati nel seno stesso della Trinità; è come essere ritornati al mondo dopo l’immersione in un’acqua profonda e luminosa, quella della verità del Dio amore (cf. Gv 3). In fondo è prendere sul serio la grande affermazione paolina: “Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito santo, che è in voi? … Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!” (1Cor 6,19-20). Allora la preghiera perde il suo carattere cerebrale, si identifica con la dimensione fisica dell’essere umano e aderisce al ritmo stesso della respirazione.
Questo, a noi in occidente, può sembrare strano. A causa della nostra mentalità cartesiana tendiamo sempre a pensare lo Spirito santo come se avesse una sorta di connaturalità con la dimensione intellettiva dell’uomo, mentre di fatto lo Spirito santo, in quanto Dio, trascende radicalmente sia l’intelligenza dell’uomo che la sua natura corporea e può santificare e trasformare realmente sia il corpo dell’uomo che la sua anima. Ad esempio ci sembra curioso e strano che un grande padre spirituale del vi secolo, Barsanufio di Gaza, fosse uomo di tale trasparenza alla presenza di Dio che non riusciva quasi a reggere una presenza umana.
Era talmente aperto all’invisibile, pur mantenendo tutta la sua vulnerabilità, che riusciva a comprendere in profondità tutti coloro che si rivolgevano a lui e a rispondere in modo del tutto appropriato alle loro domande. Viveva recluso, era un padre spirituale e aveva il discernimento degli spiriti. L’oriente ha chiamato questi uomini padri “teofori” o “pneumatofori”.
Queste persone avevano trovato la preghiera del cuore e realizzavano alla lettera il consiglio di Paolo: “Pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie” (1Ts 5,17-18). Una delle più grandi grazie che un uomo possa ricevere in questo mondo è scoprire che, desiderando unicamente il Cristo, si può vivere facilmente ovunque e riconoscere Dio in ogni circostanza. È nella stessa linea che bisogna pregare Filippesi 4,4-9, versetti che illustrano la tonalità di fondo di questo libro. Se non siamo ancora arrivati a quel punto è perché non abbiamo ancora scoperto la preghiera del cuore. Abbiamo paura di arrivare a quella semplicità perché vogliamo che la nostra preghiera si modelli su uno schema elaborato. Ci vuole molto tempo per arrivare a quella semplicità nel pregare e per riuscire a dimenticare il nostro io, in modo da scegliere ciò che conviene davvero alla nostra preghiera. La sola domanda da porci è: “Questo mi aiuta davvero a trovare Dio?”. L’unità verrà da un cuore che non è attaccato alle sue gioie e bloccato dalle sue tristezze, ma trova Dio in tutte le cose in una dinamica di abbandono.
Troppo spesso noi intendiamo la preghiera come una realtà esterna a noi e ci sforziamo di suscitarla a partire dalle parole, dalle idee, la cerchiamo al di sopra o attorno a noi, magari in quei vecchi tomi in cui si descrivono le tecniche di preghiera. Finché cercheremo di far nascere la preghiera a partire dall’esterno non arriveremo mai a pregare in verità e con continuità.
Prima o poi ognuno arriva a scoprire di avere in sé un cuore di preghiera. Come dice bene André Louf riferendo le parole di un monaco completamente pervaso dalla preghiera e continuamente occupato in essa:
Oggi – disse – ho l’impressione che già da anni portavo la preghiera nel mio cuore senza saperlo. Era come una sorgente ricoperta da una pietra. A un certo momento, Gesù ha spostato la pietra. Allora la sorgente si è messa a sgorgare e da allora continua a sgorgare (A. Louf, Lo Spirito prega in noi, Magnano 1995, p. 24 )
Bisogna dunque scoprire l’uomo nascosto nel profondo del cuore (cf. 1Pt 3,4), secondo la bella espressione dell’apostolo Pietro che illustra la situazione dell’uomo nuovo. Bruno di Querfurt parlerà di “cuore profondo”. Abbiamo detto sopra che l’uomo porta celate in fondo al cuore le energie della resurrezione, il dinamismo dello Spirito santo che non è nient’altro che la grazia battesimale che ci rende “partecipi della natura divina” (2Pt 1,4). Siamo discesi agli inferi con Cristo, nelle acque della morte che sono divenute acque luminose, e siamo stati rivestiti della sua resurrezione, cioè della potenza della sua gloria. Al punto che portiamo nel nostro inconscio non soltanto il subconscio freudiano, che è un infra-conscio, ma anche un supra-conscio, che non è nient’altro che l’energia divina, la grazia battesimale.