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sabato 18 luglio 2015

SAN CAMILLO DE LELLIS - Santa Sinforosa e sette figli -

PROPRIO IN LATINO DELLA S. MESSA
tratto dal Missale Romanum a.D. 1962 promulgatum


18 LUGLIO

SAN CAMMILLO DE LELLIS
FONDATORE


 
Commemorazione di
SANTA SINFOROSAe figli 

San Camillo de Lellis (Bucchianico, 25 maggio 1550 – Roma, 14 luglio 1614) è stato un sacerdote italiano, fondatore dell'Ordine dei Chierici Regolari Ministri degli Infermi (Camilliani); nel 1746 è stato proclamato santo da papa Benedetto XIV e, insieme a san Giovanni di Dio, Patrono universale dei malati, degli infermieri e degli ospedali. 

San Camillo nacque da una famiglia appartenente alla piccola aristocrazia della cittadina abruzzese di Bucchianico: alla nascita, gli venne imposto il nome della madre (Camilla Compelli), che lo aveva partorito a quasi 60 anni di età; il padre, Giovanni, era un ufficiale al servizio della Spagna.

Giovane pigro e rissoso, il padre decise di avviarlo alla carriera militare. Ma, nel 1570, un' ulcera al piede lo costrinse ad abbandonare la compagnia.

Per farsi curare fu costretto a recarsi a Roma, nell'ospedale di San Giacomo degli Incurabili. Dopo la guarigione venne assunto come inserviente presso l'ospedale, ma l'esperienza fu breve: per la sua scarsa propensione al lavoro, venne allontanato.

Intanto il padre era morto. Tornò a dedicarsi alle armi, come soldato di ventura, mettendosi a servizio prima di Venezia, poi della Spagna. Ma presto tornò a condurre una vita dissoluta.
Iniziò a vagabondare per l'Italia, fino a quando non venne assunto dai Cappuccini del convento di Manfredonia. È qui che iniziò il suo percorso verso la conversione: nel 1575 decise di abbracciare la vita religiosa e di diventare un frate cappuccino a Trivento. Ma l'antica piaga al piede tornò a dargli problemi: fu così costretto a tornare a Roma per curarsi.
Rimase nell'ospedale degli Incurabili per ben quattro anni. Qui maturò definitivamente la sua vocazione all'assistenza dei malati e, insieme ai primi cinque compagni che, seguendo il suo esempio, si erano consacrati alla cura degli infermi, decise di dare vita alla "compagnia dei Ministri degli Infermi" i cui primi statuti vennero approvati da papa Sisto V il 18 marzo 1586. Camillo si trasferì nel convento della Maddalena e iniziò a prestare servizio presso l'ospedale di Santo Spirito in Sassia.

Intanto, sotto la guida spirituale di Filippo Neri, riprese gli studi e, il 26 maggio 1583, fu ordinato sacerdote.

La sua Compagnia si diffuse rapidamente e, il 21 settembre 1591, fu elevata al rango di Ordine religioso (Ordine dei Chierici Regolari Ministri degli Infermi) da papa Gregorio XIV rimasto impressionato dall'eroismo con cui Camillo e i suoi compagni avevano assistito i malati durante la carestia del 1590 a Roma . L'8 dicembre 1591 Camillo e i suoi primi compagni emisero la Professione religiosa di voti solenni con un quarto voto di assistenza dei malati anche con pericolo della vita. Era nato un nuovo Ordine religioso.

Gravemente malato, nel 1607 lasciò la direzione dell'Ordine ma continuò ad assistere i malati fino alla morte, avvenuta il 14 luglio 1614 nel convento della Maddalena, che era diventato sede del suo Ordine, dove fu tumulato: la reliquia del suo cuore fu traslata a Bucchianico.

Santa Sinforosa (II secolo d.C.) nata a Tivoli, moglie di San Getulio Martire, con sette suoi figlioli, cioè CrescenteGiulianoNemesio,PrimitivoGiustinoStatteo ed Eugenio. Avendo Adriano l'Imperatore fatto costruire una villa, e volendo inaugurarla con quel rito nefando dei pagani, cominciò con sacrifici agl'idoli e ai demoni che dimorano negl'idoli, a domandare responsi. Rispose l'oracolo: la vedova Sinferusa (antico nome di Sinforosa) e i sui sette figli ci dilanino ogni giorno invocando il loro Dio. Perciò, se costei coi suoi figli sacrificherà, noi promettiamo di soddisfarti in tutto quello che domandi. Allora Adriano la fece arrestare insieme i figli e con blande parole li esortava, perché acconsentissero a sacrificare agl'idoli. Santa Sinforosa, fu lungamente fustigata, quindi sospesa per i capelli, e da ultimo legata ad un sasso, precipitata nel fiume.

Il fratello Eugenio, principale della Curia Tiburtina, raccolse il cadavere e lo seppelli nel suburio della medesima città. Il giorno dopo, l'imperatore Adriano fece piantare sette pali intorno al tempio d'Ercole Vincitore (in Tivoli) e su essi fece stendere i figli della Santa Sinferusa, sollevati con carrucole. E comandò che per primo si trafiggesse Crescente nella gola; secondo si ferisse Giuliano nel petto, terzo, Nemesio avesse il cuore trapassato: quarto, Primitivo avesse squarciato il ventre; quinto Giustino, volto le spalle, avesse il ferro immerso nel dorso; sesto, si ferisse Statteo in un fianco; settimo si dividesse Eugenio in due parti.. I loro corpi furono trasportati a Roma, e sotto il Papa Pio quarto, furono ritrovati nella Diaconia di sant'Angelo in Pescheria".

Oggi noi consociamo una chiesa dedicata alla Santa nei pressi di Bagni di Tivoli. Durante le lotte per le investiture tra papato e impero, l'imperatore Enrico V nel ricondurre Papa Pasquale II a Roma, si accampò nel "Campo qui Septem fratum dicitur", dove un tempo si vedevano dei ruderi di un'antica chiesa dedicata a Santa Sinforosa e sette figli, e dove i proprietari di questo terreno hanno eretto nel 1939, proprio sulla collinetta dinanzi al nuovo santuario, una magnifica cappella, dedicandola a questa Santa e ai suoi sette figli martiri. (dal Martirologio Romano)

MESSALE

INTRÓITUS                  
Joann. 15, 13. Majórem hac dilectiónem nemo habet, ut ánimam suam ponat quis pro amícis suis. Ps. 40, 2. Beátus, qui intéllegit super egénum et páuperem: in dic mala liberábit eum Dóminus. Glória Patri.  

Non v’è amore più grande di chi dona la propria vita per i suoi amici. Beato chi pensa al misero e la povero: nel giorno della sventura lo libererà il Signore. Gloria al Padre.

ORÁTIO                 
Deus, qui sanctum Camíllum, ad animárum in extrémo agóne luctántium subsídium, singulári caritátis prærogatíva decorásti: ejus, quǽsumus, méritis, spíritum nobis tuæ dilectiónis infúnde; ut in hora éxitus nostri hostem víncere, et ad coeléstem mereámur corónam perveníre. Per Dóminum. 

O Dio, che hai onorato san Camillo del dono di una carità senza pari per soccorrere le anime nella suprema lotta dell’agonia, infondi in noi per i suoi meriti lo spirito del tuo amore, affinché meritiamo, nell’ora della nostra morte, di vincere il nemico e di giungere alla corona celeste. Per il nostro Signore.

Deus, qui nos concédis sanctórumMártyrum tuórum Symphorósæ et filiórum ejus natalítia cólere: da nobis in ætérna beatitúdine de eórum societáte gaudére. Per Dóminum.

O Dio che concedi di celebrare la nascita alla vita eterna dei tuoi santi Martiri Sinforosa e dei suoi figli, degnati di associarci a loro nell’eternità beata. Per il nostro Signore.

EPISTOLA                   
Léctio Epístolæ beáti Joánnis Apóstoli. 1. Joann. 3, 13-18.

Caríssimi: Nolíte mirári, si odit vos mundus. Nos scimus, quóniam transláti sumus de morte ad vitam, quóniam dilígimus fratres. Qui non díligit, manet in morte: omnis, qui odit fratrem suum, homicída est. Et scitis, quóniam omnis homicída non habet vitam ætérnam in semetípso manéntem. In hoc cognóvimus caritátem Dei, quóniam ille ánimam suam pro nobis pósuit: et nos debemus pro frátribus ánimas pónere. Qui habúerit substántiam hujus mundi, et víderit fratrem suum necessitátem habére, et cláuserit víscera sua ab eo: quómodo cáritas Dei manet in eo? Filíoli mei, non diligámus verbo neque lingua, sed ópere et veritáte. M. - Deo grátias.   

Carissimi: Non vi meravigliate, fratelli, se il mondo vi odia. Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello è omicida, e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna. Da questo abbiamo conosciuto l'amore: Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli. Ma se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l'amore di Dio? Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità. M. - Deo grátias.     

GRADUALE                 
Ps. 36, 30-31. Os justi meditábitur sapiéntiam, et lingua ejus loquétur judícium. Lex Dei ejus in corde ipsíus: et non supplantabúntur gressus ejus.  

Ps. 36, 30-31. Il giusto parla con sapienza, la sua lingua proferisce cose giuste. Egli conserva in cuore la legge del suo Dio e i suoi passi non vacillano.

ALLELÚIA              
Allelúja, allelúja. Ps. 111, 1. Beátus vir, qui timet Dóminum: in mandátis ejus cupit nimis. Allelúja.                

Allelúja, allelúja. Beato l’uomo ch eteme Dio e trova grande gioia nella legge del Signore. Allelúja.                

EVANGÉLIUM                
Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem. Joann. 15, 12-16.

In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Hoc est præcéptum meum, ut diligátis ínvicem, sicut diléxi vos. Majorem hac dilectiónem nemo habet, ut ánimam suam ponat quis pro amícis suis. Vos amíci mei estis, si fecéritis quæ ego præcípio vobis. Jam non dicam vos servos: quia servus nescit, quid fáciat dóminus ejus. Vos autem dixi amícos: quia ómnia, quæcúm  que audívi a Patre meo, nota feci vobis. Non vos me elegístis: sed ego elegi vos, et pósui vos, ut eátís, et fructum afferátis: et fructus vester maneat: ut, quodcúmque petiéritis Patrem in nómine meo, det vobis. M. – Laus tibi Christe.

In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici.  Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l'ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda.  M. – Laus tibi Christe.

ANTÍPHONA AD OFFERTÓRIUM                
Ps. 20, 2-3. In virtúte tua, Dómine, lætábitur justus, et super salutáre tuum exsultábit veheménter: desidérium ánimæ ejus tribuísti ei.  

Ps. 20, 2-3. Della tua potenza, o Signore, gioisce il giusto e il tuo soccorso lo colma di letizia; gli hai concesso quanto desiderava.

SECRÉTA                
Hóstia immaculáta, qua illud Dómini nostri Jesu Christi imménsæ caritátis opus renovámus, sit, Deus Pater omnípotens, sancto Gamíllo intercedénte, contra omnes córporis et animae infirmitates salutáre remedium, et in extrémo agóne solátium et tutela. Per eúndem Dóminum. 

La vittima immacolata, con la quale rinnoviamo l’opera di immensa carità compiuta da Gesù Cristo nostro Signore, sia per noi, o Dio Padre onnipotente, per intercessione di San Camillo, rimedio salutare contro tutte le infermità dell’anima e del corpo e, nell’ultimo combattimento, conforto e protezione. Per lo stesso nostro Signore.

Múnera tibi, Dómine, nostræ devotiónis offérimus: quæ et pro tuórum tibi grata sint honóre Justórum, et nobis salutária, te miseránte, reddántur. Per Dóminum nostrum.  

Ti offriamo, Signore, questi doni in segno della nostra dedizione; siano essi a Te graditi per l’onore dei tuoi Santi e, per tua misericordia, divengano per noi fonte di salvezza. Per il nostro Signore.

PREFAZIO DELLA SANTISSIMA TRINITÀ              

COMMÚNIO               
Matth. 25, 36 et 40. Infírmus fui, et visitástis me. Amen, amen, dico vobis: Quámdiu fecístis uni ex his frátribus meis minimis, mihi fecístis.  

Sono stato malato e mi avete visitato. In verità, in verità vi dico: quanto avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avete fatto a me.

POSTCOMMÚNIO      
Per hæc coeléstia aliménta, quæ, sancti Camílli Confessóris tui sollémnia celebrántes, pia devotióne suscépimus: da, quǽsumus. Dómine; ut, in hora mortis nostræ sacraméntis refécti et culpis ómnibus expiáti, in sinum misericórdiæ tuæ læti súscipi mereámur: Qui vivis.      

Per questo celeste nutrimento che abbiamo ricevuto con pia devozione, celebrando la festa di San Camillo tuo Confessore, fa’, o Signore, Te ne preghiamo, che nell’ora della nostra morte, confortati dai sacramenti e purificati da ogni colpa, meritiamo di essere lietamente accolti in seno alla tua misericordia. Tu che sei Dio e vivi e regni.      

Præsta nobis, quǽsumus, Dómine: intercedéntibus sanctis Martýribus tuis Symphorósa et fíliis ejus; ut, quod ore contíngimus, pura mente capiámus. Per Dóminum.

Concedi, Te ne preghiamo, o Signore, che, per intercessione dei tuoi santi Martiri Sinforosa e dei suoi figli, quanto abbiamo ricevuto con la bocca lo accogliamo con anima pura. Per il nostro Signore.

SANTA SINFOROSA E SETTE FIGLI

Emblema: Palma
Martirologio Romano: A Roma al nono miglio della via Tiburtina, commemorazione dei santi Sinforosa e sette compagni, Crescente, Giuliano, Nemesio, Primitivo, Giustino, Stacteo ed Eugenio, martiri, che subirono il martirio con diversi generi di tortura, divenendo fratelli in Cristo. 


Santa Sinforosa era la moglie di San Getulio. 
Sulla via Tiburtina, al IX milliario (oggi km. 17,450) viveva una donna chiamata Sinforosa con i suoi 7 figli che si chiamavano Crescente, Giuliano, Nemesio, Primitivo, Giustino, Statteo ed Eugenio. 



La donna viveva nei pressi della maestosa villa dell’imperatore Adriano, colui che aveva ordinato la morte del marito Getulio, del cognato Amanzio e dell’amico di questi Primitivo. 



L’imperatore Adriano dopo aver ultimato la sua grandiosa villa, si dice che volesse, prima di inaugurarla, consultare gli dei, i quali gli dissero, che la vedova Sinforosa e i suoi sette figli, li “straziavano ogni giorno invocando il suo Dio, perciò, se Sinforosa e i suoi figli sacrificheranno per loro, essi faranno quanto l’imperatore gli chiedeva”. Adriano allora, chiamò il prefetto Licinio, e ordinò che Sinforosa fosse insieme ai suoi figli arrestata e condotta al tempio di Ercole. 



Poi con lusinghe, con minacce e con ricatti, cercò di farla desistere e a sacrificare agli idoli, ma la Santa con animo nobile si appella all’esempio di Getulio e degli altri compagni di martirio del marito. Visto che la donna non si piegava ai suoi voleri, l’imperatore rinnovò di sacrificare insieme ai suoi figli agli dei pagani, oppure sarebbero stati sacrificati essi stessi, ma la Santa fu irremovibile, come pure lo fecero i suoi sette figli. 



L’imperatore, visto vano ogni tentativo, ordinò che Santa Sinforosa fosse torturata a sangue. Dalla tortura però l’imperatore non ci ricavò nulla, e spazientito da quella resistenza, diede ordine alle guardie di legare un grosso sasso al collo di Sinforosa, e di gettarla nel fiume Aniene, affinché annegasse. 

Poi venne la volta dei figli; furono presi da parte, e l’imperatore chiese a loro di sacrificare agli dei. Vista la resistenza dei ragazzi, ordinò che fossero condotti anch’essi al tempio di Ercole, dove con minacce e con lusinghe tentava condurli dalla sua parte; ma visto che non ci riusciva, ne con le buone e ne con le cattive, l’imperatore ordinò che tutti e sette fossero posti alla tortura, ed infine fossero trafitti con la spada, poi li fece gettare in una fossa comune e profonda del territorio tiburtino, che i pontefici chiamarono “ai sette assassinati”. 



Dopo circa 2 anni, essendosi calmato il furore delle persecuzioni contro i cristiani, il fratello della martire Sinforosa, Eugenio “principalis curiae Tiburtinae”, ne raccolse i corpi e li seppellì “in suburbana eiusdem civitatis”. 



Il giorno 18 luglio il M.R. riporta quanto segue: “A Tivoli santa Sinforosa, moglie di san Getulio Martire, con sette suoi figlioli, cioè Crescente, Giuliano, Nemesio, Primitivo, Giustino, Statteo ed Eugenio. La loro madre, sotto il Principe Adriano, per l’insuperabile costanza, prima fu lungamente percossa con guanciate, quindi sospesa per i capelli, e da ultimo legata ad un sasso, precipitata nel fiume; i figli poi, legati a pali e stirati cogli argani, con diverso genere di morte compirono il martirio. I loro corpi furono trasportati a Roma, e sotto il Papa Pio quarto, furono ritrovati nella Diaconia di sant’Angelo in Pescheria”. 



La passio ci dice ancora che il “Natalis vero sanctorum martyrum Christi beatae Symphorosae et septem filiorum ejus Crescentis, Juliani, Nemesii, Primitivi, Justini, Stattei et Bugenii celebratur sub die XV Kalendas Augusti. Eorum corpora requiescunt in Via Tiburtina milliario ab Urbe nono…”. 



Oggi noi consociamo una chiesa dedicata alla Santa nei pressi di Bagni di Tivoli. Durante le lotte per le investiture tra papato e impero, l’imperatore Enrico V nel ricondurre Papa Pasquale II a Roma, si accampò nel “Campo qui Septem fratum dicitur”, dove un tempo si vedevano dei ruderi di un’antica chiesa dedicata a Santa Sinforosa e sette figli, e dove i proprietari di questo terreno hanno eretto nel 1939, proprio sulla collinetta dinanzi al nuovo santuario, una magnifica cappella, dedicandola a questa Santa e ai suoi sette figli martiri.