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martedì 4 luglio 2017

Che il tuo SÌ sia SÌ


Che il tuo  sia 
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5 luglio 2008 – San Antonio
JNSR:  Signore, desidero solo una cosa, non dispiacerTi mai. Per questo, voglio fare solo quello che Tu permetti. I limiti che Tu segnerai, voglio rispettarli. Signore, io vengo a fare la Tua Santa Volontà.

Sento nel mio corpo un’agilità tutta interiore. La mia anima, che è interamente al Tuo servizio, sembra sfuggirmi malgrado me, come se non potessi più controllarla. Essa ritorna a dirmi la bellezza dei paesaggi che ha appena percorso e che sono ancora sconosciuti ai miei occhi. Che succede, Signore?

GESÙ:  Figlia Mia, è il momento in cui il  che voi Mi avete dato comincia ad avere effetto. Io sto indicandovi il Cammino che noi prenderemo affinché nessuno prenda un’altra direzione. Come gli uccelli migratori in stormi, voi partirete in gruppi dalla Terra e sarà il primo gruppo. I primi che ti ho mostrato in quel primo sogno, sono i figli abbastanza grandi che comprenderanno e obbediranno subito a quelli che li guideranno, fini a deporli nel luogo scelto per quella grande Riunione.

Tu li hai visti felici e contenti, vestiti di rosso, rosso come il Mio Sacro Cuore. Hanno tra 6 e 15 anni e seguiranno il Mio Messaggero.

Quanto al secondo gruppo: ricorda il secondo sogno che hai fatto qualche giorno dopo il primo. Con il tuo figlio più giovane, preparavi il tuo piccolo involto bianco: erano questi due ultimi libri. Tuo figlio, ancora celibe, in quel sogno non ti metteva fretta. Ala tua richiesta di affrettarsi, ti ha risposto: « Non preoccuparti per me, non è ancora il momento, io ho ancora tempo.» E ti ha ancora risposto: «Perché desideri portare con te un termos di café caldo quando il viaggio sarà piuttosto breve?» E ad un tratto ti dice: «Non pensare che non vedrai più il tuo corpo!»

Dirigendoti verso la finestra, hai visto allora una chiesa e le  persone che ti aspettavano sui gradini. Avevano tutte tra i 60 anni e oltre. Aspettavano pazientemente, come raccolte in preghiera: pregavano per tutti.

Era questo il secondo luogo di partenza per questo secondo gruppo.

JNSR:  Per il terzo ed ultimo gruppo, non ho ancora avuto alcun sogno al riguardo. So che si tratta di persone tra i 16 e i 59 anni e che sono i più forti e i più resistenti. In questo terzo gruppo, si troveranno gli ultimi ad essere evangelizzati.

GESÙ:  Non abbiate paura.  Tutto accade come Dio vuole. Tale è il Suo Piano. Se questo vi pare difficile a credere, ditevi pure che nulla è impossibile a Dio. Io non voglio convincere nessuno. Tu darai tutto ciò che Io ti ho fatto scrivere, a coloro che ti nominerò. Non avere alcun timore, è meglio per te ricevere le derisioni degli uomini piuttosto che i rimproveri di Dio.

Preparerai i libri che ti ho dato da scrivere. Custoditeli. Nessuno è in grado di dire esattamente come è stata la vostra Terra e soprattutto come è stato l’uomo ! Tu porterai via soprattutto i due ultimi libri perché essi riassumono, in Verità, ciò che fa e farà Dio dopo l’elevazione dei figli dalla Terra.

I vostri Angeli sono talmente gioiosi! Sono come quei bambini che giocano e gridano di gioia  alla vista dei bagagli che i genitori preparano prima di partire per le vacanze. Anche voi, siate nella Gioia, perché Dio vi prepara un paese di Gioia, riconciliato con Dio, dove si ritroveranno tutti gli eletti della Terra uniti agli antenati, nella conoscenza dell’Altissimo Dio d’Amore e di Speranza. Come vedere i vostri  trapassati? Come vedervi? Hai visto come può viaggiare un’anima in 2 minuti (e anche meno) in andata e ritorno. Dove? Ai limiti dell’ignoto (ancora per voi) e questa volta voi vedrete tutti i luoghi che Dio ha creato.

L’Amore non avrà più frontiere per i figli di Dio, perché il Tempo è della stessa ampiezza del Suo Amore: è eterno. A presto, figlia Mia.

Dio, l’Eterno,
nella marcia del Tempo
con tutti i Suoi figli.
Amen!

giovedì 25 febbraio 2016

MESSAGGIO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI


MESSAGGIO DEL SANTO PADRE


BENEDETTO XVI 

PER LA XXVII GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ 

2012

«Siate sempre lieti nel Signore!» (Fil 4,4)

Cari giovani,

sono lieto di rivolgermi nuovamente a voi, in occasione della XXVII Giornata Mondiale della Gioventù. Il ricordo dell’incontro di Madrid, lo scorso agosto, resta ben presente nel mio cuore. E’ stato uno straordinario momento di grazia, nel corso del quale il Signore ha benedetto i giovani presenti, venuti dal mondo intero. Rendo grazie a Dio per i tanti frutti che ha fatto nascere in quelle giornate e che in futuro non mancheranno di moltiplicarsi per i giovani e per le comunità a cui appartengono. Adesso siamo già orientati verso il prossimo appuntamento a Rio de Janeiro nel 2013, che avrà come tema «Andate e fate discepoli tutti i popoli!» (cfr Mt 28,19).

Quest’anno, il tema della Giornata Mondiale della Gioventù ci è dato da un’esortazione della Lettera di san Paolo apostolo ai Filippesi: «Siate sempre lieti nel Signore!» (4,4). La gioia, in effetti, è un elemento centrale dell’esperienza cristiana. Anche durante ogni Giornata Mondiale della Gioventù facciamo esperienza di una gioia intensa, la gioia della comunione, la gioia di essere cristiani, la gioia della fede. È una delle caratteristiche di questi incontri. E vediamo la grande forza attrattiva che essa ha: in un mondo spesso segnato da tristezza e inquietudini, è una testimonianza importante della bellezza e dell’affidabilità della fede cristiana.

La Chiesa ha la vocazione di portare al mondo la gioia, una gioia autentica e duratura, quella che gli angeli hanno annunciato ai pastori di Betlemme nella notte della nascita di Gesù (cfr Lc 2,10): Dio non ha solo parlato, non ha solo compiuto segni prodigiosi nella storia dell’umanità, Dio si è fatto così vicino da farsi uno di noi e percorrere le tappe dell’intera vita dell’uomo. Nel difficile contesto attuale, tanti giovani intorno a voi hanno un immenso bisogno di sentire che il messaggio cristiano è un messaggio di gioia e di speranza! Vorrei riflettere con voi allora su questa gioia, sulle strade per trovarla, affinché possiate viverla sempre più in profondità ed esserne messaggeri tra coloro che vi circondano.


1. II nostro cuore è fatto per la gioia

L’aspirazione alla gioia è impressa nell’intimo dell’essere umano. Al di là delle soddisfazioni immediate e passeggere, il nostro cuore cerca la gioia profonda, piena e duratura, che possa dare «sapore» all’esistenza. E ciò vale soprattutto per voi, perché la giovinezza è un periodo di continua scoperta della vita, del mondo, degli altri e di se stessi. È un tempo di apertura verso il futuro, in cui si manifestano i grandi desideri di felicità, di amicizia, di condivisione e di verità, in cui si è mossi da ideali e si concepiscono progetti.

E ogni giorno sono tante le gioie semplici che il Signore ci offre: la gioia di vivere, la gioia di fronte alla bellezza della natura, la gioia di un lavoro ben fatto, la gioia del servizio, la gioia dell’amore sincero e puro. E se guardiamo con attenzione, esistono tanti altri motivi di gioia: i bei momenti della vita familiare, l’amicizia condivisa, la scoperta delle proprie capacità personali e il raggiungimento di buoni risultati, l’apprezzamento da parte degli altri, la possibilità di esprimersi e di sentirsi capiti, la sensazione di essere utili al prossimo. E poi l’acquisizione di nuove conoscenze mediante gli studi, la scoperta di nuove dimensioni attraverso viaggi e incontri, la possibilità di fare progetti per il futuro. Ma anche l’esperienza di leggere un’opera letteraria, di ammirare un capolavoro dell’arte, di ascoltare e suonare musica o di vedere un film possono produrre in noi delle vere e proprie gioie.

Ogni giorno, però, ci scontriamo anche con tante difficoltà e nel cuore vi sono preoccupazioni per il futuro, al punto che ci possiamo chiedere se la gioia piena e duratura alla quale aspiriamo non sia forse un’illusione e una fuga dalla realtà. Sono molti i giovani che si interrogano: è veramente possibile la gioia piena al giorno d’oggi? E questa ricerca percorre varie strade, alcune delle quali si rivelano sbagliate, o perlomeno pericolose. Ma come distinguere le gioie veramente durature dai piaceri immediati e ingannevoli? Come trovare la vera gioia nella vita, quella che dura e non ci abbandona anche nei momenti difficili?


2. Dio è la fonte della vera gioia

In realtà le gioie autentiche, quelle piccole del quotidiano o quelle grandi della vita, trovano tutte origine in Dio, anche se non appare a prima vista, perché Dio è comunione di amore eterno, è gioia infinita che non rimane chiusa in se stessa, ma si espande in quelli che Egli ama e che lo amano. Dio ci ha creati a sua immagine per amore e per riversare su noi questo suo amore, per colmarci della sua presenza e della sua grazia. Dio vuole renderci partecipi della sua gioia, divina ed eterna, facendoci scoprire che il valore e il senso profondo della nostra vita sta nell’essere accettato, accolto e amato da Lui, e non con un’accoglienza fragile come può essere quella umana, ma con un’accoglienza incondizionata come è quella divina: io sono voluto, ho un posto nel mondo e nella storia, sono amato personalmente da Dio. E se Dio mi accetta, mi ama e io ne divento sicuro, so in modo chiaro e certo che è bene che io ci sia, che esista.

Questo amore infinito di Dio per ciascuno di noi si manifesta in modo pieno in Gesù Cristo. In Lui si trova la gioia che cerchiamo. Nel Vangelo vediamo come gli eventi che segnano gli inizi della vita di Gesù siano caratterizzati dalla gioia. Quando l’arcangelo Gabriele annuncia alla Vergine Maria che sarà madre del Salvatore, inizia con questa parola: «Rallegrati!» (Lc 1,28). 
Alla nascita di Gesù, l’Angelo del Signore dice ai pastori: «Ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore» (Lc 2,11). E i Magi che cercavano il bambino, «al vedere la stella, provarono una gioia grandissima» (Mt 2,10). Il motivo di questa gioia è dunque la vicinanza di Dio, che si è fatto uno di noi. Ed è questo che intendeva san Paolo quando scriveva ai cristiani di Filippi: «Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino!» (Fil 4,4-5). La prima causa della nostra gioia è la vicinanza del Signore, che mi accoglie e mi ama.

E infatti dall’incontro con Gesù nasce sempre una grande gioia interiore. Nei Vangeli lo possiamo vedere in molti episodi. Ricordiamo la visita di Gesù a Zaccheo, un esattore delle tasse disonesto, un peccatore pubblico, al quale Gesù dice: «Oggi devo fermarmi a casa tua». E Zaccheo, riferisce san Luca, «lo accolse pieno di gioia» (Lc 19,5-6). E’ la gioia dell’incontro con il Signore; è il sentire l’amore di Dio che può trasformare l’intera esistenza e portare salvezza. E Zaccheo decide di cambiare vita e di dare la metà dei suoi beni ai poveri.

Nell’ora della passione di Gesù, questo amore si manifesta in tutta la sua forza. Negli ultimi momenti della sua vita terrena, a cena con i suoi amici, Egli dice: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore... Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,9.11). Gesù vuole introdurre i suoi discepoli e ciascuno di noi nella gioia piena, quella che Egli condivide con il Padre, perché l’amore con cui il Padre lo ama sia in noi (cfr. Gv 17,26). La gioia cristiana è aprirsi a questo amore di Dio e appartenere a Lui.

Narrano i Vangeli che Maria di Magdala e altre donne andarono a visitare la tomba dove Gesù era stato posto dopo la sua morte e ricevettero da un Angelo un annuncio sconvolgente, quello della sua risurrezione. Allora abbandonarono in fretta il sepolcro, annota l’Evangelista, «con timore e gioia grande» e corsero a dare la lieta notizia ai discepoli. E Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!» (Mt 28,8-9). E’ la gioia della salvezza che viene loro offerta: Cristo è il vivente, è Colui che ha vinto il male, il peccato e la morte. Egli è presente in mezzo a noi come il Risorto, fino alla fine del mondo (cfr Mt 28,20). Il male non ha l’ultima parola sulla nostra vita, ma la fede in Cristo Salvatore ci dice che l’amore di Dio vince.

Questa gioia profonda è frutto dello Spirito Santo che ci rende figli di Dio, capaci di vivere e di gustare la sua bontà, di rivolgerci a Lui con il termine «Abbà», Padre (cfr Rm 8,15). La gioia è segno della sua presenza e della sua azione in noi.


3. Conservare nel cuore la gioia cristiana

A questo punto ci domandiamo: come ricevere e conservare questo dono della gioia profonda, della gioia spirituale?

Un Salmo ci dice: «Cerca la gioia nel Signore: esaudirà i desideri del tuo cuore» (Sal 37,4). E Gesù spiega che «il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo» (Mt 13,44). Trovare e conservare la gioia spirituale nasce dall’incontro con il Signore, che chiede di seguirlo, di fare la scelta decisa di puntare tutto su di Lui. Cari giovani, non abbiate paura di mettere in gioco la vostra vita facendo spazio a Gesù Cristo e al suo Vangelo; è la strada per avere la pace e la vera felicità nell’intimo di noi stessi, è la strada per la vera realizzazione della nostra esistenza di figli di Dio, creati a sua immagine e somiglianza.


Cercare la gioia nel Signore: la gioia è frutto della fede, è riconoscere ogni giorno la sua presenza, la sua amicizia: «Il Signore è vicino!» (Fil 4,5); è riporre la nostra fiducia in Lui, è crescere nella conoscenza e nell’amore di Lui. L’«Anno della fede», che tra pochi mesi inizieremo, ci sarà di aiuto e di stimolo. Cari amici, imparate a vedere come Dio agisce nelle vostre vite, scopritelo nascosto nel cuore degli avvenimenti del vostro quotidiano. Credete che Egli è sempre fedele all’alleanza che ha stretto con voi nel giorno del vostro Battesimo. Sappiate che non vi abbandonerà mai. Rivolgete spesso il vostro sguardo verso di Lui. Sulla croce, ha donato la sua vita perché vi ama. La contemplazione di un amore così grande porta nei nostri cuori una speranza e una gioia che nulla può abbattere. Un cristiano non può essere mai triste perché ha incontrato Cristo, che ha dato la vita per lui.

Cercare il Signore, incontrarlo nella vita significa anche accogliere la sua Parola, che è gioia per il cuore. Il profeta Geremia scrive: «Quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità; la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore» (Ger 15,16). Imparate a leggere e meditare la Sacra Scrittura, vi troverete una risposta alle domande più profonde di verità che albergano nel vostro cuore e nella vostra mente. La Parola di Dio fa scoprire le meraviglie che Dio ha operato nella storia dell’uomo e, pieni di gioia, apre alla lode e all’adorazione: «Venite, cantiamo al Signore... adoriamo, in ginocchio davanti al Signore che ci ha fatti» (Sal95,1.6).

In modo particolare, poi, la Liturgia è il luogo per eccellenza in cui si esprime la gioia che la Chiesa attinge dal Signore e trasmette al mondo. Ogni domenica, nell’Eucaristia, le comunità cristiane celebrano il Mistero centrale della salvezza: la morte e risurrezione di Cristo. E’ questo un momento fondamentale per il cammino di ogni discepolo del Signore, in cui si rende presente il suo Sacrificio di amore; è il giorno in cui incontriamo il Cristo Risorto, ascoltiamo la sua Parola, ci nutriamo del suo Corpo e del suo Sangue. Un Salmo afferma: «Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci in esso ed esultiamo!» (Sal 118,24). E nella notte di Pasqua, la Chiesa canta l’Exultet, espressione di gioia per la vittoria di Gesù Cristo sul peccato e sulla morte: «Esulti il coro degli angeli... Gioisca la terra inondata da così grande splendore... e questo tempio tutto risuoni per le acclamazioni del popolo in festa!». La gioia cristiana nasce dal sapere di essere amati da un Dio che si è fatto uomo, ha dato la sua vita per noi e ha sconfitto il male e la morte; ed è vivere di amore per lui. Santa Teresa di Gesù Bambino, giovane carmelitana, scriveva: «Gesù, è amarti la mia gioia!» (P 45, 21 gennaio 1897, Op. Compl., pag. 708).


4. La gioia dell’amore

Cari amici, la gioia è intimamente legata all’amore: sono due frutti inseparabili dello Spirito Santo (cfr Gal 5,23). L’amore produce gioia, e la gioia è una forma d’amore. La beata Madre Teresa di Calcutta, facendo eco alle parole di Gesù: «si è più beati nel dare che nel ricevere!» (At 20,35), diceva: «La gioia è una rete d’amore per catturare le anime. Dio ama chi dona con gioia. E chi dona con gioia dona di più». E il Servo di Dio Paolo VI scriveva: «In Dio stesso tutto è gioia poiché tutto è dono» (Esort. ap. Gaudete in Domino, 9 maggio 1975)

Pensando ai vari ambiti della vostra vita, vorrei dirvi che amare significa costanza, fedeltà, tener fede agli impegni. E questo, in primo luogo, nelle amicizie: i nostri amici si aspettano che siamo sinceri, leali, fedeli, perché il vero amore è perseverante anche e soprattutto nelle difficoltà. E lo stesso vale per il lavoro, gli studi e i servizi che svolgete. La fedeltà e la perseveranza nel bene conducono alla gioia, anche se non sempre questa è immediata.

Per entrare nella gioia dell’amore, siamo chiamati anche ad essere generosi, a non accontentarci di dare il minimo, ma ad impegnarci a fondo nella vita, con un’attenzione particolare per i più bisognosi. Il mondo ha necessità di uomini e donne competenti e generosi, che si mettano al servizio del bene comune. Impegnatevi a studiare con serietà; coltivate i vostri talenti e metteteli fin d’ora al servizio del prossimo. Cercate il modo di contribuire a rendere la società più giusta e umana, là dove vi trovate. Che tutta la vostra vita sia guidata dallo spirito di servizio, e non dalla ricerca del potere, del successo materiale e del denaro.

A proposito di generosità, non posso non menzionare una gioia speciale: quella che si prova rispondendo alla vocazione di donare tutta la propria vita al Signore. Cari giovani, non abbiate paura della chiamata di Cristo alla vita religiosa, monastica, missionaria o al sacerdozio. Siate certi che Egli colma di gioia coloro che, dedicandogli la vita in questa prospettiva, rispondono al suo invito a lasciare tutto per rimanere con Lui e dedicarsi con cuore indiviso al servizio degli altri. Allo stesso modo, grande è la gioia che Egli riserva all’uomo e alla donna che si donano totalmente l’uno all’altro nel matrimonio per costituire una famiglia e diventare segno dell’amore di Cristo per la sua Chiesa.

Vorrei richiamare un terzo elemento per entrare nella gioia dell’amore: far crescere nella vostra vita e nella vita delle vostre comunità la comunione fraterna. C’è uno stretto legame tra la comunione e la gioia. Non è un caso che san Paolo scriva la sua esortazione al plurale: non si rivolge a ciascuno singolarmente, ma afferma: «Siate sempre lieti nel Signore» (Fil 4,4). Soltanto insieme, vivendo la comunione fraterna, possiamo sperimentare questa gioia. Il libro degli Atti degli Apostoli descrive così la prima comunità cristiana: «spezzando il pane nelle case, prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore» (At 2,46). Impegnatevi anche voi affinché le comunità cristiane possano essere luoghi privilegiati di condivisione, di attenzione e di cura l’uno dell’altro.


5. La gioia della conversione

Cari amici, per vivere la vera gioia occorre anche identificare le tentazioni che la allontanano. La cultura attuale induce spesso a cercare traguardi, realizzazioni e piaceri immediati, favorendo più l’incostanza che la perseveranza nella fatica e la fedeltà agli impegni. I messaggi che ricevete spingono ad entrare nella logica del consumo, prospettando felicità artificiali. L’esperienza insegna che l’avere non coincide con la gioia: vi sono tante persone che, pur avendo beni materiali in abbondanza, sono spesso afflitte dalla disperazione, dalla tristezza e sentono un vuoto nella vita. Per rimanere nella gioia, siamo chiamati a vivere nell’amore e nella verità, a vivere in Dio.

E la volontà di Dio è che noi siamo felici. Per questo ci ha dato delle indicazioni concrete per il nostro cammino: i Comandamenti. Osservandoli, noi troviamo la strada della vita e della felicità. Anche se a prima vista possono sembrare un insieme di divieti, quasi un ostacolo alla libertà, se li meditiamo più attentamente, alla luce del Messaggio di Cristo, essi sono un insieme di essenziali e preziose regole di vita che conducono a un’esistenza felice, realizzata secondo il progetto di Dio. Quante volte, invece, costatiamo che costruire ignorando Dio e la sua volontà porta delusione, tristezza, senso di sconfitta. L’esperienza del peccato come rifiuto di seguirlo, come offesa alla sua amicizia, porta ombra nel nostro cuore.

Ma se a volte il cammino cristiano non è facile e l’impegno di fedeltà all’amore del Signore incontra ostacoli o registra cadute, Dio, nella sua misericordia, non ci abbandona, ma ci offre sempre la possibilità di ritornare a Lui, di riconciliarci con Lui, di sperimentare la gioia del suo amore che perdona e riaccoglie.

Cari giovani, ricorrete spesso al Sacramento della Penitenza e della Riconciliazione! Esso è il Sacramento della gioia ritrovata. Domandate allo Spirito Santo la luce per saper riconoscere il vostro peccato e la capacità di chiedere perdono a Dio accostandovi a questo Sacramento con costanza, serenità e fiducia. Il Signore vi aprirà sempre le sue braccia, vi purificherà e vi farà entrare nella sua gioia: vi sarà gioia nel cielo anche per un solo peccatore che si converte (cfr Lc 15,7).


6. La gioia nelle prove

Alla fine, però, potrebbe rimanere nel nostro cuore la domanda se veramente è possibile vivere nella gioia anche in mezzo alle tante prove della vita, specialmente le più dolorose e misteriose, se veramente seguire il Signore, fidarci di Lui dona sempre felicità.

La risposta ci può venire da alcune esperienze di giovani come voi che hanno trovato proprio in Cristo la luce capace di dare forza e speranza, anche in mezzo alle situazioni più difficili. Il beato Pier Giorgio Frassati (1901-1925) ha sperimentato tante prove nella sua pur breve esistenza, tra cui una, riguardante la sua vita sentimentale, che lo aveva ferito in modo profondo. Proprio in questa situazione, scriveva alla sorella: «Tu mi domandi se sono allegro; e come non potrei esserlo? Finché la Fede mi darà forza sempre allegro! Ogni cattolico non può non essere allegro... Lo scopo per cui noi siamo stati creati ci addita la via seminata sia pure di molte spine, ma non una triste via: essa è allegria anche attraverso i dolori» (Lettera alla sorella Luciana, Torino, 14 febbraio 1925). E il beato Giovanni Paolo II, presentandolo come modello, diceva di lui: «era un giovane di una gioia trascinante, una gioia che superava tante difficoltà della sua vita» (Discorso ai giovani, Torino, 13 aprile 1980).

Più vicina a noi, la giovane Chiara Badano (1971-1990), recentemente beatificata, ha sperimentato come il dolore possa essere trasfigurato dall’amore ed essere misteriosamente abitato dalla gioia. All’età di 18 anni, in un momento in cui il cancro la faceva particolarmente soffrire, Chiara aveva pregato lo Spirito Santo, intercedendo per i giovani del suo Movimento. Oltre alla propria guarigione, aveva chiesto a Dio di illuminare con il suo Spirito tutti quei giovani, di dar loro la sapienza e la luce: «È stato proprio un momento di Dio: soffrivo molto fisicamente, ma l’anima cantava» (Lettera a Chiara Lubich, Sassello, 20 dicembre 1989). La chiave della sua pace e della sua gioia era la completa fiducia nel Signore e l’accettazione anche della malattia come misteriosa espressione della sua volontà per il bene suo e di tutti. Ripeteva spesso: «Se lo vuoi tu, Gesù, lo voglio anch’io».

Sono due semplici testimonianze tra molte altre che mostrano come il cristiano autentico non è mai disperato e triste, anche davanti alle prove più dure, e mostrano che la gioia cristiana non è una fuga dalla realtà, ma una forza soprannaturale per affrontare e vivere le difficoltà quotidiane. Sappiamo che Cristo crocifisso e risorto è con noi, è l’amico sempre fedele. Quando partecipiamo alle sue sofferenze, partecipiamo anche alla sua gloria. Con Lui e in Lui, la sofferenza è trasformata in amore. E là si trova la gioia (cfr Col 1,24).


7. Testimoni della gioia
Cari amici, per concludere vorrei esortarvi ad essere missionari della gioia. Non si può essere felici se gli altri non lo sono: la gioia quindi deve essere condivisa. Andate a raccontare agli altri giovani la vostra gioia di aver trovato quel tesoro prezioso che è Gesù stesso. Non possiamo tenere per noi la gioia della fede: perché essa possa restare in noi, dobbiamo trasmetterla. San Giovanni afferma: «Quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunciamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi... Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia piena» (1Gv 1,3-4).

A volte viene dipinta un’immagine del Cristianesimo come di una proposta di vita che opprime la nostra libertà, che va contro il nostro desiderio di felicità e di gioia. Ma questo non risponde a verità! I cristiani sono uomini e donne veramente felici perché sanno di non essere mai soli, ma di essere sorretti sempre dalle mani di Dio! Spetta soprattutto a voi, giovani discepoli di Cristo, mostrare al mondo che la fede porta una felicità e una gioia vera, piena e duratura. E se il modo di vivere dei cristiani sembra a volte stanco ed annoiato, testimoniate voi per primi il volto gioioso e felice della fede. Il Vangelo è la «buona novella» che Dio ci ama e che ognuno di noi è importante per Lui. Mostrate al mondo che è proprio così!

Siate dunque missionari entusiasti della nuova evangelizzazione! Portate a coloro che soffrono, a coloro che sono in ricerca, la gioia che Gesù vuole donare. Portatela nelle vostre famiglie, nelle vostre scuole e università, nei vostri luoghi di lavoro e nei vostri gruppi di amici, là dove vivete. Vedrete che essa è contagiosa. E riceverete il centuplo: la gioia della salvezza per voi stessi, la gioia di vedere la Misericordia di Dio all’opera nei cuori. Il giorno del vostro incontro definitivo con il Signore, Egli potrà dirvi: «Servo buono e fedele, prendi parte alla gioia del tuo padrone!» (Mt 25,21).

La Vergine Maria vi accompagni in questo cammino. Ella ha accolto il Signore dentro di sé e l’ha annunciato con un canto di lode e di gioia, il Magnificat: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore» (Lc 1,46-47). Maria ha risposto pienamente all’amore di Dio dedicando la sua vita a Lui in un servizio umile e totale. E’ chiamata «causa della nostra letizia» perché ci ha dato Gesù. Che Ella vi introduca in quella gioia che nessuno potrà togliervi!

Dal Vaticano, 15 marzo 2012

BENEDICTUS PP. XVI

VIENI SIGNORE GESU' 
NOI TI ATTENDIAMO. AMEN.

mercoledì 11 febbraio 2015

Dio ha disposto che questa sia la mia ora


18 ottobre 1975. Festa di San Luca Evangelista.
Siate nella gioia.

«Ti ho scelto, figlio, per questa semplice ragione: perché sei il più povero, il più piccolo, il più
limitato. Umanamente sei il più sprovveduto.
Ti ho scelto perché nella tua vita il mio Avversario era ormai riuscito a cantare vittoria. Nella
tua esistenza ti ho fatto vivere come in anticipo quanto Io stessa farò nel momento del mio
più grande trionfo.

Il mio Avversario crederà un giorno di cantare completa vittoria: sul mondo, sulla Chiesa, sulle
anime.
Sarà soltanto allora che Io interverrò - terribile e vittoriosa - perché la sua sconfitta sia
tanto più grande, quanto più sicura era la sua certezza di aver vinto per sempre.
Quanto si sta preparando è cosa tanto grande, che mai così è stata dalla creazione del mondo:
per questo già tutto è stato predetto nella Bibbia.

Vi è già stata annunciata la terribile lotta fra me "la Donna vestita di sole", e "il Dragone
rosso", Satana, che ora riesce a sedurre molti con l'errore dell'ateismo marxista. Vi è già
stata annunciata la lotta fra gli Angeli e i miei figli, contro i seguaci del dragone guidati dagli
angeli ribelli. Soprattutto è già stata chiaramente annunciata la mia completa vittoria.

Voi, figli miei, siete stati chiamati a vivere queste vicende.

E il momento in cui voi questo dovete sapere, per prepararvi consapevolmente alla battaglia. E
ora che incominci a svelarvi parte del mio piano.
Anzitutto è necessario che il mio Nemico abbia l'impressione di avere tutto conquistato, di
aver ormai ogni cosa nelle sue mani. Per questo gli sarà concesso d'introdursi nell'interno della
mia Chiesa e riuscirà ad offuscare il Santuario di Dio. Mieterà le vittime più numerose fra i
Ministri del Santuario.
Questo è infatti il momento di grandi cadute per i miei figli prediletti, per i miei Sacerdoti.

Alcuni Satana insidierà con l'orgoglio, altri con la passione della carne, altri con il dubbio, altri
con l'incredulità, altri con lo scoraggiamento e la solitudine.
Quanti dubiteranno di mio Figlio e di Me e crederanno che questa sarà la fine per la mia
Chiesa!

Sacerdoti consacrati al mio Cuore Immacolato, figli miei prediletti, che Io sto radunando nella
mia schiera per questa grande battaglia: la prima arma che dovete usare è la fiducia in Me, è il
vostro più completo abbandono.
Vincete la tentazione della paura, dello scoraggiamento, della tristezza. La sfiducia paralizza
le vostre attività e ciò molto giova al mio Avversario.

Siate sereni, siate nella gioia. Non è questa la fine per la mia Chiesa; si prepara l'inizio di un
suo totale e meraviglioso rinnovamento.
Il Vicario di mio Figlio, per mio dono, questo già riesce a intravvedere e, pur nella tristezza
del momento presente, vi invita ad essere nella gioia.

Nella gioia? Voi mi domandate stupiti.

Sì, figli miei, nella gioia del mio Cuore Immacolato, che tutti vi racchiude. Il mio Cuore di
Mamma sarà per voi il luogo della vostra pace, mentre fuori infurierà la più grande tempesta.
Anche se sarete rimasti feriti, anche se sarete spesso caduti, anche se avrete dubitato,
anche se, in certi momenti, avrete tradito, non scoraggiatevi, perché Io vi amo.

Quanto più il mio Avversario avrà voluto su di voi infierire, tanto più grande sarà il mio amore
per voi.
Sono Mamma e vi amo ancora di più, figli, perché mi siete stati strappati.
E la mia gioia è di fare di ciascuno di voi, Sacerdoti prediletti del mio Cuore Immacolato, dei
figli così purificati e fortificati, che ormai più nessuno riuscirà a strapparvi dall'amore di mio
Figlio Gesù.
Farò di voi copie viventi di mio Figlio Gesù.

Per questo siate contenti, siate fiduciosi, siate totalmente a Me abbandonati. Siate sempre in
preghiera con Me.
L'arma che Io userò, figli, per combattere e vincere questa battaglia sarà la vostra preghiera
e la vostra sofferenza.
Allora anche voi, sì, sulla Croce con Me e con mio Figlio Gesù, accanto alla sua e vostra Mamma.

Poi farò Io stessa ogni cosa, poiché Dio ha disposto che questa sia la mia ora: la mia e la
vostra, figli consacrati al mio Cuore Immacolato».

Difendici, o Madre, con la tua protezione: 
e solleva e conforta la nostra anima.

martedì 16 dicembre 2014

La vera gioia





Carissimo Amico/a,
«Se non vi sono più sacerdoti, è il catechista che sarà il buon pastore delle pecore di Gesù Cristo!» diceva, nel  1942, il beato Pierre To Rot, catechista, in occasione dell'arresto di un missionario; egli stesso doveva morire martire nel 1945, all'età di 29 anni, per aver rifiutato la poligamia; papa Giovanni Paolo II l'ha beatificato il 16 gennaio 1995.

Pietro To Rot è nato nel 1916 a Rakunai nell'attuale Papua Nuova Guinea (Oceania). Isola più grande della Francia, la Nuova Guinea è circondata da numerosi arcipelaghi; vi abitano più di mille tribù che parlano settecento dialetti diversi . Questa regione è stata evangelizzata da missionari francesi e tedeschi a partire dal 1890; il padre di Pietro To Rot, To Puia, è il capo di un villaggio; cattolico molto stimato, insegna egli stesso a suo figlio gli elementi fondamentali del catechismo, mentre sua madre gli insegna a pregare. La scuola del villaggio è tenuta dai missionari; il bambino vi si mostra attivo e pieno d'interesse per la religione. È noto per la sua prontezza nel rendere servizio; molto agile nell'arrampicarsi sugli alberi di cocco, va volentieri a fare la raccolta delle noci di cocco per conto degli abitanti anziani del villaggio. Questa gentilezza stupisce da parte di un figlio di capo, che potrebbe pretendere che lo si serva. Ma la parola di Nostro Signore: Vi è più gioia nel dare che nel ricevere (At 20,35) gli ha colpito il cuore.

A scuola, il giovane Papuano si mostra birichino, ma la sua franchezza (virtù rara tra i Tolai, etnia alla quale egli appartiene) è totale. Nel 1930, padre Laufer, che è incaricato della parrocchia di Rakunai, chiede al padre del bambino se non potrebbe farlo studiare in vista del sacerdozio. L'innalzamento di un papuano al sacerdozio era allora rarissima. A questa proposta lusinghiera, To Puia risponde con saggezza: «Penso che i tempi non siano maturi perché uno dei miei figli, o un altro uomo di qui diventi prete. Ma se vuoi mandarlo alla scuola di catechisti di Taliligap, sono d'accordo». L'adolescente parte quindi per questa scuola dove giovani scelti studiano allo scopo di fornire un sostegno ai missionari, poco numerosi in quell'immenso campo di apostolato. Attivo e ottimista, Pietro si reca con eguale entusiasmo agli Uffici religiosi, alle lezioni o ai lavori manuali (la scuola deve in gran parte la sua sussistenza al lavoro agricolo degli allievi). Egli stimola i compagni spesso portati all'indolenza sotto il bruciante clima equatoriale. La comunione quotidiana, la confessione frequente, la recita del rosario sono la sua forza contro le tentazioni. Poco per volta, corregge il proprio temperamento faceto di cui sono vittima i suoi professori. Ma rimane un compagno allegro, impareggiabile nel disarmare gli attaccabrighe con le sue battute.

Nel 1934, avendo dato ogni soddisfazione, Pietro To Rot riceve dal suo vescovo la croce di catechista, poi viene inviato nel suo villaggio natale per aiutare padre Laufer. Egli esercita sui cristiani una sorveglianza discreta, incoraggia i tiepidi a partecipare alla Messa domenicale, prepara i peccatori a un seria confessione, riconduce le pecore disperse all'ovile del Buon Pastore. Ama soprattutto fare conoscenza con la gente. Il suo zelo lo porta a combattere le pratiche di stregoneria ancora vive, anche tra i cristiani.

Testimoni diretti

«Cari catechisti, diceva papa Giovanni Paolo II in occasione della beatificazione di Pietro To Rot, siate testimoni diretti, evangelizzatori insostituibili, la forza basilare delle comunità cristiane. Fin dagli inizi, l'opera dei catechisti laici in Papua Nuova Guinea ha apportato un contributo singolare ed insostituibile alla propagazione della fede e della Chiesa. A nome dell'intera Chiesa vi ringrazio per l'opera santa che state svolgendo».

Per guidare la catechesi attuale, papa Giovanni Paolo II ha pubblicato, nel 1992, il Catechismo della Chiesa Cattolica (CEC). Questo era rivolto in primissimo luogo all'episcopato «come testo di riferimento sicuro e autentico per l'insegnamento della dottrina cattolica, e in particolare per l'elaborazione dei catechismi locali». Nel 2005, Benedetto XVI ha approvato la stampa di un sunto di questo Catechismo: «Il Compendio che ora presento alla Chiesa universale è una sintesi fedele e sicura del Catechismo della Chiesa Cattolica. Esso contiene, in modo conciso, tutti gli elementi essenziali e fondamentali della fede della Chiesa, così da costituire, come era stato auspicato dal mio Predecessore, una sorta di «vademecum» (Benedetto XVI, 28 giugno 2005). [Il «vademecum» è un libro che si porta abitualmente e comodamente su di sé, destinato a ricordare in poche parole i concetti principali di una scienza o di un'arte].

La catechesi è prima di tutto un'educazione della fede. Che cosa significa concretamente, per l'uomo, credere in Dio? «Significa, risponde il Compendio, aderire a Dio stesso, affidandosi a Lui e dando l'assenso a tutte le verità da Lui rivelate» (n. 27). «Insegna il Concilio [Vaticano II] che «a Dio che si rivela è dovuta l'obbedienza della fede» (Dei Verbum, n. 5). Con questa breve ma densa affermazione, viene indicata una fondamentale verità del cristianesimo» (Giovanni Paolo II, Enciclica Fides et ratio, 14 settembre 1998, n. 13). «L'uomo, sostenuto dalla grazia divina, risponde [a Dio] con l'obbedienza della fede, che è affidarsi pienamente a Dio e accogliere la sua Verità, in quanto garantita da Lui, che è la Verità stessa» (Compendio, n. 25).


Una chiave preziosa

Nell'enciclica Spe salvi, del 30 novembre 2007, papa Benedetto XVI ricorda che la fede è la chiave della vita eterna. Evoca a questo riguardo il rituale del Battesimo: «Vorrei partire dalla forma classica del dialogo con cui il rito del Battesimo esprimeva l'accoglienza del neonato nella comunità dei credenti e la sua rinascita in Cristo. Il sacerdote chiedeva innanzitutto quale nome i genitori avevano scelto per il bambino, e continuava poi con la domanda: «Che cosa chiedi alla Chiesa?» Risposta: «La fede». «E che cosa ti dona la fede?» «La vita eterna». Stando a questo dialogo, i genitori cercavano per il bambino l'accesso alla fede, la comunione con i credenti, perché vedevano nella fede la chiave per «la vita eterna». Di fatto, oggi come ieri, di questo si tratta nel Battesimo, quando si diventa cristiani: non soltanto di un atto di socializzazione entro la comunità, non semplicemente di accoglienza nella Chiesa» (n. 10).

Chiave della vita eterna, la fede è «necessaria per essere salvati» (Compendio, n. 28). Ma quando è autentica, la fede guida il modo di vivere. Al giovane che lo interroga sulla vita eterna, Gesù risponde: Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti, poi aggiunge: Vieni e seguimi (Mt 19,16-21). «Seguire Gesù implica l'osservanza dei Comandamenti. La Legge non è abolita, ma l'uomo è invitato a ritrovarla nella persona del divino Maestro, che la realizza perfettamente in se stesso, ne rivela il pieno significato e ne attesta la perennità » (Compendio, n. 434). È grazie ai sacramenti che diventa possibile vivere secondo la fede: «Ciò che il Simbolo della fede professa, i sacramenti lo comunicano. Infatti, con essi i fedeli ricevono la grazia di Cristo e i doni dello Spirito Santo, che li rendono capaci di vivere la nuova vita di figli di Dio nel Cristo accolto con la fede» (Compendio, n. 357).

Nel 1942, il Giappone, in guerra contro le potenze occidentali, invade la Nuova Guinea; i giapponesi, appena sbarcati a Rabaul, imprigionano preti, religiosi e religiose. Padre Laufer viene ben presto arrestato; Pietro To Rot si sforza da quel momento di supplire quanto possibile all'assenza del sacerdote, battezza i neonati, assiste con testimoni ai matrimoni, presiede i funerali. Ogni domenica, dirige in chiesa un incontro di preghiera in cui esorta i fedeli alla perseveranza. Perché possano ricevere i sacramenti, li conduce, di nascosto, da un missionario che ha evitato l'arresto e vive nella foresta. Ben presto, i soldati giapponesi si danno al saccheggio e alla distruzione delle chiese, e To Rot deve costruire nella boscaglia una cappella di legno nonché dei nascondigli sotterranei per gli arredi e i vasi sacri. A causa delle numerose spie, effettua abitualmente di notte le sue visite ai cristiani. Va spesso a Vunapopé, città distante dove un prete gli dà il Santissimo, che egli può allora distribuire ai morenti e ai malati, in virtù di un permesso speciale del vescovo.


Per il Regno di Dio

Pietro ha sempre nutrito un grande rispetto per la santità del matrimonio. Sposato dal 1936 con Paula Ia Varpit, giovane di un villaggio vicino, è un modello per le altre famiglie, e salva molte coppie minacciate dai litigi o dalla cattiva condotta di uno dei coniugi. I giapponesi incoraggiano il ritorno alla poligamia, praticata nel paese prima dell'evangelizzazione. Sperano, con questa misura, di allontanare la popolazione dall'influenza «occidentale». Trascinati dalla sensualità o per timore delle rappresaglie, molti uomini prendono una seconda donna. Di fronte a questo scandalo. Pietro To Rot non può tacere: la sua fede e le sue responsabilità di catechista gli impongono di parlare, quali che ne possano essere le conseguenze: «Non dirò mai troppo ai cristiani sulla dignità e il profondo significato del sacramento del matrimonio», egli dichiara. A sua moglie che teme che questa determinazione attiri la sventura sulla sua famiglia, To Rot risponde: «Se devo morire, è una cosa buona, perché morirò per il Regno di Dio sul nostro popolo».

L'insegnamento di Pietro sul matrimonio è quello della Chiesa, ricordato ai nostri giorni dal Compendio: «Dio, che è amore e che ha creato l'uomo per amore, l'ha chiamato ad amare. Creando l'uomo e la donna, li ha chiamati nel Matrimonio a un'intima comunione di vita e di amore fra loro, così che non sono più due, ma una carne sola (Mt 19,6)» (n. 337). L'unità che formano gli sposi è esclusiva durante la loro vita: «Il sacramento del Matrimonio genera tra i coniugi un vincolo perpetuo ed esclusivo. Dio stesso suggella il consenso degli sposi. Pertanto il Matrimonio concluso e consumato tra battezzati non può essere mai sciolto» (n. 346). Per questa ragione, «l'unione matrimoniale, secondo l'originario disegno divino, è indissolubile, come afferma Gesù Cristo: Quello che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi (Mc 10,9)» (n. 338). Inoltre, Gesù Cristo « dona la grazia per vivere il Matrimonio nella nuova dignità di sacramento, che è il segno del suo amore sponsale per la Chiesa: Voi mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa (Ef 5,25)» (n. 341).


« Senza di lui... »

To Metepa, un cattolico, poliziotto al servizio dei giapponesi, concupisce, benché sia già sposato, Ia Mentil, la moglie di un protestante. Il padre di questa donna, nonché To Rot, gli impediscono di prenderla. Furioso, il poliziotto denuncia To Rot al suo superiore Kueka, che convoca il catechista e gli vieta ogni attività pastorale. To Metepa, aiutato da un altro poligamo, s'impadronisce di Ia Mentil e molesta suo marito, attaccandolo alla fine a un albero dove resta due giorni. Ma il capo del villaggio, buon cristiano, chiama To Rot e riescono a mettere Ia Mentil al sicuro a Rakunai. Numerosi cattolici sono sul punto di cedere alla tentazione della poligamia, ma Pietro, con le sue vigorose esortazioni, li rimette sul retto cammino. Uno di loro testimonierà in seguito: «Senza di lui, avrei preso una seconda moglie. To Rot era un santo, preoccupato unicamente della salvezza delle anime. Non aveva alcun timore dei ricchi e dei potenti». «Con la loro vita conforme al Signore Gesù, afferma il Compendio, i cristiani attirano gli uomini alla fede nel vero Dio, edificano la Chiesa, informano il mondo con lo spirito del Vangelo e affrettano la venuta del Regno di Dio» (n. 433). Lo stesso fratello di Pietro, Tatamai, ha abbandonato sua moglie per «sposarne» un'altra. Rifiutando di ascoltare i rimproveri di To Rot, lo denuncia ai giapponesi. Poco dopo, tuttavia, preso dal pentimento, viene a chiedergli perdono. Dopo la guerra, ricostruirà con i propri mezzi la chiesa di Rakunai, in segno di penitenza per il suo tradimento.

Nessuno riesce a dissuadere il catechista dal proseguire il suo apostolato. Di conseguenza egli riceve delle minacce sempre più dirette da parte di certi giapponesi che odiano il cristianesimo, giudicato responsabile del fallimento militare del Giappone. Interrogato dalla polizia giapponese sui suoi sentimenti nei confronti dell'occupante, To Rot risponde: «La Chiesa cattolica desidera la pace; ma non è colpa sua, se voi non siete vittoriosi. – Silenzio! grida il poliziotto, vietiamo tutte le riunioni religiose. – Gesù, risponde calmo Pietro, ha insegnato ai suoi discepoli che era meglioobbedire a Dio che agli uomini (At 5,29)». E continua a riunire i cattolici ogni domenica. Da allora viene spiato da traditori che cercano di coglierlo in flagrante reato di preghiera. Un giorno mentre assiste, a nome della Chiesa, a due matrimoni, la sbadataggine di una delle coppie lo fa denunciare. Dapprima viene perquisita la casa del catechista. I poliziotti vi scoprono diversi oggetti di culto e vanno ad arrestare Pietro che sta piantando degli ortaggi per conto di soldati giapponesi. Quest'ultimo racconterà in seguito il suo interrogatorio al quartier generale di Vunaiara: «Il capo della polizia, Meshida, mi chiese: «Hai tenuto una riunione di preghiera ieri? – Sì». Mi ha allora colpito violentemente sul viso e sulla nuca. «È vero che sei contro la bigamia (matrimonio di un uomo con due donne)?» Quando ho risposto «sì», sono stato messo in prigione. Era, per Mescida, la mia colpa principale».

Pietro sa che la poligamia è contraria alla comunione degli sposi nel matrimonio. «La poligamia nega in modo diretto il disegno di Dio quale ci viene rivelato alle origini, perché è contraria alla pari dignità personale dell'uomo e della donna, che nel matrimonio si donano con un amore totale e perciò stesso unico ed esclusivo» (Giovanni Paolo II, Esortazione apostolica Familiaris consortio, del 22 novembre 1981, n. 19). «Quando le autorità legalizzarono e incoraggiarono la poligamia, diceva papa Giovanni Paolo II, il Beato Pietro, sapendo che ciò andava contro i principi cristiani, denunciò fermamente tale pratica. Grazie allo Spirito di Dio che dimorava in lui, egli proclamò coraggiosamente la verità circa la santità del matrimonio. Rifiutò di prendere la «via più facile» (cf. Mt 7,13) del compromesso morale. «Devo compiere il mio dovere come testimone nella Chiesa di Gesù Cristo» spiegò. Non lo fermò il timore della sofferenza e della morte».


La vera gioia

«Lo so, confida Pietro a sua madre, mi uccideranno. Ma non preoccupatevi; sono pronto a offrire la mia vita per Gesù Cristo». «Sì, affermava papa Giovanni Paolo II, la saggezza del Vangelo ci dice che la vita eterna si ottiene attraverso la morte, e la vera gioia attraverso la sofferenza. Per comprendere ciò dobbiamo giudicare con i criteri divini e non con quelli umani!... Agli occhi di Dio, coloro che sono stati perseguitati per la loro fedeltà al Vangelo sono realmente beati, poiché grande sarà la ricompensa nei cieli (Mt 5,12)« Nel piano salvifico di Dio, la sofferenza, più di ogni altra cosa, rende presenti nella storia dell'umanità le forze della Redenzione« Proprio come il Signore Gesù ha salvato il suo popolo amandolo sino alla fine (Gv 13,1), fino alla morte e alla morte in croce (Fil 2,8), così continua anche ad invitare ogni discepolo a soffrire per il Regno di Dio. Quando viene unita alla Passione redentrice di Cristo, la sofferenza umana diventa uno strumento di maturità spirituale e una magnifica scuola di amore evangelico» (Omelia di beatificazione).

Imprigionato in una minuscola cella senza finestra, Pietro ne esce solo per occuparsi dei porci. Sua madre e sua moglie gli portano il cibo. Un giorno, in presenza dei loro due figli, sua moglie supplica Pietro di dire ai giapponesi che rinuncia al suo mestiere di catechista e vuole vivere d'ora in poi come un uomo ordinario nel suo villaggio. Lei pensa così di poterlo far liberare, tramite l'intervento dei notabili del villaggio. To Rot le risponde gravemente: «Non è affar tuo. Bisogna, aggiunge facendo il segno della croce, che io glorifichi il Nome di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, e che io aiuti così il mio popolo». E chiede a sua moglie di portargli la sua croce di catechista, che lo accompagnerà fino alla fine. Lo stesso giorno – è nel giugno 1945 -, confida a sua madre: «I poliziotti mi hanno detto che, questa sera, un medico giapponese verrà a darmi una medicina. Questo mi stupisce, non sono malato! Torna presto a casa e prega per me». L'indomani, un poliziotto arriva a Rakunai e annuncia: «Il vostro catechista è morto». Dominando la propria emozione, il capo del villaggio chiede: «Che cosa gli avete fatto? Eppure era in buona salute. – Si è ammalato ed è morto».



La fecondità di una morte

Ben presto, Tarua, lo zio di To Rot, viene inviato alla prigione, accompagnato dal comandante Meshida, per riconoscere e portare via il corpo. Il martire giace, rannicchiato, il corpo ancora caldo, il viso rivolto verso il cielo. Ha del cotone, in certi punti rosso di sangue, nel naso, negli occhi e nelle orecchie. Un foulard rosso gli stringe il collo, la sua nuca è gonfia e mostra delle piaghe. La traccia di un'iniezione nel braccio destro è ben visibile. Gli è stata iniettata della manioca (prodotto contenente cianuro), a giudicare dall'odore dell'ambiente circostante. Vedendo che il veleno tardava a fare la sua opera, i soldati hanno strangolato la loro vittima e l'hanno colpita alla nuca con una trave. Pietro To Rot è sepolto nel cimitero di Rakunai, dove la sua tomba diventa un luogo di pellegrinaggio. Lungi dallo scoraggiare e dall'intimidire i cristiani, la morte di To Rot fu per tutti un potente stimolo. Il villaggio di Rakunai, dal 1945, non ha dato alla Chiesa meno di dodici preti e religiose. Questa fecondità spirituale è stata sottolineata da papa Giovanni Paolo II: «Nei periodi di persecuzione, la fede degli individui e delle comunità si prova col fuoco (1Pt 1,7). Tuttavia Cristo ci dice che non c'è ragione di aver paura. Coloro che vengono perseguitati per la loro fede saranno più eloquenti che mai: Non siete infatti voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi» (Mt 10,20). Così è stato per il Beato Pietro To Rot... Anche lui fu condotto come un agnello al macello (Is 53,7). E ciononostante questo «chicco di grano» che è caduto silenziosamente in terra (cf. Gv 12,24) ha prodotto una messe di benedizioni per la Chiesa in Papua Nuova Guinea! »

Il beato Pietro To Rot è stato scelto per figurare tra i patroni delle GMG del 2008 a Sydney, in Australia. In occasione della sua beatificazione, nel 1995, papa Giovanni Paolo II si rivolgeva così ai giovani: «Il Beato Pietro è un modello anche per voi. Egli vi insegna a non preoccuparvi solo per voi stessi, ma a mettervi generosamente al servizio degli altri... Non abbiate paura d'impegnarvi nel compito di far conoscere e amare Cristo». «L'esempio del Martire parla anche alle coppie sposate, aggiungeva il Papa. Il Beato Pietro To Rot aveva un'alta considerazione del matrimonio e, nonostante il grande rischio personale e l'opposizione, difese l'insegnamento della Chiesa sull'unità del matrimonio e sul bisogno di fedeltà reciproca. Trattò sua moglie Paola con grande rispetto, e pregava con lei ogni mattina e ogni sera. Per i suoi figli nutriva un profondo affetto e trascorreva con essi più tempo possibile. Se le famiglie sono buone, i vostri paesi saranno pacifici e buoni. Mantenetevi fedeli alle tradizioni che difendono e rafforzano la vita familiare».

L'esempio del beato catechista Pietro To Rot ci incoraggia ad approfondire la nostra fede e a vivere in perfetta coerenza con essa, in conformità con le richieste di papa Benedetto XVI ai cristiani, il 18 maggio 2008: «Abbiate cura della formazione spirituale e catechistica, una formazione «sostanziosa», più che mai necessaria per vivere bene la vocazione cristiana nel mondo di oggi. Lo dico agli adulti e ai giovani: coltivate una fede pensata, capace di dialogare in profondità con tutti, con i fratelli non cattolici, con i non cristiani e i non credenti».
Dom Antoine Marie osb

domenica 15 dicembre 2013

Fratelli, state sempre allegri nel Signore, lo ripeto, state allegri. III DOMENICA D'AVVENTO.



TERZA DOMENICA DI AVVENTO

Il gaudio della Chiesa aumenta vieppiù in questa Domenica. Ella sospira sempre verso il Signore; ma sente che ormai è vicino, e crede di poter temperare l'austerità di questo periodo di penitenza con l'innocente letizia delle pompe religiose. Innanzi tutto, questa Domenica ha ricevuto il nome di Gaudete, dalla prima parola del suo Introito; ma, inoltre, vi si osservano le commoventi usanze che sono proprie della quarta Domenica di Quaresima chiamata Laetare. Alla Messa si suona l'organo; gli ornamenti sono di color rosa; il Diacono riprende la dalmatica, e il Suddiacono la tunicella; nelle Cattedrali, il Vescovo assiste, ornato della mitra preziosa. O mirabile condiscendenza della Chiesa, che sa unire così bene la severità delle credenze alla graziosa poesia delle forme liturgiche! Entriamo nel suo spirito, e rallegriamoci in questo giorno per l'avvicinarsi del Signore. Domani, i nostri sospiri riprenderanno il loro corso; poiché, per quanto egli non debba tardare, non sarà ancora venuto.
La Stazione ha luogo nella Basilica di S. Pietro in Vaticano. Questo tempio augusto che ricopre la tomba del Principe degli Apostoli, è l'asilo universale del popolo cristiano; è quindi giusto che sia testimone delle gioie come delle tristezze della Chiesa.
L'Ufficio della notte comincia con un nuovo Invitatorio, che è un grido di letizia per la Chiesa; tutti i giorni, fino alla Vigilia di Natale, essa apre i Notturni con queste belle parole:

Il Signore è ormai vicino: venite, adoriamolo.

Prendiamo ora il libro del Profeta, e leggiamo con la santa Chiesa:

Lettura del Profeta Isaia
Fiducia in Dio, Egli umilia i superbi.
Allora si canterà questo cantico nella terra di Giuda:

Città forte è la nostra;  

Aprite le porte, che vi entri il popolo giusto, mantenitore della fede.

Gente di saldo cuore, conserverai la pace,  


Abbiate fiducia nel Signore sempre, in perpetuo,  


perché ha avvallati gli abitatori delle altezze,  


l'ha gettata giù sino a terra,  


Ora la calpestano i piedi dei miseri  

Il giusto aspetta il regno della giustizia e rimane fedele a Dio.

Piano è il cammino per il giusto,  


Sì, per la via dei tuoi giudizi noi Ti attendiamo,  


L'anima nostra a Te aspira di notte;  

(Is 26,1-9)

O santa Chiesa Romana, nostra roccaforte, eccoci raccolti entro le tue mura, attorno alla tomba di quel pescatore le cui ceneri ti proteggono sulla terra, mentre la sua immutabile dottrina ti illumina dall'alto del cielo. Ma se tu sei forte, è per il Signore che sta per venire. Egli è il tuo baluardo, poiché è lui che abbraccia tutti i tuoi figli nella sua misericordia; egli è la tua fortezza invincibile poiché per lui le potenze dell'inferno non prevarranno contro di te. Apri le tue porte, affinché tutti i popoli facciano ressa nella tua cinta: poiché tu sei la maestra della santità, la custode della verità. Possa l'antico errore che si oppone alla fede cessare presto, e la pace stendersi su tutto il gregge! O santa Chiesa Romana, tu hai riposto per sempre la tua speranza nel Signore; ed egli a sua volta, fedele alla promessa, ha umiliato davanti a te le alture superbe, le roccaforti dell'orgoglio. Dove sono i Cesari, che credettero di averti annegata nel tuo stesso sangue? Dove sono gli IMperatori che vollero attentare all'inviolabile verginità della tua fede? Dove i settari che ogni secolo, per così dire, ha visto accanirsi l'uno dopo l'altro intorno agli articoli della tua dottrina? Dove sono i prìncipi ingrati che tentarono di asservirti dopo che tu stessa li avevi innalzati? Dov'è l'Impero della Mezzaluna che tante volte ruggì contro di te, allorché, disarmata, ricacciavi lontano l'orgoglio delle sue conquiste? Dove sono i Riformatori che pretesero di costituire un Cristianesimo senza di te? Dove sono quei sofisti moderni, ai cui occhi non eri più che un fantasma impotente e tarlato? Dove saranno, fra un secolo, quei re tiranni della Chiesa, quei popoli che cercano la libertà fuori della verità?
Saranno passati con il rumore del torrente; e tu invece sarai sempre calma, sempre giovane, sempre senza rughe, o santa Chiesa Romana, assisa sulla pietra inamovibile. Il tuo cammino attraverso tanti secoli, sotto il sole che fuori di te illumina sole le variazioni dell'umanità. Donde ti viene questa solidità, se non da colui che è la Verità e la Giustizia? Gloria a lui in te! Ogni anno, egli ti visita; ogni anno, ti reca nuovi doni, per aiutarti a compiere il pellegrinaggio, e sino alla fine dei secoli, verrà sempre a visitarti, a rinnovarti, non solo mediante la potenza di quello sguardo con il quale rinnova Pietro, ma riempiendoti di se stesso, come riempì la Vergine gloriosa; l'oggetto del tuo più tenero amore, dopo quello che porti allo Sposo. Noi preghiamo con te, o Madre nostra, e diciamo: Vieni, Signore Gesù! Il tuo nome e il tuo ricordo sono il desiderio delle anime nostre; esse ti desiderano durante la notte, e i nostri intimi sospiri ti cercano.

MESSA
EPISTOLA (Fil 4,4-7). - Fratelli, state sempre allegri nel Signore, lo ripeto, state allegri. La vostra modestia sia nota a tutti gli uomini: il Signore è vicino. Non vi affannate per niente, ma in ogni cosa siano le vostre petizioni presentate a Dio con preghiere e suppliche unite a rendimento di grazie. E la pace di Dio, che sorpassa ogni intelligenza, custodisca i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù Signor nostro.

Dobbiamo dunque rallegrarci nel Signore, poiché il Profeta e l'Apostolo concordano nell'incoraggiare i nostri desideri verso il Signore: l'uno e l'altro ci annunciano la pace. Stiamo dunque tranquilli: Il Signore è vicino; è vicino alla sua Chiesa; è vicino a ciascuna delle nostre anime. Possiamo forse restare presso un fuoco così ardente, e rimanere freddi? Non le sentiamo forse venire, attraverso tutti gli ostacoli che la sua suprema elevazione, la nostra profonda bassezza e i nostri numerosi peccati gli suscitano? Egli supera tutto. Ancora un passo, e sarà in noi. Andiamogli incontro con lepreghiere, le suppliche, i rendimenti di grazie di cui parla l'Apostolo. Raddoppiamo il fervore e lo zelo per unirci alla santa Chiesa, i cui sospiri verso colui che è la sua luce e il suo amore diventano ogni giorno più ardenti.

VANGELO (Gv 1,19-28). - In quel tempo, i Giudei di Gerusalemme mandarono a Giovanni dei sacerdoti e dei leviti per domandargli: Tu chi sei? Ed egli confessò e non negò; e confessò: Non sono io il Cristo. Ed essi gli domandarono: Chi sei dunque? Sei Elia? Ed egli: No. Sei tu il profeta? No, rispose. Allora gli dissero: E chi sei, affinché possiamo rendere conto a chi ci ha mandati: che dici mai di te stesso? Rispose: Io sono la voce di colui che grida nel deserto: Raddrizzate la via del Signore, come ha detto il profeta Isaia. Or quelli che erano stati inviati a lui erano dei Farisei; e l'interrogarono dicendo: Come dunque tu battezzi, se non sei il Cristo, né Elia, né il profeta? Giovanni rispose loro: Io battezzo coll'acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete. Questi è colui che verrà dopo di me, ed a cui non son degno di sciogliere il legaccio dei calzari. Questo accadeva in Betania oltre il Giordano, dove Giovanni stava battezzando.

In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, dice san Giovanni Battista ai messi dei Giudei. Il Signore può dunque essere vicino; può anche essere venuto, e tuttavia rimanere ancora sconosciuto a molti. Questo divino Agnello è la consolazione del santo Precursore, il quale ritiene un grande onore l'essere la mera voce che grida agli uomini di preparare le vie del Redentore. San Giovanni è in questo il tipo della Chiesa e di tutte le anime che cercano Gesù Cristo. La sua gioia è completa per l'arrivo dello Sposo; ma è circondato da uomini per i quali il Divino Salvatore è come se non ci fosse. Ora, eccoci giunti alla terza domenica del sacro tempo dell'Avvento: sono scossi tutti i cuori alla voce del grande annunzio dell'arrivo del Messia? Quelli che non vogliono amarlo come Salvatore, pensano almeno a temerlo come Giudice? Le vie storte si raddrizzano? Le colline pensano ad abbassarsi? La cupidigia e la sensualità sono state seriamente attaccate nel cuore dei cristiani? Il tempo stringe: Il Signore è vicino! Se queste righe cadessero sotto gli occhi di qualcuno di quelli che dormono invece di vegliare nell'attesa del divino Bambino, lo scongiureremmo di aprire gli occhi e di non aspettare oltre a rendersi degno d'una visita che sarà per lui, nel tempo, l'oggetto d'una grande consolazione, e che lo rassicurerà contro tutti i terrori dell'ultimo giorno. O Gesù, manda la tua grazia con maggiore abbondanza; costringili ad entrare, affinché non sia detto del popolo cristiano quello che san Giovanni diceva della Sinagoga: In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete.

PREGHIAMO
Deh, Signore, volgi il tuo orecchio alle nostre preghiere e con la grazia della sua venuta rischiara le tenebre della nostra mente.

da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - I. Avvento - Natale - Quaresima - Passione, trad. it. P. Graziani, Alba, 1959, p. 62-66