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giovedì 14 aprile 2016

UN RIPASSO SU "TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE" non fa MAI male, anzi... CINQUE CAPITOLI, 100 NUMERI D'ORO

Istruzione
sulla libertà cristiana e la liberazione


Introduzione

Aspirazioni alla liberazione
1. La coscienza della libertà e della dignità dell'uomo, congiunta con l'affermazione dei diritti inalienabili della persona e dei popoli, è una delle caratteristiche salienti del nostro tempo. Ora, la libertà esige determinate condizioni di ordine economico, sociale, politico e culturale, che ne rendano possibile il pieno esercizio. La viva percezione degli ostacoli, che le impediscono di realizzarsi ed offendono la dignità umana, è all'origine delle potenti aspirazioni alla liberazione che travagliano il nostro mondo.
La Chiesa di Cristo fa sue tali aspirazioni, esercitando il proprio discernimento alla luce del Vangelo, che per sua stessa natura è messaggio di libertà e di liberazione. In effetti, quelle aspirazioni assumono a volte, sul piano teorico e pratico, espressioni che non sempre sono conformi alla verità dell'uomo, quale si manifesta alla luce della sua creazione e redenzione. È questo il motivo per cui la Congregazione per la Dottrina della Fede ha ritenuto necessario attirare l'attenzione su alcune "deviazioni o rischi di deviazione, pericolosi per la fede e per la vita cristiana". (1) Lungi dall'essere sorpassati, tali richiami appaiono ogni giorno più opportuni e pertinenti.
Fine dell'Istruzione
2. L'Istruzione "Libertatis Nuntius" su alcuni aspetti della teologia della liberazione annunciava l'intenzione della Congregazione di pubblicare un secondo documento, che avrebbe messo in evidenza i principali elementi della dottrina cristiana sulla libertà e sulla liberazione. La presente Istruzione risponde a tale intenzione. Tra i due documenti esiste un rapporto organico: essi devono essere letti l'uno alla luce dell'altro.
Su questo tema, che si trova al centro stesso del messaggio evangelico, il magistero della Chiesa si è pronunciato in numerose occasioni. (2) Il presente documento si limita a indicarne i principali aspetti teorici e pratici. Quanto alle applicazioni concernenti le diverse situazioni locali, spetta alle Chiese particolari, in comunione tra loro e con la Sede di Pietro, di provvedervi direttamente. (3)
Il tema della libertà e della liberazione ha un'evidente portata ecumenica. In effetti, esso appartiene al patrimonio tradizionale delle Chiese e comunità ecclesiali. Perciò, questo documento può confortare la testimonianza e l'azione di tutti i discepoli di Cristo, chiamati a rispondere alle grandi sfide del nostro tempo.
La verità che ci libera
3. La parola di Gesù: "La verità vi farà liberi" (Gv 8, 32) deve illuminare e guidare in questo campo ogni riflessione teologica e ogni decisione pastorale.
Questa verità, che viene da Dio, ha il proprio centro in Gesù Cristo, Salvatore del mondo. (4) Da lui, che è "la Via, la Verità e la Vita" (Gv 14, 6), la Chiesa riceve ciò che offre agli uomini. Dal mistero del Verbo incarnato e redentore del mondo essa attinge la verità sul Padre e sul suo amore per noi, come anche la verità sull'uomo e sulla sua libertà.
Mediante la sua croce e la sua risurrezione, Cristo ha operato la nostra redenzione che è liberazione nel senso più forte, in quanto ci ha liberati dal male più radicale, cioè dal peccato e dal potere della morte. Quando la Chiesa, ammaestrata dal suo Signore, fa salire la propria preghiera verso il Padre: "Liberaci dal male", essa implora che il mistero della salvezza agisca con potenza nella nostra esistenza quotidiana. Essa sa che la croce redentrice è veramente la fonte della luce e della vita e il centro della storia. La verità, che le arde in cuore, la spinge a proclamare la buona novella e a distribuirne i frutti di vita mediante i sacramenti. Da Cristo redentore prendono avvio il suo pensiero e la sua azione quando, davanti ai drammi che dilaniano il mondo, essa riflette sul significato e sulle vie della liberazione e della vera libertà.
La verità, a cominciare dalla verità sulla redenzione, che sta al cuore del mistero della fede, è così la radice e la regola della libertà, il fondamento e la misura di ogni azione liberatrice.
La verità, condizione di libertà
4. L'apertura alla pienezza della verità s'impone alla coscienza morale dell'uomo, egli deve cercarla ed esser pronto ad accoglierla, quando essa a lui si presenta.
Secondo l'ordine di Cristo Signore, (5) la verità evangelica deve essere presentata a tutti gli uomini, e questi hanno diritto a che essa sia loro proposta. Il suo annuncio, nella forza dello Spirito, comporta il pieno rispetto della libertà di ciascuno e l'esclusione di qualsiasi forma di costrizione e di pressione. (6)
Lo Spirito Santo introduce la Chiesa e i discepoli di Cristo Gesù "alla verità tutta intera" (Gv 16, 13). Egli dirige il corso dei tempi e "rinnova la faccia della terra" (Sal 104, 30). È lui che è presente nella maturazione d'una coscienza più rispettosa della dignità della persona umana. (7) Lo Spirito Santo è all'origine del coraggio, dell'audacia e dell'eroismo: "Dove c'è lo Spirito del Signore, c'è libertà" (2 Cor 3, 17).

Capitolo primo
La condizione della libertà nel mondo contemporaneo

I. Conquiste e minacce del moderno processo di liberazione

L'eredità del cristianesimo
5. Rivelando all'uomo la sua qualità di persona libera, chiamata ad entrare in comunione con Dio, il Vangelo di Gesù Cristo ha suscitato una presa di coscienza delle profondità, fino allora insospettate, della libertà umana.
Così la ricerca della libertà e l'aspirazione alla liberazione, che sono tra i principali segni dei tempi nel mondo contemporaneo, hanno la loro prima radice nell'eredità cristiana. Ciò resta vero anche là dove esse assumono forme aberranti e giungono a opporsi alla visione cristiana dell'uomo e del suo destino. Senza questo riferimento al Vangelo, la storia dei secoli recenti in Occidente resta incomprensibile.
L'epoca moderna
6. Fin dall'alba dei tempi moderni, nel Rinascimento, il ritorno all'antichità in filosofia e nelle scienze naturali doveva - così si pensava - permettere all'uomo di conquistare la libertà di pensiero e di azione, grazie alla conoscenza e al dominio delle leggi della natura.
D'altra parte, Lutero, partendo dalla sua lettura di San Paolo, intendeva lottare per la liberazione dal giogo della legge, rappresentato ai suoi occhi dalla Chiesa del suo tempo.
Ma è soprattutto nel secolo dell'Illuminismo e nella Rivoluzione francese che il richiamo alla libertà risuonò in tutta la sua forza. Da allora, molti guardano alla storia futura come ad un irresistibile processo di liberazione, che deve condurre ad un'era in cui l'uomo, finalmente del tutto libero, potrà godere la felicità fin da questa terra.
Verso il dominio della natura
7. Nella prospettiva d'una tale ideologia di progresso, l'uomo intendeva farsi padrone della natura. La schiavitù che aveva subìto fino a quel momento, poggiava sull'ignoranza e sui pregiudizi. Strappando alla natura i suoi segreti, l'uomo l'avrebbe sottomessa al proprio servizio. In tal modo, la conquista della libertà costituiva lo scopo perseguito attraverso lo sviluppo della scienza e della tecnica. Gli sforzi effettuati hanno portato a notevoli successi. Se l'uomo non è al riparo dalle catastrofi naturali, numerose minacce della natura sono state allontanate. Il nutrimento è garantito ad un numero crescente di individui. Le possibilità di trasporto e di commercio favoriscono lo scambio delle risorse alimentari, delle materie prime, della forza-lavoro, delle capacità tecniche, di modo che per gli esseri umani può essere ragionevolmente intravista un'esistenza dignitosa e sottratta alla miseria.
Conquiste sociali e politiche
8. Il moderno movimento di liberazione s'era proposto un traguardo politico e sociale. Esso doveva porre fine al dominio dell'uomo sull'uomo e promuovere l'uguaglianza e la fraternità di tutti gli uomini. Che anche a tale riguardo siano stati raggiunti risultati positivi, è innegabile. La schiavitù e l'asservimento legali sono stati aboliti. Il diritto per tutti alla cultura ha fatto significativi progressi. In numerosi Paesi la legge riconosce la parità tra l'uomo e la donna, la partecipazione di tutti i cittadini all'esercizio del potere politico e gli stessi diritti per tutti. Il razzismo è rifiutato, come contrario al diritto ed alla giustizia. La formulazione dei diritti dell'uomo significa una coscienza più viva della dignità di tutti gli uomini. In confronto con i precedenti sistemi di dominio, le affermazioni della libertà e dell'uguaglianza in numerose società sono innegabili.
Libertà del pensiero e del volere
9. Infine e soprattutto, il moderno movimento di liberazione doveva apportare all'uomo la libertà interiore, sotto forma di libertà di pensiero e di libertà del volere. Esso intendeva liberare l'uomo dalla superstizione e dalle paure ancestrali, avvertite come altrettanti ostacoli al suo sviluppo. Si proponeva di dargli il coraggio e l'audacia di servirsi della propria ragione, senza che la paura lo trattenesse davanti alle frontiere dell'ignoto. Così, specialmente nelle scienze storiche e nelle scienze umane, s'è sviluppata una nuova conoscenza dell'uomo, chiamata ad aiutarlo a comprendersi meglio in ciò che concerne la propria formazione personale o le condizioni fondamentali del costituirsi della comunità.
Ambiguità del moderno processo di liberazione
10. Tuttavia, sia che si tratti della conquista della natura, della vita sociale e politica o del dominio dell'uomo su se stesso, sul piano individuale e collettivo, ciascuno può constatare non soltanto che i progressi realizzati sono lungi dal corrispondere alle ambizioni iniziali, ma anche che nuove minacce, nuove schiavitù e nuovi terrori sono sorti proprio mentre si sviluppava il moderno movimento di liberazione. C'è in questo il segno che gravi ambiguità circa il senso stesso della libertà hanno fin dal suo inizio, intaccato tale movimento dall'interno.
L'uomo minacciato dal suo dominio della natura
11. È così che l'uomo, man mano che si liberava dalle minacce della natura, ha cominciato a provare una paura crescente dinanzi a se stesso. La tecnica, assoggettando sempre più la natura, rischia di distruggere i fondamenti del nostro stesso avvenire, di modo che l'umanità di oggi diventa la nemica delle generazioni future. Mentre si imbrigliano totalmente con una potenza cieca le forze della natura, non si sta forse distruggendo la libertà degli uomini di domani? Quali forze possono proteggere l'uomo dall'asservimento derivante dalla sua stessa dominazione? Si rende necessaria una capacità tutta nuova di libertà e di liberazione, che esige un processo di liberazione interamente rinnovato.
Pericoli della potenza tecnologica
12. La forza liberatrice della conoscenza scientifica si oggettivizza nelle grandi realizzazioni tecnologiche. Chi dispone delle tecnologie, possiede il potere sulla terra e sugli uomini. Di qui son nate forme, fino ad ora sconosciute, di disuguaglianza tra i possessori del sapere e i semplici fruitori della tecnica. Il nuovo potere tecnologico è legato al potere economico e porta alla sua concentrazione. Così, all'interno dei popoli come tra i popoli, si sono formati rapporti di dipendenza che, nel corso degli ultimi vent'anni sono stati occasione per una nuova rivendicazione di liberazione. Come impedire che la potenza tecnologica divenga una potenza oppressiva di gruppi umani o di interi popoli?
Individualismo e collettivismo
13. Nel campo delle conquiste sociali e politiche, una delle ambiguità fondamentali dell'affermazione della libertà durante il periodo dell'Illuminismo si rifà alla concezione del soggetto di tale libertà, come individuo sufficiente a se stesso e avente come fine il soddisfacimento del proprio interesse nel godimento dei beni terrestri. L'ideologia individualista, ispirata da questa concezione dell'uomo, ha favorito la diseguale ripartizione delle ricchezze agli inizi dell'era industriale, a tal punto che i lavoratori si sono trovati esclusi dall'accesso ai beni essenziali, che avevano contribuito a produrre ed ai quali avevano diritto. Di qui sono nati potenti movimenti di liberazione dalla miseria, che la società industriale aveva mantenuto.
Cristiani, sia laici che pastori, non hanno mancato di lottare per un equo riconoscimento dei legittimi diritti dei lavoratori. In favore di questa causa il magistero della Chiesa a più riprese ha levato la sua voce.
Il più delle volte, tuttavia, la giusta rivendicazione del movimento operaio ha condotto a nuove forme di asservimento, perché s'ispirava a concezioni che, ignorando la vocazione trascendente della persona umana, assegnavano all'uomo un fine soltanto terreno. Tale rivendicazione in alcuni casi è stata orientata verso progetti collettivistici, che dovevano generare ingiustizie tanto gravi quanto quelle alle quali intendevano porre fine.
Nuove forme di oppressione
14. E così che la nostra epoca ha visto nascere i sistemi totalitari e forme di tirannia, che non sarebbero stati possibili nell'epoca precedente al grande sviluppo tecnologico. Da una parte, la perfezione tecnica è stata applicata ai genocidi. D'altra parte, attraverso la pratica del terrorismo, che provoca la morte di tante persone innocenti, alcune minoranze cercano di tenere in scacco intere nazioni.
Oggi il controllo può insinuarsi fino nell'interiorità degli individui; e le stesse dipendenze, create dai sistemi di previdenza, possono costituire potenziali minacce di oppressione. Una falsa liberazione dalle costrizioni della società viene ricercata nel ricorso alla droga, che in tutto il mondo porta molti giovani all'autodistruzione e getta famiglie intere nell'angoscia e nel dolore.
Pericolo di distruzione totale
15. Il riconoscimento di un ordine giuridico, come garanzia dei rapporti all'interno della grande famiglia dei popoli, s'indebolisce ogni giorno di più. Quando la fiducia nel diritto non sembra offrire più una protezione sufficiente, la sicurezza e la pace sono ricercate in una minaccia reciproca, che diviene un pericolo per tutta l'umanità. Le forze che dovrebbero servire allo sviluppo della libertà servono ad aumentare le minacce. Gli ordigni di morte, che oggi tra loro si oppongono, sono capaci di distruggere ogni vita umana sulla terra.
Nuovi rapporti d'ineguaglianza
16. Tra le nazioni dotate di potenza e le nazioni che ne sono prive si sono instaurati nuovi rapporti di disuguaglianza e di oppressione. La ricerca del proprio interesse sembra essere la regola delle relazioni internazionali, senza che si prenda in considerazione il bene comune dell'umanità.
L'equilibrio interno delle nazioni povere è rotto dall'importazioni di armi, con la quale si introduce un fattore di divisione, che porta al dominio di un gruppo su un altro. Quali forze potrebbero eliminare il ricorso sistematico alle armi e restituire al diritto la sua autorità?
Emancipazione delle nazioni giovani
17. È nel contesto della disuguaglianza nei rapporti di potenza che sono apparsi i movimenti di emancipazione delle nazioni giovani, le quali in generale sono anche nazioni povere, ancora sottomesse fino ad epoca recente alla dominazione coloniale. Ma troppo spesso il popolo è defraudato dell'indipendenza, duramente conquistata, da regimi o tirannie senza scrupoli, che irridono impunemente ai diritti dell'uomo. Il popolo, ridotto in tal modo all'impotenza, non fa che cambiare padrone.
Ciò non toglie che uno dei fenomeni salienti del nostro tempo, a livello di interi continenti, sia il risveglio della coscienza del popolo che, curvo sotto il peso di una miseria secolare, aspira ad una vita nella dignità e nella giustizia, ed è pronto a combattere per la propria libertà.
La morale e Dio, ostacoli alla liberazione?
18. Per quanto riguarda il movimento moderno di liberazione interiore dell'uomo, si deve constatare che lo sforzo inteso a liberare il pensiero e la volontà dai loro limiti si è spinto fino a ritenere che la moralità, come tale, costituisca un limite irragionevole che l'uomo deve superare, se vuole divenire veramente padrone di se stesso.
Di più ancora, per molti Dio stesso sarebbe l'alienazione specifica dell'uomo. Tra l'affermazione di Dio e la libertà umana esisterebbe una radicale incompatibilità: proprio rifiutando la fede in Dio, l'uomo diverrebbe veramente libero.
Interrogativi angosciosi
19. Sta qui la radice delle tragedie, che accompagnano la storia moderna della libertà. Perché questa storia, nonostante le grandi conquiste, che rimangono peraltro sempre fragili, registra frequenti ricadute nell'alienazione e vede sorgere nuove schiavitù? Perché movimenti di liberazione, che hanno già suscitato immense speranze, sfociano poi in regimi per i quali la libertà dei cittadini, (8) a cominciare dalla prima di tali libertà che è la libertà religiosa, (9) costituisce il nemico numero uno?
Quando l'uomo vuole liberarsi dalla legge morale e divenire indipendente da Dio, lungi dal conquistare la propria libertà, la distrugge. Sottraendosi al metro della verità, egli diventa preda dell'arbitrio; tra gli uomini sono aboliti i rapporti fraterni per far posto al terrore, all'odio e alla paura.
Contagiato da errori mortali circa la condizione dell'uomo e della sua libertà, il grande movimento moderno di liberazione resta ambiguo: esso è carico, ad un tempo, di promesse di vera libertà e di minacce di mortali asservimenti.

II. La Libertà nell’esperienza del popolo di Dio

Chiesa e libertà
20. Proprio perché cosciente di questa mortale ambiguità, la Chiesa mediante il suo magistero, ha levato la voce nel corso degli ultimi secoli, per mettere in guardia contro deviazioni che rischiavano di stornare lo slancio liberatore verso amari disinganni. Sul momento essa fu spesso incompresa. A distanza di tempo, però, è possibile rendere giustizia al suo discernimento.
È in nome della verità dell'uomo, creato ad immagine di Dio, che la Chiesa è intervenuta. (10) Ciononostante, la si accusa di essere essa stessa un ostacolo sulla via della liberazione. La sua costituzione gerarchica si opporrebbe all'eguaglianza, e il suo magistero si opporrebbe alla libertà di pensiero. Certo, ci sono stati errori di giudizio o gravi omissioni, di cui i cristiani si sono resi responsabili nel corso dei secoli. (11) Ma tali obiezioni misconoscono la vera natura delle cose. La diversità dei carismi nel popolo di Dio, trattandosi di carismi di servizio, non si oppone all'eguale dignità delle persone ed alla loro comune vocazione alla santità.
La libertà di pensiero, come condizione di ricerca della verità in tutti i settori del sapere umano, non significa che la ragione umana debba chiudersi alla luce della Rivelazione, il cui deposito Cristo ha affidato alla sua Chiesa. Aprendosi alla verità divina, la ragione creata, sperimenta una fioritura e un perfezionamento, che costituiscono una forma eminente della libertà. D'altra parte, il Concilio Vaticano II ha riconosciuto pienamente la legittima autonomia delle scienze, (12) come anche delle attività di ordine politico. (13)
La libertà dei piccoli e dei poveri
21. Uno dei principali errori, che ha pesantemente gravato, fin dall'età dell'Illuminismo, sul processo di liberazione, dipende dalla convinzione, largamente condivisa, secondo cui i progressi realizzati nel campo delle scienze, della tecnica e dell'economia, dovrebbero servire da fondamento alla conquista della libertà. In tal modo si misconosceva la profonda dimensione di questa libertà e delle sue esigenze.
Questa dimensione profonda della libertà, la Chiesa l'ha sempre sperimentata, attraverso la vita di una moltitudine di fedeli, in particolare tra i piccoli ed i poveri. Nella loro fede costoro sanno di essere l'oggetto dell'amore infinito di Dio. Ciascuno di loro può dire: "Vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me" (Gal 2, 20b). Questa è la loro dignità, che nessuno dei potenti può loro strappare; questa è la gioia liberatrice, presente in loro. Essi sanno che anche a loro è rivolta la parola di Gesù: "Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l'ho fatto conoscere a voi" (Gv 15, 15). Questa partecipazione alla conoscenza di Dio costituisce la loro emancipazione di fronte alle pretese di dominio da parte dei detentori del sapere: "Tutti avete la scienza..., e non avete bisogno che alcuno vi ammaestri" (1 Gv 20b. 27b). Essi così sono consapevoli di partecipare alla conoscenza più alta, alla quale sia chiamata l'umanità. (14) Essi si sanno amati da Dio, come tutti gli altri e più di tutti gli altri. Essi vivono così nella libertà che scaturisce dalla verità e dall'amore.
Risorse della religiosità popolare
22. Lo stesso senso della fede del popolo di Dio, nella sua devozione piena di speranza verso la croce di Gesù, percepisce la potenza contenuta nel mistero di Cristo redentore. Lungi, dunque, dal disprezzare o dal voler sopprimere le forme di religiosità popolare che questa devozione riveste, bisogna, al contrario, coglierne ed approfondirne tutto il significato e tutte le implicazioni. (15) C'è qui un elemento di fondamentale portata teologica e pastorale: proprio i poveri, oggetto della predilezione divina, comprendono meglio e come d'istinto che la liberazione più radicale, cioè la liberazione dal peccato e dalla morte, è quella compiuta mediante la morte e la risurrezione di Cristo.
Dimensione soteriologica ed etica della liberazione
23. La potenza di questa liberazione penetra e trasforma in profondità l'uomo e la sua storia nella sua attualità presente, e anima il suo slancio escatologico. Il senso primo e fondamentale della liberazione, che così si manifesta, è il senso soteriologico: l'uomo è liberato dalla schiavitù radicale del male e del peccato.
In questa esperienza della salvezza l'uomo scopre il vero senso della sua libertà, poiché la liberazione è restituzione della libertà. Essa è pure educazione della libertà, cioè educazione al retto uso della libertà. Così alla dimensione soteriologica della liberazione viene ad aggiungersi la sua dimensione etica.
Una nuova fase della storia della libertà
24. In gradi diversi il senso della fede, che è all'origine di una esperienza radicale della liberazione e della libertà, ha impregnato la cultura ed i costumi dei popoli cristiani.
Oggi, però, a motivo delle formidabili sfide alle quali l'umanità deve far fronte, è divenuto necessario e urgente, in modo del tutto nuovo, che l'amore di Dio e la libertà nella verità segnino con la loro impronta le relazioni tra gli uomini e tra i popoli ed animino la vita delle culture.
Infatti là dove mancano la verità e l'amore, il processo di liberazione sfocia nella morte di una libertà che avrà perduto ogni suo sostegno.
Una nuova fase della storia della libertà s'apre davanti a noi. Le capacità liberatrici della scienza, della tecnica, del lavoro, dell'economia e dell'azione politica daranno i loro frutti solo se troveranno la loro ispirazione e la loro misura nella verità e nell'amore più forti della sofferenza, rivelati agli uomini da Gesù Cristo.

Capitolo secondo
Vocazione dell’uomo alla libertà e dramma del peccato

I. Primi approcci alla libertà
Una risposta spontanea
25. La risposta spontanea alla domanda: che cosa significa essere libero? è la seguente: libero è colui che può fare solo ciò che vuole senza essere impedito da una costrizione esteriore e che gode, di conseguenza, di una piena indipendenza. Il contrario della libertà sarebbe così la dipendenza della nostra volontà da una volontà estranea.
Ma l'uomo sa sempre ciò che vuole? Può tutto quello che vuole? Limitarsi al proprio io e separarsi dalla volontà altrui è conforme alla natura dell'uomo? Sovente la volontà di un momento non è la volontà reale, e nel medesimo uomo possono coesistere voleri contraddittori. Ma, soprattutto, l'uomo si scontra con i limiti della propria natura: vuole di più di quanto non possa. Così l'ostacolo che si oppone al suo volere non viene sempre dal di fuori, ma dai limiti del suo essere. Appunto per questo, pena la sua distruzione, l'uomo deve imparare ad accordare la sua volontà con la sua natura.
Verità e giustizia, regole della libertà
26. Inoltre, ogni uomo è orientato verso gli altri uomini ed ha bisogno della loro convivenza. Solo imparando a accordare la sua volontà a quella degli altri in vista di un vero bene, egli farà l'apprendistato della rettitudine del volere. È dunque, l'armonia con le esigenze della natura umana che rende umana la volontà stessa. In effetti, questa richiede il criterio della verità ed una giusta relazione con la volontà altrui. Verità e giustizia sono così la misura della vera libertà. Quando si allontana da questo fondamento, l'uomo, scambiando se stesso per Dio, cade nella menzogna e anziché realizzarsi, si distrugge.
Lungi dal compiersi in una totale autarchia dell’io e nell'assenza di relazioni, la libertà non esiste veramente se non là dove legami reciproci, regolati dalla verità e dalla giustizia, uniscono le persone. Ma perché tali legami siano possibili, ciascuno deve essere personalmente vero.
La libertà non è libertà di fare qualsiasi cosa: è libertà per il bene, nel quale solo risiede la felicità. Il bene è, quindi, il suo scopo. Di conseguenza, l'uomo diventa libero nella misura in cui accede alla conoscenza del vero, e questa conoscenza - e non altre forze quali che siano - guida la sua volontà. La liberazione in vista della conoscenza della verità, che sola diriga la volontà, è condizione necessaria per una libertà degna di questo nome.

II. Libertà e liberazione
Una libertà di creatura
27. In altri termini, la libertà, che è padronanza interiore dei propri atti e autodeterminazione, comporta immediatamente una relazione con l'ordine etico. Essa trova il suo vero senso nella scelta del bene morale e si manifesta, quindi, come affrancamento dal male morale.
Con la sua azione libera, l'uomo deve tendere verso il bene supremo attraverso i beni conformi alle esigenze della sua natura e alla sua vocazione divina.
Esercitando la sua libertà, egli decide di se stesso e forma se stesso. In questo senso l'uomo è causa di sé, ma è tale in quanto creatura e immagine di Dio. Questa è la verità del suo essere che manifesta, per contrasto, quanto di profondamente erroneo è nelle teorie, che credono di esaltare la libertà dell'uomo o la sua "prassi storica", facendo di esse il principio assoluto del suo essere e del suo divenire. Tali teorie sono espressioni dell'ateismo o, per la logica loro propria, tendono all'ateismo. Nel medesimo senso vanno l'indifferentismo e l'agnosticismo deliberato. È l'immagine di Dio nell'uomo che fonda la libertà e la dignità della persona umana. (16)
La chiamata del Creatore
28. Creando l'uomo libero, Dio ha impresso in lui la sua immagine e la sua somiglianza. (17) L'uomo avverte la chiamata del suo Creatore nell'inclinazione e nell'aspirazione della sua natura verso il bene e, ancora di più, nella Parola della Rivelazione, che in Cristo è stata pronunciata in modo perfetto. Gli è stato così rivelato che Dio l'ha creato libero, perché potesse mediante la grazia, entrare in amicizia con lui e partecipare alla sua vita.
Una libertà partecipata.
29. L'uomo non ha la sua origine nella propria azione individuale o collettiva, ma nel dono di Dio che l'ha creato. Questa è la prima confessione della nostra fede, che viene a confermare le intuizioni più alte del pensiero umano.
La libertà dell'uomo è una libertà partecipata, e la sua capacità di realizzarsi non è in alcun modo soppressa dalla sua dipendenza nei confronti di Dio. È esattamente la caratteristica dell'ateismo quella di credere a un'opposizione irriducibile tra la causalità di una libertà divina e quella della libertà dell'uomo, come se l'affermazione di Dio significasse la negazione dell'uomo, o come se il di lui intervento nella storia rendesse vani i tentativi di questo. In realtà, è da Dio ed in rapporto a Dio che la libertà umana prende senso e consistenza.
La scelta libera dell'uomo
30. La storia dell'uomo si sviluppa sul fondamento della natura che egli ha ricevuto da Dio, nel libero perseguimento dei fini verso cui lo orientano e lo portano le inclinazioni di questa stessa natura e della grazia divina.
Ma la libertà dell'uomo è limitata e debole. Il suo desiderio può rivolgersi a un bene apparente: scegliendo un falso bene, egli vien meno alla vocazione della sua libertà. L'uomo, col suo libero arbitrio, dispone di sé: egli può fare ciò in un senso positivo o in un senso distruttivo.
Ubbidendo alla legge divina, impressa nella sua coscienza e ricevuta come impulso dello Spirito Santo, l'uomo esercita la vera padronanza di se stesso e realizza così la sua vocazione regale di figlio di Dio "Mediante il servizio di Dio egli regna". (18) L'autentica libertà è "servizio della giustizia", mentre invece la scelta della disubbidienza e del male è "schiavitù del peccato". (19)
Liberazione temporale e libertà
31. Partendo da questa nozione di libertà, si precisa la portata della nozione di liberazione temporale: si tratta dell'insieme dei processi, che mirano a procurare e a garantire le condizioni richieste per l'esercizio di un'autentica libertà umana.
Per se stessa, dunque, la liberazione non produce la libertà dell'uomo. Il senso comune, confermato dal senso cristiano, sa che la libertà, anche quando è soggetta a condizionamenti, non è tuttavia distrutta. Anche uomini, che pur subissero terribili costrizioni, potrebbero riuscire a manifestare la loro libertà e a mettersi in cammino per la loro liberazione. Un processo di liberazione portato a termine può solamente creare delle condizioni migliori per l'esercizio effettivo della libertà. Proprio per questo una liberazione, che non tenga conto della libertà personale di quelli che combattono per essa, è in partenza condannata all'insuccesso.

III. La libertà e la società umana
I diritti dell'uomo e "le libertà"
32. Dio non ha creato l'uomo come un "essere solitario", ma lo ha voluto come un "essere sociale". (20) La vita sociale non è, dunque, estrinseca all'uomo: egli non può crescere né realizzare la sua vocazione se non in relazione con gli altri. L'uomo appartiene a diverse comunità: familiare, professionale, politica, ed è in seno ad esse che egli deve esercitare la sua libertà responsabile. Un ordine sociale giusto offre all'uomo un aiuto insostituibile per la realizzazione della sua libera personalità. Al contrario, un ordine sociale ingiusto è una minaccia e un ostacolo, che possono compromettere il suo destino.
Nella sfera sociale, la libertà si esprime e si realizza nelle azioni, nelle strutture e nelle istituzioni, grazie alle quali gli uomini comunicano tra loro e organizzano la loro vita in comune. Il pieno sviluppo di una libera personalità, che è per ciascuno un dovere ed un diritto, deve essere aiutato e non già ostacolato dalla società.
C'è qui un'esigenza di natura morale, che ha trovato la sua espressione nella formulazione dei diritti dell'uomo. Alcuni di essi hanno per oggetto ciò che si è convenuto di chiamare "le libertà", che sono come altrettante modalità nel riconoscere a ciascun essere umano il suo destino trascendente, come anche l'inviolabilità della sua coscienza. (21)
Dimensioni sociali dell'uomo e gloria di Dio
33. La dimensione sociale dell'essere umano riveste anche un altro significato: solamente la pluralità e la ricca diversità degli uomini possono esprimere qualcosa dell'infinita ricchezza di Dio.
Infine, questa dimensione è destinata a trovare il suo compimento nel Corpo di Cristo, che è la Chiesa. È per questo che la vita sociale, nella varietà delle sue forme e nella misura in cui è conforme alla legge divina, costituisce un riflesso della gloria di Dio nel mondo. (22)

IV. Libertà dell’uomo e dominio della natura
Vocazione dell'uomo a "dominare" la natura
34. A motivo della sua dimensione corporale, l'uomo ha bisogno delle risorse del mondo materiale per la sua realizzazione personale e sociale. In questa vocazione a dominare la terra, mettendola al proprio servizio mediante il lavoro, può essere riconosciuto un tratto dell'immagine di Dio. (23) Ma l'intervento umano non è "creatore"; esso s'incontra con una natura materiale, che ha come esso la sua origine in Dio Creatore e di cui l'uomo è stato costituito il "nobile e saggio custode". (24)
L'uomo, padrone delle sue attività
35. Le trasformazioni tecniche e economiche si ripercuotono sull'organizzazione della vita sociale; esse non possono non incidere, in una certa misura, sulla vita culturale e sulla stessa vita religiosa.
Tuttavia, mediante la sua libertà, l'uomo resta padrone della propria attività. Le grandi e rapide trasformazioni dell'epoca contemporanea gli pongono una sfida drammatica: quella della padronanza e del controllo, mediante la sua ragione e la sua libertà delle forze che egli attiva per il servizio delle vere finalità umane.
Scoperte scientifiche e progresso morale
36. È, dunque, proprio della libertà, ben orientata, di fare in modo che le conquiste scientifiche e tecniche, la ricerca della loro efficacia, i prodotti del lavoro e le strutture stesse dell'organizzazione economica e sociale non siano sottomesse a dei progetti che le priverebbero delle loro finalità umane e le rivolgerebbero contro l'uomo stesso.
L'attività scientifica e l'attività tecnica implicano, ciascuna, delle esigenze specifiche. Tuttavia, esse acquistano il loro significato e il loro valore propriamente umano solo quando sono subordinate ai princìpi morali. Queste esigenze devono essere rispettate; ma voler loro attribuire un'autonomia assoluta e necessitante, non conforme alla natura delle cose, significa immettersi in una via pericolosa per l'autentica libertà dell'uomo.

V. Il peccato, fonte di divisione e di oppressione
Il peccato, separazione da Dio
37. Dio chiama l'uomo alla libertà. In ciascuno è viva la volontà di essere libero. Eppure questa volontà sfocia quasi sempre nella schiavitù e nell'oppressione. Ogni impegno per la liberazione e la libertà suppone, dunque, che sia stato affrontato questo drammatico paradosso.
Il peccato dell'uomo, cioè la sua rottura con Dio, è la ragione radicale delle tragedie che segnano la storia della libertà. Per comprendere questo, molti nostri contemporanei devono riscoprire, innanzitutto, il senso del peccato.
Nella volontà di libertà dell'uomo si nasconde la tentazione di rinnegare la sua propria natura. In quanto intende tutto volere e potere, dimenticando così di essere limitato e creato, egli pretende di essere un dio. "Voi sarete come Dio" (Gn 3, 5): questa parola del serpente esprime l'essenza della tentazione dell'uomo, ed implica lo stravolgimento del vero senso della sua libertà. Questa è la profonda natura del peccato: l'uomo si stacca dalla verità, mettendo la sua volontà al di sopra di essa. Volendo liberarsi di Dio e essere lui stesso dio, egli si inganna e si distrugge. Egli si aliena da se stesso.
In questa volontà di essere dio e di tutto sottoporre al proprio beneplacito si nasconde uno stravolgimento dell'idea stessa di Dio. Dio è amore e verità nella pienezza del dono reciproco delle Persone divine. Sì, è vero: l'uomo è chiamato a essere come Dio. Tuttavia, egli diventa simile a Dio non nell'arbitrarietà del suo beneplacito, ma nella misura in cui riconosce che la verità e l'amore sono allo stesso tempo principio e fine della sua libertà.
Il peccato, radice delle alienazioni, umane
38. Peccando, l'uomo mente a se stesso e si separa dalla sua verità. Cercando la totale autonomia e l'autarchia, egli nega Dio e nega se stesso. L'alienazione in rapporto alla verità del suo essere di creatura, amata da Dio, è la radice di tutte le altre alienazioni.
Negando o tentando di negare Dio, suo principio e suo fine, l'uomo altera profondamente il suo ordine e equilibrio interiore, quello della società e anche quello della creazione visibile. (25)
È in connessione col peccato che la Scrittura considera l'insieme delle calamità che opprimono l'uomo nel suo essere individuale e sociale.
Essa dimostra che tutto il corso della storia mantiene un legame misterioso con l'agire dell'uomo, il quale, fin dall'origine, ha abusato della sua libertà, ergendosi contro Dio e cercando di raggiungere i propri fini al di fuori di lui. (26) Nel carattere affliggente del lavoro e della maternità, nel dominio dell'uomo sulla donna e nella morte, la Genesi, indica le conseguenze di quel peccato originale. Così, gli uomini privati della grazia divina hanno ereditato una comune natura mortale, incapace di fissarsi nel bene e inclinata alla concupiscenza. (27)
Idolatria e disordine
39. L'idolatria è la forma estrema del disordine generato dal peccato. Il sostituire all'adorazione del Dio vivo il culto di una creatura altera le relazioni tra gli uomini ed implica diverse specie di oppressione.
Il misconoscimento colpevole di Dio scatena le passioni, che sono causa di squilibrio e di conflitti nell'intimo dell'uomo. Di qui derivano inevitabilmente i disordini che colpiscono la sfera familiare e sociale: permissivismo sessuale, ingiustizia, omicidio. È in questo modo che l'apostolo Paolo descrive il mondo pagano, portato dall'idolatria alle peggiori aberrazioni, che rovinano l'individuo e la società. (28)
Già prima di lui i Profeti e i Sapienti di Israele ravvisavano nelle disgrazie del popolo un castigo del suo peccato di idolatria, e nel "cuore colmo di malizia" (Qo 9, 3) (29) la fonte della radicale schiavitù dell'uomo e delle oppressioni, che egli fa subire ai suoi simili.
Disprezzo di Dio e conversione alla creatura
40. La tradizione cristiana, presso i Padri ed i dottori della Chiesa, ha esplicitato questa dottrina della Scrittura sul peccato. Per essa il peccato è disprezzo di Dio (contemptus Dei), che comporta la volontà di sfuggire al rapporto di dipendenza del servitore nei confronti del suo Signore o, piuttosto, del figlio nei confronti del Padre. Peccando, l'uomo intende liberarsi da Dio, ma, in realtà si rende schiavo. Infatti, rifiutando Dio, infrange lo slancio della sua aspirazione all'infinito e della sua vocazione a partecipare della vita divina. Per questo il suo cuore è in balìa dell'inquietudine.
L'uomo peccatore, che rifiuta di aderire a Dio, è portato necessariamente a attaccarsi in modo errato e distruttivo alla creatura (conversio ad creaturam) egli concentra su questa il suo desiderio insoddisfatto di infinito. Se non che, i beni creati sono limitati, per cui il suo cuore trascorre dall'uno all'altro, sempre in cerca di un'impossibile pace.
In realtà, quando attribuisce alle creature un valore di infinità, l'uomo perde il senso del suo essere creatura. Pretende di trovare il suo centro e la sua unità in se stesso. L'amore disordinato di sé è l'altra faccia del disprezzo di Dio. L'uomo intende allora appoggiarsi unicamente su di sé, vuole realizzarsi da sé ed essere autosufficiente nella propria immanenza. (30)
L'ateismo falsa emancipazione della libertà
41. Ciò diviene particolarmente evidente, quando il peccatore pensa di non poter affermare la propria libertà se non negando esplicitamente Dio. La dipendenza della creatura nei confronti del Creatore, o quella della coscienza morale nei confronti della legge divina, sarebbero per lui forme di intollerabile schiavitù. L'ateismo è, dunque, ai suoi occhi la vera forma di emancipazione e di liberazione dell'uomo, mentre la religione, o anche il riconoscimento di una legge morale costituirebbero delle alienazioni. L'uomo vuole allora decidere sovranamente del bene e del male, o anche dei valori e, con la stessa dinamica, rigetta a un tempo l'idea di Dio e l'idea di peccato, attraverso l'audacia della trasgressione egli pretende di diventare adulto e libero, e rivendica tale emancipazione non solamente per sé, ma per l'umanità intera.
Peccato e strutture d'ingiustizia
42. Divenuto centro di sé stesso, l'uomo peccatore tende a affermarsi e a soddisfare il suo desiderio di infinito, servendosi delle cose: ricchezze, poteri e piaceri, senza preoccuparsi degli altri uomini che ingiustamente spoglia e tratta come oggetti o strumenti. Così, da parte sua, egli contribuisce a creare quelle strutture di sfruttamento e di schiavitù, che peraltro pretende di denunciare.

Capitolo terzo
Liberazione e libertà cristiana

Vangelo, libertà e liberazione
43. La storia umana, contrassegnata dall'esperienza del peccato, ci condurrebbe alla disperazione, se Dio avesse abbandonato la sua creatura a se stessa. Ma le promesse divine di liberazione e il loro vittorioso adempimento nella morte e nella risurrezione di Cristo sono il fondamento della "beata speranza", donde la comunità cristiana attinge la forza per agire risolutamente ed efficacemente al servizio dell'amore, della giustizia e della pace. Il Vangelo è un messaggio di libertà e una forza di liberazione, (31) che porta a compimento la speranza di Israele, fondata sulla parola dei Profeti. Questa si appoggia sull'azione di Jahvé che, prima ancora di intervenire come "goèl", (32) liberatore, redentore, salvatore del suo popolo, lo aveva scelto gratuitamente in Abramo. (33)

I. La liberazione dell’Antico Testamento
L'Esodo e gli interventi liberatori di Jahvé
44. Nell'Antico Testamento l'azione liberatrice di Jahvé, che serve da modello e da riferimento per tutte le altre, è l'esodo dall'Egitto, "casa di schiavitù". Se Dio strappa il suo popolo da una dura schiavitù economica, politica e culturale, è al fine di farne, con l'alleanza del Sinai, "un regno di sacerdoti ed una nazione santa" (Es 19, 6). Dio vuol essere adorato da uomini liberi. Tutte le ulteriori liberazioni del popolo di Israele tendono a ricondurlo a questa pienezza di libertà, che non può trovare se non nella comunione col suo Dio.
L'avvenimento più grande e fondamentale dell'esodo, dunque, ha un significato insieme religioso e politico, Dio libera il suo popolo, gli dà una discendenza, una terra, una legge, ma all'interno di un alleanza ed in vista di un'alleanza. Non si può, dunque, isolare per se stesso l'aspetto politico; è necessario considerarlo alla luce del disegno di natura religiosa, nel quale è integrato. (34)
La legge di Dio
45. Nel suo disegno salvifico Dio ha dato a Israele la sua legge. Essa conteneva, insieme con i precetti morali universali del Decalogo, delle norme cultuali e civili, che dovevano regolare la vita del popolo scelto da Dio per essere il suo testimone fra le nazioni.
In questo complesso di leggi, l'amore di Dio sopra ogni cosa (35) e del prossimo come se stessi (36) costituisce già il centro. Ma la giustizia che deve regolare i rapporti tra gli uomini, e il diritto, che ne è l'espressione giuridica, appartengono anch'essi alla trama più caratteristica della legge biblica. I Codici e la predicazione dei Profeti, come anche i Salmi, si riferiscono costantemente all'una e all'altro, frequentemente considerati insieme. (37) È in questo contesto che si deve apprezzare la cura che la legge biblica ha per i poveri, i bisognosi, la vedova e l'orfano: si deve rendere a essi giustizia secondo l'ordinamento giuridico del popolo di Dio. (38) Esistono già, dunque, l'ideale e l'abbozzo di una società centrata sul culto del Signore e fondata sulla giustizia e sul diritto, animati dall'amore.
L'insegnamento dei Profeti
46. I Profeti non cessano di ricordare a Israele le esigenze della legge dell'alleanza. Essi denunciano nel cuore indurito dell'uomo la fonte delle ripetute trasgressioni e annunciano un'alleanza nuova, nella quale Dio cambierà i cuori imprimendovi la legge del suo Spirito. (39)
Annunciando e preparando questa èra nuova, i Profeti denunciano con forza l'ingiustizia perpetrata contro i poveri; in loro favore essi si fanno i portavoce di Dio. Jahvé, è il "ricorso" supremo dei piccoli e degli oppressi, e il Messia avrà come missione quella di prendere le loro difese. (40)
La condizione del povero è una condizione di ingiustizia, contraria all'alleanza. Per questo motivo la legge dell'alleanza lo protegge con dei precetti, che riflettono il medesimo atteggiamento tenuto da Dio, quando liberò Israele dalla schiavitù d'Egitto. (41) L'ingiustizia verso i piccoli e i poveri è un grave peccato, che rompe la comunione con Jahvé.
I "poveri di Jahvé"
47. Partendo da tutte le forme di povertà, di ingiustizia subìta, di afflizione, i "giusti" e i "poveri di Jahvé" fanno salire verso di lui la loro supplica nei Salmi. (42) Essi soffrono nel loro cuore per la schiavitù, cui il popolo "dalla dura cervice" si è ridotto a causa dei suoi peccati. Essi sopportano la persecuzione, il martirio, la morte, ma vivono nella speranza della liberazione. Al di sopra di tutto, pongono la loro fiducia in Jahvé, al quale raccomandano la loro causa. (43)
I "poveri di Jahvé" sanno che la comunione con lui (44) è il bene più prezioso, in cui l'uomo trova la vera libertà. (45) Per essi il male più tragico è la perdita di tale comunione. Per questo motivo la loro lotta contro l'ingiustizia acquista il suo più profondo significato e la sua efficacia nella volontà di essere liberati dalla schiavitù del peccato.
Alle soglie del Nuovo Testamento
48. Sulla soglia del Nuovo Testamento i "poveri di Jahvé" costituiscono le primizie di un "popolo umile e povero", che vive nella speranza della liberazione di Israele. (46)
Impersonando questa speranza, Maria oltrepassa la soglia dell'Antico Testamento. Ella annuncia con gioia l'avvento messianico e loda il Signore, che si prepara a liberare il suo popolo. (47) Nel suo cantico di lode alla divina misericordia l'umile Vergine, verso la quale si rivolge spontaneamente e con tanta fiducia il popolo dei poveri, canta il mistero della salvezza e la sua forza di trasformazione. Il senso della fede, così vivo nei piccoli, sa immediatamente riconoscere tutta la ricchezza soteriologica e insieme etica del Magnificat. (48)

II. Significato cristologico dell’Antico Testamento
Alla luce di Cristo
49. L'esodo, l'alleanza, la legge, la voce dei Profeti e la Spiritualità dei "poveri di Jahvé" raggiungono solamente nel Cristo il loro pieno significato.
La Chiesa legge l'Antico Testamento alla luce di Cristo morto e risorto per noi. Essa vede se stessa prefigurata nel popolo di Dio dell'antica alleanza, incarnato nel corpo concreto di una particolare nazione, politicamente e culturalmente costituita, che era inserita nella trama della storia come testimone di Jahvé, davanti alle nazioni, fino al compimento del tempo delle preparazioni e delle figure. Nella pienezza dei tempi realizzatasi in Cristo, i figli di Abramo sono chiamati ad entrare con tutte le nazioni nella Chiesa di Cristo, per formare con esse un solo popolo di Dio, spirituale ed universale. (49)

III. La liberazione cristiana
La buona novella annunciata ai poveri
50. Gesù annuncia la buona novella del regno di Dio e chiama gli uomini alla conversione. (50) I "poveri sono evangelizzati" (Mt 11, 5): riprendendo la parola del Profeta, (51) Gesù rivela la sua azione messianica in favore di coloro che attendono la salvezza da Dio.
Più ancora, il Figlio di Dio, che si fece povero per amor nostro, (52) vuol essere riconosciuto nei poveri, in coloro che soffrono o sono perseguitati: (53) "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25, 40). (54)
Il mistero pasquale
51. Ma è soprattutto con la forza del suo mistero pasquale che Cristo ci ha liberati. (55) Con la sua obbedienza perfetta sulla croce e con la gloria della risurrezione, l'Agnello di Dio ha tolto il peccato del mondo e ci ha aperto la via della definitiva liberazione.
Col nostro servizio e il nostro amore, ma anche con l'offerta delle nostre prove e sofferenze, noi partecipiamo all'unico sacrificio redentore di Cristo, completando in noi "quello che manca ai patimenti di Cristo, in favore del suo corpo, ch'è la Chiesa" (Col 1, 24), nell'attesa della risurrezione dei morti.
Grazia, riconciliazione e libertà
52. Il centro dell'esperienza cristiana della libertà sta nella giustificazione per mezzo della grazia della fede e dei sacramenti della Chiesa. Questa grazia ci libera dal peccato e ci introduce nella comunione con Dio. Per mezzo della morte e della risurrezione di Cristo ci è offerto il perdono. L'esperienza della nostra riconciliazione col Padre è frutto dello Spirito Santo. Dio si rivela a noi come Padre di misericordia, davanti al quale ci possiamo presentare con totale fiducia.
Riconciliati con lui (56) e ricevendo quella pace di Cristo, che il mondo non può dare, (57) siamo chiamati ad essere artefici di pace (58) in mezzo a tutti gli uomini.
In Cristo noi possiamo vincere il peccato, e la morte più non ci separa da Dio; essa sarà finalmente distrutta al momento della nostra risurrezione, che è simile a quella di Gesù. (59) Anche il "cosmo", di cui l'uomo è il centro e il vertice, attende di essere "liberato dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio" (Rm 8, 21). Fin da ora Satana è sconfitto; egli, che ha la potenza della morte, è stato ridotto all'impotenza dalla morte di Cristo. (60) Ci sono già dati dei segni, che anticipano la gloria futura.
Lotta contro la schiavitù del peccato
53. La libertà, portata da Cristo nello Spirito Santo, ci ha restituito la capacità, di cui il peccato ci aveva privato, di amare Dio al di sopra di tutto e di rimanere in comunione con lui.
Noi siamo liberati dall'amore disordinato di noi stessi, che è la fonte del disprezzo del prossimo e dei rapporti di dominio tra gli uomini.
Nondimeno, fino al ritorno glorioso del Risorto, il mistero di iniquità è sempre all'opera nel mondo. San Paolo ce ne fa avvertiti: "Cristo ci ha liberati, perché restassimo liberi" (Gal 5, 1). È, dunque, necessario perseverare e lottare per non ricadere sotto il giogo della schiavitù. La nostra esistenza è un combattimento spirituale per una vita da condurre secondo il Vangelo e con le armi di Dio. (61) Ma noi abbiamo ricevuto la forza e la certezza della vittoria sul male, vittoria dell'amore di Cristo, a cui nulla può resistere. (62)
Lo Spirito e la legge
54. San Paolo proclama il dono della nuova legge dello Spirito, in opposizione alla legge della carne o della concupiscenza, che inclina l'uomo al male e lo rende incapace a scegliere il bene. (63) Questa mancanza di armonia e questa debolezza interiore non aboliscono la libertà e la responsabilità dell'uomo, ma ne compromettono l'esercizio per il bene. È questo che fa dire all'Apostolo: "Non faccio il bene che voglio, e compio il male che non voglio" (Rm 7, 19). Giustamente, dunque, egli parla della "schiavitù del peccato" e della "schiavitù della legge", perché all'uomo peccatore appare opprimente la legge, che egli non può interiorizzare.
Tuttavia, san Paolo riconosce che la legge conserva il suo valore per l'uomo e per il cristiano, perché "essa è santa, e santo e giusto e buono è il comandamento" (Rm 7, 12). (64) Egli riafferma il Decalogo, mettendolo in rapporto con la carità, che ne è la vera pienezza. (65) Inoltre, egli sa bene che è necessario un ordine giuridico per lo sviluppo della vita sociale. (66) La vera novità da lui proclamata è che Dio ci ha donato suo Figlio "perché la giustizia della legge si adempisse in noi" (Rm 8, 4).
Lo stesso Signore Gesù ha enunciato i comandamenti della nuova legge nel discorso della montagna; col suo sacrificio offerto sulla croce e la sua gloriosa risurrezione ha vinto le potenze del peccato e ci ha ottenuto la grazia dello Spirito Santo, che rende possibile la perfetta osservanza della legge di Dio (67) e l'accesso al perdono, se ricadiamo nel peccato. Lo Spirito, che abita nei nostri cuori, è la fonte della vera libertà.
Col sacrificio di Cristo le prescrizioni cultuali dell'Antico Testamento sono state abrogate. Quanto alle norme giuridiche della vita sociale e politica di Israele, la Chiesa apostolica, quale regno di Dio inaugurato sulla terra, ha avuto coscienza di non esser più tenuta a osservarle. Ciò ha fatto comprendere alla comunità cristiana che le leggi e gli atti delle autorità dei diversi popoli, benché legittimi e degni di obbedienza, (68) tuttavia non avrebbero mai potuto, in quanto procedenti da esse, arrogarsi un carattere sacro. Alla luce del Vangelo molte leggi e strutture appaiono portare il segno del peccato, di cui prolungano l'oppressiva influenza nella società.

IV. Il comandamento nuovo
L'amore, dono dello spirito
55. L’amore di Dio, diffuso nei nostri cuori dallo Spirito Santo, implica l’amore del prossimo. Ricordando il primo comandamento, Gesù aggiunge subito: "E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipende tutta la legge e i Profeti" (Mt 22, 39-40). E san Paolo afferma che la carità è il pieno compimento della legge. (69)
L'amore del prossimo non conosce limiti, estendendosi ai nemici e ai persecutori. La perfezione, immagine di quella del Padre, alla quale il discepolo deve tendere, risiede nella misericordia. (70) La parabola del buon Samaritano dimostra che l'amore compassionevole, che si pone al servizio del prossimo, distrugge i pregiudizi, i quali mettono i gruppi etnici o sociali gli uni contro gli altri. (71) Tutti i libri del Nuovo Testamento documentano la inesauribile ricchezza di sentimenti, di cui è portatore l'amore cristiano del prossimo. (72)
L'amore del prossimo
56. L'amore cristiano, gratuito e universale deriva la sua natura dall'amore di Cristo, che ha dato la sua vita per noi. "Come io vi ho amati, così amatevi anche voi gli uni gli altri" (Gv 13, 34-35). (73) Questo è il "comandamento nuovo" per i discepoli.
Alla luce di questo comandamento san Giacomo richiama severamente i ricchi al loro dovere, (74) mentre san Giovanni afferma che colui che, disponendo delle ricchezze di questo mondo, chiude il suo cuore al fratello che è in necessità, non può avere dimorante in sé l'amore di Dio. (75) L'amore del fratello è la pietra di paragone dell'amore di Dio: "Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede" (1 Gv 4, 20). San Paolo sottolinea con vigore il legame che esiste tra la partecipazione al sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo e la condivisione con il fratello, che si trova nel bisogno. (76)
Giustizia e carità
57. L'amore evangelico e la vocazione di figli di Dio, alla quale tutti gli uomini sono chiamati, hanno come conseguenza l'esigenza diretta e imperativa del rispetto di ciascun essere umano nei suoi diritti alla vita e alla dignità. Non c'è divario tra l'amore del prossimo e la volontà di giustizia. L'opporli significherebbe snaturare a un tempo l'amore e la giustizia. Più ancora, il senso della misericordia completa quello della giustizia, impedendole di rinchiudersi nel cerchio della vendetta.
Le inique disuguaglianze e le oppressioni di ogni sorta, che colpiscono oggi milioni di uomini e di donne, sono in aperta contraddizione col Vangelo di Cristo e non possono lasciar tranquilla la coscienza di nessun cristiano.
Nella sua docilità allo Spirito, la Chiesa avanza con fedeltà lungo le strade dell'autentica liberazione. I suoi membri hanno coscienza delle proprie manchevolezze e dei ritardi in questa ricerca. Ma una moltitudine di cristiani, fin dal tempo degli Apostoli, ha impegnato le proprie forze e la propria vita per la liberazione da ogni forma di oppressione e per la promozione della dignità umana. L'esperienza dei Santi e l'esempio di tante opere al servizio del prossimo costituiscono uno stimolo e una luce per quelle iniziative liberatrici, che al giorno d'oggi si impongono.

V. La Chiesa, popolo di Dio della nuova Alleanza
Verso la pienezza della libertà
58. Il popolo di Dio della nuova alleanza è la Chiesa di Cristo. La sua legge è il comandamento dell'amore. Nel cuore dei suoi membri lo Spirito abita come in un tempio. Essa è il germe e l'inizio del regno di Dio su questa terra, regno che avrà il suo compimento alla fine dei tempi con la risurrezione dei morti e il rinnovamento di tutta la creazione. (77)
Possedendo così la caparra dello Spirito, (78) il popolo di Dio è condotto verso la pienezza della libertà. La nuova Gerusalemme, che noi attendiamo con fervore, è chiamata a giusto titolo città della libertà nel senso più alto del termine. (79) Allora "Dio tergerà ogni lacrima dai loro occhi: non ci sarà più la morte, né il lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate" (Ap 21, 4). La speranza è l'attesa sicura "di nuovi cieli e di una terra nuova, nei quali avrà stabile dimora la giustizia" (2 Pt 3, 13).
L'incontro finale con Cristo
59. La trasfigurazione della Chiesa, giunta al termine del suo pellegrinaggio, che Cristo risorto opererà, non elimina assolutamente il destino personale di ciascuno, al termine della propria vita. Ogni uomo, trovato degno davanti al tribunale di Cristo, per aver ben usato con la grazia di Dio del suo libero arbitrio, avrà la felicità. (80) Egli sarà reso simile a Dio, perché lo vedrà come è. (81) Il dono divino della beatitudine eterna è l'esaltazione della più alta libertà che si possa concepire.
Speranza escatologica e impegno per la liberazione temporale
60. Questa speranza non attenua l'impegno per il progresso della città terrena, ma al contrario gli dà senso e forza. Certamente, bisogna distinguere con cura tra progresso terrestre e crescita del regno, che non sono dello stesso ordine. Tuttavia, questa distinzione non è una separazione; infatti, la vocazione dell'uomo alla vita eterna non elimina, anzi conferma il suo compito di mettere in atto le energie e i mezzi, che ha ricevuti dal Creatore per sviluppare la sua vita temporale. (82)
Illuminata dallo Spirito del Signore, la Chiesa di Cristo può discernere nei segni dei tempi quelli che promettono la liberazione e quelli che sono ingannevoli e illusori. Essa chiama l'uomo e le società a vincere le situazioni di peccato e d'ingiustizia e a stabilire le condizioni di una vera libertà. Essa è cosciente che tutti questi beni: dignità umana, unione fraterna, libertà, che costituiscono il frutto di sforzi conformi alla volontà di Dio, noi li ritroveremo "purificati da ogni macchia, illuminati e trasfigurati, quando Cristo rimetterà al Padre il regno eterno e universale", (83) che è un regno di libertà.
La vigile e operosa attesa della venuta del regno è pure quella di una giustizia finalmente perfetta per i vivi e per i morti, per gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, che Gesù Cristo, costituito Giudice supremo, instaurerà. (84) Una tale promessa, che supera tutte le possibilità umane, riguarda direttamente la nostra vita in questo mondo. Infatti, una vera giustizia deve estendersi a tutti, portare la risposta all'immenso cumulo di sofferenze che gravano su tutte le generazioni. In realtà, senza la risurrezione dei morti e il giudizio del Signore non c'è giustizia nel senso pieno di questo termine. La promessa della risurrezione viene gratuitamente incontro al desiderio di vera giustizia, che abita nel cuore umano.

Capitolo quarto
La missione liberatrice della Chiesa

La Chiesa e le inquietudini dell'uomo
61. La Chiesa ha la ferma volontà di rispondere all'inquietudine dell'uomo contemporaneo, oppresso da dure imposizioni e ansioso di libertà. La gestione politica ed economica della società non rientra direttamente nella sua missione. (85) Ma il Signore le ha affidato la parola di verità, capace di illuminare le coscienze. L'amore divino, che è la sua vita, la stimola a essere realmente solidale con ogni uomo che soffre. Se i suoi membri rimangono fedeli a questa missione, lo Spirito Santo, sorgente di libertà, dimorerà in essi, e così produrranno frutti di giustizia e di pace nel loro ambiente familiare, professionale e sociale.

I. Per la salvezza integrale del mondo
Le beatitudini e la forza del Vangelo
62. Il Vangelo è potenza di vita eterna, data già fin d'ora a coloro che lo accolgono. (86) Ma, generando uomini nuovi, (87) questa forza penetra nella comunità umana e nella sua storia, purificando e vivificando così le varie attività. Con ciò essa è "radice di cultura". (88)
Le beatitudini, proclamate da Gesù, esprimono la perfezione dell'amore evangelico, ed esse non han cessato di esser vissute lungo tutta la storia della Chiesa da numerosi battezzati e, in modo eminente, dai Santi.
A cominciare dalla prima, riguardante i poveri, le beatitudini formano un tutt'uno, che a sua volta non deve essere separato dall'insieme del discorso della montagna. (89) In esso Gesù, che è il nuovo Mosè, commenta il Decalogo, la legge dell'alleanza, dandogli il suo senso definitivo e completo. Lette e interpretate nell'integrità del loro contesto, le beatitudini esprimono lo spirito del regno di Dio che viene. Ma, alla luce del destino definitivo della storia umana, in tal modo manifestato, appaiono nello stesso tempo, con più chiara evidenza, i fondamenti della giustizia nell'ordine temporale.
Infatti, insegnando la fiducia che si appoggia su Dio, la speranza della vita eterna, l'amore della giustizia, la misericordia che giunge fino al perdono e alla riconciliazione, la beatitudini permettono di stabilire l'ordine temporale in funzione di un ordine trascendente, che senza togliere al primo il suo specifico contenuto, gli conferisce la sua vera misura.
Alla loro luce, l'impegno necessario nei compiti temporali a servizio del prossimo e della comunità degli uomini è allo stesso tempo richiesto con urgenza e mantenuto nella sua giusta prospettiva. Le beatitudini preservano dall'idolatria dei beni terreni e dalle ingiustizie, che la loro sfrenata bramosia comporta. (90) Esse distolgono dalla ricerca utopistica e pericolosa di un mondo perfetto, perché "passa la scena di questo mondo" (1 Cor 7, 31).
L'annunzio della salvezza
63. La missione essenziale della Chiesa, che continua quella di Cristo, è una missione evangelizzatrice e salvifica. (91) Essa attinge il suo slancio dalla carità divina. L'evangelizzazione è annuncio della salvezza, dono di Dio. Per mezzo della Parola di Dio e dei sacramenti, l'uomo è liberato, prima di tutto, dal potere del peccato e dal potere del Maligno, che l'opprimono, e è introdotto nella comunione d'amore con Dio. Seguendo il suo Signore, "venuto nel mondo per salvare i peccatori" (1 Tm 1, 15), la Chiesa vuole la salvezza di tutti gli uomini.
Compiendo questa missione, la Chiesa insegna la via che l'uomo deve percorrere in questo mondo per entrare nel regno di Dio. Perciò, la sua dottrina si estende a tutto l'ordine morale e, segnatamente, alla giustizia, che deve regolare le relazioni umane. Ciò fa parte della predicazione del Vangelo.
Ma l'amore, che spinge la Chiesa a comunicare a tutti la partecipazione gratuita alla volontà divina, le fa anche perseguire, mediante l'efficace azione dei suoi membri, il vero bene temporale degli uomini, sovvenire alle loro necessità, provvedere alla loro cultura e promuovere una liberazione integrale da tutto ciò che ostacola lo sviluppo delle persone. La Chiesa vuole il bene dell'uomo in tutte le sue dimensioni, prima come membro della città di Dio, e poi come membro della città terrestre.
Evangelizzazione e promozione della giustizia
64. Quando dunque si pronuncia circa la promozione della giustizia nelle società umane, o quando impegna i fedeli del laicato a lavorarvi secondo la loro propria vocazione, la Chiesa non esorbita dalla sua missione. Tuttavia, essa si preoccupa che tale missione non sia assorbita dalle preoccupazioni riguardanti l'ordine temporale, né sia ridotta solo a queste. Per tale motivo essa ha grande cura di mantenere chiaramente e fermamente l'unità e insieme la distinzione tra evangelizzazione e promozione umana: l'unità, perché essa cerca il bene di tutto l'uomo; la distinzione, perché questi due compiti rientrano a titoli diversi nella sua missione.
Vangelo e realtà terrestri
65. Pertanto, è perseguendo la propria finalità che la Chiesa diffonde la luce del Vangelo sulle realtà terrene, in modo che la persona umana sia guarita dalle sue miserie ed elevata alla sua dignità. È così promossa e rinforzata la coesione della società secondo la giustizia e la pace. (92) Così la Chiesa è fedele alla sua missione, quando denuncia le deviazioni, le schiavitù e le oppressioni, di cui gli uomini sono vittime.
Essa è fedele alla sua missione, quando si oppone ai tentativi di instaurare una forma di vita sociale, da cui Dio è assente sia per una cosciente opposizione, sia per una colpevole negligenza. (93)
Essa, finalmente, è fedele alla sua missione, quando esprime il suo giudizio circa i movimenti politici che vogliono lottare contro la miseria e l'oppressione secondo teorie e metodi di azione che sono contrari al Vangelo e si oppongono all'uomo stesso. (94)
Senza dubbio, con la forza della grazia, la morale evangelica reca all'uomo nuove prospettive e nuove esigenze. Ma essa non fa che perfezionare ed elevare una dimensione morale, che appartiene già alla natura umana di cui la Chiesa si preoccupa, sapendo che si tratta di un patrimonio comune a tutti gli uomini in quanto tali.

II. L'amore di preferenza per i poveri
Gesù e la povertà
66. Cristo Gesù, da ricco che era, si fece povero per arricchire noi per mezzo della sua povertà. (95) In questo testo san Paolo parla del mistero dell'Incarnazione del Figlio eterno, che ha voluto assumere una natura umana mortale per salvare l'uomo dalla miseria, in cui il peccato l'aveva immerso. Inoltre, nella condizione umana Cristo ha scelto una situazione di povertà e di spogliamento (96) per dimostrare quale sia la vera ricchezza da ricercare: quella della comunione di vita con Dio. Egli ha insegnato il distacco dalle ricchezze terrene, affinché si desiderino quelle celesti. (97) Gli Apostoli, che egli ha scelto, hanno dovuto anch'essi lasciare tutto e condividere il suo spogliamento. (98)
Annunciato dal Profeta come il Messia dei poveri, (99) appunto presso di loro, gli umili, i "poveri di Jahvé" assetati della giustizia del Regno, egli ha trovato i cuori disposti ad accoglierlo. Ma ha voluto anche essere vicino a coloro che, pur ricchi dei beni di questo mondo, erano esclusi dalla comunità come "pubblicani e peccatori", perché era venuto per chiamarli alla conversione. (100)
È proprio questa povertà, fatta di distacco, di fiducia in Dio, di sobrietà, di disposizione alla condivisione, che Gesù ha dichiarato beata.
Gesù e i poveri
67. Ma Gesù non ha portato soltanto la grazia e la pace di Dio: egli ha pure guarito tanti e tanti malati; ha avuto compassione della folla, che non aveva nulla da mangiare e l'ha sfamata; insieme con i discepoli che lo seguivano, ha praticato l'elemosina. (101) La beatitudine della povertà, che egli ha proclamato, non può, dunque, significare in alcun modo che i cristiani si possono disinteressare dei poveri sprovvisti di ciò che è necessario per la vita umana in questo mondo. Frutto e conseguenza del peccato degli uomini e della loro naturale fragilità, questa miseria è un male da cui bisogna liberare, per quanto è possibile, gli esseri umani.
L'amore di preferenza per i poveri
68. Nelle sue molteplici forme - spogliamento materiale, ingiusta oppressione, malattie fisiche e psichiche, e infine la morte - la miseria umana è il segno evidente della naturale condizione di debolezza, in cui l'uomo si trova dopo il primo peccato e del suo bisogno di salvezza. È per questo che essa ha attirato la compassione di Cristo Salvatore, che ha voluto prenderla su di sé, (102) e identificarsi con "i più piccoli tra i fratelli" (Mt 25, 40. 45). È pure per questo che gli oppressi dalla miseria sono oggetto di un amore di preferenza da parte della Chiesa, la quale, fin dalle origini, malgrado le infedeltà di molti dei suoi membri, non ha cessato di impegnarsi a sollevarli, a difenderli e a liberarli. Ciò ha fatto con innumerevoli opere di beneficenza, che rimangono sempre e dappertutto indispensabili. (103) Essa poi, con la sua dottrina sociale, che sollecita ad applicare, ha cercato di promuovere riforme di struttura nella società, per procurare condizioni di vita degne della persona umana.
Mediante il distacco dalle ricchezze, che permette la condivisione e dà accesso al regno, (104) i discepoli di Gesù testimoniano, nell'amore dei poveri e degli infelici, l'amore stesso del Padre che si è manifestato nel Salvatore. Questo amore viene da Dio e va a Dio. I discepoli di Cristo hanno sempre riconosciuto nei doni posti sull'altare un dono offerto a Dio stesso.
Amando i poveri, infine, la Chiesa rende testimonianza alla dignità dell'uomo. Essa afferma chiaramente che questi vale più per ciò che è che non per ciò che possiede. Essa attesta che tale dignità non può essere distrutta, quale che sia la condizione di miseria, di disprezzo, di emarginazione, di impotenza, a cui un essere umano è stato ridotto. Essa si dimostra solidale con coloro che non contano in una società, da cui sono stati moralmente e, talvolta, anche fisicamente emarginati. Essa li reintegra nella fraternità umana e nella comunità dei figli di Dio. In particolare la Chiesa si china con affetto materno sui bambini che, a causa della cattiveria umana, non vedranno mai la luce, come pure sulle persone anziane sole e abbandonate.
L'opzione preferenziale per i poveri, lungi dall'essere un segno di particolarismo o di settarismo, manifesta l'universalità della natura e della missione della Chiesa. Questa opzione non è esclusiva.
È la ragione per cui la Chiesa non può esprimersi a sostegno di categorie sociologiche e ideologiche riduttrici, che farebbero di tale preferenza una scelta faziosa e di natura conflittuale.
Comunità ecclesiali di base e altri gruppi di cristiani
69. Le nuove comunità ecclesiali di base, o altri gruppi di cristiani, formati per essere testimoni di questo amore evangelico, sono motivo di grande speranza per la Chiesa. Se vivono veramente uniti con la Chiesa locale e con la Chiesa universale, essi sono un'autentica espressione di comunione e un mezzo per costruire una comunione ancor più profonda. (105) Saranno fedeli alla loro missione nella misura in cui si preoccuperanno di educare i loro membri all'integrità della fede cristiana, mediante l'ascolto della Parola di Dio, la fedeltà all'insegnamento del magistero, all'ordine gerarchico della Chiesa e alla vita sacramentale. A queste condizioni, la loro esperienza, radicata nell'impegno per la liberazione integrale dell'uomo, diventa una ricchezza per la Chiesa intera.
La riflessione teologica
70. In maniera analoga una riflessione teologica, sviluppata partendo da una particolare esperienza, può costituire un contributo molto positivo, in quanto consente di mettere in evidenza aspetti della Parola di Dio, la cui intera ricchezza non era ancora stata pienamente percepita. Ma affinché tale riflessione sia veramente una lettura della Scrittura, e non già la proiezione sulla Parola di Dio di un significato che non vi è contenuto, il teologo sarà attento a interpretare l'esperienza, da cui parte, alla luce dell'esperienza della Chiesa stessa. Tale esperienza della Chiesa brilla con singolare splendore e in tutta la sua purezza nella vita dei Santi. Spetta ai Pastori della Chiesa, in comunione col Successore di Pietro, discernerne l'autenticità.

Capitolo quinto
La dottrina sociale della Chiesa: per una prassi cristiana della liberazione

La prassi cristiana della liberazione
71. La dimensione soteriologica della liberazione non può essere ridotta alla dimensione etico-sociale, che ne è una conseguenza. Restituendo la vera libertà all'uomo, la liberazione radicale operata da Cristo gli assegna un compito: la prassi cristiana, che è la concreta applicazione del grande comandamento dell'amore. È questo il principio supremo della morale sociale cristiana, fondata sul Vangelo e su tutta la tradizione dai tempi apostolici e dall'epoca dei Padri della Chiesa fino ai recenti interventi del magistero.
Le grandi sfide del nostro tempo costituiscono un urgente appello a mettere in pratica questa dottrina concernente l'azione.

I. Natura della dottrina sociale della Chiesa

Messaggio evangelico e vita sociale
72. L’insegnamento sociale della Chiesa è nato dall’incontro del messaggio evangelico e delle sue esigenze, che si riassumono nel comandamento supremo dell’amore di Dio e del prossimo e nella giustizia, (106) con i problemi derivanti dalla vita della società. Esso si è costituito come dottrina, valendosi delle risorse della sapienza e delle scienze umane; verte sull'aspetto etico di questa vita e tiene in debito conto gli aspetti tecnici dei problemi, ma sempre per giudicarli dal punto di vista morale.
Essenzialmente orientato verso l'azione, questo insegnamento si sviluppa in funzione delle circostanze mutevoli della storia. Appunto per questo, pur ispirato a princìpi sempre validi, esso comporta anche dei giudizi contingenti. Lungi dal costituire un sistema chiuso, esso resta costantemente aperto alle nuove questioni che si presentano di continuo, ed esige il contributo di tutti i carismi, esperienze e competenze.
Esperta in umanità, la Chiesa attraverso la sua dottrina sociale offre un insieme di princìpi di riflessione e di criteri di giudizio, (107) e quindi di direttive di azione, (108) perché siano realizzati quei profondi cambiamenti che le situazioni di miseria e di ingiustizia esigono, e ciò sia fatto in un modo che contribuisca al vero bene degli uomini.
Princìpi fondamentali
73. Il supremo comandamento dell'amore conduce al pieno riconoscimento della dignità di ciascun uomo, creato a immagine di Dio. Da questa dignità derivano diritti e doveri naturali. Alla luce dell'immagine di Dio, si manifesta in tutta la sua profondità la libertà, prerogativa essenziale della persona umana: sono le persone i soggetti attivi e responsabili della vita sociale. (109)
Al fondamento, che è la dignità dell'uomo, sono intimamente legati il principio di solidarietà e il principio di sussidiarietà.
In virtù del primo, l'uomo deve contribuire con i suoi simili al bene comune della società, a tutti i livelli. (110) Con ciò, la dottrina della Chiesa si oppone a tutte le forme di individualismo sociale o politico.
In virtù del secondo, né lo Stato, né alcuna società devono mai sostituirsi all'iniziativa e alla responsabilità delle persone e delle comunità intermedie in quei settori in cui esse possono agire, né distruggere lo spazio necessario alla loro libertà. (111) Con ciò, la dottrina sociale della Chiesa si oppone a tutte le forme di collettivismo.
Criteri di giudizio
74. Questi princìpi sono di fondamento ai criteri per valutare lesituazioni, le strutture ed i sistemi sociali.
Così la Chiesa non esita a denunciare le situazioni di vita, che attentano alla dignità e alla libertà dell'uomo.
Questi criteri consentono, altresì, di giudicare il valore dellestrutture. Queste sono l'insieme delle istituzioni e delle prassi che gli uomini trovano già esistenti o creano, sul piano nazionale e internazionale, e che orientano o organizzano la vita economica, sociale e politica. Di per sé necessarie, esse tendono spesso a irrigidirsi e a cristallizzarsi in meccanismi relativamente indipendenti dalla volontà umana, paralizzando in tal modo o stravolgendo lo sviluppo sociale, e generando l'ingiustizia. Esse, tuttavia, dipendono sempre dalla responsabilità dell'uomo, che le può modificare, e non da un presunto determinismo storico.
Le istituzioni e le leggi, quando sono conformi alla legge naturale e ordinate al bene comune, sono la garanzia della libertà delle persone e della sua promozione. Non si possono condannare tutti gli aspetti costrittivi della legge, né la stabilità di uno Stato di diritto, degno di questo nome. Si può, dunque, parlare di strutture segnate dal peccato, ma non si possono condannare le strutture in quanto tali.
Detti criteri di giudizio riguardano anche i sistemi economici, sociali e politici. La dottrina sociale della Chiesa non propone alcun sistema particolare, ma, alla luce dei suoi princìpi fondamentali, consente di vedere, anzitutto, in quale misura i sistemi esistenti sono conformi o meno alle esigenze della dignità umana.
Primato delle persone sulle strutture 
75. Certo, la Chiesa è consapevole della complessità dei problemi, a cui le società devono far fronte, e delle difficoltà di trovarvi soluzioni adeguate. Tuttavia, essa pensa che occorre, anzitutto, fare appello alle capacità spirituali e morali della persona e all'esigenza permanente della conversione interiore, se si vogliono ottenere cambiamenti economici e sociali che siano veramente al servizio dell'uomo.
Il primato dato alle strutture e all'organizzazione tecnica sulla persona e sulle esigenze della sua dignità è espressione di un'antropologia materialistica, ed è contrario all'edificazione di un giusto ordine sociale. (112)
Tuttavia, la priorità riconosciuta alla libertà e alla conversione del cuore non elimina in alcun modo la necessità di un cambiamento delle strutture ingiuste. È, dunque, pienamente legittimo che coloro i quali soffrono per l'oppressione da parte dei detentori della ricchezza o del potere politico si adoperino, con i mezzi moralmente leciti, per ottenere strutture e istituzioni, in cui i loro diritti siano veramente rispettati.
Resta, nondimeno, che le strutture messe in atto per il bene delle persone sono da sole incapaci di procurarlo e di garantirlo. Ne è prova la corruzione, che colpisce in certi Paesi i dirigenti e la burocrazia di Stato, e che distrugge qualsiasi onesta vita sociale. La dirittura morale è condizione per una società sana. Bisogna, dunque, operare a un tempo per la conversione dei cuori e per il miglioramento delle strutture, perché il peccato, che è all'origine delle situazioni ingiuste, è, in senso proprio e primario, un atto volontario che ha la sua sorgente nella libertà della persona. È solo in un senso derivato e secondario che esso si applica alle strutture, e che si può parlare di "peccato sociale". (113)
D'altra parte, nel processo di liberazione non si può prescindere dalla situazione storica della nazione, né attentare all'identità culturale di un popolo. Di conseguenza, non si possono accettare passivamente e, tanto meno, appoggiare attivamente gruppi che, con la forza oppure con la manipolazione dell'opinione pubblica, s'impadroniscono dell'apparato dello Stato e impongono abusivamente alla collettività un'ideologia importata e in contrasto con i veri valori culturali del popolo. (114) A questo proposito, conviene ricordare la grave responsabilità morale e politica degli intellettuali.
Direttive d'azione
76. I principi fondamentali e i criteri di giudizio ispirano le direttive d'azione: poiché il bene comune della società umana è al servizio delle persone, i mezzi d'azione devono essere conformi alla dignità dell'uomo e favorire l'educazione della libertà. È qui un criterio sicuro di giudizio e di azione: non c'è vera liberazione, se non sono rispettati fin dall'inizio i diritti della libertà.
Nel ricorso sistematico alla violenza presentata come la via obbligata della liberazione, occorre denunciare un'illusione distruttrice, che apre la via a nuove schiavitù. Con pari vigore si condannerà la violenza esercitata dai possidenti contro i poveri, l'arbitrio della polizia, come pure ogni forma di violenza elevata a sistema di governo. In questi settori, bisogna saper prender lezione dalle tragiche esperienze che la storia del nostro secolo ha registrato e tuttora registra. Non si può più ammettere la colpevole passività dei pubblici poteri in certe democrazie, in cui la condizione sociale di un gran numero di uomini e donne è lungi dal corrispondere a ciò che esigono i diritti individuali e sociali, costituzionalmente garantiti.
Lotta per la giustizia
77. Allorché incoraggia la creazione e l'azione di associazioni, come i sindacati, che lottano per la difesa dei diritti e dei legittimi interessi dei lavoratori e per la giustizia sociale, la Chiesa non ammette per ciò stesso la teoria che vede nella lotta di classe il dinamismo strutturale della vita sociale. L'azione, che essa raccomanda, non è la lotta di una classe contro un'altra per ottenere l'eliminazione dell'avversario; né procede da una sottomissione aberrante a una presunta legge della storia. È una lotta nobile e ragionevole, in vista della giustizia e della solidarietà sociali. (115) Il cristiano preferirà sempre la via del dialogo e della reciproca intesa.
Cristo ci ha dato il comandamento dell'amore dei nemici. (116) Pertanto, la liberazione nello spirito del Vangelo è incompatibile con l'odio dell'altro, inteso sia individualmente che collettivamente, ivi compreso l'odio del nemico.
Il mito della rivoluzione
78. Le situazioni di grave ingiustizia richiedono il coraggio di riforme in profondità e la soppressione di privilegi ingiustificati. Ma coloro che screditano la via delle riforme in favore del mito della rivoluzione, non solo nutrono l'illusione che l'abolizione di una situazione iniqua basti di per se stessa a creare una società più umana, ma favoriscono pure l'avvento di regimi totalitari. (117) La lotta contro le ingiustizie non ha senso, se non è condotta con l'intento di instaurare un nuovo ordine sociale e politico in conformità con le esigenze della giustizia. È questa che deve già segnare le tappe della sua instaurazione. Esiste una moralità dei mezzi. (118)
Un estremo ricorso
79. Questi princìpi devono essere rispettati in modo speciale nel caso estremo del ricorso alla lotta armata, che il magistero ha indicato quale ultimo rimedio per porre fine a una "tirannia evidente e prolungata, che attentasse gravemente ai diritti fondamentali della persona e nuocesse in modo pericoloso al bene comune di un Paese". (119) Tuttavia l'applicazione concreta di questo mezzo può essere prevista solo dopo una valutazione molto rigorosa della situazione. Infatti, a causa del continuo sviluppo delle tecniche impiegate e della crescente gravità dei pericoli implicati nel ricorso alla violenza, quella che oggi viene chiamata "resistenza passiva" apre una strada più conforme ai princìpi morali e non meno promettente di successo.
Non si può mai ammettere, né da parte del potere costituito, né da parte di gruppi di insorti, il ricorso a mezzi criminali come le rappresaglie perpetrate ai danni delle popolazioni, la tortura, i metodi del terrorismo e della provocazione calcolata per causare la morte di uomini nel corso di manifestazioni popolari. Sono egualmente inammissibili le odiose campagne di calunnie, capaci di distruggere psichicamente o moralmente una persona.
Il ruolo dei laici
80. Non spetta ai pastori della Chiesa intervenire direttamente nella costruzione politica e nell'organizzazione della vita sociale. Questo compito rientra nella vocazione dei laici, che agiscono di propria iniziativa con i loro concittadini. (120) Essi devono compierlo con la consapevolezza che la finalità della Chiesa è di estendere il regno di Cristo, affinché tutti gli uomini siano salvi e per mezzo loro il mondo sia effettivamente ordinato a Cristo. (121)
L'opera della salvezza appare così indissolubilmente legata all'impegno di migliorare e di elevare le condizioni della vita umana in questo mondo.
La distinzione tra l'ordine soprannaturale della salvezza e l'ordine temporale della vita umana deve essere vista all'interno dell'unico disegno di Dio che è di ricapitolare tutte le cose in Cristo. È questa la ragione per la quale, nell'uno e nell'altro settore, il laico, ad un tempo fedele e cittadino, deve lasciarsi costantemente guidare dalla sua coscienza cristiana. (122)
L'azione sociale, che può implicare una pluralità di vie concrete, sarà sempre finalizzata al bene comune e conforme al messaggio evangelico ed all'insegnamento della Chiesa. Bisognerà evitare che la differenza di opzioni nuoccia al senso della collaborazione, conduca alla paralisi degli sforzi o produca confusione nel popolo cristiano.
L'orientamento, che ci viene dalla dottrina sociale della Chiesa, deve stimolare l'acquisizione delle indispensabili competenze tecniche e scientifiche. Esso stimolerà anche a perseguire la formazione morale del carattere e l'approfondimento della vita spirituale. Fornendo princìpi e consigli di saggezza, questa dottrina non dispensa dall'educazione alla prudenza politica richiesta per il governo e la gestione delle realtà umane.

II. Esigenze evangeliche di una profonda trasformazione 
Necessità di una trasformazione culturale
81. Una sfida senza precedenti è lanciata oggi ai cristiani che operano per realizzare questa "civiltà dell'amore", la quale compendia tutta l'eredità etico-culturale del Vangelo. Questo compito richiede una nuova riflessione su ciò che costituisce il rapporto del comandamento supremo dell'amore con l'ordine sociale considerato in tutta la sua complessità.
La conclusione diretta di questa profonda riflessione è l'elaborazione e l'attuazione di audaci programmi d'azione in vista della liberazione sociale ed economica di milioni di uomini e donne, la cui condizione di oppressione economica, sociale e politica è intollerabile.
Questa azione deve cominciare con uno sforzo assai grande nel campo dell'educazione: educazione alla civiltà del lavoro, educazione alla solidarietà, accesso di tutti alla cultura.
Il Vangelo del lavoro
82. L'esistenza di Gesù a Nazareth, vero "Vangelo del lavoro", ci offre l'esempio vivente e il principio della radicale trasformazione culturale che è indispensabile per risolvere i gravi problemi che la nostra epoca deve affrontare. Colui che, essendo Dio, divenne in tutto simile a noi, si dedicò durante la maggior parte della sua vita terrena a un lavoro manuale. (123) La cultura, che la nostra epoca attende, sarà caratterizzata dal pieno riconoscimento della dignità del lavoro umano, che appare in tutta la sua nobiltà e fecondità alla luce dei misteri della Creazione e della Redenzione. (124) Riconosciuto come espressione della persona, il lavoro diventa fonte di senso e sforzo creativo.
Una vera civiltà del lavoro 
83. Così la soluzione della maggior parte dei gravi problemi della miseria si trova nella promozione di una vera civiltà del lavoro. Il lavoro è, in qualche modo, la chiave di tutta la questione sociale. (125)
È, pertanto, nel campo del lavoro che deve essere intrapresa con priorità un'azione liberatrice nella libertà. Poiché il rapporto tra la persona umana e il lavoro è radicale e vitale, le forme e le modalità, secondo le quali sarà regolato questo rapporto, eserciteranno un'influenza positiva in vista della soluzione del complesso di problemi sociali e politici, che si pongono a ciascun popolo. Giuste relazioni di lavoro potranno prefigurare un sistema di comunità politica, atta a favorire lo sviluppo integrale di ogni persona umana.
Se il sistema dei rapporti di lavoro, posto in atto dai protagonisti diretti - lavoratori e datori di lavoro - con l'indispensabile sostegno dei pubblici poteri, riesce a dare origine a una civiltà del lavoro, si produrrà allora, nel modo di vedere dei popoli e perfino nelle basi istituzionali e politiche, una pacifica e profonda rivoluzione.
Bene comune nazionale e internazionale
84. Una tale cultura del lavoro dovrà supporre e mettere in atto un certo numero di valori essenziali. Essa dovrà riconoscere che la persona del lavoratore è principio, soggetto e fine dell'attività lavorativa. Essa dovrà affermare la priorità del lavoro sul capitale e l'universale destinazione dei beni materiali. Essa sarà animata dal senso di una solidarietà che non comporti solo diritti da rivendicare, ma anche doveri da compiere. Essa implicherà la partecipazione tendente a promuovere il bene comune nazionale e internazionale, e non solamente a difendere interessi individuali o corporativi. Essa adotterà il metodo del confronto pacifico e del dialogo franco e vigoroso.
Allora le autorità politiche diventeranno più capaci di agire nel rispetto delle legittime libertà degli individui, delle famiglie, dei gruppi sussidiari, creando così le condizioni richieste affinché l'uomo possa conseguire il suo autentico e integrale bene, ivi compreso il suo fine spirituale. (126)
Il valore del lavoro umano
85. Una cultura che riconosce l'eminente dignità del lavoratore metterà in evidenza la dimensione soggettiva del lavoro. (127) Il valore di ogni lavoro umano non è, prima di tutto, in funzione del genere di lavoro compiuto, ma ha il suo fondamento nel fatto che chi lo compie è una persona. (128) Si afferma qui un criterio etico, le cui esigenze non dovrebbero sfuggire.
Così ogni uomo ha diritto al lavoro, il quale deve essere riconosciuto praticamente mediante un impegno effettivo al fine di risolvere il drammatico problema della disoccupazione. Il fatto che questa mantenga in una condizione di marginalità larghi strati della popolazione e, segnatamente, la gioventù, è intollerabile. Per tale motivo, la creazione di posti di lavoro è un compito sociale primario, che si impone agli individui e all'iniziativa privata, ma in pari misura allo Stato. In linea di massima, qui come in altri settori, lo Stato ha una funzione sussidiaria; ma spesso può esser chiamato a intervenire direttamente, come nel caso di accordi internazionali tra diversi Stati. Tali accordi devono rispettare il diritto degli emigrati e delle loro famiglie. (129)
Promuovere la partecipazione
86. Il salario, che non può essere concepito come una semplice merce, deve consentire al lavoratore e alla sua famiglia di avere accesso a un livello di vita veramente umano nell'ordine materiale, sociale, culturale e spirituale. È la dignità della persona che costituisce il criterio per giudicare il lavoro, e non viceversa. Qualunque sia il tipo di lavoro, il lavoratore deve poterlo vivere come espressione della sua personalità. Ne consegue l'esigenza di una partecipazione che, ben al di là di una condivisione dei frutti del lavoro, dovrebbe comportare un'autentica dimensione comunitaria a livello di progetti, di iniziative e di responsabilità. (130)
Priorità del lavoro sul capitale
87. La priorità del lavoro sul capitale impone agli imprenditori il dovere di giustizia di considerare il bene dei lavoratori prima dell'aumento dei loro profitti. Essi hanno l'obbligo morale di non mantenere dei capitali improduttivi e, negli investimenti, di mirare anzitutto al bene comune. Questo esige che si persegua prioritariamente il consolidamento o la creazione di nuovi posti di lavoro, nella produzione di beni veramente utili.
Il diritto alla proprietà privata non è concepibile senza doveri rispetto al bene comune, ed è subordinato al principio superiore dell'universale destinazione dei beni. (131)
Riforme in profondità
88. Questa dottrina deve ispirare le riforme prima che sia troppo tardi. L'accesso di tutti ai beni richiesti per una vita umana, personale e familiare, degna di questo nome, è un'esigenza primaria della giustizia sociale. Essa esige di essere applicata nel settore del lavoro industriale e in maniera tutta particolare in quello del lavoro agricolo. (132) Infatti, i contadini, soprattutto nel terzo mondo, costituiscono la parte preponderante dei poveri. (133)

III. Promozione della solidarietà
Una nuova solidarietà
89. La solidarietà è un'esigenza diretta della fraternità umana e soprannaturale. I gravi problemi socio-economici, che oggi si pongono, non potranno essere risolti se non creando nuovi fronti di solidarietà: solidarietà dei poveri tra di loro, solidarietà con i poveri, alla quale son chiamati i ricchi, solidarietà dei lavoratori e con i lavoratori. Le istituzioni e le organizzazioni sociali, a diversi livelli, così pure lo Stato, devono partecipare a un movimento generale di solidarietà. La Chiesa, quando vi fa appello, sa che essa stessa è a ciò interessata in modo tutto particolare.
Destinazione universale dei beni
90. Il principio della destinazione universale dei beni, congiunto a quello della fraternità umana e soprannaturale, detta precisi doveri ai Paesi più ricchi nei confronti dei Paesi poveri. Questi doveri sono di solidarietà nell'aiuto ai Paesi in via di sviluppo; di giustizia sociale, mediante la revisione in termini corretti delle relazioni commerciali tra Nord e Sud e la promozione di un mondo più umano per tutti, in cui ciascuno possa dare e ricevere, e in cui il progresso degli uni non sarà più un ostacolo allo sviluppo degli altri, né un pretesto per il loro assoggettamento. (134)
Aiuto allo sviluppo
91. La solidarietà internazionale è un'esigenza di ordine morale. Essa non s'impone soltanto nei casi di estrema urgenza, ma anche per l'aiuto al vero sviluppo. C'è qui un'opera comune da fare, che richiede uno sforzo concertato e costante per trovare soluzioni tecniche concrete, ma anche per creare una nuova mentalità negli uomini di questo tempo. La pace del mondo ne dipende in larga misura. (135)

IV. Compiti culturali ed educativi
Diritti all'istruzione ed alla cultura
92. Le disuguaglianze contrarie alla giustizia nel possesso e nell'uso dei beni materiali sono accompagnate e aggravate dalle disuguaglianze altrettanto ingiuste nell'accesso alla cultura. Ogni uomo ha diritto alla cultura, che è la forma specifica di un'esistenza veramente umana, alla quale egli accede con lo sviluppo delle sue facoltà di conoscenza, delle virtù morali, delle sue capacità di relazione con i propri simili, delle sue attitudini a produrre opere utili e belle. Da ciò deriva l'esigenza della promozione e della diffusione dell'educazione, alla quale ognuno ha un diritto inalienabile. Prima condizione di ciò è l'eliminazione dell'analfabetismo. (136)
Rispetto della libertà culturale
93. Il diritto di ogni uomo alla cultura è assicurato solo se è rispettata la libertà culturale. Troppo spesso la cultura degenera in ideologia, e l'educazione è trasformata in strumento al servizio del potere politico o economico. Non è nelle competenze dell'autorità pubblica determinare la cultura. La sua funzione è di promuovere e di proteggere la vita culturale di tutti, ivi compresa quella delle minoranze. (137)
Il compito educativo della famiglia
94. Il compito educativo appartiene fondamentalmente e prioritariamente alla famiglia. La funzione dello Stato è sussidiaria: il suo ruolo consiste nel garantire, proteggere, promuovere e supplire. Quando lo Stato rivendica a sé il monopolio scolastico, oltrepassa i suoi diritti e offende la giustizia. È ai genitori che spetta il diritto di scegliere la scuola, a cui mandare i propri figli, e di creare e sostenere dei centri educativi in sintonia con le loro proprie convinzioni. Lo Stato non può, senza commettere un'ingiustizia, accontentarsi di tollerare le scuole cosiddette private. Queste rendono un servizio pubblico e, di conseguenza, hanno il diritto di essere aiutate economicamente. (138)
"Le libertà" e la partecipazione
95. L'educazione, che dà accesso alla cultura, è anche educazione all'esercizio responsabile della libertà. Per questo non c'è autentico sviluppo, se non in un sistema sociale e politico che rispetti le libertà e le favorisca mediante la partecipazione di tutti. Una tale partecipazione può assumere forme diverse; essa è necessaria per garantire un giusto pluralismo nelle istituzioni e nelle iniziative sociali. Essa assicura, specialmente con la reale separazione tra i poteri dello Stato, l'esercizio dei diritti dell'uomo, proteggendoli egualmente contro possibili abusi da parte dei pubblici poteri. Da questa partecipazione alla vita sociale e politica, nessuno può essere escluso in ragione del sesso, della razza, del colore, della condizione sociale, della lingua o della religione. (139) Il mantenere il popolo ai margini della vita culturale, sociale e politica, costituisce in molte nazioni una delle ingiustizie più clamorose del nostro tempo.
Quando le autorità politiche regolano l'esercizio delle libertà, non dovrebbero prendere pretesto dalle esigenze dell'ordine pubblico e della sicurezza per limitare sistematicamente queste libertà. Né il presunto principio della "sicurezza nazionale", né una visione restrittivamente economica, né una concezione totalitaria della vita sociale, dovrebbero prevalere sul valore della libertà e dei suoi diritti. (140)
La sfida all'inculturazione
96. La fede è ispiratrice di criteri di giudizio, di valori determinanti, di linee di pensiero e di modelli di vita, validi per la stessa comunità degli uomini. (141) Per questo, la Chiesa, attenta alle angosce della nostra epoca, indica le vie di una cultura, nella quale il lavoro sia riconosciuto secondo la sua piena dimensione umana ed in cui ogni essere umano trovi la possibilità di realizzarsi come persona. Ciò essa fa in virtù della sua apertura missionaria per la salvezza integrale del mondo, nel rispetto dell'identità di ciascun popolo e nazione.
La Chiesa, comunione che congiunge diversità e unità, con la sua presenza nel mondo intero, prende da ogni cultura quanto vi trova di positivo. L'inculturazione, tuttavia, non è un semplice adattamento esteriore; essa è un'intima trasformazione degli autentici valori culturali mediante l'integrazione nel cristianesimo e il radicamento del cristianesimo nelle diverse culture umane. (142) La separazione tra il Vangelo e la cultura è un dramma, di cui i problemi richiamati sono la dolorosa dimostrazione. S'impone, dunque, uno sforzo generoso per l'evangelizzazione delle culture. Queste ultime saranno rigenerate dal loro incontro col Vangelo. Ma tale incontro presuppone che il Vangelo sia realmente annunciato. (143) Illuminata dal Concilio Vaticano II, la Chiesa vi si vuole consacrare con tutte le sue energie, per provocare un immenso slancio di liberazione.

Conclusione
Il canto del Magnificat
97. Beata colei che ha creduto (Lc 1, 45). Al saluto di Elisabetta, la Madre di Dio risponde lasciando effondere il suo cuore nel canto del Magnificat. Ella ci insegna che è mediante la fede e nella fede che, sul suo esempio, il popolo di Dio diventa capace di esprimere in parole e di tradurre nella sua vita il mistero del disegno della salvezza e le sue dimensioni liberatrici sul piano dell'esistenza individuale e sociale. In realtà, solo alla luce della fede si percepisce come la storia della salvezza sia la storia della liberazione dal male nella sua espressione più radicale e l'introduzione dell'umanità nella vera libertà dei figli di Dio. Totalmente dipendente da Dio e tutta orientata verso di lui per lo slancio della sua fede, Maria, accanto a suo Figlio, è l'icona più perfetta della libertà e della liberazione dell'umanità e del cosmo. È a lei che la Chiesa, di cui ella è madre e modello, deve guardare per comprendere il senso della propria missione nella sua pienezza.
È veramente da rilevare che il senso della fede dei poveri, come porta ad un'acuta percezione del mistero della croce redentrice, così porta a un amore e a una fiducia indefettibile nella Madre del Figlio di Dio, venerata in numerosi santuari.
Il "sensus fidei" del popolo di Dio
98. I pastori e quanti - sacerdoti e laici, religiosi e religiose - lavorano spesso in condizioni molto difficili per l'evangelizzazione e la promozione umana, devono essere pieni di speranza al pensiero che tante risorse straordinarie di santità sono contenute nella fede viva del popolo di Dio. Bisogna fare in modo che queste ricchezze del sensus fidei possano pienamente sbocciare e dare frutti abbondanti. Aiutare con una meditazione approfondita del disegno della salvezza, così come questo si sviluppa riguardo alla Vergine del Magnificat, la fede del popolo dei poveri a esprimersi con chiarezza e a tradursi nella vita: è questo un nobile compito ecclesiale, che attende il teologo. Così una teologia della libertà e della liberazione, come eco fedele del Magnificat di Maria conservato nella memoria della Chiesa, costituisce un'esigenza del nostro tempo. Ma sarebbe una grave perversione appropriarsi delle energie della religiosità popolare per dirottarle verso un progetto di liberazione puramente terrena, che si rivelerebbe ben presto come una illusione e una causa di nuove schiavitù. Coloro che così cedono alle ideologie del mondo e alla presunta necessità della violenza non sono più fedeli alla speranza, al suo ardimento e al suo coraggio, come li esalta quell'inno al Dio della misericordia che la Vergine c'insegna.
Le dimensioni di un'autentica liberazione
99. Il senso della fede percepisce tutta la profondità della liberazione operata dal Redentore. Egli ci ha liberato dal male più radicale, dal peccato e dal potere della morte, per restituire la libertà a se stessa e per mostrarle il suo cammino. Questo cammino è tracciato dal comandamento supremo, ch'è il comandamento dell'amore.
La liberazione, nel suo significato primario che è soteriologico, si prolunga così in un compito liberatore, in un'esigenza etica. Si colloca qui la dottrina sociale della Chiesa, che illumina la prassi cristiana sul piano della società.
Il cristiano è chiamato ad agire secondo la verità (144) e a lavorare così per l'instaurazione di quella "civiltà dell'amore", di cui parlava Paolo VI. (145) Il presente Documento, senza pretendere di essere completo, ha indicato alcune direzioni, lungo le quali è urgente intraprendere delle riforme profonde. Il compito prioritario, che condiziona la riuscita di tutti gli altri, è di ordine educativo. L'amore che guida l'impegno deve fin d'ora far nascere nuove solidarietà. A questi compiti, che si impongono in tutta urgenza alla coscienza cristiana, sono chiamati tutti gli uomini di buona volontà.
È la realtà del mistero della salvezza che opera nell'oggi della storia per condurre l'umanità redenta verso la perfezione del Regno, il quale dà il loro vero significato ai necessari sforzi di liberazione d'ordine economico, sociale e politico e impedisce loro di naufragare in nuove forme di schiavitù.
Un compito davanti a noi
100. È vero che, di fronte alla vastità e complessità del compito, il quale può esigere il dono di sé fino all'eroismo, molti sono tentati dallo scoraggiamento, dallo scetticismo o dall'avventura disperata. Una formidabile sfida è lanciata alla speranza, teologale e umana. La Vergine generosa del Magnificat, che avvolge la Chiesa e l'umanità con la sua preghiera, è il saldo sostegno della speranza. In lei davvero noi contempliamo la vittoria dell'amore divino che nessun ostacolo può trattenere e scopriamo a quale sublime libertà Dio eleva gli umili. Lungo il cammino, da lei tracciato, deve progredire con grande slancio la fede che opera per mezzo della carità. (146)

Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell'Udienza concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto, ha approvato la presente Istruzione, decisa nella riunione ordinaria di questa Congregazione e ne ha ordinato la pubblicazione.

Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 22 marzo, nella festa dell'Annunciazione del Signore.

Joseph Card. RatzingerPrefetto
Alberto BovoneArcivescovo tit. di Cesarea di Numidia
Segretario

(1) Congregazione per la Dottrina della Fede, Istruzione su alcuni aspetti della "Teologia della liberazione" (Libertatis Nuntius),Introduzione: AAS 76 (1984), 876-877.
(2) Cf. la Costituzione pastorale Gaudium et Spes e la Dichiarazione Dignitatis Humanae del Concilio Ecumenico Vaticano II; le Encicliche Mater et Magistra, Pacem in Terris, Populorum Progressio, Redemptor Hominis Laborem Exercens;le Esortazioni Apostoliche Evangelii Nuntiandi Reconciliatio et Paenitentia; la Lettera Apostolica Octogesima Adveniens. Giovanni Paolo II ha trattato questo tema nel suo Discorso inaugurale della 3ª Conferenza dell'Episcopato latino-americano a Puebla: AAS 71 (1979), 187-205. Vi è ritornato in numerose altre occasioni. Il tema è stato ugualmente trattato al Sinodo dei Vescovi nel 1971 e nel 1974. Le Conferenze dell'Episcopato latino-americano ne hanno fatto oggetto diretto delle loro riflessioni. Esso ha attirato anche l'attenzione di altri Episcopati, come l'Episcopato Francese:Libération des hommes et salut en Jésus-Christ, 1975.
(3) Paolo VI, Lettera Apostolica Octogesima Adveniens, nn. 1-4:AAS 63 (1971); 401-404.
(4) Cf. Gv 4, 42; 1 Gv 4, 14.
(5) Cf. Mt 28, 18-20; Mc 16, 15.
(6) Cf. Dich. Dignitatis Humanae, n. 10.
(7) Cf. Paolo VI, Esort. Apost. Evangelii Nuntiandi, nn. 78-80: AAS68 (1976), 70-75; Dich. Dignitatis Humanae, n. 3; Giovanni Paolo II, Encicl. Redemptor Hominis, n. 12: AAS 71 (1979), 278-281.
(8) Cf. Istruz. Libertatis Nuntius, XI, 10: AAS 76 (1984), 905-906.
(9) Cf. Giovanni Paolo II, Encicl. Redemptor Hominis, n. 17: AAS71 (1979), 296-297, Dichiarazione del 10 marzo 1984 al Colloquio dei Giuristi: L'Osservatore Romano, 11 marzo 1984, 8.
(10) Cf. Istruz. Libertatis Nuntius, XI, 5: AAS 76 (1984), 904; Giovanni Paolo II, Discorso inaugurale di Puebla: AAS 71 (1979), 189-196.
(11) Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, n. 36.
(12) Cf. Ibid.
(13) Cf. Loc. cit., n. 41.
(14) Cf. Mt 11, 25; Lc 10, 21.
(15) Cf. Paolo VI, Esort. Apost. Evangelii Nuntiandi, n. 48: AAS 68 (1976), 37-38.
(16) Cf. Istruz. Libertatis Nuntius, VII, 9; VIII, 1-9: AAS 76 (1984), 892, 894-895.
(17) Cf. Gen 1, 26.
(18) Cf. Giovanni Paolo II, Encicl. Redemptor Hominis, n. 21: AAS71 (1979), 316.
(19) Cf. Rm 6, 6; 7, 23.
(20) Cf. Gn 2, 18. 23: "Non è bene che l'uomo sia solo"... "Questa volta essa / è carne della mia carne / e osso delle mie ossa": a queste parole della Scrittura che direttamente si riferiscono al rapporto tra uomo e donna, si può riconoscere una portata più universale. Cf. Lv 19, 18.
(21) Cf. Giovanni XXIII, Encicl. Pacem in Terris 5-15: AAS 55 (1963), 259-265; Giovanni Paolo II, Lettera al Sig. K. Waldheim, Segretario generale delle Nazioni Unite, in occasione del 30° anniversario della "Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo":AAS 71 (1979), 122; Discorso Pontificio all'O.N.U., n. 9: AAS 71 (1979), 1149.
(22) Cf. S. Agostino, Ad Macedonium, II, 7-17 (PL 33, 669-673;CSEL 44, 437-447).
(23) Cf. Gn 1, 27-28.
(24) Cf. Giovanni Paolo II, Encicl. Redemptor Hominis, n. 15: AAS71 (1979), 286.
(25) Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, n. 13, comma I.
(26) Cf. Giovanni Paolo II, Esort. Apost. Reconciliatio et Paenitentia, n. 13: AAS 77 (1985), 208-211.
(27) Cf. Gn 3, 16-19; Rm 5, 12; 7, 14-24; Paolo VI, Sollemnis Professio Fidei, 30 Giugno 1968, n. 16: AAS 60 (1968) 439 ss.
(28) Cf. Rm 1, 18-32.
(29) Cf. Ger 5, 23; 7, 24; 17, 9; 18, 12.
(30) Cf. S. Agostino, De Civitate Dei, XIV, 28 (PL 41, 435; CSEL, 40/2, 56-57; CCL 14/2, 451-452).
(31) Cf. Istruz. Libertatis Nuntius, Introduzione: AAS 76 (1984), 876.
(32) Cf. Is 41, 14; Ger 50, 34. "Goèl": questa parola implica l'idea di un legame di parentela tra colui che libera e colui che è liberato; cf. Lv 25, 25, 47-49; Rt 3, 12; 4, 1. "Padah" significa "acquistare per sé". Cf. Es 3, 13; Dt 9, 26; 15, 15, Sal 130, 7-8.
(33) Cf. Gn 12, 1-3.
(34) Cf. Istruz. Libertatis Nuntius, IV, 3: AAS 76 (1984), 882.
(35) Cf. Dt 6, 5.
(36) Cf. Lv 19, 18.
(37) Cf. Dt 1, 16-17; 16, 18-20; Ger 22, 3-15; 23, 5; Sal 33, 5; 72, 1; 99, 4.
(38) Cf. Es 22, 20-23; Dt 24, 10-22.
(39) Cf. Ger 31, 31-34; Ez 36, 25-27.
(40) Cf. Is 11, 1-5; Sal 72, 4. 12-14; Istruz. Libertatis Nuntius, IV, 6: AAS 76 (1984), 883.
(41) Cf. Es 23, 9; Dt 24, 17-22.
(42) Cf. Sal 25; 31; 35; 55; Istruz. Libertatis Nuntius, IV, 5: AAS 76 (1984), 883.
(43) Cf. Ger 11, 20; 20, 12.
(44) Cf. Sal 73, 26-28.
(45) Cf. Sal 16; 62; 84.
(46) Cf. Sof 3, 12-20; Istruz. Libertatis Nuntius, IV, 5: AAS 76 (1984), 883.
(47) Cf. Lc 1, 46-55.
(48) Cf. Paolo VI, Esort. Apost. Marialis Cultus, n. 37: AAS 66 (1974), 148-149.
(49) Cf. At 2, 39; Rm 10, 12; 15, 7-12; Ef 2, 14-18.
(50) Cf. Mc 1, 15.
(51) Cf. Is 61, 9.
(52) Cf. 2 Cor 8, 9.
(53) Cf. Mt 25, 31-46; At 9, 4-5.
(54) Cf. Istruz. Libertatis Nuntius, IV, 9: AAS 76 (1984), 884.
(55) Cf. Giovanni Paolo II, Discorso inaugurale di Puebla, 1, 5:AAS 71 (1979), 191.
(56) Cf. Rm 5, 10; 2 Cor 5, 18-20.
(57) Cf. Gv 14, 27.
(58) Cf. Mt 5, 9; Rm 12, 18; Eb 12, 14.
(59) Cf. 1 Cor 15, 26.
(60) Cf. Gv 12, 31; Eb 2, 14-15.
(61) Cf. Ef 6, 11-17.
(62) Cf. Rm 8, 37-39.
(63) Cf. Rm 8, 2.
(64) Cf. 1 Tm 1, 8.
(65) Cf. Rm 13, 8-10.
(66) Cf. Rm 13, 1-7.
(67) Cf. Rm 8, 2-4.
(68) Cf. Rm 13, 1.
(69) Cf. Rm 13, 8-10; Gal 5, 13-14.
(70) Cf. Mt 5, 43-48; Lc 6, 27-38.
(71) Cf. Lc 10, 25-37.
(72) Cf. per esempio: 1 Ts 2, 7-12; Fil 2, 1-4; Gal 2, 12-20; 1 Cor13, 4-7; 2 Gv 12; 3 Gv 14; Gv 11, 1-5. 35-36; Mc 6, 34; Mt 9, 36; 18, 21 ss.
(73) Cf. Gv 15, 12-13; 1 Gv 3, 16.
(74) Cf. Gc 5, 1-4.
(75) Cf. 1 Gv 3, 17.
(76) Cf. 1 Cor 11, 17-34; Istruz. Libertatis Nuntius, IV, 11: AAS 76 (1984), 884. San Paolo stesso organizzò una colletta in favore dei "poveri tra i santi di Gerusalemme" (Rm 15, 26).
(77) Cf. Rm 8, 11-21.
(78) Cf. 2 Cor 1, 22.
(79) Cf. Gal 4, 26.
(80) Cf. 1 Cor 13, 12; 2 Cor 5, 10.
(81) Cf. 1 Gv 3, 2.
(82) Cf. Costit. past. Gaudium et spes, n. 39, comma 2.
(83) Cf. Ibid., n. 39, comma 3.
(84) Cf. Mt 24, 29-44. 46; At 10, 42; 2 Cor 5, 10.
(85) Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, n. 42, comma 2.
(86) Cf. Gv 17, 3.
(87) Cf. Rm 6, 4; 2 Cor 5, 17; Col 3, 9-11.
(88) Cf. Paolo VI, Esort. Apost. Evangelii Nuntiandi, nn. 18. 20:AAS 68 (1986), 17. 19.
(89) Cf. Mt 5, 3.
(90) Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, n. 37.
(91) Cf. Costit. dogm. Lumen Gentium, n. 17; Decr. Ad Gentes, n. 1; Paolo VI, Esort. Apost. Evangelii Nuntiandi, n. 14: AAS 68 (1976), 13.
(92) Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, n. 40, comma 3.
(93) Cf. Giovanni Paolo II, Esort. Apost. Reconciliatio et Paenitentia, n. 14: AAS 77 (1985), 211-212.
(94) Cf. Istruz. Libertatis Nuntius, XI, 10: AAS 76 (1984), 901.
(95) Cf. 2 Cor 8, 9.
(96) Cf. Lc 2, 7; 9, 58.
(97) Cf. Mt 6, 19-20. 24-34; 19, 21.
(98) Cf. Lc 5, 11. 28; Mt 19, 27.
(99) Cf. Is 11, 4; 61, 1; Lc 4, 18.
(100) Cf. Mc 2, 13-17; Lc 19, 1-10.
(101) Cf. Mt 8, 16; 14, 13-21; Gv 13, 2-9.
(102) Cf. Mt 8, 17.
(103) Cf. Paolo VI, Encicl. Populorum Progressio, nn. 12, 46: AAS59 (1976), 262-263; 280; Documento della 3ª Conferenza dell'Episcopato Latino-americano a Puebla, n. 476.
(104) Cf. At 2, 44-45.
(105) Cf. Secondo Sinodo Straordinario, Relatio Finalis, II C, 6:L'Osservatore Romano, 10 dicembre 1985, 7; Paolo VI, Esort. Apost. Evangelii Nuntiandi, n. 58: AAS 68 (1976), 46-49; Giovanni Paolo II, Mensagem às comunidades de base, consegnato a Manaus, 10 luglio 1980.
(106) Cf. Mt 22, 37-40; Rm 13, 8-10.
(107) Cf. Paolo VI, Lettera Apost. Octogesima Adveniens, n. 4:AAS 63 (1971), 403-404; Giovanni Paolo II, Discorso inaugurale di Puebla, III, 7: AAS 71 (1979), 203.
(108) Cf. Giovanni XXIIIEncicl. Mater et Magistra, n. 235: AAS53 (1961), 461.
(109) Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, 25.
(110) Cf. Giovanni XXIII, Encicl. Mater et Magistra, nn. 132-133:AAS 53 (1961), 437.
(111) Cf. Pio XI, Encicl. Quadragesimo Anno, nn. 79-80: AAS 23 (1931), 203; Giovanni XXIII, Encicl. Mater et Magistra, n. 138: AAS 53 (1961), 439; Encicl. Pacem in Terris, n. 74: AAS 55 (1963), 294-295.
(112) Cf. Paolo VI, Esort. Apost. Evangelii Nuntiandi, n. 18: AAS68 (1976), 17-18; Istruz. Libertatis Nuntius, XI, 9: AAS 76 (1984), 901.
(113) Cf. Giovanni Paolo IIEsort. Apost. Reconciliatio et Paenitentia, n. 16: AAS 77 (1985), 213-217.
(114) Cf. Paolo VILettera Apost. Octogesima Adveniens, n. 25:AAS 63 (1971), 419-420.
(115) Cf. Giovanni Paolo IIEncicl. Laborem Exercens, n. 20: AAS73 (1981), 629-632; Istruz. Libertatis Nuntius, VII, 8; VIII, 5-9; XI, 11-14: AAS 76 (1984), 891-892; 894-895; 901-902.
(116) Cf. Mt 5, 44; Lc 6, 27-28. 35.
(117) Cf. Istruz. Libertatis Nuntius, XI, 10: AAS 76 (1984), 905-906.
(118) Cf. Giovanni Paolo II, Omelia a Drogheda, 30 Settembre 1979: AAS 71 (1979), 1076-1085. Documento della 3ª Conferenza dell'Episcopato Latino-americano a Puebla, nn. 533-534.
(119) Paolo VIEncicl. Populorum Progressio, n. 31: AAS 59 (1967), 272-273; cf. Pio XI, Ep. Encicl. Nos es muy conocidaAAS29 (1937), 208-209.
(120) Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, n. 76, comma 3; Decr.Apostolicam Actuositatem, n. 7.
(121) Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, n. 20.
(122) Cf. Loc. cit., n. 5.
(123) Cf. Giovanni Paolo II, Encicl. Laborem Exercens, n. 6: AAS73 (1981), 589-592.
(124) Cf. Loc. cit., cap. V: ibid., 637-647.
(125) Cf. Loc. cit., n. 3: ibid., 583-584; Discorso a Loreto del 10 Maggio 1985: AAS 77 (1985), 967-969.
(126) Cf. Paolo VILettera Apost. Octogesima Adveniens, n. 46:AAS 63 (1971), 633-635.
(127) Cf. Giovanni Paolo IIEncicl. Laborem Exercens, n. 6: AAS73 (1981), 589-592.
(128) Cf. Ibid.
(129) Cf. Giovanni Paolo II, Esort. Apost. Familiaris Consortio, n. 46: AAS 74 (1982), 137-139; Encicl. Laborem Exercens, n. 23: AAS73 (1981), 635-637; Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, art. 2: L'Osservatore Romano, 25 novembre 1983.
(130) Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, n. 68; Giovanni Paolo II,Encicl. Laborem Exercens, n. 15: AAS 73 (1981), 616-618;Discorso del 3 Luglio 1980; L'Osservatore Romano, 5 Luglio 1980, 1-2.
(131) Cf. Costit. Past. Gaudium et Spes, n. 69; Giovanni Paolo II,Encicl. Laborem Exercens, nn. 12. 14: AAS 73 (1981), 605-608. 612-616.
(132) Cf. Pio XI, Encicl. Quadragesimo Anno, n. 72: AAS 23 (1931), 200; Giovanni Paolo IIEncicl. Laborem Exercens, n. 19:AAS 73 (1981), 625-629.
(133) Documento della 2ª Conferenza dell'Episcopato Latino-americano a Medellin, Giustizia I, 9; Documento della 3ª Conferenza dell'Episcopato Latino-americano a Puebla, nn. 31. 35. 1245.
(134) Cf. Giovanni XXIIIEncicl. Mater et Magistra, n. 163: AAS 53 (1961), 443; Paolo VIEncicl. Populorum Progressio, n. 51: AAS 59 (1967), 282; Giovanni Paolo II, Discorso al Corpo Diplomatico dell'11 Gennaio 1986: L'Osservatore Romano, 12 gennaio 1986, 4-5.
(135) Cf. Paolo VI, Encicl. Populorum Progressio, n. 55: AAS 59 (1967), 284.
(136) Cf. Costit. Past. Gaudium et Spes, n. 60; Giovanni Paolo II,Discorso all'Unesco del 2 Giugno 1980, n. 8: AAS 72 (1980), 739-740.
(137) Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, n. 59.
(138) Cf. Dichiar. Gravissimum Educationis, nn. 3. 6; Pio XI, Encicl. Divini Illius Magistri, nn. 29. 38. 66: AAS 22 (1930), 59. 63. 68; Santa Sede, Carta dei diritti della famiglia, art. 5:L'Osservatore Romano, 25 novembre 1983.
(139) Cf. Costit. past. Gaudium et Spes, n. 29; Giovanni XXIII, Encicl. Pacem in Terris, nn. 73-74. 79: AAS 55 (1963), 294-296.
(140) Cf. Dichiar. Dignitatis Humanae, n. 7; Costit. past. Gaudium et Spes, n. 75; Documento della 3ª Conferenza dell'Episcopato Latino-americano a Puebla, nn. 311-314; 317-318; 548.
(141) Cf. Paolo VI, Esort. Apost. Evangelii Nuntiandi, n. 19: AAS68 (1976), 18.
(142) Cf. Secondo Sinodo Straordinario, Relatio finalis, II, D, 4:L'Osservatore Romano, 10 dicembre 1985, 7.
(143) Cf. Paolo VI, Esort. Apost. Evangelii Nuntiandi, n. 20: AAS68 (1976), 18-19.
(144) Cf Gv 3, 21.
(145) Cf. Paolo VI, Udienza generale del 31 dicembre 1975:L'Osservatore Romano, 1 gennaio 1976, 1. Giovanni Paolo II ha ribadito questa idea nel Discorso al "Meeting per l'amicizia dei popoli" del 29 agosto 1982: L'Osservatore Romano, 30-31 agosto 1982. I Vescovi Latino-americani l'hanno ugualmente richiamata nel Messaggio ai popoli dell'America Latina, n. 8, e nel Documento di Puebla, nn. 1188. 1192.
(146) Cf. Gal 5, 6.

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ISTRUZIONE SU ALCUNI ASPETTI DELLA
«TEOLOGIA DELLA LIBERAZIONE»

...
14. L’insegnamento della Chiesa in materia sociale fornisce i grandi orientamenti etici. Ma perché possa guidare direttamente l’azione, esso esige delle personalità competenti sia dal punto di vista scientifico e tecnico, che nel campo delle scienze umane e della politica. I pastori dovranno essere attenti alla formazione di tali personalità competenti, che vivano profondamente il Vangelo. I laici, il cui compito specifico è di costruire la società, vi sono coinvolti in maniera particolare.
15. Le tesi delle “teologie della liberazione” sono largamente diffuse, sotto forma ancora semplificata, in circoli di formazione o nei gruppi di base, che mancano di preparazione catechetica e teologica. Per questo sono accettate, senza la possibilità di un giudizio critico, da uomini e donne generosi.
16. Per questo i Pastori devono vigilare sulla qualità e sul contenuto della catechesi e della formazione, che deve sempre presentare la integralità del messaggio della salvezza e gli imperativi della vera liberazione dell’uomo nel quadro di questo messaggio integrale.
17. In questa presentazione integrale del mistero cristiano sarà opportuno mettere l’accento sugli aspetti essenziali che le “teologie della liberazione” tendono in particolar modo a misconoscere o a eliminare: trascendenza e gratuità della liberazione in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, sovranità della sua grazia, vera natura dei mezzi di salvezza, specialmente della Chiesa e dei sacramenti. Si dovranno richiamare il vero significato dell’etica, per la quale non può essere relativizzata la distinzione tra il bene e il male, il senso autentico del peccato, la necessità della conversione e l’universalità della legge dell’amore fraterno. Si metterà in guardia contro una politicizzazione dell’esistenza, che misconoscendo tanto la specificità del Regno di Dio, quanto la trascendenza della persona, finisce per sacralizzare la politica e per sfruttare la religiosità del popolo in favore di iniziative rivoluzionarie.
18. I difensori della “ortodossia” sono talvolta rimproverati di passività, di indulgenza o di complicità colpevoli nei confronti delle intollerabili situazioni di ingiustizia e dei regimi politici che mantengono tali situazioni. Si richiede da parte di tutti, e specialmente da parte dei pastori e dei responsabili la conversione spirituale, l’intensità dell’amore di Dio e del prossimo, lo zelo per la giustizia e la pace, il senso evangelico dei poveri e della povertà. La preoccupazione della purezza della fede non deve essere disgiunta dalla preoccupazione di dare, mediante una vita teologale integrale, la risposta di un’efficace testimonianza di servizio del prossimo, e in modo tutto particolare del povero e dell’oppresso. Mediante la testimonianza della loro forza di amare, dinamica e costruttiva, i cristiani getteranno così le basi di quella “civiltà dell’amore”, di cui ha parlato, dopo Paolo VI, la Conferenza di Puebla. (34) Del resto sono numerosi coloro che - sacerdoti, religiosi o laici - si consacrano in maniera veramente evangelica alla creazione di una società giusta.

Conclusione
Le parole di Paolo VI nella Professione di fede del popolo di Dio, esprimono con piena chiarezza la fede della Chiesa, dalla quale non ci si può allontanare senza provocare, insieme ai danni spirituali, nuove miserie e nuove schiavitù.
“Noi confessiamo che il Regno di Dio, cominciato quaggiù nella Chiesa di Cristo, “non è di questo mondo”, “la cui figura passa”; e che la sua vera crescita non può essere confusa con il progresso della civiltà, della scienza e della tecnica umane, ma consiste nel conoscere sempre più profondamente le imperscrutabili ricchezze di Cristo, nello sperare sempre più fortemente i beni eterni, nel rispondere sempre più ardentemente all’amore di Dio, e nel dispensare sempre più abbondantemente la grazia e la santità tra gli uomini. Ma è questo stesso amore che porta la Chiesa a preoccuparsi costantemente del vero bene temporale degli uomini. Mentre non cessa di ricordare ai suoi figli che essi "non hanno quaggiù stabile dimora", essa li spinge anche a contribuire - ciascuno secondo la propria vocazione e i propri mezzi - al bene della loro città terrena, a promuovere la giustizia, la pace e la fratellanza tra gli uomini, a prodigare il loro aiuto ai propri fratelli, soprattutto ai più poveri e ai più bisognosi. L’intensa sollecitudine della Chiesa, sposa di Cristo, per le necessità degli uomini, per le loro gioie e le loro speranze, i loro sforzi e i loro travagli, non è quindi altra cosa che il suo grande desiderio di esser loro presente per illuminarli con la luce di Cristo e adunarli tutti in lui, unico loro salvatore. Tale sollecitudine non può mai significare che la Chiesa conformi se stessa alle cose di questo mondo, o che diminuisca l’ardore dell’attesa del suo Signore e del regno eterno". (35)
Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell’Udienza concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto, ha approvato la presente Istruzione, decisa nella riunione ordinaria di questa S. Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.

Roma, dalla Sede della S. Congregazione per la Dottrina della Fede, il 6 agosto 1984, nella festa della Trasfigurazione del Signore

Ioseph Card. Ratzinger,

Prefetto



 Benedetto XVI, di recente, ricordando Giovanni Paolo II, ha scritto: «La prima grande sfida che affrontammo fu la Teologia della liberazione che si stava diffondendo in America latina. Sia in Europa che in America del Nord era opinione comune che si trattasse di un sostegno ai poveri e dunque di una causa che si doveva approvare senz’altro. Ma era un errore. La fede cristiana veniva usata come motore per questo movimento rivoluzionario, trasformandola così in una forza di tipo politico (…). A una simile falsificazione della fede cristiana bisognava opporsi anche proprio per amore dei poveri e a pro del servizio che va reso loro». Nel 2013 uno dei fondatori della Tdl, Clodoveo Boff (fratello dell’altro Boff), uno dei pochi che ha veramente capito la lezione (non così D’Escoto), ha dato ragione a Ratzinger per quello che (a nome di papa Wojtyla) fece trent’anni fa: «Egli ha difeso il progetto essenziale della teologia della liberazione: l’impegno per i poveri a causa della fede. Allo stesso tempo, ha criticato l’influenza marxista. La Chiesa» osservava Clodoveo Boff «non può avviare negoziati per quanto riguarda l’essenza della fede: non è come la società civile dove la gente può dire quello che vuole. Siamo legati ad una fede e se qualcuno professa una fede diversa si autoesclude dalla Chiesa. Fin dall’inizio ha avuto chiara l’importanza di mettere Cristo come il fondamento di tutta la teologia (…). Nel discorso egemonico della teologia della liberazione ho avvertito che la fede in Cristo appariva solo in background. Il ’cristianesimo anonimo’ di Karl Rahner era una grande scusa per trascurare Cristo, la preghiera, i sacramenti e la missione, concentrandosi sulla trasformazione delle strutture sociali». Oggi, nell’epoca Bergoglio, si torna indietro proprio a Rahner, a quella filosofia che già tanti danni ha fatto fra i gesuiti e nella Chiesa. E in questo vuoto abissale i cattolici tornano ad essere sballottati qua e là «da ogni vento di dottrina». Subalterni ad ogni ideologia e inquinati da qualunque eresia. Una grande tenebra avvolge Roma.  (Nota di Antonio Socci)