...un modello per i sacerdoti: padre Smith, il protagonista di un romanzo di Bruce Marshall. Marshall è uno di quegli scrittori cattolici del Novecento che, molto spesso, hanno messo al centro della loro opera narrativa un sacerdote. Un po’ come padre Brown per Chesterton o don Camillo per Guareschi. Non ho mai compreso davvero il perché di questa scelta, ma è un fatto che gli scrittori contemporanei abbiano riflettuto sulla figura sacerdotale, mettendo in luce non solo la bellezza di questo ministero, ma anche l’umanità dei preti. Un’umanità sovrannaturale.
Padre Smith, dicevamo, è un sacerdote cattolico che si trova, nell’anno del Signore 1908, a dirigere una delle più sgangherate comunità della Scozia. Dice Messa al mercato della frutta, affittato dai cattolici la domenica «perché si potesse offrire il santo sacrificio della messa e Cristo potesse venire ancora, traversando il mattino, nel sacramento bianco e rapido del suo amore». Pensateci bene: un mercato comunale, i cui muri erano «spesso coperti di scritte oscene», non è forse peggio di tante chiese contemporanee? Forse è perfino peggio della chiesa di Foligno progettata da Fuksas. E il canto? Spesso rimaniamo inorriditi dai cori delle parrocchie e abbiamo ragione. Ma anche il coro di padre Smith, proprio come spesso accadeva nelle parrocchie preconciliari, non era un granché: «al solito, fra il canto e la pronunzia non si sapeva quale fosse peggio, ma il padre Smith era sicuro che Dio le avrebbe accolte con orecchio benevolo, perché ciascuna di quelle note stonate voleva essere una lode, cosa che non sempre si poteva dire dei trilli delle soprano stipendiate di Milano, di Siviglia e di Vienna».
Padre Smith ha un sogno: costruire una chiesa come Dio comanda. Una chiesa vera, con l’organo, gli altari laterali, una sagrestia dove raccogliere degnamente i paramenti da usare per il Santo Sacrificio. Lo desidera, ma sa che questo non è l’essenziale. Sa che Cristo è presente anche lì, al mercato ortofrutticolo. Anche tra i muri coperti di scritte oscene: «è difficile, forse, per noi, qui in questo mercato scalcinato e rugginoso, in questa povera Scozia separata, renderci conto che, nella fede e nella dottrina, siamo uniti con le grandi accolte di fedeli di tutte le cattedrali d’Europa. Né il vescovo di Chartres, né il cardinale di Burgos o quello di Varsavia e neanche, mie cari fratelli, il Sommo Pontefice in persona, consacrano il pane e il vino, trasformandoli nel Corpo e nel Sangue di Cristo, più sicuramente di me, vostro indegno parroco».
Ma la fede non muore sotto le bombe.
Come molto spesso accade nei romanzi di Marshall, la guerra entra violenta nella narrazione e, così, padre Smith è costretto a partire per il fronte. Anche in questa occasione, il sacerdote scozzese confessa e dice messa come può, usando una cassa da imballaggio sulla quale posa una pietra consacrata portatile, due candele e un crocifisso. Nulla di più. Ciò che conta è l’essenziale: il Protagonista inchiodato alla Croce.Dice messa e spera che da quella inutile strage possa un giorno germogliare il bene. Alza a Dio una delle più belle preghiere che abbia mai letto: «O mio Dio, fa’ che da questa guerra esca qualcosa di buono; rendi gli uomini coraggiosi nel tuo servizio come lo sono nel servizio della patria; rendi le donne più modeste ma non meno belle; modella la loro verginità su quella della tua Santa Madre e poni i loro piedi nelle orme di lei; calma i giovani onde possano contemplarti; benedici e moltiplica i sacerdoti e i poeti; sradica dai nostri cuori la vanagloria e l’amore del proprio comodo e del piacere; confondi la ricchezza e distruggi la politica; e manda giù la tua grazia a fiumi».
Terminata la prima guerra mondiale, le cose procedono esattamente come prima. La fede però non era aumentata in Scozia. Anzi: gli uomini sembravano allontanarsi sempre di più dal buon Dio. Nel frattempo, in Italia era andato al potere Mussolini, in Russia l’ideologia comunista cominciava a produrre effetti nefasti e, in Germania, Hitler si stava preparando alla guerra.
Scoppia così il secondo conflitto mondiale e, proprio «due giorni prima della data fissata per la consacrazione della chiesa del SS. Nome», quella chiesa tanto desiderata da padre Smith, si sentono fischiare le sirene nel cuore della notte. Padre Smith entra in chiesa, prega e accende le due candele per la messa piana. Durante la celebrazione della messa, una bomba incendiaria sfonda il tetto della chiesa e padre Smith si precipita ad indossare una stola per portar via il Santissimo dall’altar maggiore. Non teme di esser bruciato vivo, padre Smith. Si carica del dolce peso del Santissimo e si dirige verso la cappella delle suore. Qui, il sacerdote sviene. La purificazione era passata attraverso le fiamme vive delle bombe e padre Smith si avvia verso il Calvario, dove, però, nulla è un peso. Anche l’estrema unzione gli pare bella, «poiché in fondo era questo, la morte: un render chiare le cose, un folgorare di luce di dietro gli apparecchi da bombardamento e le reclames di sciroppo di fichi».
La chiesa desiderata era stata rasa al suolo. Le ultime parole di padre Smith sono rivolte al cappellano polacco: «si ricordi d’avvertire che domenica la messa sarà nel mercato della frutta». Si sarebbe ricominciato da lì: dai muri imbrattati di scritte oscene e dal coro sgangherato. Niente era cambiato: la Fede avrebbe continuato a vivere. Non sotto preziose navate, ma nei cuori dei credenti. In fondo, padre Smith non aveva fatto altro che fissare gli occhi sull’Essenziale. Ed è fissando l’Essenziale che dobbiamo ricominciare anche noi.