Visualizzazione post con etichetta cinque pani e due pesci. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta cinque pani e due pesci. Mostra tutti i post

domenica 6 marzo 2016

CON SANT'ANTONIO LA IV DOMENICA DI QUARESIMA 2016 - 6 - marzo


DOMENICA IV DI QUARESIMA
Temi del sermone

– Vangelo della IV domenica di Quaresima: “Con cinque pani”.
– Anzitutto sermone per il predicatore: “Getta il tuo pane”.
– Sermone a riprovazione del peccato: “Giuda, per mezzo di un ragazzo di Adullam, mandò a Tamar un capretto”; i cinque pani, il loro significato.
– Sermone sui cinque cubiti dell’albero della mirra: “Con cinque pani”; i cinque fratelli di Giuda e il loro simbolismo.
– Sermone sulle quattro cose maledette e sui cinque convegni e il loro significato: “Per tre cose freme la terra”.

esordio - sermone per il predicatore

1. “Con cinque pani e due pesci il Signore saziò cinquemi­la uomini” (Gv 6,1-15).
Salomone così parla ai predicatori: “Getta il tuo pane sopra le acque che scorrono e dopo molto tempo lo ritroverai” (Eccle 11,1). Le acque che scorrono sono i popoli che corrono verso la morte. Perciò dice la donna di Tekoa: Tutti scorriamo via come l’acqua (cf. 2Re 14,14).
Dice Isaia: “Questo popolo ha rigettato le acque di Siloe, che scorrono silenziosamente, e ha preferito Rezin e il figlio di Romelia” Facee (Is 8,6). Siloe s’interpreta “inviato”. Quindi le acque di Siloe raffigurano la dottrina di Gesù Cristo, inviato dal Padre. Rigettano quest’acqua coloro che si perdono in desideri terreni e preferiscono Rezin, cioè lo spirito della superbia, e Facee, vale a dire l’impurità della lussuria, e perciò scorrono via come l’acqua nel profondo della geenna.
O predicatore, getta quindi il tuo pane, il pane della predicazione, sopra le acque che scorrono; quel pane di cui dice il vangelo: “Non di solo pane vive l’uomo” (Mt 4,4); e Isaia: “A lui”, al giusto, “è stato dato il pane” (Is 33,16); “e dopo molto tempo”, cioè nel giudizio finale, “lo ritroverai”, cioè ritroverai la ricompensa per quel pane.
Nel nome del Signore io getterò sopra le acque il pane, affidando alla vostra carità un breve sermone sui cinque pani e i due pesci.

i cinque pani e i due pesci

2. “Con cinque pani e due pesci”, ecc. I cinque pani sono i cinque libri di Mosè, nei quali si trovano i cinque nutrimenti spirituali dell’anima. Il primo pane è la riprovazione del peccato nella contrizione; il secondo è la manifestazione del peccato nella confes­sione; il terzo è il disprezzo e l’umi­lia­zione di se stessi nella soddisfazione (penitenza); il quarto è lo zelo per le anime nella predicazione; il quinto è la dolcezza nella contemplazione della patria celeste.
Sul primo pane leggiamo nel primo libro di Mosè, la Genesi, che Giuda mandò un capretto a Tamar per mano di un giovanetto di Adullam (cf. Gn 38,20). Giuda s’inter­preta “colui che confessa”, e raffigura il penitente, che deve mandare un capretto, cioè la riprovazione del peccato, a Tamar, che s’interpreta “amara, trasformata e palma”. Questa è l’anima penitente, e nella triplice interpretazio­ne del nome è indicato il triplice stato dei penitenti: amara si riferisce allo stato degli incipienti, trasfor­mata a quello dei proficienti, e palma allo stato dei perfetti.
Adullamite s’interpreta “testimone con l’acqua”, e indica il pentimento delle lacrime, con le quali il penitente attesta di riprovare il peccato e di non volerlo più commettere per l’avvenire. E così da questa Tamar, come dice Matteo, Giuda potrà generare Fares e Zara (cf. Mt 1,3). Fares s’interpreta “divisione” e Zara “oriente”. Prima infatti il penitente deve staccarsi, dividersi dal peccato e quindi rivolgersi ad oriente, cioè alla luce delle opere buone. Dice il profeta: “Allontànati dal male”, ecco Fares; “e fa’ il bene”, ecco Zara (Sal 36,27).
Sul secondo pane troviamo nel secondo libro di Mosè, l’Esodo, che Mosè, “dopo aver colpito a morte l’egiziano, lo nascose sotto la sabbia” (Es 2,12). Mosè s’interpreta “acquatico” e raffigura il penitente, quasi dissolto nelle acque del pentimento. Egli deve colpire l’egiziano, cioè il peccato mortale, con la contrizione, e nasconderlo sotto la sabbia della confessione. Dice infatti Agostino: “Se tu discopri, Dio copre; ma se tu copri, Dio discopre”. Nasconde l’egiziano colui che svela il suo peccato; lo nasconde, intendo, a Dio e lo svela al sacerdote. Si dice nella Genesi che Rachele nascose gli idoli di Làbano (cf. Gn 31,34). Rachele s’interpreta “pecora”: questa è l’anima penitente che deve nascondere gli idoli di Làbano, cioè i peccati mortali [commessi per istigazione] del diavolo. “Beati coloro, i cui peccati sono stati coperti”, perdonati (Sal 31,1).
Sul terzo pane troviamo nel terzo libro di Mosè, il Levitico, che è comandato ai sacerdoti di gettare la vescichetta della gola [il gozzo] e le penne [degli uccelli sacrificati] nel luogo delle ceneri, al lato orientale (cf. Lv 1,16). Nella vescichetta della gola è indicato l’ardore e la sete dell’avarizia, di cui dice Giobbe: “S’infiammerà la sete contro di lui”, cioè contro l’avaro (Gb 18,9). Nelle penne è raffigurata la vacuità della superbia. “Le penne dello struzzo assomigliano alle penne della cicogna e dello sparviero” (Gb 39,13), cioè del­l’uo­mo contemplativo. Esse vengono gettate nel luogo delle ceneri quando con cuore pentito ripensiamo alla parola della prima maledizione: “Sei cenere e cenere ritornerai” (Gn 3,19). Il lato orientale è la vita eterna, dalla quale siamo decaduti per la colpa dei progenitori. Il penitente quindi si umilia nelle opere di penitenza e scaglia via da sé la vescichetta dell’avarizia e le penne della superbia quando richiama alla mente la sentenza della prima maledizione e piange ogni giorno per essere stato rigettato dallo sguardo degli occhi di Dio.
Sul quarto pane abbiamo nel quarto libro di Mosè, i Numeri, che Finees, afferrato un pugnale, colpì i due fornicatori nelle parti genitali (cf. Nm 25,7-8). Finees raffigura il predicatore che, afferrato il pugnale, cioè la parola della predicazione, deve trafiggere i fornicatori nelle parti genitali affinché, messa a nudo e quasi sbattuta ad essi in faccia la loro turpitudine, si vergognino della scelleratezza commessa. Dice il Signore per bocca del Profeta: “Svelerò sotto i tuoi occhi le tue vergogne” (Na 3,5). E Davide: “Riempi di vergogna la loro faccia” (Sal 82,17).
E infine sul quinto pane abbiamo il quinto libro di Mosè, il Deuteronomio, dove si dice che Mosè dalla pianura di Moab salì al monte Abarim, e lì morì alla presenza di Dio (cf. Dt 34,1.5). Mosè, cioè il penitente, dalla pianura di Moab, che s’interpreta “dal padre”, dalla condotta degli uomini carnali che hanno per padre il diavolo, deve salire sul monte Abarim, che s’interpreta “passaggio”, vale a dire la sublimità della contemplazione, “per passare da questo mondo al Padre” (Gv 13,1). Questi dunque sono i cinque pani dei quali si parla nel vangelo di oggi: “Con cinque pani e due pesci”, ecc.

3. I cinque pani sono anche i cinque cubiti [di altezza] dell’albero della mirra, del quale parla Solino: In Arabia c’è un albero, chiamato mirra, alto da terra cinque cubiti” (cf. Solino, Polyhistor, 46).
Arabia s’interpreta “sacra” e raffigura la santa chiesa, nella quale c’è la mirra della penitenza, che solleva l’uomo al di sopra delle cose terrene di cinque cubiti, raffigurati nei cinque pani evangelici. Essi sono anche i cinque fratelli di Giuda, dei quali Giacobbe dice nella Genesi: “Giuda, i tuoi fratelli ti loderanno” (Gn 49,8): essi sono Ruben, Simeone, Levi, Issacar e Zabulon. Ecco il significato dei loro nomi: Ruben, il vedente; Simeone, l’ascolto; Levi, l’aggiunto; Issacar, la ricompensa; Zabulon, l’abitazione della fortezza.
Quindi Giuda deve avere il fratello suo Ruben, per vede­re nella contrizione con i sette occhi, dei quali dice Zac­caria: “In una pietra” – cioè nel penitente che dev’essere pietra per la costanza e uno per l’unità della fede –, “c’erano sette occhi” (Zc 3,9). Col primo occhio deve vedere il suo passato per piangerlo; con il secondo il futuro per vigilare; col terzo la prosperità per non esaltarsi; col quarto le avversità per non deprimersi; col quinto le cose di lassù per sentirne il gusto; col sesto le cose di quaggiù per sentirne disgusto; col settimo le cose interiori per compiacersene nel Signore.
Giuda deve avere il secondo fratello Simeone, nella confessione, affinché il Signore ascolti la sua voce, come dice Mosè nel Deuteronomio: “Ascolta, Signore, la voce di Giuda” (Dt 33,7); di essa si dice nel Cantico dei Cantici: “La tua voce risuoni ai miei orecchi: dolce è la tua voce” (Ct 2,14).
A questi due fratelli, cioè alla contrizione e alla confessione dei peccati, si aggiunge il terzo, Levi, con la soddisfazione (penitenza o riparazione), affinché la misura della pena corrisponda a quella della colpa: “Fate frutti degni di penitenza” (Lc 3,8). Infatti nel Sinai, che s’interpreta “misura”, fu data la legge. La legge della grazia viene data a colui, la cui penitenza è proporzionata alla colpa.
Giuda abbia anche un quarto fratello, Issacar, per ricevere la ricompensa della beatitudine eterna con il suo fervente zelo per la salvezza delle anime. Invece l’albero che occupa inutilmente la terra, e lo stolto mondano che toglie spazio alla chiesa, non riceverà la ricompensa dell’eterna vita ma la condanna dell’eterna morte.
Ma vi scongiuro, Giuda abbia anche il quinto fratello, Zabulon, perché, dimorando nel luogo della contemplazione insieme con Giacobbe, uomo tranquillo (cf. Gn 25,27), sia fatto degno di provare il gusto della dolcezza celeste. Questi sono i cinque pani, dei quali parla il vangelo di oggi: “Con cinque pani e due pesci”, ecc.

4. I due pesci sono l’intelletto e la memoria, con i quali si devono rendere gustosi i cinque libri di Mosè, per comprendere ciò che leggi e per riporre nel tesoro della memoria ciò che hai compreso.
O anche, i due pesci che vengono estratti dalla profondità del mare per la mensa del re, raffigurano Mosè e Pietro: Mosè, così chiamato dall’acqua dalla quale è stato salvato (cf. Es 2,10), e Pietro il pescatore, innalzato all’apostolato. Al primo fu affidata la sinagoga, al secondo la chiesa. Esse sono raffigurate in Sara e Agar, delle quali si legge nell’epistola di oggi: “Abramo ebbe due figli, uno da Agar e uno da Sara” (Gal 4,22), ecc. La serva Agar, che s’inter­preta “solenne”, raffigura la sinagoga che si gloriava delle osservanze della Legge, come di grandi solennità. Sara, che s’interpreta “brace”, raffigura la santa chiesa, infiammata dal fuoco dello Spirito Santo nel giorno della Pentecoste. Il figlio di Agar, cioè il popolo dei giudei, combatte contro il figlio di Sara, cioè contro il popolo dei credenti.
In altro senso ancora: Sara, che s’interpreta “princi­pessa", è la parte superiore della ragione, che deve coman­dare come padrona alla serva, cioè alla sensualità, raffigurata in Agar, che s’interpreta anche “avvoltoio”. Infatti la sensualità, come l’avvoltoio, va in cerca dei cadaveri dei desideri carnali. Il figlio di Agar, cioè l’impulso carnale, perseguita il figlio di Sara, cioè il dettame della ragione – e questo è appunto ciò che dice l’apostolo: La carne ha desideri contrari allo spirito e lo spirito ha desideri contrari alla carne (cf. Gal 5,17) –, per scacciarla insieme col figlio. Infatti è detto: “Scaccia la serva e il suo figlio” (Gal 4,30).
La carne, ricolma di beni naturali e ricca di cose temporali, insorge contro la padrona, e così avviene ciò che dice Salomone: “Per tre cose freme la terra e neppure la quarta può sopportare: per uno schiavo che diventi re, per uno stolto quando è rimpinzato di cibo, per una donna odiosa che viene condotta in matri­monio, e per una serva che diventa erede della sua padrona” (Pro 30,21-23). Lo schiavo che regna è il corpo recalci­trante. Lo stolto rimpinzato di cibo è l’animo ubriaco di piaceri. La donna odiosa è l’attività peccaminosa, che viene come condotta in matrimonio quando il peccatore cade nelle catene delle cattive abitudini. E così la serva Agar, cioè la sensualità, diventa erede della sua padrona, cioè della ragione. Ma per far crollare questo funesto potere, “il Signore con cinque pani e due pesci saziò cinquemila uomini”.

5. Tutto questo concorda con ciò che leggiamo nell’introi­to della messa: Rallègrati, Gerusalemme, e fate un’adunan­za voi tutti che l’amate (cf. Is 66,10-11). Osserva che, in relazione al numero di cinquemila uomini, anche le adunanze sono cinque: la prima fu celebrata in cielo, la seconda nel paradiso terrestre, la terza sul monte degli Ulivi, la quarta a Gerusalemme e la quinta a Corinto.
Nella prima adunanza nacque la discordia. Il primo angelo, dapprima bianco ma poi divenuto monaco nero, perché prima fu lucifero e poi tenebrifero, seminò la zizzania della discordia tra le schiere dei fratelli. Infatti nel coro della concordia incominciò a cantare l’antifona della superbia, non dal basso ma dall’alto: Salirò al cielo, fino all’al­tez­za del Padre, e sarò uguale all’Altissimo (cf. Is 14,13-14), cioè al Figlio. Ma mentre cantava così forte, le vene del cuore [le coronarie] gli si gonfiarono, e precipitò irreparabilmente perché il firmamento non fu in grado di sostenere la sua superbia.
Nella seconda adunanza del paradiso terrestre nacque la disobbedienza, a causa della quale i nostri progenitori furono sprofondati nella miseria di questo esilio.
Nella terza adunanza del monte degli Ulivi è nata la simonia, che consiste nel comprare o vendere le cose spiri­tuali o ciò che vi è annesso. Che cosa infatti è più spirituale, più santo di Cristo? E noi crediamo che Giuda, vendendo Cristo, sia incorso nel peccato di simonia e che perciò, impiccato al cappio, si sia squarciato il suo ventre (cf. At 1,18). Così ogni simoniaco, se non avrà restituito e non si sarà veramente pentito, impiccato al laccio dell’eterna dannazione, si squarcerà nel mezzo.
Nella quarta adunanza, a Gerusalemme, venne meno la povertà, quando Anania e Saffira, mentendo allo Spirito Santo, sottrassero per sé una parte del ricavato dalla vendita del campo, e così subirono immediatamente la sentenza di un pubblico castigo (cf. At 5,1-10). Allo stesso modo coloro che hanno rinunciato al proprio e che si sono segnati con il sigillo della santa povertà, se vorranno edificare di nuovo la Gerico distrutta, saranno colpiti dai fulmini dell’eterna maledi­zione.
Nella quinta adunanza, di Corinto, venne meno la casti­tà, come si legge nell’epi­stola ai Corinzi: Paolo non esitò a colpire con la sentenza di scomunica, per la rovina della sua carne, quel fornicatore che aveva preso con sé la moglie di suo padre (cf. 1Cor 5,1-5). Voi invece che siete membra della chiesa, cittadini della Gerusalemme celeste, fate le cinque adunanze distruggendo la zizzania della discordia, la frenesia della disobbedienza, la cupidigia della simonia, la lebbra dell’avarizia e l’immondezza della lussuria, per meri­tare anche voi di essere annoverati tra quei cinquemila che furono saziati con i cinque pani e i due pesci, in quanto giunti alla perfezione, indicata appunto nel numero mille. Ce lo conceda colui che è benedetto nei secoli dei secoli. Amen.

VIENI, SIGNORE GESU'