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giovedì 19 aprile 2018

L’infanticidio promosso dalla “agenda gender” globale

(di Lupo Glori) Dall’Italia al Portogallo, fino agli Stati Uniti, il “gender diktat” è all’ordine del giorno e si susseguono le folli notizie che, di giorno in giorno, registrano i balzi in avanti di quella che è una vera e propria rivoluzione antropologica che ha nei bambini le sue prime ed indifese vittime.
In Italia, è di poche settimane fa il via libera alla pillola per cambiare sesso in caso di disturbo dell’identità di genere. Come riportato dal quotidiano La Verità, a riguardo, è arrivato infatti il parere favorevole della Commissione tecnico scientifica dell’Agenzia italiana del Farmaco (AIFA) – secondo la quale la pubertà sarebbe «incongruente con l’identità di genere» – e per questo le persone cosiddette gender variant, in possesso di una diagnosi di un esperto in salute mentale e del consenso informato dell’interessato e dei genitori, potranno fare richiesta della triptorelina, un medicinale erogabile a carico del servizio sanitario nazionale, in grado di “congelare” la pubertà in attesa di “tempi migliori” dal punto di vista della consapevolezza della propria identità sessuale.
Grazie all’assunzione di tale farmaco, il cui principio attivo viene usato per curare alcuni tipi di tumore (carcinoma della prostata e della mammella, per esempio), l’adolescente affetto da disforia di genere vedrà infatti inibita la secrezione di gonadotropine con la conseguenza di andare a sopprimere le funzioni testicolari e ovarica, ritardando lo sviluppo dei caratteri sessuali secondari.
Con l’approvazione della prescrizione di tale medicinale per gli adolescenti, l’AIFA raccoglie l’appello di alcuni specialisti in materia tra cui il presidente della Società Italiana di Endocrinologia, Paolo Vitti, della Società Italiana di Andrologia e Medicina della Sessualità, Alberto Ferlin, della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica, Stefano Cianfarani e dell’Osservatorio Nazionale sull’Identità di Genere, Paolo Valerio, per i quali – secondo la vulgata politically correct odierna – “sdoganare” i farmaci che bloccano la produzione degli ormoni sessuali della pubertà scongiurerebbe atti di bullismo omotransfobico: «un cruciale intervento precoce, volto a limitare possibili atti di bullismo omotransfobico e di isolamento sociale».
Dal Portogallo arriva invece la notizia che il parlamento di Lisbona ha approvato, con 109 voti a favore su 230 votanti, una nuova legislazione in materia di cambio di sesso per la quale le persone transgender potranno auto-determinare il proprio sesso diverso da quello biologico di nascita al compimento dei 16 anni di età e senza la necessità di esibire alcun referto medico. Nello spazio di pochi anni, dal 2011 ad oggi, il Portogallo è passato dal non avere alcuna legislazione in materia a divenire uno dei sei paesi europei con la normativa più “avanzata” in fatto di “diritti” all’autodeterminazione per le persone transgender, accodandosi a Malta, Norvegia, Danimarca, Irlanda e Belgio.
Fino al 2011 Lisbona non aveva infatti alcuna norma sul cambio di sesso, dopodiché è stata introdotta una nuova normativa che presupponeva tuttavia la diagnosi psichiatrica di disturbo dell’identità di genere e il raggiungimento della maggiore età. Oggi, con le nuove norme appena approvate, tali condizioni vengono meno. La deputata del Cds-Pp Vania Dias da Silva ha duramente criticato la legge, sottolineando l’assurdità di rimettere ai minori una decisione così importante e delicata: «I sedicenni non possono sposarsi, né guidare e nemmeno bere e non dovrebbero perciò poter prendere una decisione dalle conseguenze così gravi e definitive».
La terza storia arriva infine dagli Stati Uniti dove una coppia di genitori, Kyl e Brent Myers, hanno annunciato di non volere rivelare il sesso del proprio figlio dal nome volutamente neutro, Zoomer, in quanto hanno scelto di crescerlo secondo un metodo “gender creative”. L’obiettivo, fanno sapere i genitori, è quello di «liberarsi dagli stereotipi» in maniera che, «sarà lei/lui a scegliere in quale sesso riconoscersi, una volta che sarà in grado di esprimersi». Per questo, quando si rivolgono a Zoomer usano il pronome they, in quanto, spiega Kyl, su Instagram, «in inglese può essere utilizzato anche per indicare il genere neutro». 
Intervistata dall’Huffington Post la madre del piccolo, al centro del folle “esperimento gender” dei propri genitori, ha spiegato così le “ragioni” alla base della loro scelta: «Ho deciso di non assegnare un sesso a Zoomer. (…) Aspetterò che scelga da sola/o in quale dei due identificarsi, cosa che di solito succede attorno ai tre o quattro anni, quando la maggior parte dei bambini inizia a indicare se stesso con un pronome maschile o femminile».
Le tre vicende qui riportate rivelano come sia in atto una massiccia offensiva globale nei confronti dei bambini la cui infanzia viene irrimediabilmente calpestata e violata in nome dell’odierno diktat dell’indifferenza sessuale. Adottare e promuovere il metodo “gender creative”, spacciato per una “conquista di civiltà”, costituisce infatti, nella realtà, una inammissibile violenza sui minori ai quali viene forzatamente estirpata la legge naturale impressa nei loro cuori e nelle loro menti per ricostruire un nuovo bambino rieducato ed allineato al nuovo modello sessuale “gender fluid”.
In questa prospettiva, l’“agenda gender” mondiale è responsabile di un vero e proprio infanticidio culturale e morale, che a differenza dell’aborto non uccide i corpi ma le anime dei bambini, dalle conseguenze devastanti. (Lupo Glori)
gender

mercoledì 17 dicembre 2014

Benedetto XVI: «Se non esistono più maschio e femmina, allora non esiste più neppure la famiglia»

"...allora non esiste più neppure la famiglia"

http://www.tempi.it/benedetto-xvi-se-non-esistono-piu-maschio-e-femmina-allora-non-esiste-piu-neppure-la-famiglia#.VJGDbXJ5N6x

Dicembre 21, 2012 Redazione
Discorso del Papa alla Curia romana su famiglia (e sesso), capacità di dialogo e nuova evangelizzazione. 
«Chi difende Dio, difende l’uomo»
Questa mattina Benedetto XVI ha ricevuto i cardinali, i rappresentanti della Curia romana e del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, per il tradizionale scambio di auguri natalizi. Dopo aver ripercorso alcuni degli eventi più significativi di quest’anno (visita in Messico e a Cuba, viaggio in Libano, Family day e Sinodo), il Papa ha voluto «riflettere un po’ più dettagliatamente soprattutto sul tema della famiglia e sulla natura del dialogo, per aggiungere poi ancora una breve annotazione sul tema della Nuova Evangelizzazione».
Riportiamo alcuni stralci del suo discorso.

FAMIGLIA E GENDER. «La grande gioia con cui a Milano si sono incontrate famiglie provenienti da tutto il mondo ha mostrato che, nonostante tutte le impressioni contrarie, la famiglia è forte e viva anche oggi. È incontestabile, però, anche la crisi che – particolarmente nel mondo occidentale – la minaccia fino nelle basi. Mi ha colpito che nel Sinodo si sia ripetutamente sottolineata l’importanza della famiglia per la trasmissione della fede come luogo autentico in cui si trasmettono le forme fondamentali dell’essere persona umana. Le si impara vivendole e anche soffrendole insieme. Così si è reso evidente che nella questione della famiglia non si tratta soltanto di una determinata forma sociale, ma della questione dell’uomo stesso – della questione di che cosa sia l’uomo e di che cosa occorra fare per essere uomini in modo giusto. Le sfide in questo contesto sono complesse. C’è anzitutto la questione della capacità dell’uomo di legarsi oppure della sua mancanza di legami. Può l’uomo legarsi per tutta una vita? Corrisponde alla sua natura? Non è forse in contrasto con la sua libertà e con l’ampiezza della sua autorealizzazione? L’uomo diventa se stesso rimanendo autonomo e entrando in contatto con l’altro solo mediante relazioni che può interrompere in ogni momento? Un legame per tutta la vita è in contrasto con la libertà? Il legame merita anche che se ne soffra? Il rifiuto del legame umano, che si diffonde sempre più a causa di un’errata comprensione della libertà e dell’autorealizzazione, come anche a motivo della fuga davanti alla paziente sopportazione della sofferenza, significa che l’uomo rimane chiuso in se stesso e, in ultima analisi, conserva il proprio “io” per se stesso, non lo supera veramente. Ma solo nel dono di sé l’uomo raggiunge se stesso, e solo aprendosi all’altro, agli altri, ai figli, alla famiglia, solo lasciandosi plasmare nella sofferenza, egli scopre l’ampiezza dell’essere persona umana. Con il rifiuto di questo legame scompaiono anche le figure fondamentali dell’esistenza umana: il padre, la madre, il figlio; cadono dimensioni essenziali dell’esperienza dell’essere persona umana.
Il Gran Rabbino di Francia, Gilles Bernheim, in un trattato accuratamente documentato e profondamente toccante, ha mostrato che l’attentato, al quale oggi ci troviamo esposti, all’autentica forma della famiglia, costituita da padre, madre e figlio, giunge ad una dimensione ancora più profonda. Se finora avevamo visto come causa della crisi della famiglia un fraintendimento dell’essenza della libertà umana, ora diventa chiaro che qui è in gioco la visione dell’essere stesso, di ciò che in realtà significa l’essere uomini. Egli cita l’affermazione, diventata famosa, di Simone de Beauvoir: “Donna non si nasce, lo si diventa” (“On ne naît pas femme, on le devient”). In queste parole è dato il fondamento di ciò che oggi, sotto il lemma “gender”, viene presentato come nuova filosofia della sessualità. Il sesso, secondo tale filosofia, non è più un dato originario della natura che l’uomo deve accettare e riempire personalmente di senso, bensì un ruolo sociale del quale si decide autonomamente, mentre finora era la società a decidervi. La profonda erroneità di questa teoria e della rivoluzione antropologica in essa soggiacente è evidente. L’uomo contesta di avere una natura precostituita dalla sua corporeità, che caratterizza l’essere umano. Nega la propria natura e decide che essa non gli è data come fatto precostituito, ma che è lui stesso a crearsela. Secondo il racconto biblico della creazione, appartiene all’essenza della creatura umana di essere stata creata da Dio come maschio e come femmina. Questa dualità è essenziale per l’essere umano, così come Dio l’ha dato. Proprio questa dualità come dato di partenza viene contestata. Non è più valido ciò che si legge nel racconto della creazione: “Maschio e femmina Egli li creò” (Gen 1,27). No, adesso vale che non è stato Lui a crearli maschio e femmina, ma finora è stata la società a determinarlo e adesso siamo noi stessi a decidere su questo. Maschio e femmina come realtà della creazione, come natura della persona umana non esistono più. L’uomo contesta la propria natura. Egli è ormai solo spirito e volontà. La manipolazione della natura, che oggi deploriamo per quanto riguarda l’ambiente, diventa qui la scelta di fondo dell’uomo nei confronti di se stesso. Esiste ormai solo l’uomo in astratto, che poi sceglie per sé autonomamente qualcosa come sua natura. Maschio e femmina vengono contestati nella loro esigenza creazionale di forme della persona umana che si integrano a vicenda. Se, però, non esiste la dualità di maschio e femmina come dato della creazione, allora non esiste neppure più la famiglia come realtà prestabilita dalla creazione. Ma in tal caso anche la prole ha perso il luogo che finora le spettava e la particolare dignità che le è propria. Bernheim mostra come essa, da soggetto giuridico a sé stante, diventi ora necessariamente un oggetto, a cui si ha diritto e che, come oggetto di un diritto, ci si può procurare. Dove la libertà del fare diventa libertà di farsi da sé, si giunge necessariamente a negare il Creatore stesso e con ciò, infine, anche l’uomo quale creatura di Dio, quale immagine di Dio viene avvilito nell’essenza del suo essere. Nella lotta per la famiglia è in gioco l’uomo stesso. E si rende evidente che là dove Dio viene negato, si dissolve anche la dignità dell’uomo. Chi difende Dio, difende l’uomo».

DIALOGO. «Con ciò vorrei giungere al secondo grande tema (…): la questione cioè del dialogo e dell’annuncio. Parliamo anzitutto del dialogo. Vedo per la Chiesa nel nostro tempo soprattutto tre campi di dialogo nei quali essa deve essere presente, nella lotta per l’uomo e per che cosa significhi essere persona umana: il dialogo con gli Stati, il dialogo con la società – in esso incluso il dialogo con le culture e con la scienza – e, infine, il dialogo con le religioni. In tutti questi dialoghi, la Chiesa parla a partire da quella luce che le offre la fede. Essa, però, incarna al tempo stesso la memoria dell’umanità che, fin dagli inizi e attraverso i tempi, è memoria delle esperienze e delle sofferenze dell’umanità (…).
La cultura dell’umano, di cui essa si fa garante, è nata e si è sviluppata dall’incontro tra la rivelazione di Dio e l’esistenza umana. La Chiesa rappresenta la memoria dell’essere uomini di fronte a una civiltà dell’oblio, che ormai conosce soltanto se stessa e il proprio criterio di misure. Ma come una persona senza memoria ha perso la propria identità, così anche un’umanità senza memoria perderebbe la propria identità. (…) Nel dialogo con lo Stato e con la società, la Chiesa certamente non ha soluzioni pronte per le singole questioni. Insieme con le altre forze sociali, essa lotterà per le risposte che maggiormente corrispondano alla giusta misura dell’essere umano. Ciò che essa ha individuato come valori fondamentali, costitutivi e non negoziabili dell’esistenza umana, lo deve difendere con la massima chiarezza. Deve fare tutto il possibile per creare una convinzione che poi possa tradursi in azione politica.
Nella situazione attuale dell’umanità, il dialogo delle religioni è una condizione necessaria per la pace nel mondo, e pertanto è un dovere per i cristiani come pure per le altre comunità religiose. Questo dialogo delle religioni ha diverse dimensioni. Esso sarà innanzi tutto semplicemente un dialogo della vita, un dialogo della condivisione pratica. In esso non si parlerà dei grandi temi della fede – se Dio sia trinitario o come sia da intendere l’ispirazione delle Sacre Scritture ecc. Si tratta dei problemi concreti della convivenza e della responsabilità comune per la società, per lo Stato, per l’umanità. In ciò bisogna imparare ad accettare l’altro nel suo essere e pensare in modo diverso. A questo scopo è necessario fare della responsabilità comune per la giustizia e per la pace il criterio di fondo del colloquio. Un dialogo in cui si tratta di pace e di giustizia diventa da sé, al di là di ciò che è semplicemente pragmatico, una lotta etica circa la verità e circa l’essere umano; un dialogo circa le valutazioni che sono presupposte al tutto. (…) Così questi sforzi possono avere anche il significato di passi comuni verso l’unica verità, senza che le scelte di fondo vengano cambiate. Se ambedue le parti muovono da un’ermeneutica di giustizia e di pace, la differenza di fondo non scomparirà, crescerà tuttavia anche una vicinanza più profonda tra loro.
Per l’essenza del dialogo interreligioso, oggi in genere si considerano fondamentali due regole: 1. Il dialogo non ha di mira la conversione, bensì la comprensione. In questo si distingue dall’evangelizzazione, dalla missione. 2. Conformemente a ciò, in questo dialogo ambedue le parti restano consapevolmente nella loro identità, che, nel dialogo, non mettono in questione né per sé né per gli altri.
Sì, il dialogo non ha di mira la conversione, ma una migliore comprensione reciproca: ciò è corretto. La ricerca di conoscenza e di comprensione, però, vuole sempre essere anche un avvicinamento alla verità. Così, ambedue le parti, avvicinandosi passo passo alla verità, vanno in avanti e sono in cammino verso una più grande condivisione, che si fonda sull’unità della verità. (…) Rispetto a questo direi che il cristiano ha la grande fiducia di fondo, anzi, la grande certezza di fondo di poter prendere tranquillamente il largo nel vasto mare della verità, senza dover temere per la sua identità di cristiano. Certo, non siamo noi a possedere la verità, ma è essa a possedere noi: Cristo, che è la Verità, ci ha presi per mano, e sulla via della nostra ricerca appassionata di conoscenza sappiamo che la sua mano ci tiene saldamente».

NUOVA EVANGELIZZAZIONE. «Alla fine, è doverosa ancora una breve annotazione sull’annuncio, sull’evangelizzazione (…). La parola dell’annuncio diventa efficace là dove nell’uomo esiste la disponibilità docile per la vicinanza di Dio; dove l’uomo è interiormente in ricerca e così in cammino verso il Signore. Allora, l’attenzione di Gesù per lui lo colpisce al cuore e poi l’impatto con l’annuncio suscita la santa curiosità di conoscere Gesù più da vicino. Questo andare con Lui conduce al luogo dove Gesù abita, nella comunità della Chiesa, che è il suo Corpo. Significa entrare nella comunione itinerante dei catecumeni, che è una comunione di approfondimento e, insieme, di vita, in cui il camminare con Gesù ci fa diventare vedenti.
“Venite e vedrete!’ Questa parola che Gesù rivolge ai due discepoli in ricerca, la rivolge anche alle persone di oggi che sono in ricerca. Alla fine dell’anno vogliamo pregare il Signore, affinché la Chiesa, nonostante le proprie povertà, diventi sempre più riconoscibile come sua dimora. Lo preghiamo perché, nel cammino verso la sua casa, renda anche noi sempre più vedenti, affinché possiamo dire sempre meglio e in modo sempre più convincente: Abbiamo trovato Colui, del quale è in attesa tutto il mondo, Gesù Cristo, vero Figlio di Dio e vero uomo».