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sabato 23 maggio 2020

"Date e vi sarà dato; vi sarà versata in grembo una misura buona, piena, agitata e traboccante".

QUADERNI DEL 1943 CAPITOLO 11


24 maggio 1943

   Come è buono il Signore! Quando io contemplo la bontà sconfinata di Dio mi sento sciogliere il cuore di gratitudine e di amore. E anche di dolore perché vedo come sono pochi quelli che vedono quanto sia buono il Signore.

   Molti per dirlo "buono" vogliono da Lui cose strepitose, salvo poi proclamarlo non buono se appena appena uno è colpito da qualcosa di spiacevole. Ma è "buono" sempre, è un vero "Papà" per i suoi figli fedeli, ed è buono anche coi meno fedeli per i quali prodiga infiniti tesori di amore paziente che sa attendere il ravvedimento.


   Ma coi suoi figli fedeli poi! Con quelli che mettono la loro mano di figli nella sua mano di Padre e vanno così, guardandolo con il santo, amoroso orgoglio di figli innamorati del genitore, oh! con quelli, che poema, che perfezione di bontà opera Iddio! Ha delle previdenze commoventi, di tutte le ore, di tutti gli eventi. Non solo i bisogni ma anche i minimi desideri dei suoi piccoli figli fedeli Egli muta in realtà e ci dà queste realtà come doni, come premi, proprio come un buon "Papà", per farci lieti.

   Penso a quella frase evangelica: "Nessuno ha abbandonato casa e parenti per amor mio che non riceva il centuplo adesso, e nel tempo avvenire la vita eterna"; e all’altra: "Date e vi sarà dato; vi sarà versata in grembo una misura buona, piena, agitata e traboccante".

   Sì, è proprio così. A chi mette Dio sopra ogni cosa e fa di Dio il suo centro, del lavoro per il Signore il suo scopo, Iddio dona non solo la mercede proporzionata al compiuto ma il “centuplo”, fino1 il superfluo, in misura traboccante, poiché Iddio è così grande Signore che può coprire di tesori a dismisura i suoi sudditi fedeli, ed è sì buon Padre che è per Lui gioia, nella gioia della sua Essenza, dare la gioia alle sue creature... Né i suoi tesori di Re e di Padre possono temere di esser consumati poiché, come da inesausta fonte, trabocca dal seno della Triade Eterna un continuo fluire di potenza che si evolve in grazie per coloro che lo amano.

domenica 11 febbraio 2018

Benedetto XVI: il Regno di Dio non è una serie di cose, il Regno di Dio è l'unione dell'uomo con Dio


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Il 5 febbraio 2006, esattamente dodici anni fa, Benedetto XVI celebrò la Santa Messa presso la Parrocchia di Sant'Anna in Vaticano. Il Papa tenne una straordinaria omelia "a braccio" che va ascoltata dalla prima all'ultima parola. La trascrizione si trova qui.
Ormai non siamo più abituati a sentire omelie così alte e così profonde. Riascoltiamo il Papa.
Grazie come sempre a Gemma :-)

SANTA MESSA NELLA PARROCCHIA DI SANT'ANNA IN VATICANO
OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
Parrocchia di Sant'Anna
Domenica, 5 febbraio 2006   

Cari fratelli e sorelle,

Il Vangelo ora ascoltato comincia con un episodio molto simpatico, molto bello ma anche pieno di significato. Il Signore si reca alla casa di Simon Pietro ed Andrea e trova ammalata con febbre la suocera di Pietro; la prende per mano, la solleva e la donna è guarita e si mette a servire. In questo episodio appare simbolicamente tutta la missione di Gesù. Gesù venendo dal Padre si reca nella casa dell'umanità, sulla nostra terra e trova un'umanità ammalata, ammalata di febbre, di quella febbre che sono le ideologie, le idolatrie, la dimenticanza di Dio. Il Signore ci dà la sua mano, ci solleva e ci guarisce. E lo fa in tutti i secoli; ci prende per mano con la sua parola, e così dissipa le nebbie delle ideologie, delle idolatrie. Prende la nostra mano nei sacramenti, ci risana dalla febbre delle nostre passioni e dei nostri peccati mediante l'assoluzione nel sacramento della riconciliazione. Ci dà la capacità di alzarci, di stare in piedi davanti a Dio e davanti agli uomini. E proprio con questo contenuto della liturgia domenicale il Signore si incontra con noi, ci prende per mano, ci solleva e ci sana sempre di nuovo con il dono della sua parola, il dono di se stesso.

Ma anche la seconda parte di questo episodio è importante, questa donna appena guarita si mette a servirli, dice il Vangelo. Subito comincia a lavorare, ad essere a disposizione degli altri, e così diventa rappresentanza di tante buone donne, madri, nonne, donne nelle diverse professioni, che sono disponibili, si alzano e servono, e sono anima della famiglia, anima della parrocchia. E qui vedendo il dipinto sopra l'altare, vediamo che non fanno solo servizi esteriori, sant'Anna introduce la grande figlia, la Madonna, nelle Sacre Scritture, nella speranza di Israele, nella quale lei sarebbe stata proprio il luogo dell'adempimento. Le donne sono anche le prime portatrici della parola di Dio del Vangelo, sono vere evangeliste. E mi sembra che questo Vangelo con questo episodio apparentemente così modesto, proprio qui nella chiesa di sant'Anna ci dà l'occasione di dire un grazie sentito a tutte le donne che animano questa parrocchia, alle donne che servono in tutte le dimensioni, che ci aiutano sempre di nuovo a conoscere la parola di Dio non solo con l'intelletto, ma col cuore.

Ritorniamo al Vangelo: Gesù dorme nella casa di Pietro, ma di prima mattina quando ancora è buio, si alza ed esce e cerca un luogo deserto e prega. E qui appare il vero centro del mistero di Gesù. Gesù sta in colloquio con il Padre ed eleva la sua anima umana nella comunione con la persona del Figlio, così che l'umanità del Figlio, unita a Lui, parla nel dialogo trinitario col Padre; e così rende possibile anche a noi la vera preghiera. Nella liturgia Gesù prega con noi, noi preghiamo con Gesù e così noi entriamo in contatto reale con Dio, entriamo nel mistero dell'eterno amore della Santissima Trinità.

Gesù parla con il Padre, questa è la fonte ed il centro di tutte le attività di Gesù; vediamo la sua predicazione, le guarigioni, i miracoli e infine la passione, escono da questo centro, dal suo essere col Padre. E così questo Vangelo ci insegna il centro della fede e della nostra vita cioè il primato di Dio. Dove Dio non c'è, anche l'uomo non è più rispettato. Solo se lo splendore di Dio rifulge sul volto dell'uomo, l'uomo immagine di Dio è protetto da una dignità che poi da nessuno deve essere violata.

Il primato di Dio. Vediamo nel "Padre nostro" come le tre prime domande si riferiscano proprio a questo primato di Dio: che il nome di Dio sia santificato, che il rispetto del mistero divino sia vivo e animi tutta la nostra vita; che "venga il regno di Dio" e "sia fatta la sua volontà" sono due aspetti diversi della stessa medaglia; dove è fatta la volontà di Dio c'è già il cielo, comincia anche in terra un po' di cielo, e dove viene fatta la volontà di Dio è presente il Regno Dio. Perché il Regno di Dio non è una serie di cose, il Regno di Dio è la presenza di Dio, l'unione dell'uomo con Dio. E verso questo obiettivo Gesù ci vuole guidare.

Centro del suo annuncio è il regno di Dio, cioè Dio come fonte e centro della nostra vita, e ci dice: solo Dio è la redenzione dell'uomo. E possiamo vedere nella storia del secolo scorso, come negli Stati dove Dio era abolito, non solo l'economia è stata distrutta, ma soprattutto le anime. Le distruzioni morali, le distruzioni della dignità dell'uomo sono le distruzioni fondamentali e il rinnovamento può venire solo dal ritorno di Dio, cioè dal riconoscimento della centralità di Dio. In questi giorni un vescovo del Congo in visita ad limina mi ha detto: gli europei ci danno generosamente molte cose per lo sviluppo, ma c'è un'esitazione nell'aiutarci per la pastorale; sembra che considerino inutile la pastorale, che sia importante solo lo sviluppo tecnico-materiale. Ma è vero il contrario - ha detto - dove non c'è parola di Dio lo sviluppo non funziona, e non dà risultati positivi. Solo se c'è la parola di Dio prima, solo se l'uomo è riconciliato con Dio, anche le cose materiali possono andare bene.

Il Vangelo stesso con la sua continuazione conferma questo fortemente. Gli apostoli dicono a Gesù: ritorna, tutti ti cercano. E lui dice: no, devo andare negli altri paesi per annunciare Dio e per scacciare via i demoni, le forze del male; per questo sono venuto. Gesù è venuto - nel testo greco è scritto: "sono uscito dal Padre" - non per portare le comodità della vita, ma per portare la condizione fondamentale della nostra dignità, per portarci l'annuncio di Dio, la presenza di Dio e così vincere le forze del male. Questa priorità egli indica con grande chiarezza: non sono venuto per guarire - anche questo faccio, ma come segno - sono venuto per riconciliarvi con Dio. Dio è il nostro creatore, Dio ci ha dato la vita, la nostra dignità: E lui dobbiamo soprattutto rivolgerci.

E come ha detto padre Gioele, la chiesa celebra oggi in Italia la Giornata per la Vita. I Vescovi italiani hanno voluto richiamare nel loro messaggio il dovere prioritario di "rispettare la vita", trattandosi di un bene "indisponibile": l'uomo non è il padrone della vita; ne è piuttosto il custode e l'amministratore. E sotto il primato di Dio automaticamente nasce questa priorità di amministrare, di custodire la vita dell'uomo, creata da Dio. Questa verità che l'uomo è custode ed amministratore della vita costituisce un punto qualificante della legge naturale, pienamente illuminato dalla rivelazione biblica. Esso si presenta oggi come "segno di contraddizione" rispetto alla mentalità dominante. 
Constatiamo infatti che, malgrado vi sia in senso generale un'ampia convergenza sul valore della vita, tuttavia quando si arriva a questo punto, cioè alla "disponibilità" o indisponibilità della vita, due mentalità si oppongono in maniera inconciliabile. Per esprimerci in termini semplificati, potremmo dire: l'una delle due mentalità ritiene che la vita umana sia nelle mani dell'uomo, l'altra riconosce che essa è nelle mani di Dio. La cultura moderna ha legittimamente enfatizzato l'autonomia dell'uomo e delle realtà terrene, sviluppando così una prospettiva cara al Cristianesimo, quella dell'Incarnazione di Dio. Ma, come ha affermato chiaramente il Concilio Vaticano II, se questa autonomia porta a pensare che "le cose create non dipendono da Dio, e che l'uomo può adoperarle senza riferirle al Creatore", allora si dà origine a un profondo squilibrio, perché "la creatura senza il Creatore svanisce" (Gaudium et spes, 36). 
È significativo che il documento conciliare, nel passo citato, affermi che questa capacità di riconoscere la voce e la manifestazione di Dio nella bellezza del creato appartiene a tutti i credenti, a qualunque religione appartengano. Ne possiamo concludere che il rispetto pieno della vita è legato al senso religioso, all'atteggiamento interiore con cui l'uomo si pone nei confronti della realtà, se come padrone o come custode. Del resto, la parola "rispetto", deriva dal verbo latino respicere-guardare, e indica un modo di guardare le cose e le persone che porta a riconoscerne la consistenza, a non appropriarsene, ma ad averne riguardo, prendendosene cura. In ultima analisi, se vien tolto alle creature il loro riferimento a Dio, come fondamento trascendente, esse rischiano di cadere in balia dell'arbitrio dell'uomo che può farne, come vediamo, un uso dissennato.

Cari fratelli e sorelle, invochiamo insieme l'intercessione di sant'Anna per la vostra comunità parrocchiale, che saluto con affetto. Saluto in particolare il Parroco, Padre Gioele, e lo ringrazio per le parole che mi ha rivolto all'inizio; saluto poi i confratelli Agostiniani con il loro Priore Generale; saluto Mons. Angelo Comastri, mio Vicario Generale per la Città del Vaticano, Mons. Rizzato, mio Elemosiniere, e tutti i presenti, in modo speciale i bambini, i giovani e quanti abitualmente frequentano questa Chiesa. Su tutti vegli sant'Anna, vostra celeste Patrona, ed ottenga per ciascuno il dono di essere testimone del Dio della vita e dell'amore.

© Copyright 2006 - Libreria Editrice Vaticana 

AMDG et DVM

mercoledì 14 giugno 2017

I tempi dell'Omega

I tempi dell'Omega
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3 maggio 2008
MARIA:   Dio ti parla. AscoltaLo attentamente.

GESÙ:  Oggi Dio parla a tutti i Suoi figli scelti, i Messaggeri che Lo ascoltano. Tu stai scrivendo la Sua Santa Verità. Figlia Mia, apri il tuo cuore. Ascolta il Padre che parla al Figlio attraverso lo Spirito che parla a te. L'ascolto è generale. Prestate attenzione.

Figlia Mia, i Tempi finiranno in un diluvio di acqua e di fuoco. Il Padre tuo del Cielo è in te, come in ognuno che Lo ascolta. Questi Tempi stanno per finire, presto saranno compiuti.

Il Male è furioso, così come si era ripromesso di essere. Come un leone inferocito, abusa della sua forza uccidendo e distruggendo tutto al suo passaggio. Non risparmia nessun paese della Terra. Molti saranno cancellati definitivamente, non esisteranno più sulle carte geografiche. Quando un paese è preso di mira, il Male comincia con 1'aggredirlo e non smette di attaccarlo fino alla sua sparizione. Le popolazioni avvertite devono fuggire e non più ritornare. Più nulla esisterà, tutto sarà ricoperto di acqua o sarà bruciato. Non resterà che fango o cenere e cadaveri.

Piccola figlia Mia, il tuo GESÙ d'Amore ti chiede di ascoltarLo. Dal momento che il Signore ti chiama, tu scrivi se Egli te lo chiede perché, a partire da quell'istante, sarà già come se il mondo si spezzasse in due. Una parte delle popolazioni sarà talmente nella confusione non essendo ancora informata che Dio è il Solo Dio Unico e Vero, crede ancora che la Mia Santa Legge d'Amore e di Perdono, non la riguardi. E così andranno verso i piaceri della vita, senza preoccuparsi degli infelici che, lungo tutte le strade, vanno alla ricerca dell'accoglienza da parte dei loro fratelli, e della condivisione del loro pane. Se non li accolgono, essi possono diventare i naufraghi di questi Tempi, i veri erranti che cercano il Regno di Dio che si allontana sempre di più da loro.

Io chiedo alla Mia Chiesa della Terra di informare che il Regno di Dio è già qui, e che lo si può conquistare soltanto nell'Amore di Dio e del prossimo. È di questo che voi dovete parlare.

È proprio adesso che i cattivi saranno perfettamente cattivi e che i buoni saranno perfettamente buoni.

La Mia Chiesa deve far comprendere ad ognuno che non è il momento di proteggere i paesi ricchi dall'invasione dei poveri, perché è Dio che li manda a loro. Essi vengono da tutte le parti. Non rifiutateli!  Sono Io che ve li dono, sono i poveri di Dio.

Se voi aprite loro i vostri cuori, Io vi concederò lo stesso aiuto. Aprirò la Mia Porta, quella del Mio Cuore, e vi confermo che, agli uni come agli altri, Io verrò a soccorrervi nell'ultimo disastro, che deve compiersi sotto gli occhi degli empi, assassini, omicidi, profanatori. La fine di tutte le cose antiche se ne va affinché il Nuovo Mondo, dove Io porrò i Miei Eletti, nasca nella Mia Pace e nella Mia Gioia.

Accogliete il Mio Gregge! Essi vengono da un altro Ovile che Dio ha acqui­stato con il sangue dei loro Martiri.

Ogni porta che si chiude sarà aperta dal Mio Nemico e i luoghi, occupati da lui, diventeranno, con gli occupanti, sua proprietà.

Aprite le porte agli esiliati che vengono con Dio che li ha scelti, come ha scelto tutti quelli che li accoglieranno.
La Purificazione è qui. Il Giudizio è qui.

Voi sentirete il Male ringhiare dappertutto, i bambini piangere, i passi risuonare sulle strade della paura e saranno i vostri che sentirete, vedrete l'acqua inondare le case, il fuoco bruciare perfino l'erba, e questo accadrà da voi.
Ogni paese avrà il suo salario.

Ogni abitante pagherà per il Male o per la dimenticanza del Male che ha fatto.

Ogni abitante sarà ricompensato per il Bene o per il pensiero d’Amore che ha avuto per il suo prossimo.

Ogni Croce che sarà elevata, non si eleverà se non quando Io sarò in mezzo a voi, e saranno Croci di Gloria. 

Se voi ne elevate una adesso, essa sarà accompagnata da centinaia di Martiri.

Il tempo in cui Io vi dicevo di fare elevare la Mia Croce, è stato il tempo della vostra disobbedienza. Io vi dicevo: «Allora, la eleverò Io nel cielo, ma non ci sarà più tempo.» Ecco, Io ve lo ripeto: «I Tempi sono compiuti. Voi non avete più tempo.»

L'ultima Croce di NAJU era quella che doveva completare le Migliaia di Croci nel mondo. Era la protezione di tutta quella parte del mondo, l’ASIA, e la garanzia per l'Europa.

L'Asia subisce per prima la grande punizione della disobbedienza. Dozulé e Naju sono state l'Alfa (Dozulé) e l'Omega(Naju), in due paesi scelti da Dio.

Voi tutti chiamati a vivere nel Nuovo Mondo,
GESÙ e MARIA vi benedicono.


13 maggio 2008

JNSR:   Aggiungo a questo scritto che, per paura o per convinzione, molte cose sono rimaste nascoste. GESÙ voleva glorificare la Sua Santa Madre con l’ultima Croce di NAJU a ricordo di Nostra Signora di Guadalupe in Messico.

A causa della disobbedienza dell’ultima Croce rifiutata a NAJU, l’Asia soffre e soffrirà ancora.

GESÙ: E il rifiuto della Croce di Dozulé avrà per conseguenza la sofferenza del mondo intero.
Io la eleverò, ma sarà troppo tardi.


AVE MARIA!

lunedì 19 dicembre 2016

DISCORSO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI ALLA CURIA ROMANA IN OCCASIONE DELLA PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI NATALIZI

DE EN ES FR IT PT ]
DISCORSO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
ALLA CURIA ROMANA IN OCCASIONE
DELLA PRESENTAZIONE DEGLI AUGURI NATALIZI
Sala Clementina
Venerdì, 22 dicembre 2006



Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Presbiterato,
cari fratelli!
Con grande gioia vi incontro oggi e rivolgo a ciascuno di voi il mio cordiale saluto. Vi ringrazio per la vostra presenza a questo tradizionale appuntamento, che si tiene nell’imminenza del Santo Natale. Ringrazio in particolare il Cardinale Angelo Sodano per le parole con cui si è fatto interprete dei sentimenti di tutti i presenti, prendendo spunto dal tema centrale dell’Enciclica Deus caritas est. In questa significativa circostanza desidero rinnovargli l’espressione della mia gratitudine per il servizio che in tanti anni ha reso al Papa e alla Santa Sede, segnatamente in qualità di Segretario di Stato, e chiedo al Signore di ricompensarlo per il bene che ha compiuto con la sua saggezza e il suo zelo per la missione della Chiesa. Al tempo stesso, mi piace rinnovare uno speciale augurio al Cardinale Tarcisio Bertone per il nuovo compito che gli ho affidato. Estendo volentieri questi miei sentimenti a quanti, nel corso di quest’anno, sono entrati al servizio della Curia Romana o del Governatorato, mentre con affetto e gratitudine ricordiamo coloro che il Signore ha chiamato a sé da questa vita.

L'anno che volge al termine - lo ha detto Lei, Eminenza - rimane nella nostra memoria con la profonda impronta degli orrori della guerra svoltasi nei pressi della Terra Santa come anche in generale del pericolo di uno scontro tra culture e religioni – un pericolo che incombe tuttora minaccioso su questo nostro momento storico. Il problema delle vie verso la pace è così diventato una sfida di primaria importanza per tutti coloro che si preoccupano dell'uomo. 

Ciò vale in modo particolare per la Chiesa, per la quale la promessa che ne ha accompagnato gli inizi significa insieme una responsabilità e un compito: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra per gli uomini che egli ama" (Lc 2,14).
Questo saluto dell'angelo ai pastori nella notte della nascita di Gesù a Betlemme rivela una connessione inscindibile tra il rapporto degli uomini con Dio e il loro rapporto vicendevole. 

La pace sulla terra non può trovarsi senza la riconciliazione con Dio, senza l'armonia tra cielo e terra. 
Questa correlazione del tema "Dio" col tema "pace" è stato l'aspetto determinante dei quattro Viaggi Apostolici di quest'anno: ad essi vorrei riandare con la memoria in questo momento. 

C'è stata innanzitutto la Visita Pastorale in Polonia, il Paese natale del nostro amato Papa Giovanni Paolo II. Il viaggio nella sua Patria è stato per me un intimo dovere di gratitudine per tutto ciò che egli, durante il quarto di secolo del suo servizio, ha donato a me personalmente e soprattutto alla Chiesa e al mondo. Il suo dono più grande per tutti noi è stata la sua fede incrollabile e il radicalismo della sua dedizione. “Totus tuus” era il suo motto: in esso si rispecchiava tutto il suo essere. Sì, egli si è donato senza riserve a Dio, a Cristo, alla Madre di Cristo, alla Chiesa: al servizio del Redentore ed alla redenzione dell’uomo. Non ha serbato nulla, si è lasciato consumare fino in fondo dalla fiamma della fede. Ci ha mostrato così come, da uomini di questo nostro oggi, si possa credere in Dio, nel Dio vivente resosi vicino a noi in Cristo. Ci ha mostrato che è possibile una dedizione definitiva e radicale dell’intera vita e che, proprio nel donarsi, la vita diventa grande e vasta e feconda. 

In Polonia, ovunque sono andato, ho trovato la gioia della fede. “La gioia del Signore è la vostra forza” – questa parola che, in mezzo alla miseria del nuovo inizio, lo scriba Esdra gridò al popolo di Israele appena tornato dall'esilio (Ne 8,10), qui si poteva sperimentarla come realtà. Sono rimasto profondamente colpito dalla grande cordialità con cui sono stato accolto dappertutto. La gente ha visto in me il successore di Pietro a cui è affidato il ministero pastorale per tutta la Chiesa. 
Vedevano colui al quale, nonostante tutta la debolezza umana, allora come oggi è rivolta la parola del Signore risorto: “Pasci le mie pecorelle” (cfr Gv 21,15-19); vedevano il successore di colui al quale Gesù presso Cesarèa di Filippo disse: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa” (Mt 16,18). Pietro, da sé, non era una roccia, ma un uomo debole ed incostante. Il Signore, però, volle fare proprio di lui la pietra e dimostrare che, attraverso un uomo debole, Egli stesso sostiene saldamente la sua Chiesa e la mantiene nell’unità. 

Così la visita in Polonia è stata per me, nel senso più profondo, una festa della cattolicità. Cristo è la nostra pace che riunisce i separati: Egli, al di là di tutte le diversità delle epoche storiche e delle culture, è la riconciliazione. Mediante il ministero petrino sperimentiamo questa forza unificatrice della fede che, sempre di nuovo, partendo dai molti popoli edifica l’unico popolo di Dio. Con gioia abbiamo fatto realmente questa esperienza che, provenendo da molti popoli, noi formiamo l’unico popolo di Dio, la sua santa Chiesa. Per questo il ministero petrino può essere il segno visibile che garantisce questa unità e forma un’unità concreta.

Per questa toccante esperienza di cattolicità vorrei ringraziare la Chiesa in Polonia ancora una volta in modo esplicito e di tutto cuore.
Nei miei spostamenti in Polonia non poteva mancare la visita ad Auschwitz-Birkenau nel luogo della barbarie più crudele – del tentativo di cancellare il popolo di Israele, di vanificare così anche l’elezione da parte di Dio, di bandire Dio stesso dalla storia. Fu per me motivo di grande conforto veder comparire nel cielo in quel momento l’arcobaleno, mentre io, davanti all’orrore di quel luogo, nell'atteggiamento di Giobbe gridavo verso Dio, scosso dallo spavento della sua apparente assenza e, al contempo, sorretto dalla certezza che Egli anche nel suo silenzio non cessa di essere e di rimanere con noi. L’arcobaleno era come una risposta: Sì, Io ci sono, e le parole della promessa, dell’Alleanza, che ho pronunciato dopo il diluvio, sono valide anche oggi (cfr Gn 9,12-17).

Il viaggio in Spagna – a Valencia – è stato tutto all'insegna del tema del matrimonio e della famiglia. È stato bello ascoltare, davanti all’assemblea di persone di tutti i continenti, la testimonianza di coniugi che – benedetti da una schiera numerosa di figli – si sono presentati davanti a noi e hanno parlato dei rispettivi cammini nel sacramento del matrimonio e all'interno delle loro famiglie numerose. 

Non hanno nascosto il fatto di aver avuto anche giorni difficili, di aver dovuto attraversare tempi di crisi. Ma proprio nella fatica del sopportarsi a vicenda giorno per giorno, proprio nell'accettarsi sempre di nuovo nel crogiolo degli affanni quotidiani, vivendo e soffrendo fino in fondo il sì iniziale – proprio in questo cammino del "perdersi" evangelico erano maturati, avevano trovato se stessi ed erano diventati felici. 
Il sì che si erano dato reciprocamente, nella pazienza del cammino e nella forza del sacramento con cui Cristo li aveva legati insieme, era diventato un grande sì di fronte a se stessi, ai figli, al Dio Creatore e al Redentore Gesù Cristo. Così dalla testimonianza di queste famiglie ci giungeva un’onda di gioia, non di un’allegrezza superficiale e meschina che si dilegua presto, ma di una gioia maturata anche nella sofferenza, di una gioia che va nel profondo e redime veramente l’uomo. Davanti a queste famiglie con i loro figli, davanti a queste famiglie in cui le generazioni si stringono la mano e il futuro è presente, il problema dell’Europa, che apparentemente quasi non vuol più avere figli, mi è penetrato nell’anima. 
Per l’estraneo, quest’Europa sembra essere stanca, anzi sembra volersi congedare dalla storia. Perché le cose stanno così? Questa è la grande domanda. Le risposte sono sicuramente molto complesse. Prima di cercare tali risposte è doveroso un ringraziamento ai tanti coniugi che anche oggi, nella nostra Europa, dicono sì al figlio e accettano le fatiche che questo comporta: i problemi sociali e finanziari, come anche le preoccupazioni e fatiche giorno dopo giorno; la dedizione necessaria per aprire ai figli la strada verso il futuro. Accennando a queste difficoltà si rendono forse anche chiare le ragioni perché a tanti il rischio di aver figli appare troppo grande. Il bambino ha bisogno di attenzione amorosa. 

Ciò significa: dobbiamo dargli qualcosa del nostro tempo, del tempo della nostra vita. Ma proprio questa essenziale “materia prima” della vita – il tempo – sembra scarseggiare sempre di più. Il tempo che abbiamo a disposizione basta appena per la propria vita; come potremmo cederlo, darlo a qualcun altro? 
Avere tempo e donare tempo – è questo per noi un modo molto concreto per imparare a donare se stessi, a perdersi per trovare se stessi. 
A questo problema si aggiunge il calcolo difficile: di quali norme siamo debitori al bambino perché segua la via giusta e in che modo dobbiamo, nel fare ciò, rispettare la sua libertà? Il problema è diventato così difficile anche perché non siamo più sicuri delle norme da trasmettere; perché non sappiamo più quale sia l’uso giusto della libertà, quale il modo giusto di vivere, che cosa sia moralmente doveroso e che cosa invece inammissibile. 

Lo spirito moderno ha perso l’orientamento, e questa mancanza di orientamento ci impedisce di essere per altri indicatori della retta via. Anzi, la problematica va ancora più nel profondo. L’uomo di oggi è insicuro circa il futuro. È ammissibile inviare qualcuno in questo futuro incerto? In definitiva, è una cosa buona essere uomo? Questa profonda insicurezza sull’uomo stesso – accanto alla volontà di avere la vita tutta per se stessi – è forse la ragione più profonda, per cui il rischio di avere figli appare a molti una cosa quasi non più sostenibile. 
Di fatto, possiamo trasmettere la vita in modo responsabile solo se siamo in grado di trasmettere qualcosa di più della semplice vita biologica e cioè un senso che regga anche nelle crisi della storia ventura e una certezza nella speranza che sia più forte delle nuvole che oscurano il futuro. 

Se non impariamo nuovamente i fondamenti della vita – se non scopriamo in modo nuovo la certezza della fede – ci sarà anche sempre meno possibile affidare agli altri il dono della vita e il compito di un futuro sconosciuto. 

Connesso con ciò è, infine, anche il problema delle decisioni definitive: può l’uomo legarsi per sempre? Può dire un sì per tutta la vita? Sì, lo può. Egli è stato creato per questo. Proprio così si realizza la libertà dell’uomo e così si crea anche l’ambito sacro del matrimonio che si allarga diventando famiglia e costruisce futuro.

A questo punto non posso tacere la mia preoccupazione per le leggi sulle coppie di fatto. Molte di queste coppie hanno scelto questa via, perché – almeno per il momento – non si sentono in grado di accettare la convivenza giuridicamente ordinata e vincolante del matrimonio. Così preferiscono rimanere nel semplice stato di fatto. Quando vengono create nuove forme giuridiche che relativizzano il matrimonio, la rinuncia al legame definitivo ottiene, per così dire, anche un sigillo giuridico. In tal caso il decidersi per chi già fa fatica diventa ancora più difficile. Si aggiunge poi, per l'altra forma di coppie, la relativizzazione della differenza dei sessi. Diventa così uguale il mettersi insieme di un uomo e una donna o di due persone dello stesso sesso. 
Con ciò vengono tacitamente confermate quelle teorie funeste che tolgono ogni rilevanza alla mascolinità e alla femminilità della persona umana, come se si trattasse di un fatto puramente biologico; teorie secondo cui l’uomo – cioè il suo intelletto e la sua volontà – deciderebbe autonomamente che cosa egli sia o non sia. C'è in questo un deprezzamento della corporeità, da cui consegue che l’uomo, volendo emanciparsi dal suo corpo – dalla “sfera biologica” – finisce per distruggere se stesso. 
Se ci si dice che la Chiesa non dovrebbe ingerirsi in questi affari, allora noi possiamo solo rispondere: forse che l’uomo non ci interessa? I credenti, in virtù della grande cultura della loro fede, non hanno forse il diritto di pronunciarsi in tutto questo?  Non  è piuttosto il loro - il nostro - dovere alzare la voce per difendere l’uomo, quella creatura che, proprio nell’unità inseparabile di corpo e anima, è immagine di Dio? 
Il viaggio a Valencia è diventato per me un viaggio alla ricerca di che cosa significhi l’essere uomo.

Proseguiamo mentalmente verso la Baviera – München, Altötting, Regensburg, Freising. Lì ho potuto vivere giornate indimenticabilmente belle dell’incontro con la fede e con i fedeli della mia patria. Il grande tema del mio viaggio in Germania era Dio. La Chiesa deve parlare di tante cose: di tutte le questioni connesse con l’essere uomo, della propria struttura e del proprio ordinamento e così via. Ma il suo tema vero e – sotto certi aspetti – unico è "Dio". 
E il grande problema dell’Occidente è la dimenticanza di Dio: è un oblio che si diffonde. In definitiva, tutti i singoli problemi possono essere riportati a questa domanda, ne sono convinto. Perciò, in quel viaggio la mia intenzione principale era di mettere ben in luce il tema "Dio", memore anche del fatto che in alcune parti della Germania vive una maggioranza di non-battezzati, per i quali il cristianesimo e il Dio della fede sembrano cose che appartengono al passato. Parlando di Dio, tocchiamo anche precisamente l'argomento che, nella predicazione terrena di Gesù, costituiva il suo interesse centrale. Il tema fondamentale di tale predicazione è il dominio di Dio, il “Regno di Dio”. Con ciò non è espresso qualcosa che verrà una volta o l’altra in un futuro indeterminato. Neppure si intende con ciò quel mondo migliore che cerchiamo di creare passo passo con le nostre forze. 

Nel termine “Regno di Dio” la parola “Dio” è un genitivo soggettivo. Questo significa: Dio non è un’aggiunta al “Regno” che forse si potrebbe anche lasciar cadere. Dio è il soggetto. Regno di Dio vuol dire in realtà: Dio regna. Egli stesso è presente ed è determinante per gli uomini nel mondo. Egli è il soggetto, e dove manca questo soggetto non resta nulla del messaggio di Gesù. 

Perciò Gesù ci dice: il Regno di Dio non viene in modo che si possa, per così dire, mettersi sul lato della strada ed osservare il suo arrivo. “È in mezzo a voi!” (cfr Lc 17,20s). Esso si sviluppa dove viene realizzata la volontà di Dio. È presente dove vi sono persone che si aprono al suo arrivo e così lasciano che Dio entri nel mondo. Perciò Gesù è il Regno di Dio in persona : l’uomo nel quale Dio è in mezzo a noi e attraverso il quale noi possiamo toccare Dio, avvicinarci a Dio. Dove questo accade, il mondo si salva.
Con il tema di Dio erano e sono collegati due temi che hanno dato un’impronta alle giornate della visita in Baviera: il tema del sacerdozio e quello del dialogo. 

Paolo chiama Timoteo – e in lui il Vescovo e, in genere, il sacerdote – “uomo di Dio” (1 Tim 6,11). È questo il compito centrale del sacerdote: portare Dio agli uomini. Certamente può farlo soltanto se egli stesso viene da Dio, se vive con e da Dio. Ciò è espresso meravigliosamente in un versetto di un Salmo sacerdotale che noi – la vecchia generazione – abbiamo pronunciato durante l’ammissione allo stato chiericale: "Il Signore è mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita” (Sal 16 [15],5). L’orante-sacerdote di questo Salmo interpreta la sua esistenza a partire dalla forma della distribuzione del territorio fissata nel Deuteronomio (cfr 10,9). Dopo la presa di possesso della Terra ogni tribù ottiene per mezzo del sorteggio la sua porzione della Terra santa e con ciò prende parte al dono promesso al capostipite Abramo. 
Solo la tribù di Levi non riceve alcun terreno: la sua terra è Dio stesso. Questa affermazione aveva certamente un significato del tutto pratico. I sacerdoti non vivevano, come le altre tribù, della coltivazione della terra, ma delle offerte. Tuttavia, l’affermazione va più in profondità. Il vero fondamento della vita del sacerdote, il suolo della sua esistenza, la terra della sua vita è Dio stesso. 
La Chiesa, in questa interpretazione anticotestamentaria dell’esistenza sacerdotale – un’interpretazione che emerge ripetutamente anche nel Salmo 118 [119]  – ha visto con ragione la spiegazione di ciò che significa la missione sacerdotale nella sequela degli Apostoli, nella comunione con Gesù stesso. Il sacerdote può e deve dire anche oggi con il levita: “Dominus pars hereditatis meae et calicis mei”. Dio stesso è la mia parte di terra, il fondamento esterno ed interno della mia esistenza. 

Questa teocentricità dell’esistenza sacerdotale è necessaria proprio nel nostro mondo totalmente funzionalistico, nel quale tutto è fondato su prestazioni calcolabili e verificabili. 

Il sacerdote deve veramente conoscere Dio dal di dentro e portarlo così agli uomini: è questo il servizio prioritario di cui l'umanità di oggi ha bisogno. Se in una vita sacerdotale si perde questa centralità di Dio, si svuota passo passo anche lo zelo dell’agire. Nell’eccesso delle cose esterne manca il centro che dà senso a tutto e lo riconduce all’unità. Lì manca il fondamento della vita, la “terra”, sulla quale tutto questo può stare e prosperare.

Il celibato, che vige per i Vescovi in tutta la Chiesa orientale ed occidentale e, secondo una tradizione che risale a un’epoca vicina a quella degli Apostoli, per i sacerdoti in genere nella Chiesa latina, può essere compreso e vissuto, in definitiva, solo in base a questa impostazione di fondo. Le ragioni solamente pragmatiche, il riferimento alla maggiore disponibilità, non bastano: una tale maggiore disponibilità di tempo potrebbe facilmente diventare anche una forma di egoismo, che si risparmia i sacrifici e le fatiche richieste dall’accettarsi e dal sopportarsi a vicenda nel matrimonio; potrebbe così portare ad un impoverimento spirituale o ad una durezza di cuore. 
Il vero fondamento del celibato può essere racchiuso solo nella frase: Dominus pars – Tu sei la mia terra. Può essere solo teocentrico. Non può significare il rimanere privi di amore, ma deve significare il lasciarsi prendere dalla passione per Dio, ed imparare poi grazie ad un più intimo stare con Lui a servire pure gli uomini. 
Il celibato deve essere una testimonianza di fede: la fede in Dio diventa concreta in quella forma di vita che solo a partire da Dio ha un senso. Poggiare la vita su di Lui, rinunciando al matrimonio ed alla famiglia, significa che io accolgo e sperimento Dio come realtà e perciò posso portarlo agli uomini. 

Il nostro mondo diventato totalmente positivistico, in cui Dio entra in gioco tutt’al più come ipotesi, ma non come realtà concreta, ha bisogno di questo poggiare su Dio nel modo più concreto e radicale possibile. Ha bisogno della testimonianza per Dio che sta nella decisione di accogliere Dio come terra su cui si fonda la propria esistenza. Per questo il celibato è così importante proprio oggi, nel nostro mondo attuale, anche se il suo adempimento in questa nostra epoca è continuamente minacciato e messo in questione. 
Occorre una preparazione accurata durante il cammino verso questo obiettivo; un accompagnamento persistente da parte del Vescovo, di amici sacerdoti e di laici, che sostengano insieme questa testimonianza sacerdotale. 
Occorre la preghiera che invoca senza tregua Dio come il Dio vivente e si appoggia a Lui nelle ore di confusione come nelle ore della gioia. In questo modo, contrariamente al "trend" culturale che cerca di convincerci che non siamo capaci di prendere tali decisioni, questa testimonianza può essere vissuta e così, nel nostro mondo, può rimettere in gioco Dio come realtà.

L’altro grande tema collegato col tema di Dio è quello del dialogo. Il cerchio interno del complesso dialogo che oggi occorre, l’impegno comune di tutti i cristiani per l’unità, si è reso evidente nei Vespri ecumenici nel duomo di Regensburg, dove oltre ai fratelli e alle sorelle della Chiesa cattolica, ho potuto incontrare molti amici dell’Ortodossia e del Cristianesimo Evangelico. Nella recita dei Salmi e nell’ascolto della Parola di Dio eravamo lì tutti riuniti, e non è una cosa da poco che questa unità ci sia stata donata. 
L'incontro con l'Università era dedicato – come si addice a quel luogo – al dialogo tra fede e ragione. In occasione del mio incontro col filosofo Jürgen Habermas, qualche anno fa a Monaco, questi aveva detto che ci occorrerebbero pensatori capaci di tradurre le convinzioni cifrate della fede cristiana nel linguaggio del mondo secolarizzato per renderle così efficaci in modo nuovo. 
Di fatto diventa sempre più evidente, quanto urgentemente il mondo abbia bisogno del dialogo tra fede e ragione. 

Immanuel Kant, a suo tempo, aveva visto espressa l'essenza dell'illuminismo nel detto "sapere aude": nel coraggio del pensiero che non si lascia mettere in imbarazzo da alcun pregiudizio. 

Ebbene, la capacità cognitiva dell'uomo, il suo dominio sulla materia mediante la forza del pensiero, ha fatto nel frattempo progressi allora inimmaginabili. Ma il potere dell'uomo, che gli è cresciuto nelle mani grazie alla scienza, diventa sempre più un pericolo che minaccia l'uomo stesso e il mondo. La ragione orientata totalmente ad impadronirsi del mondo non accetta più limiti. 
Essa è sul punto di trattare ormai l'uomo stesso come semplice materia del suo produrre e del suo potere. 
La nostra conoscenza aumenta, ma al contempo si registra un progressivo accecamento della ragione circa i propri fondamenti; circa i criteri che le danno orientamento e senso. 
La fede in quel Dio che è in persona la Ragione creatrice dell'universo deve essere accolta dalla scienza in modo nuovo come sfida e chance. Reciprocamente, questa fede deve riconoscere nuovamente la sua intrinseca vastità e la sua propria ragionevolezza. 
La ragione ha bisogno del Logos che sta all'inizio ed è la nostra luce; la fede, per parte sua, ha bisogno del colloquio con la ragione moderna, per rendersi conto della propria grandezza e corrispondere alle proprie responsabilità. È questo che ho cercato di evidenziare nella mia lezione a Regensburg. 
È una questione che non è affatto di natura soltanto accademica; in essa si tratta del futuro di noi tutti.

A Regensburg il dialogo tra le religioni venne toccato solo marginalmente e sotto un duplice punto di vista. La ragione secolarizzata non è in grado di entrare in un vero dialogo con le religioni. Se resta chiusa di fronte alla questione di Dio, questo finirà per condurre allo scontro delle culture. 

L'altro punto di vista riguardava l'affermazione che le religioni devono incontrarsi nel compito comune di porsi al servizio della verità e quindi dell'uomo. La visita in Turchia mi ha offerto l'occasione di illustrare anche pubblicamente il mio rispetto per la Religione islamica, un rispetto, del resto, che il Concilio Vaticano II (cfr Dich. Nostra Aetate, 3) ci ha indicato come atteggiamento doveroso. Vorrei in questo momento esprimere ancora una volta la mia gratitudine verso le Autorità della Turchia e verso il popolo turco, che mi ha accolto con un'ospitalità così grande e mi ha offerto giorni indimenticabili di incontro. In un dialogo da intensificare con l'Islam dovremo tener presente il fatto che il mondo musulmano si trova oggi con grande urgenza davanti a un compito molto simile a quello che ai cristiani fu imposto a partire dai tempi dell'illuminismo e che il Concilio Vaticano II, come frutto di una lunga ricerca faticosa, ha portato a soluzioni concrete per la Chiesa cattolica. Si tratta dell'atteggiamento che la comunità dei fedeli deve assumere di fronte alle convinzioni e alle esigenze affermatesi nell'illuminismo. 
Da una parte, ci si deve contrapporre a una dittatura della ragione positivista che esclude Dio dalla vita della comunità e dagli ordinamenti pubblici, privando così l'uomo di suoi specifici criteri di misura. 
D'altra parte, è necessario accogliere le vere conquiste dell'illuminismo, i diritti dell'uomo e specialmente la libertà della fede e del suo esercizio, riconoscendo in essi elementi essenziali anche per l'autenticità della religione. 
Come nella comunità cristiana c'è stata una lunga ricerca circa la giusta posizione della fede di fronte a quelle convinzioni – una ricerca che certamente non sarà mai conclusa definitivamente – così anche il mondo islamico con la propria tradizione sta davanti al grande compito di trovare a questo riguardo le soluzioni adatte. 

Il contenuto del dialogo tra cristiani e musulmani sarà in questo momento soprattutto quello di incontrarsi in questo impegno per trovare le soluzioni giuste. Noi cristiani ci sentiamo solidali con tutti coloro che, proprio in base alla loro convinzione religiosa di musulmani, s'impegnano contro la violenza e per la sinergia tra fede e ragione, tra religione e libertà. In questo senso, i due dialoghi di cui ho parlato si compenetrano a vicenda.

Ad Istanbul, infine, ho potuto vivere ancora una volta ore felici di vicinanza ecumenica nell'incontro con il Patriarca ecumenico Bartholomaios I. Giorni fa egli mi ha scritto una lettera le cui parole di gratitudine provenienti dal profondo del cuore mi hanno reso di nuovo molto presente l'esperienza di comunione di quei giorni. 
Abbiamo sperimentato di essere fratelli non soltanto sulla base di parole e di eventi storici, ma dal profondo dell'animo; di essere uniti dalla fede comune degli Apostoli fin dentro il nostro pensiero e sentimento personale. 
Abbiamo fatto l'esperienza di un'unità profonda nella fede e pregheremo il Signore ancora più insistentemente affinché ci doni presto anche la piena unità nella comune frazione del Pane. La mia profonda gratitudine e la mia preghiera fraterna si rivolgono in quest'ora al Patriarca Bartholomaios e ai suoi fedeli come anche alle diverse comunità cristiane che ho potuto incontrare ad Istanbul. 
Speriamo e preghiamo che la libertà religiosa, che corrisponde alla natura intima della fede ed è riconosciuta nei principi della costituzione turca, trovi nelle forme giuridiche adatte come nella vita quotidiana del Patriarcato e delle altre comunità cristiane una sempre più crescente realizzazione pratica.

"Et erit iste pax" – tale sarà la pace, dice il profeta Michea (5,4) circa il futuro dominatore di Israele, di cui annuncia la nascita a Betlemme. Ai pastori che pascolavano le loro pecore sui campi intorno a Betlemme gli angeli dissero: l'Atteso è arrivato. "Pace in terra agli uomini" (Lc 2,14). Egli stesso Cristo, il Signore, ha detto ai suoi discepoli: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace" (Gv 14,27). Da queste parole si è sviluppato il saluto liturgico: "La pace sia con voi". Questa pace che viene comunicata nella liturgia è Cristo stesso. Egli si dona a noi come la pace, come la riconciliazione oltre ogni frontiera. Dove Egli viene accolto crescono isole di pace. 

Noi uomini avremmo desiderato che Cristo bandisse una volta per sempre tutte le guerre, distruggesse le armi e stabilisse la pace universale. Ma dobbiamo imparare che la pace non può essere raggiunta unicamente dall'esterno con delle strutture e che il tentativo di stabilirla con la violenza porta solo a violenza sempre nuova. Dobbiamo imparare che la pace – come diceva l'angelo di Betlemme – è connessa con l'eudokia, con l'aprirsi dei nostri cuori a Dio. Dobbiamo imparare che la pace può esistere solo se l'odio e l'egoismo vengono superati dall'interno. 
L'uomo deve essere rinnovato a partire dal suo interno, deve diventare nuovo, diverso. Così la pace in questo mondo rimane sempre debole e fragile. 
Noi ne soffriamo. Proprio per questo siamo tanto più chiamati a lasciarci penetrare interiormente dalla pace di Dio, e a portare la sua forza nel mondo. Nella nostra vita deve realizzarsi ciò che nel Battesimo è avvenuto in noi sacramentalmente: il morire dell'uomo vecchio e così il risorgere di quello nuovo. 

E sempre di nuovo pregheremo il Signore con ogni insistenza: Scuoti tu i cuori! Rendici uomini nuovi! Aiuta affinché la ragione della pace vinca l'irragionevolezza della violenza! Rendici portatori della tua pace!
Ci ottenga questa grazia la Vergine Maria, alla quale affido voi e il vostro lavoro. A ciascuno di voi qui presenti e alle persone care rinnovo i miei più fervidi voti augurali. 
E come segno della nostra gioia, il giorno di domani sarà un giorno libero per la Curia, per prepararsi bene, materialmente e spiritualmente, al Natale. 
Ai collaboratori dei vari Dicasteri e Uffici della Curia Romana e del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano imparto con affetto la Benedizione Apostolica. Buon Natale e tanti auguri anche per il Nuovo Anno.

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