Visualizzazione post con etichetta Sant'Alfonso Maria de' Liguori. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Sant'Alfonso Maria de' Liguori. Mostra tutti i post

lunedì 8 febbraio 2016

Apparecchio alla Morte. LIBRO AUREO che "se vende como pan caliente"

S. Alfonso Maria de Liguori
Apparecchio alla Morte

IntraText CT - Lettura del testo
  • CONSIDERAZIONE XXIII - INGANNI CHE 'L DEMONIO METTE IN MENTE A' PECCATORI
  • PUNTO I
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

- 217 -


PUNTO I
Figuriamo che un giovinecaduto in peccati gravi, se ne sia già confessato, ed abbia già ricuperata la divina grazia. Il demonio di nuovo lo tenta a ricadere: il giovine resiste ancora: ma già vacilla per gl'inganni, che gli suggerisce il nemicoGiovinedico io, dimmi che vuoi fare? vuoi perdere ora la grazia di Dio, che già hai acquistata e che vale più di tutto il mondo, per questa tua misera soddisfazione? vuoi tu stesso scriverti la sentenza di morte eterna, e condannarti ad ardere per sempre nell'inferno? «No», tu mi dici, «non voglio dannarmi, voglio salvarmi; se farò questo peccato, appresso me lo confesserò». Ecco il primo inganno del tentatore. Dunque mi dici che appresso te lo confesserai; ma frattanto già perdi l'anima.Dimmi se avessi in mano una gioia, che valesse mille ducati, la butteresti tu in un2 fiume con dire: appresso farò diligenza e spero di ritrovarla? Tu hai in mano questa bella gioiadell'anima tua che Gesu-Cristo l'ha comprata col suo sangue, e tu la butti volontariamente nell'inferno (poiché peccando secondo la presente giustizia già resti dannato) e dici: Ma sperodi ricuperarla colla confessione? Ma se poi non la ricuperi? Per ricuperarla vi bisogna un vero pentimento, il quale è dono di Dio; se Dio questo pentimento non te lo ? E se viene lamorte, e ti leva il tempo di confessarti?
Dici che non farai passare una settimana, e te lo confesserai. E

- 218 -


chi ti promette questa settimana di tempoDici che te lo confesserai domani, e chi ti promette questo domaniScrive S. Agostino:3 «Crastinum Deus non promisitfortasse dabit, etfortasse non dabit». Questo giorno di domani non te l'ha promesso Dio; forse te lo darà e forse te lo negherà, come l'ha negato a tanti, i quali si son posti vivi a letto la sera, e la mattinasi son trovati morti di subito. Quanti nello stesso atto del peccato il Signore l'ha fatti morire, e l'ha mandati all'inferno? E se fa lo stesso con te, come potrai più rimediare alla tua ruinaeternaSappi che con quest'inganno di dire, «poi me lo confesso», il demonio ne ha portati migliaia e migliaia di cristiani all'inferno, poiché difficilmente si trova un peccatore, sìdisperato, che voglia proprio dannarsi; tutti allorché peccanopeccano colla speranza di confessarsi, ma così poi tanti miserabili si son dannati, ed ora non possono più rimediarvi.
Ma tu dici: «Ora non mi fido4 di resistere a questa tentazione». Ecco il secondo inganno del demonio, il quale ti fa apparire che tu non hai forza di resistere alla passione presente.Primieramente bisogna che sappi che Dio (come dice l'Apostolo) è fedele, e non permette mai che noi siam tentati oltre le nostre forze: «Fidelis autem Deus est, qui non patietur vostentari supra id quod potestis» (1. Cor. 10. 13). Di più io ti dimando: Se ora non ti fidi5 di resistere, come ti fiderai appresso? Appresso il nemico non lascerà di tentarti ad altri peccati, ed allora egli sarà fatto assai più forte contra di te, e tu più debole. Se dunque non ti fidi ora di spegner questa fiamma, come ti fiderai di spegnerla, dopo ch'ella sarà fatta più grande?DiciDio mi darà l'aiuto suo. Ma Dio questo aiuto già presentemente te lo ; perché tu con questo aiuto non vuoi resistereSperi forse che Dio abbia da accrescerti gli aiuti e le grazie, dopo che tu hai accresciuti i peccati? E se vuoi al presente maggior aiuto e forza, perché non lo domandi a DioDubiti forse della fedeltà di Dio, che ha promesso di dare tutto ciò che gli si cerca? «Petite et dabitur vobis» (Matth. 7. 7). Iddio non può mancarericorri a Lui, ed egli ti darà quella forza che ti bisogna per resistere. «Deus impossibilia non iubet», parla ilconcilio di Trento,6 «sed iubendo monet et facere quod possis, et petere

- 219 -


quod non possis, et adiuvat ut possis» (Sess. 6. c. 13). Dio non comanda cose impossibili, ma dando i precetti, ci ammonisce a fare quel che possiamo coll'aiuto attuale che ci ; quando7 quell'aiuto non ci bastasse a resistere, ci esorta a cercare maggior aiuto, e chiedendolo8 allora ben Egli ce lo darà.
Dunque, mio Dio, perché Voi siete stato così buono con me, io sono stato così ingrato con Voi? Abbiamo fatto a gara, io a fuggire da Voi, e Voi a venirmi appresso: Voi a farmi bene, ed io a farvi male. Ah mio Signore, s'altro non fosse, la sola bontà che avete avuta con me mi dovrebbe innamorare di Voi; mentre, dopo ch'io ho accresciuti i peccati, Voi aveteaccresciute le grazie. E dove meritava io la luce che ora mi dateSignore mio, ve ne ringrazio con tutto il cuore e spero di venire a ringraziarvene per tutta l'eternità in paradiso. Iospero al11 vostro sangue di salvarmi, e lo spero certo, giacché mi avete usate tante misericordieSpero intanto che mi darete forza di non tradirvi più. Io propongo colla grazia vostra dimorir prima mille volte, che tornare ad offenderviBasta quanto v'ho offeso. Nella vita che mi resta, io vi voglio amare. E come non amerò un Dio, che dopo d'esser morto per me, mi ha sopportato con tanta pazienza, con tante ingiurie, che gli ho fatte? Dio dell'anima mia, me ne pento con tutto il cuore; vorrei morirne di dolore. Ma se per lo passato vi ho voltate lespalleora v'amo sopra ogni cosa, v'amo più di me stesso. Eterno Padre, per li meriti di Gesu-Cristo soccorrete un misero peccatore, che vi vuole amare.
Maria speranza mia, aiutatemi Voi; impetratemi la grazia di ricorrere sempre al vostro Figlio, ed a Voi, ogni volta che il demonio mi tenta ad offenderlo di nuovo.



2 [21.] in un) nel BR2.


3 [2.] Per il citato testo vedi la consid. XVIII, p. 174: [15.] Forse trattasi di un testo compilato mnemonicamente da diverse fonti, il cui nucleo principale appartiene a s. Agostino. S. AUGUST., In Ps. CI, sermo I, n. 10; PL 37, 1301: «Indulgentiam tibi Deus promisit; crastinum diem tibi nemo promisit». Cfr. CC 40, 1431. IDEM, In Ps. CXLIV, n. 11; PL 37, 1877: «Deus conversioni tuae indulgentiam promisit, sed dilationi tuae diem crastinum non promisit». Cfr. CC 40, 2097. S. GREGORIUS M., Homil. in Evang., l. I, hom. 12, n. 6; PL 76, 1122: «Sed qui poenitenti veniam spopondit, peccanti diem crastinum non promisit». Le ultime parole arieggiano una frase del Crisostomo riportata nel breviario. «Sed multis, inquis, dedit Deus spatium, ut in ultima senecta confiterentur. Quid igitur? Numquid et tibi dabitur? Fortasse dabit, inquis. Cur dicis fortasse? Contigit aliquoties? Cogita, quod de anima deliberas», ecc. (Dom. V august., in II noct., lect. V). Vedi CHRYSOST., In ep. II ad Cor., hom. 22; PG 61, 552.


4 [15.] Non mi fido, napoletanismo nel senso di non ho forza.


5 [21., 24. e 25.] Non ti fidi; fiderai, cioè non hai forza; avrai forza.


6 [34.] Conc. Tridentinum. Sessio VI, Decretum de iustificatione, c. 11.


7 [3.] quando) e quando BR2.


8 [5.] chiedendolo) chiedendo NS7.


9 [6.] Preghiera) Affetti e preghiere BR1 BR2.


10 [6.] Qui e nei 2 punti seguenti l'autore ha omesso «Affetti».


11 [15.] spero al) spero nel BR1 BR2.





Precedente - Successivo

sabato 30 gennaio 2016

ECCELLENZA DELLA PREGHIERA

I. - DELL'ECCELLENZA DELLA PREGHIERA 

E DEL SUO POTERE PRESSO DIO



Sono sì care a Dio le nostre preghiere, che Egli ha destinati gli Angeli a
presentargli subito quelle che da noi gli vengono fatte: "Gli Angeli, dice S.
Ilario, soprintendono alle orazioni dei fedeli, e ogni giorno le offrono a Dio"
(Cap. 18, in Matth.). Questo appunto è quel sacro fumo d'incenso, cioè le
orazioni dei Santi, che S. Giovanni vide ascendere al Signore, offertogli per
mano degli Angeli (Ap c. 8). Ed altrove (Ibid. c. 5), scrive il medesimo santo
Apostolo, che le preghiere dei Santi sono come certi vasetti d'oro pieni di odori
soavi, e molto graditi a Dio.

Ma per meglio intendere quanto valgano presso Dio le orazioni, basta leggere
nelle divine scritture le innumerabili promesse che fa Dio a chi prega, così
nell'antico come nel nuovo Testamento: Alza a me le tue grida, ed io ti
esaudirò (Ger 33,3). Invocami, ed io ti libererò (Sal 49,15). Chiedete; ed
otterrete: cercate, e troverete: picchiate, e vi sarà aperto (Mt 7,7). Concederà
il bene a coloro che glielo domandano (Mt 7,11). Imperciocché chi chiede
riceve, e chi cerca trova (Lc 11,10). Qualsiasi cosa domanderanno, sarà loro
concessa dal Padre mio (Mt 18,19). 

Qualunque cosa domandiate nell'orazione,
abbiate fede di conseguirla, e la otterrete (Mr 11,24). Se alcuna cosa

domanderete nel nome mio, io la darò (Gv 14,14). Qualunque cosa vorrete, la
chiederete, e vi sarà concessa (Gv 15,7). In verità, in verità vi dico, che
qualunque cosa domandiate al Padre nel nome mio, ve la concederà (Gv
16,23). E vi sono mille altri testi consimili, che per brevità si tralasciano.


Iddio ci vuol salvi, ma per nostro maggior bene ci vuol salvi da vincitori. Stando
adunque in questa vita, abbiamo da vivere in una continua guerra, e per
salvarci abbiamo da combattere e vincere. "Nessuno, dice S. Giovanni
Crisostomo, potrà essere coronato senza vittoria" (Serm. I De Martyr.). Noi
siamo molto deboli, ed i nemici sono molti, ed assai potenti: come potremmo
loro far fronte, e superarli? Animiamoci, e dica ciascuno, come diceva
l'Apostolo: Tutte le cose mi sono possibili, in Colui che è mio conforto (Fil
4,13). 

Tutto potremo con l'orazione, per mezzo della quale il Signore ci darà
quella forza che noi non abbiamo. Scrisse Teodoreto, che l'orazione è
onnipotente; ella è una, ma può ottenere tutte le cose. E S. Bonaventura asserì
che per la preghiera si ottiene l'acquisto di ogni bene, e lo scampo da ogni
male (In Luc. 2). 

Diceva san Lorenzo Giustiniani, che noi per mezzo della
preghiera ci fabbrichiamo una torre fortissima dove saremo difesi e sicuri da
tutte le insidie e violenze dei nemici (De cast. connub. c. XXII). Sono forti le
potenze dell'inferno, ma la preghiera è più forte di tutti i demoni, dice san
Bernardo (Serm. 49, De modo bene viv. 5). Sì, perché con l'orazione l'anima
acquista l'aiuto divino, che supera ogni potenza creata. 

Così si animava Davide
nei suoi timori: Io, diceva, chiamerò il mio Signore in aiuto, e sarò liberato da
tutti i nemici (Sal 17,4). Insomma, dice S. Giovanni Crisostomo, l'orazione è
un'arma valevole a vincere ogni assalto dei demoni, è una difesa, che ci
conserva in qualunque pericolo; è un porto, che ci salva da ogni tempesta; ed
è un tesoro insieme, che ci provvede d'ogni bene (In Ps. 145).

lunedì 30 novembre 2015

CHIEDI CON FEDE SENZA NIENTE ESITARE

IV. - PREGARE CON FIDUCIA.

Eccellenza e necessità della fiducia


L'avvertimento principale che ci fa l'Apostolo S. Giacomo, se vogliamo con la preghiera ottenere da Dio le grazie, è che preghiamo con confidenza sicura di essere esauditi se preghiamo, come si deve, senza esitare: Ma chieda con fede senza niente esitare (Gc 1,6). Insegna S. Tommaso, che l'orazione, siccome prende la forza di meritare dalla carità, così all'incontro ha efficacia di impetrare dalla fede e dalla confidenza (2, 2.ae, q. 83, a. 15). Lo stesso insegna S. Bernardo, dicendo che la sola nostra confidenza è quella che ci ottiene le divine misericordie (Serm. III, De annunt.).




Troppo si compiace il Signore della nostra confidenza nella sua misericordia perché allora noi veniamo ad onorarlo ed esaltare quella sua infinita bontà, che egli col crearci ha inteso di manifestare al mondo. Si rallegrino pure, o mio Dio, dice il profeta regale, tutti quelli che sperano in voi, poiché essi saranno eternamente beati, e voi sempre abiterete in essi (Sal 5,11). Iddio protegge e salva tutti coloro che in Lui confidano (Sal 17,31; Sal 16,7). 
Oh, le gran promesse che sono fatte nelle divine Scritture a coloro che sperano in Dio! Chi spera in Dio non cadrà in peccato (Sal 33,22). 
Sì, perché dice David: il Signore tiene gli occhi rivolti a tutti coloro che lo temono e confidano nella sua bontà per liberarli col suo aiuto dalla morte del peccato (Sal 32,18-19). 
Ed in altro luogo dice il medesimo Dio: Perché egli ha sperato in me, lo libererò, lo proteggerò... lo trarrò (dalla tribolazione), e lo glorificherò (Sal 90,14-15). 

Si noti la parola perché egli ha confidato in me, io lo proteggerò, lo libererò dai suoi nemici, e dal pericolo di cadere; e finalmente gli darò la gloria eterna. Parlando Isaia di coloro che ripongono la loro speranza in Dio dice: Questi lasceranno di esser deboli come sono, ed acquisteranno in Dio una gran fortezza; non mancheranno, anzi neppure proveranno fatica nel camminare la via della salute, ma correranno e voleranno come aquile (Is 40,31).
Tutta insomma la nostra fortezza, ci avvisa lo stesso Profeta, consiste nel mettere tutta la nostra confidenza in Dio, e nel tacere, cioè nel riposare nelle braccia della sua misericordia, senza fidare alle nostre industrie, ed ai mezzi umani (Is 30,15).




E dove mai s'è dato il caso che alcuno abbia confidato in Dio, e si sia perduto? (Ecli 2,11). Questa confidenza era quella che teneva sicuro Davide di non aversi mai a perdere: In te ho posta la mia speranza, non resti io confuso giammai (Sal 30,1). 
E che forse, dice sant'Agostino, Iddio può essere ingannatore, mentre egli si offre a sostenerci nei pericoli, se a lui ci appoggiamo, e poi vorrà da noi sottrarsi, quando ad esso ricorriamo? 
David chiama beato chi confida nel Signore (Sal 33,13). E perché? Perché, dice lo stesso profeta, chi confida in Dio, si troverà sempre circondato dalla divina misericordia (Sal 31,10). Sicché costui sarà talmente d'ogni intorno cinto e guardato da Dio, che resterà sicuro dai nemici e dal pericolo di perdersi.

Perciò l'Apostolo tanto raccomanda di conservare in noi la confidenza in Dio, la quale (ci avvisa) certamente riporta da Lui una gran mercede (Eb 10,35). 

Quale sarà la nostra fiducia, tali saranno le grazie che riceveremo da Dio; se sarà grande la fiducia, grandi saranno ancora le grazie. 
Scrive S. Bernardo, che la divina misericordia è una fonte immensa; chi vi porta il vaso più grande di confidenza, quegli ne riporta maggior abbondanza di beni (Serm. 3, De annunt.). 
E già prima lo espresse il Profeta dicendo: Sia sopra di noi, o Signore, la tua misericordia conforme noi in te abbiamo sperato (Sal 32,22). 
Ciò ben si avverò nel Centurione, a cui disse il Redentore, lodando la sua confidenza: Va', e ti sia fatto conforme hai creduto (Mt 8,13). 

E rivelò il Signore a S. Geltrude che chi lo prega con confidenza, gli fa in certo modo tanta violenza, che egli non può non esaudirlo in tutto ciò che gli cerca. La preghiera, dice S. Giovanni Clìmaco, fa violenza a Dio, ma violenza che gli è cara e gradita (Scal. gr. 28).




Accostiamoci adunque, ci avvisa san Paolo, con fiducia al trono di grazia, a fine di ottenere misericordia, e trovare grazia per opportuno sovvenimento (Eb 4,16). Il trono della grazia è Gesù Cristo, che al presente siede alla destra del Padre, non in trono di giustizia, ma di grazia, per ottenerci il perdono, se ci ritroviamo in peccato, e l'aiuto a perseverare, se godiamo la sua amicizia. 

A questo trono bisogna che ricorriamo sempre con fiducia, cioè con quella confidenza che ci dà la fede nella bontà e fedeltà di Dio, il quale ha promesso di esaudire chi lo prega con confidenza, ma con confidenza stabile e sicura. Chi all'incontro lo prega con esitazione, dice S. Giacomo, che costui non pensi di ricevere niente: Imperocché chi esita è simile al flutto del mare mosso e agitato dal vento. Non si pensi dunque un tal uomo di ottenere cosa alcuna dal Signore (Gc 1,6-7). Niente riceverà perché la sua ingiusta diffidenza, da cui viene agitato, impedirà alla divina misericordia di esaudire le sue domande. 

«Non hai ricevuto la grazia, dice S. Basilio, perché l'hai domandata senza confidenza» (Const. Monac. c. 2). 

Disse Davide, che la nostra confidenza in Dio dev'essere ferma come un monte, che non si muove a qualunque urto di vento: Coloro che confidano nel Signore, sono come il monte Sion; non sarà vacillante in eterno chi abita in Gerusalemme (Sal 124,1). E ciò è quello di cui ci ammonì il Redentore, se vogliamo ottenere la grazia che cerchiamo. Qualsivoglia grazia che domandiate, state sicuri di averla e così l'otterrete (Mr 11,24).


VIENI SIGNORE GESU', 
NOI TI ATTENDIAMO. AMEN.

giovedì 29 ottobre 2015

Cinquanta volte al giorno offriva a Dio il Sangue del Redentore per i peccatori




Dobbiamo pregare per i peccatori

Per altro non si mette in dubbio, che le orazioni degli altri molto giovano ai peccatori, e sono molto gradite a Dio; 
e Dio si lamenta dei servi suoi che non gli raccomandano i peccatori, come se ne lamentò con S. Maria Maddalena de' Pazzi; onde le disse un giorno: "Vedi, figlia mia, come i cristiani stanno nelle mani del demonio; se i miei diletti con le loro orazioni non li liberassero, resterebbero divorati". 

Ma specialmente ciò lo desidera il Signore dai sacerdoti e dai religiosi. Diceva la suddetta Santa alle sue monache: "Sorelle, Iddio non ci ha separate dal mondo perché facciamo bene solo per noi, ma ancora perché noi lo plachiamo a favore dei peccatori". 

E il Signore stesso un giorno disse alla medesima: "Io ho dato a voi, elette spose, la città di rifugio, cioè la Passione di Gesù Cristo, acciocché abbiate dove ricorrere per aiutare le mie creature: perciò ricorrete ad essa, ed ivi porgete aiuto alle mie creature, che periscono, e mettete la vita per esse". 

Quindi la Santa infiammata di santo zelo, cinquanta volte al giorno offriva a Dio il Sangue del Redentore per i peccatori, e si consumava per desiderio della loro conversione, dicendo: "Oh che pena è, o Signore, il vedere di poter giovare alle tue creature, con mettere la vita per esse, e non poterlo fare!". 


AVE MARIA!

sabato 1 agosto 2015

Attendete alla vostra salvezza con timore e tremore (Fil 2,12)



Lettera spirituale


[Cette lettre en français]
[This letter in English]
[Dieser Brief auf deutsch]
[Deze brief in het Nederlands]
[Esta carta en español]


Carissimo/a Amico/a,

Il 22 settembre 1774: papa Clemente XIV è morente. Dopo aver soppresso l'ordine dei Gesuiti (impegolati con le banche del tempo), pare non riuscisse a ritrovare la pace del cuore. Dio, nella sua misericordia, gli invia per assisterlo nei suoi ultimi istanti un santo, Alfonso de' Liguori, allora vescovo di Sant'Agata dei Goti. Ora, nel momento in cui egli assiste il Papa a Roma, il santo vescovo è presente nel suo vescovado a 200 km di distanza. Si tratta di un fenomeno di bilocazione, miracolo veramente straordinario, ma chiaramente attestato dai testimoni oculari.

Alfonso Maria de' Liguori nasce a Napoli, il 27 settembre 1696, primogenito di una famiglia che conterà sette figli. Sua madre li istruisce sulle verità della fede fin dalla più tenera età e insegna loro a pregare. Questo ragazzo è dotato di un'intelligenza vivace, di una memoria pronta, di una ragione retta, di un cuore aperto a tutti i nobili sentimenti, di una volontà ferma ed energica. Suo padre vuole fare di lui un avvocato. I suoi progressi sono così rapidi nello studio della giurisprudenza che, all'età di sedici anni, supera con successo l'esame del dottorato in diritto civile ed ecclesiastico. I giudici sono stupiti della saggezza delle sue risposte e della precisione delle sue repliche.

Avvocato, Alfonso riporta un successo dopo l'altro, il che non manca di dargli il gusto della riuscita e della gloria del mondo. Tuttavia, è tentato di abbandonare questa strada: l'inganno e la menzogna troppo spesso snaturano le cause più giuste, e questo spettacolo rivolta la sua natura retta. Assiduo nella preghiera e in varie opere di carità, mantiene pura la sua anima. Una volta all'anno, si reca in una casa religiosa per dedicarsi agli esercizi spirituali. Riconoscerà in seguito che questi ritiri avevano significativamente contribuito a distaccarlo dai beni temporali per orientarlo verso Dio. Durante la Quaresima 1722, in particolare, il predicatore ricorda i motivi che devono portare l'anima a darsi interamente a Dio; ritrae in modo vivido la caducità delle cose di questo mondo, e non teme di mettere sotto gli occhi dei partecipanti al ritiro i tormenti eterni dell'inferno, così come li ha rivelati Gesù. Si fa allora luce nello spirito del giovane Alfonso: le vanità del mondo si dileguano come altrettante nuvole! Egli si consacra senza riserve alla volontà divina e, qualche tempo dopo, decide di rimanere celibe.

Nel 1723, si parla molto a Napoli di un importante processo intentato dal duca Orsini contro il granduca di Toscana. Molti sono gli avvocati che ambiscono a questo caso, ma Orsini affida la sua difesa ad Alfonso che, fino ad allora, non ha perso nessuna causa. Nel giorno previsto, quest'ultimo si presenta in tribunale e sostiene con chiarezza le rivendicazioni del suo cliente. Tutti i presenti sono ammirati. Ma il suo avversario produce allora un documento che Alfonso aveva avuto tra le mani, e che invalida in modo decisivo la sua argomentazione. Questi è sgomento: come ha potuto trascurare questo testo? Perso il processo, Alfonso si sente schiacciato sotto il peso dell'umiliazione. Tuttavia, tre giorni dopo, un'improvvisa chiarezza gli fa scoprire il motivo della sua distrazione: Dio non l'aveva accecato se non per strapparlo alle vanità della terra. Sotto l'impulso della grazia divina, egli ripete ora le parole che, in un accesso di stizza, aveva mormorato uscendo dall'udienza: «Tribunali, non mi vedrete più!» Dopo un periodo di preghiera e di penitenza, avverte che Dio lo chiama allo stato ecclesiastico. Terminata la sua formazione, viene ordinato prete il 21 dicembre 1726.

La tentazione del sacerdote

Illuminato dallo Spirito Santo, Don Alfonso capisce che l'azione deve nascere dalla contemplazione, l'amore del prossimo dall'amore per Dio, lo zelo apostolico dalla vita interiore, e che la più grande tentazione del sacerdote è quella di voler infiammare le anime senza alimentare in se stesso il fuoco divino. Egli si assoggetta quindi, fin dall'inizio della sua vita sacerdotale, agli esercizi quotidiani senza i quali la vita interiore si spegne: orazione, santa Messa, Ufficio divino, lettura, devozione mariana – soprattutto il rosario. Sapendo di aver bisogno di essere guidato, sottomette volentieri la sua vita spirituale ai consigli di un altro.

Il giovane sacerdote predica il Vangelo a tutti, ma più volentieri ai poveri. Pieno dalla sacra scienza, lontano da ogni affettazione, appare sul pulpito con l'autorità di un uomo di Dio che comunica alla gente non la sua propria dottrina, ma quella del Maestro che lo ha inviato. Toccato dalla compassione di fronte all'ignoranza religiosa delle popolazioni rurali, don Alfonso fonda con diversi compagni, nel novembre 1732, un nuovo Istituto religioso che prenderà il nome di «Congregazione del Santissimo Redentore». Pieni di fervore nel contemplare la sovrabbondanza della redenzione acquistata da Cristo sulla Croce, i Redentoristi si dedicano alla predicazione di missioni ai poveri, al fine di istruirli sulle verità fondamentali della fede, e di illuminarli per quanto riguarda il grande «negozio» e l'«affare».

Don Alfonso scriverà in effetti: «Il negozio della nostra eterna salute è il negozio, che importa tutto: importa o la nostra fortuna o la nostra rovina eterna. Egli va a terminare all'eternità, viene a dire a salvarci o a perderci per sempre: ad acquistarci un'eternità di contenti o un'eternità di tormenti: a vivere una vita o sempre felice o sempre infelice» (Via della Salute [VS], 1a Meditazione). La salvezza delle anime è al centro delle preoccupazioni della Chiesa, come lo ha ricordato papa Benedetto XVI rivolgendosi ai vescovi dell'America Latina: «Il nostro Salvatore vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità (1Tm 2,4-6). Questa, e non altra, è la finalità della Chiesa: la salvezza delle anime, una ad una» (11 maggio 2007). «Gran cosa! scrive ancora don Alfonso. Ognuno si vergogna d'esser chiamato negligente ne' negozi del mondo; e poi tanti non si vergognano di trascurare il negozio dell'eternità, che importa tutto!« Negozio «importante», negozio «unico», negozio «irreparabile»« Non v'è errore simile all'errore di trascurare la salute eterna. A tutti gli altri errori vi è rimedio: se uno perde una roba, può acquistarla per altra via; se perde un posto, può esservi il rimedio a ricuperarlo; ancorché taluno perdesse la vita, se si salva, è rimediato a tutto. Ma per chi si danna, non vi è più rimedio. Una volta si muore; perduta l'anima una volta, è perduta per sempre« » (Apparecchio alla morte [AM], 12Considerazione). Non vi è quindi sventura più grande che mancare la propria salvezza.

Senza attendere

Dobbiamo quindi prepararci alla morte che può sopraggiungere in qualsiasi momento. «Bisogna persuaderci che il tempo della morte non è proprio per aggiustare i conti, affin di assicurare il gran negozio dell'eterna salute. I prudenti del mondo negli affari di terra prendono a tempo opportuno tutte le misure per ottenere quel guadagno, quel posto, quel matrimonio; per la sanità del corpo non differiscono punto i rimedi necessari. Che diresti di taluno, che dovesse andare a qualche duello o concorso di cattedra, se volesse attendere ad istruirsi, quando è già arrivato il tempo?« Tale appunto è quel cristiano, che si riduce ad aggiustar la coscienza, quando è arrivata la morte» (AM, 10a Considerazione). Commentando queste parole di san Paolo: Attendete alla vostra salvezza con timore e tremore (Fil 2,12), don Alfonso scriverà ancora: «Per salvarci bisogna che tremiamo di dannarci, e tremiamo non tanto dell'inferno, quanto del peccato, che solo può condurci all'inferno. Chi trema del peccato, fugge le occasioni pericolose, spesso si raccomanda a Dio, piglia i mezzi per conservarsi in grazia. Chi fa così, si salva; e chi non fa così, è moralmente impossibile che si salvi» (VS, 6a Meditazione).

La gente della campagna che beneficia delle missioni riceve con avidità queste sante verità, e si prepara al sacramento della Penitenza. I missionari, fedeli ministri della riconciliazione, trascorrono lunghe ore in confessionale. Qui, da veri medici delle anime, sanno consolare gli afflitti. «Quanto più un'anima è sprofondata nel male, dice don Alfonso, tanto più bisogna accoglierla bene, al fine di strapparla agli artigli del nemico». L'ascolto del penitente con pazienza e dolcezza contribuisce a disporlo all'assoluzione, o immediatamente o dopo un tempo di prova. Come penitenza sacramentale, don Alfonso impone esercizi di pietà molto semplici, ma di natura tale da allontanare dal peccato e ravvivare il fervore. Sollevate dai loro peccati, queste persone ricevono in seguito la santa Comunione, e se ne vanno a raccontare la loro felicità agli abitanti dei borghi più remoti, glorificando così la misericordia di Dio. «Iddio non sa voltar la faccia a chi ritorna a' piedi suoi; no, poiché Egli stesso l'invita e gli promette di riceverlo subito che viene. Revertere ad me, et suscipiam te (Ger 3,1). Convertimini ad me, convertar ad vos, ait Dominus (Zac 1,3). Oh l'amore e la tenerezza con cui abbraccia Dio un peccatore che a Lui ritorna!« Si gloria il Signore di usar pietà e di perdonare i peccatori» (AM, 16a Considerazione).

L'abbondanza della redenzione

Di fronte al rigorismo giansenista che faceva di Dio un giudice severo senza misericordia, padre Alfonso, che aveva scelto per motto «Copiosa apud Eum redemptio: grande presso di Lui la redenzione» (Sal 129 [130]), insiste sulla bontà di Gesù e sul suo amore per tutti gli uomini. Nello stesso tempo, egli mette in guardia contro coloro che, allontanando il pensiero della giustizia divina, predicano solo l'amore. L'amore divino, per essere solido e duraturo, deve fondarsi su una fede integrale: Dio è infinitamente buono, ma anche infinitamente giusto. «La misericordia di Dio è infinita, egli scrive, ma gli atti di questa misericordia (che sono le misurazioni) son finiti. Dio è misericordioso ma è ancora giusto« La misericordia sta promessa a chi teme Dio, non già a chi se ne abusa. Et misericordia eius timentibus eum (Lc 1,50), come cantò la divina Madre. Agli ostinati sta minacciata la giustizia; e siccome (dice S. Agostino) Dio non mentisce nelle promesse; così non mentisce ancora nelle minacce: «Qui verus est in promittendo, verus est in minando». Guardati, dice S. Gio. Grisostomo, quando il demonio (ma non Dio) ti promette la divina misericordia, affinché pecchi... » (AM, 17a Considerazione).

La cosa più importante

Ma come imprimere questa giusta rappresentazione di Dio, nello stesso tempo misericordioso e giusto, nelle anime? Eco fedele della tradizione, Alfonso de' Liguori risponde: con la preghiera quotidiana. Nel suo pensiero, l'arte di amare Dio s'identifica con l'arte di meditare o di fare orazione, perché è nella meditazione che l'anima acquisisce la conoscenza di Dio e s'innamora di Lui. Così, il suo libro più importante, come riconosce egli stesso, è Del gran mezzo della preghiera. In questa opera, Alfonso spiega: l'uomo, a causa delle conseguenze del peccato originale, è attratto verso il male, e non può con i propri mezzi resistervi in ogni momento; in effetti, solo la grazia di Dio rende possibile l'osservanza di tutti i comandamenti, che è necessaria per la salvezza. «Poiché enunciano i doveri fondamentali dell'uomo verso Dio e verso il prossimo, i dieci comandamenti rivelano, nel loro contenuto essenziale, obbligazioni gravi. Sono sostanzialmente immutabili e obbligano sempre e dappertutto. Nessuno potrebbe dispensare da essi« Quanto Dio comanda, lo rende possibile con la sua grazia» (Catechismo della Chiesa Cattolica, [CEC] 2072, 2082). Oppure, come dice sant'Agostino, «Dio vuole donare le sue grazie, ma le dona solo a chi le chiede». Contrariamente a coloro che affermano che l'osservanza dei comandamenti non è possibile in certi casi concreti, lo stesso Dottore risponde: «Che l'uomo che vuole e non può riconosca che non vuole ancora pienamente, e che preghi al fine di avere una volontà abbastanza grande per compiere i comandamenti». Questo è il motivo per cui sant'Alfonso scrive: «Dio non nega ad alcuno la grazia della preghiera, colla quale si ottiene da Dio l'aiuto a vincere ogni concupiscenza, ed ogni tentazione« E dico, e replico, e replicherò sempre sino che ho vita, che tutta la nostra salute sta nel pregare». Di qui il famoso assioma, ripreso dal Catechismo: «Chi prega, certamente si salva; chi non prega certamente si danna » (CEC 2744).

Alcuni autori di quell'epoca [e della nostra no?], sotto l'influenza del protestantesimo e del giansenismo, tendevano a distogliere i fedeli dalla devozione alla Vergine santissima. Don Alfonso pubblica quindi nel 1750 Le Glorie di Maria [GM], che è un commento della Salve Regina; vi enuncia le prerogative della Madre di Dio: tutte le grazie passano attraverso le mani di Maria, e di conseguenza Maria è la nostra mediatrice necessaria (cfr. GM, cap. 5). 
In effetti, così come Maria è la Madre di Gesù, Dio vuole che sia la Madre di ogni uomo redento da Gesù. Così come ha portato Gesù nel suo grembo, ella ci porta nel suo cuore finché Cristo sia formato in noi. «Non si dubita che per li meriti di Gesù è stata conceduta tanta autorità a Maria di essere la mediatrice della nostra salute: non già mediatrice di giustizia, ma di grazia e d'intercessione» (ibid.). 
Don Alfonso vuole che si predichi sempre, nelle missioni, un sermone sulla Vergine Maria, Madre di Misericordia, e sulla necessità, per chi vuole perseverare e salvarsi, di ricorrere spesso alla sua intercessione. Egli scrive: «Così rivelò la stessa beata Vergine a S. Brigida (Rev. lib. I, cap. 6). «Io sono, le disse, la regina del cielo e la madre della misericordia; io sono l'allegrezza de' giusti e la porta per introdurre i peccatori a Dio. Né vi è nella terra peccatore che viva e sia così maledetto, che sia privato della misericordia mia« niuno, disse, è così discacciato da Dio, che, se m'abbia invocata in suo aiuto, non ritorni a Dio e goda della sua misericordia»« Maria a tal fine è stata fatta regina della misericordia, per salvare colla sua protezione i peccatori più grandi e più perduti che a lei si raccomandano» (GM, cap. 1).

Vivere con Gesù

Posto come principio che tutti i cristiani sono chiamati alla santità, che «consiste nell'amare Gesù Cristo nostro Dio, nostro sommo bene, nostro Salvatore», Alfonso pubblica diverse opere che aiutano a contemplare la sua vita: Novena del Santo NataleRiflessioni sulla Passione«Visite al Santissimo Sacramento«, e soprattutto Pratica di amar Gesù Cristo. Quest'arte vuole che si distacchi il proprio cuore da ogni creatura per unirlo alla volontà di Gesù, in modo che, così trasformato, ognuno possa esclamare con san Paolo: Vivo, ma non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me (Gal 2,20). Nelle sue opere Modo di conversare continuamente ed alla familiare con Dio e Uniformità alla volontà di Dio, Alfonso dà preziosi consigli per aiutare l'anima a vivere alla presenza del Signore, a parlargli da cuore a cuore e ad accettare dalla sua Mano amorevole tutto ciò che ci accade. Il santo pubblica anche altri scritti al fine di suscitare il desiderio di sacrificare tutto per seguire Gesù più da vicino: la Selva«, sui doveri dell'anima sacerdotale, e La vera sposa«, sui doveri degli uomini e delle donne che fanno professione dei consigli evangelici. 
Nella formazione delle giovani vocazioni, sant'Alfonso insiste perché si segua l'insegnamento di san Tommaso d'Aquino. 
Di fronte alla diversità delle opinioni, si adopera a rivedere la teologia morale con una saggezza tale che nel 1950 papa Pio XII gli conferirà il titolo di «celeste Patrono di tutti i confessori e moralisti». Di fronte al rigorismo, egli afferma che il sacerdote non deve negare l'assoluzione al penitente ben disposto, cioè veramente contrito e che ha il fermo proposito di non peccare più; di fronte al lassismo, non permette che si ammettano ai sacramenti le anime che non sono decise, con la grazia di Dio, a evitare ogni peccato grave.
Le prove non mancano nella giovane Congregazione dei Redentoristi. Nel 1752, il re delle Due Sicilie, Carlo III, decreta la spoliazione dei beni dell'istituto, facendoli passare nelle mani dei vescovi. 
In seguito, lo stesso Alfonso è costretto, dagli intrighi di alcuni dei suoi figli, ad abbandonare il suo posto e ad allontanarsi. Senza turbarsi, predica ai suoi la sottomissione alla volontà divina: «Il Signore, dice, vuol tirare avanti la Congregazione, non con applausi, e protezioni di Principi, e di Monarchi, ma con disprezzi, povertà, miserie, e persecuzioni; quando mai si è veduto, che le opere di Dio si sono cominciate con applauso? S. Ignazio all'ora era contento quando aveva nuove di persecuzioni, e travagli».

Nel 1762, padre Alfonso viene nominato vescovo di Sant'Agata dei Goti, piccola diocesi non lontano da Napoli. Malgrado l'esempio di molti prelati del suo tempo, per cui l'episcopato esige lusso e sfarzo, egli continua a condurre una vita povera e mortificata. Grazie alle sue predicazioni, in breve tempo tutta la città episcopale ha cambiato volto: confessioni e comunioni diventano più frequenti, le chiese si riempiono, la devozione alla Santa Vergine cresce in tutti i cuori. 
Preoccupato per il futuro della diocesi, egli esamina con cura i candidati al sacerdozio prima di imporre loro le mani. In un'epoca in cui le cariche ecclesiastiche remunerate attirano molte persone poco adatte a esercitare il ministero, il suo zelo lo porta a respingere i candidati indegni. 
Il lassismo più o meno generale dell'epoca ha provocato la rovina del fervore, anche all'altare. Uno dei principali oggetti della sollecitudine di mons. de' Liguori è il ripristino ovunque dell'esatta osservanza dei riti sacri

Infatti, allora come oggi, la gloria di Dio esige la dignità nel servizio dei divini misteri: «Troppo grande è il Mistero dell'Eucaristia perché qualcuno possa permettersi di trattarlo con arbitrio personale, che non ne rispetterebbe il carattere sacro e la dimensione universale« Tutti i fedeli, invece, godono del diritto di avere una liturgia vera e in particolar modo una celebrazione della santa Messa che sia così come la Chiesa ha voluto e stabilito» (Istruzione Redemptionis Sacra–mentum della Congre–gazione per il Culto Divino, 25 marzo 2004, nn. 11 e 12).

Immobilizzato per diciannove anni

A partire dal 1768, mons. de' Liguori viene colpito da una malattia che si estende a tutte le articolazioni del corpo. Ben presto le vertebre del collo si ripiegano su se stesse, costringendo il mento a premere fortemente sul petto, il che provoca una piaga viva e rende difficile la respirazione. Il santo rimarrà immobilizzato durante i diciannove anni che gli restano da vivere. Nonostante questa tortura, non lo si sente mai emettere un lamento. Rivolgendosi al grande crocifisso posto davanti a lui, egli esclama: «Signore vi ringrazio che mi date un saggio de' dolori che soffriste nei nervi quando vi conficcarono sulla croce. Voglio patire, Gesù mio, come, e quanto vuoi tu: dammi solo pazienza. Hic ure, hic feca, hic non parcas ut in æternum parcas (Brucia, taglia, non risparmiarmi quaggiù, ma risparmiami nell'eternità) ». Nel luglio 1775, Pio VI accetta le sue dimissioni dall'episcopato. Gli ultimi anni della sua vita sono occupati a scrivere e a difendere i suoi religiosi. Nel luglio 1787, mons. de' Liguori è prossimo alla morte. Nel momento in cui gli viene portato il santo Viatico, esclama: « Gesù mio, Gesù mio, non lasciarmi!» 

Il 1° agosto, tenendo sul cuore il crocifisso e l'immagine di Maria, si addormenta dolcemente nel Signore nel momento in cui la campana del convento suona l'Angelus. È stato dichiarato «Dottore della Chiesa» dal beato Pio IX nel 1871.
In occasione del secondo centenario della sua morte, il 1° agosto 1987, papa Giovanni Paolo II scriveva: «La popolarità del Santo deve il suo fascino alla brevità, alla chiarezza, alla semplicità, all'ottimismo, all'affabilità che arriva fino alla tenerezza. Alla radice di questo suo senso del popolo sta l'ansia della salvezza: salvarsi e salvare. Una salvezza che va fino alla perfezione, alla santità. Il quadro di riferimento della sua azione pastorale non esclude nessuno: egli scrive a tutti, scrive per tutti».
Sant'Alfonso Maria de' Liguori, ottienici la grazia di camminare risolutamente nella via della salvezza eterna e di trascinarvi il maggior numero di anime possibile!

Dom Antoine Marie osb