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giovedì 30 maggio 2013

Avvertimenti generali per perfezione


Avvertimenti generali per perfezione

138. 

I. Mettere tutta la confidenza in Dio, ed avere una totale diffidenza di sé e de' suoi buoni propositi. Una forte risoluzione di vincersi e farsi forza nelle occasioni. Dice s. Teresa: Se 'l difetto non viene da noi, non abbiamo paura che resti da Dio il darci aiuto per farci santi132


II. Guardarsi da ogni minimo difetto deliberato, cioè commesso ad occhi aperti. Da peccato deliberato (dice la stessa Santa)133 per molto piccolo che sia, Dio vi liberi. Poiché, soggiunge: Per mezzo di cose piccole il demonio va facendo buchi per dove entrano cose grandi134


III. Non inquietarsi dopo i difetti commessi; umiliarsi subito e, ricorrendo a Dio con un breve atto di pentimento e proposito, mettersi in pace; e così far sempre, sebbene si cadesse cento volte il giorno. E, come avverte s. Teresa135, non comunicare le proprie tentazioni coll'anime imperfette, perché così si nuoce a sé ed a quelle.



IV. Procurare il distacco da ogni cosa, da' parenti, dalle robe, da' piaceri; altrimenti, dice s. Teresa: Non allontanandosi l'anima da' gusti del mondo, presto si tornerà ad allontanare dalla via del Signore136. Sfuggire la familiarità di persone di diverso sesso, sebbene siano divote, colle quali intromette spesso il demonio certi affettucci non puri, facendoli apparire spirituali. Vedasi ciò che si è notato al n. 85. Bisogna sopra tutto distaccarsi dalla stima propria e principalmente dalla propria volontà e fin anche dalle cose spirituali, come dall'orazione, dalla comunione e mortificazioni, quando l'ubbidienza non le permette. In somma bisogna cacciare dal cuore ogni cosa che non è Dio o non è secondo il maggior gusto di Dio.



V. Rallegrarsi collo spirito in vedersi disprezzata, derisa e tenuta per la peggiore di tutte. O che bella orazione fa un'anima che abbraccia i disprezzi! Specialmente nelle comunità questa è una delle virtù più necessarie. Con ciò bisogna fomentare un affetto speciale verso i nostri nemici e persecutori, con servirli, far loro bene, onorarli, almeno dirne bene e raccomandarli particolarmente a Dio, come han praticato i santi.



VI. Avere un gran desiderio di amare assai Dio e dagli gusto. Dice s. Teresa: Il Signore si compiace talmente dei desideri, come fossero eseguiti137. Senza questo desiderio l'anima non camminerà avanti nella perfezione, né Dio le farà grazie molto speciali. La stessa Santa dice: Ordinariamente Dio non fa molti segnalati favori, se non a chi ha molto desiderato il suo amore138. E col desiderio bisogna sempre unire la risoluzione di far quanto si può per dar gusto a Dio. S. Teresa: Il demonio ha gran paura d'anime risolute139. Ed altrove: Il Signore non suole più da noi che una risoluzione, per fare poi Egli tutto dal canto suo140. E con ciò bisogna anche nutrire un grande affetto all'orazione, ch'è la fornace dove s'accende l'amor divino. Tutti i santi, perché innamorati di Dio, sono stati anche innamorati dell'orazione. Bisogna anche avere un ardente desiderio del paradiso, poiché nel cielo l'anime amano Dio con tutte le forze, al che non si può giungere in terra, e perciò vuole Dio che noi abbiamo un gran desiderio di questo gran regno che Gesù Cristo ci ha acquistato col sangue suo.



VII. Avere una grande uniformità alla volontà di Dio in tutte le cose contrarie a' nostri appetiti e perciò offerirsi spesso tra 'l giorno a Dio. S. Teresa ciò praticava141 cinquanta volte il giorno: Non consiste il guadagno, dice la Santa, in procurare di godere più Dio, ma in fare la sua volontà142. Ed in altro luogo: La vera unione è unire la nostra volontà con quella di Dio143



VIII. Osservare ubbidienza perfetta alle regole, a' superiori ed al padre spirituale. Diceva il v.p. Vincenzo Caraffa: L'ubbidienza è la regina di tutte le virtù, mentre all'ubbidienza tutte le virtù ubbidiscono144. E s. Teresa: Dio da un'anima che sia risoluta d'amarlo, non vuole altro che ubbidisca145. Il perfetto ubbidire sta poi nell'ubbidire subito, puntualmente, di buona voglia ed alla cieca, senza cercar ragioni, sempreché la cosa non sia certo peccato, come dicono s. Bernardo146, s. Francesco di Sales147, s. Ignazio di Loiola148 e tutti i maestri di spirito. E nelle cose dubbie eleggere ciò che si presume che ci direbbe l'ubbidienza: e quando questa presunzione non potesse aversi, eleggere quel ch'è più contrario al nostro genio. Questo è quel: Vince teipsum149, tanto raccomandato da s. Francesco Saverio150, e da s. Ignazio151 il quale diceva che fa più profitto un'anima mortificata in un quarto d'ora d'orazione, che altre non mortificate in più ore.



IX. Attendere continuamente alla presenza di Dio. Dice s. Teresa: Tutto il danno ci viene dal non attendere che Dio ci sta presente152. Chi veramente ama, sempre si ricorda dell'amato. Per conservare poi la memoria di questa divina presenza, giova in pratica il porsi qualche segno speciale sulla persona, sul tavolino o nella stanza. E sopra tutto bisogna mantener questa presenza con fare spesso tra 'l giorno atti d'amore a Dio e domande del suo s. amore: per esempio: Gesù mio, mio amore, mio tutto. Io t'amo con tutto il cuore. Mi dò tutto a te. Fanne di me quel che vuoi. Io non voglio altro che te e la tua volontà. Dammi l'amore tuo e son contento. E simili. Avvertasi però a fare questi atti senza violenza e senza andarvi trovando consolazione sensibile, ma con soavità e volontà pura, solo per dar gusto a Dio. Dicea s. Teresa: Non abbiam paura, che Dio lasci senza premio un'alzata d'occhi con ricordarsi di lui153



X. Dirigere l'intenzione di piacere a Dio in ogni azione che si fa, o sia spirituale o temporale, con dire: Signore, fo questo per darvi gusto. La buona intenzione si chiama l'alchimia spirituale, che fa diventare oro le azioni più materiali.



XI. Fare gli esercizi spirituali154, ogni anno di dieci o almeno di otto giorni, appartandosi allora, per quanto si può, da ogni conversazione ed impiego distrattivo, per trattare solamente con Dio. Fare un giorno di simil ritiro una volta il mese tra l'anno.
Far con divozione speciale le novene del s. Natale, dello Spirito Santo, delle sette feste di Maria, di s. Giuseppe, dell'Angelo custode e del santo avvocato155. In queste novene potrà usarsi la comunione ogni giorno, un'ora d'orazione, o mezz'almeno di più; alcune altre orazioni vocali, ma poche, poiché sarà più utile un determinato numero d'atti d'amore e simili.





XII. Conservare una divozione speciale a s. Giuseppe, al suo Angelo custode, al suo santo avvocato particolare ed a s. Michele, avvocato universale de' fedeli; ma sopra tutto a Maria ss. ch'è chiamata dalla Chiesa la nostra vita e la nostra speranza, poich'è moralmente impossibile che un'anima faccia molto avanzo nella perfezione senza una divozione particolare e tenera alla Madre di Dio.

Sia tutto ad onore di Gesù Cristo e di Maria Immacolata.





132Camino de perfección, 16, in Obras, 3, p. 77.


133.Conceptos del amor de Dios, 2, in Obras, 4, p. 233.



134Las fundaciones, 29, in Obras, 5, p. 283.



135Avisos... para sus monjas, 67, in Obras, 6, p. 53.



136Conceptos del amor de Dios, 2, in Obras, 4, pp. 233-234.
137. La Santa esprime pensiero analogo in Vida, 31, in Obras, 1p. 257.



138Conceptos del amor de Dios, 5, in Obras, 4, p. 254.



139Vida, 13, in Obras, 1, pp. 93-94.



140Las fundacioner, 28, in Obras, 5, p. 252.
141. Questo la Santa raccomandava alle sue monache: Avisos... para sus monjas, 30, in Obras, 6, p. 51.



142Las fundaciones, 5, in Obras, 5, p. 42.



143O. cit. 5, in Obras 5, p. 44.



144. P. Gisolfi, Vita del Ven. Carlo Carafa, cap. 31, init. (edit. Neap. 1858). (G. B.).



145Las fundaciones, 5, in Obras, 5, p. 40.



146Liber de praecepto et dispensatione, 21 (ML. 182, 873).
147Introduction à la vie dévote, 1, 4.



148Examen et Constitutiones Societatis Jesu, 3, 1, 23; 6, 1 et declarat. B, in Institutum Societatis Jesu, cit. 1, pp. 37 et 408.



149Vinci te stesso.



150. D. Bartoli, Della vita e dell'istituto di s. Ignazio, 4, 12, in Opere, Torino, Marietti, 1825, 2, p. 47.



151. D. Bartoli, O. cit. lcit. pp. 47-48.



152Camino de perfección, 50, (Autografo del Escorial)in Obras, 3, P. 307.



153Camino de perfección, 23, in Obras, 3, p. 110.



154. Ai fedeli che praticano gli esercizi spirituali per almeno tre giorni interi è concessa indulgenza plenaria; a chi partecipa al ritiro mensile, indulgenza parziale. Enchiridion, pp. 54 e 62, nn. 25 e 45.



155. Per le indulgenze accordate per le novene cfr. la nota 131 al n. 136. Quanto ai santi è concessa indulgenza parziale a chi nella festa d'un santo recita in onore di lui la orazione contenuta a suo onore nel Messale od altra, approvata dalla Autorità legittima. Enchiridion, p. 65, n. 54. 



MEMENTO DOMINE
verbi tui servo tuo

*Vangelo della Fede. Santa Petronilla e Santa Felicola.


4 marzo 1944.

Il martirio di S. Petronilla e S. Felicola.

Vedo due giovani donne in preghiera. Una preghiera ardentissima che deve proprio
penetrare nei cieli. Una è più matura. Pare quasi sui trent’anni; l’altra deve da poco aver passato i venti. Sembrano in perfetta salute tutte e due. 
Poi si alzano e preparano un piccolo altare su cui dispongono lini preziosi e fiori.
Entra un uomo vestito come i romani dell’epoca, che le due giovani salutano con la massima venerazione. Egli si leva dal petto una borsa dalla quale trae tutto quanto occorre per celebrare una Messa. Poi si riveste delle vesti sacerdotali e
inizia il Sacrificio.
Non comprendo benissimo il Vangelo, ma mi pare sia quello di Marco: “E gli presentarono dei bambini... chi non riceverà il regno di Dio come un fanciullo non c’entrerà”  Marco 10, 15; Luca 18, 17.
 Le due giovani, inginocchiate presso l’altare, pregano sempre più fervorosamente.

Il Sacerdote consacra le Specie e poi si volge a comunicare le due fedeli, cominciando dalla più anziana, il cui volto è serafico di ardore. 
Poi comunica l’altra. Esse, ricevute le Specie, si prostrano al suolo in profonda preghiera e
sembra restino così per pura devozione.
Ma quando il Sacerdote si volge a benedire e scende dall’altare collocato su una
pedana di legno - dopo la celebrazione del rito, che è uguale a quella di Paolo nel Tullianum . Solo qui il celebrante parla più piano, date le due sole fedeli; ecco perché capisco meno il Vangelo  - una soltanto delle giovani si
muove. L’altra rimane prostrata come prima. La compagna la chiama e la scuote.
Si china anche il Sacerdote. La sollevano. Già il pallore della morte è su quel viso, l’occhio semispento naufraga sotto le palpebre, la bocca respira a fatica.
Ma che beatitudine in quel viso!
La adagiano su una specie di lungo sedile che è presso una finestra aperta su un cortile, in cui canta una fontana. E cercano soccorrerla. Ma, radunando le forze, ella alza una mano e accenna al cielo e non dice che due parole:
“Grazia... Gesù” e senza spasimi spira.

Tutto ciò non mi spiega che c’entra la giovane legata alla colonna che ho visto
questa notte e che, per quanto molto più pallida e smagrita, spettinata, torturata, mi pare assomigli tanto alla superstite che ora piange presso la
morta. E resto così, nella mia incertezza, per qualche ora.

Soltanto ora che è sera ritrovo la giovane piangente prima, ora ritta presso la
fontana del severo cortile nel quale sono coltivate solo delle piccole aiuole di gigli e sui muri salgono dei rosai tutti in fiore.

La giovane parla con un giovane romano: “È inutile che tu insista, o Flacco. Io ti sono grata del tuo rispetto e del ricordo che hai per la mia amica morta. 
Ma non posso consolare il tuo cuore. Se Petronilla è morta, segno era che non
doveva essere tua sposa. Ma io neppure. Tante sono le fanciulle di Roma che sarebbero felici di diventare le signore della tua casa. Non io. Non per te. Ma perché ho deciso di non contrarre nozze”.
“Tu pure sei presa dalla frenesia stolta di tante seguaci di un pugno d’ebrei?”.
“Io ho deciso, e credo non esser folle, di non contrarre nozze”.
“E se io ti volessi?”.
“Non credo che tu, se è vero che mi ami e rispetti, vorrai forzare la mia libertà di cittadina romana. Ma mi lascerai  seguire il mio desiderio avendo
per me la buona amicizia che io ho per te”.
“Ah, no! Già una m’è sfuggita. Tu non mi sfuggirai”.
“Ella è morta, Flacco. La morte è forza a noi superiore, non è fuga di uno ad un
destino. Ella non s’è uccisa. È morta...”.
“Per i vostri sortilegi. Lo so che siete cristiane e avrei dovuto denunciarvi al Tribunale di Roma. Ma ho preferito pensare a voi come a mie spose. Ora per l’ultima volta ti dico: vuoi esser moglie del nobile Flacco? Io te lo giuro che è meglio per te entrare signora nella mia casa e lasciare il culto demoniaco del tuo povero dio, anziché conoscere il rigore di Roma che non permette siano insultati i suoi dèi. Sii la sposa mia e sarai felice. Altrimenti...”.
“Non posso esser tua sposa. A Dio sono consacrata. Al mio Dio. Non posso adorare
gli idoli, io che adoro il vero Dio. Fa’ di me quello che vuoi. Tutto puoi fare del corpo mio. Ma la mia anima è di Dio ed io non la vendo per le gioie della tua casa”.
“È la tua ultima parola?”.
“L’ultima”.

 “Sai che il mio amore può mutarsi in odio?”
“Dio te ne perdoni. Per mio conto ti amerò sempre come fratello e pregherò per il tuo bene”.
“Ed io farò il tuo male. Ti denuncerò. Sarai torturata. Allora mi invocherai. Allora comprenderai che è meglio la casa di Flacco alle dottrine stolte di cui ti nutri”.
“Comprenderò che il mondo, per non avere più dei Flacchi, ha bisogno di queste
dottrine. E farò il tuo bene pregando per te dal Regno del mio Dio”.
“Maledetta cristiana! Alle carceri! Alla fame! Ti sazi il tuo Cristo se lo può”.

Ho l’impressione che le carceri siano abbastanza prossime alla casa della vergine perché la strada è poca, e che il nobile Flacco sia né più né meno che
un segugio del Questore di Roma perché, quando la visione, mutando aspetto, mi riporta la sala già vista con la giovane legata alla colonna, vedo che è un tribunale come quello in cui fu giudicata Agnese. Ben poche sono le differenze e che, anche qui, vi è un brutto ceffo che giudica e condanna, e che Flacco gli fa da aiutante e aizzatore.

Felicola, estratta dalla muda dove era, viene portata in mezzo alla sala. Appare
sfinita di forze ma ancor tanto dignitosa. Per quanto la luce l’abbacini, debole
come è e abituata ormai al buio carcere, si tiene eretta e sorride. Le solite
domande e le solite offerte seguite dalle solite risposte: “Sono cristiana. Non sacrifico ad altro Dio che non sia il mio Signore Gesù Cristo”.

Viene condannata alla colonna.
Le strappano le vesti e nuda, alla presenza del popolo, la legano con le mani e i piedi dietro ad una delle colonne del Tribunale. Per fare ciò le slogano le anche e le slogano le braccia. La tortura deve essere atroce. E non basta, ma
torcono le funi ai polsi e alle caviglie, la percuotono sul petto e sul ventre
nudo con verghe e flagelli, le torcono le carni con tenaglie e altri così atroci supplizi che non sto a ridire.
Ogni tanto le chiedono se vuol sacrificare agli dèi. Felicola, con voce sempre più debole, risponde: “No. Al Cristo. A Lui solo. Or che lo comincio a vedere, ed ogni tortura me lo rende più vicino, volete che io lo perda? Compite la vostra opera. Che io abbia il mio amore compiuto. Dolci nozze di cui Cristo è sposo ed io sposa sua! Sogno di tutta la mia vita!”.

Quando la slegano dalla colonna, ella cade come morta per terra. Le membra slogate, forse anche spezzate, non la reggono più, non rispondono a nessun comando della mente. Le povere mani, segate ai polsi dalla fune che ha fatto due
braccialetti di sangue vivo, pendono come morte. I piedi, pure lacerati ai malleoli sino a mostrare i nervi e i tendini, appaiono chiaramente spezzati dal modo come stanno ripiegati in modo innaturale. Ma il volto è pieno di una felicità d’angelo.

Scendono le lacrime sulle gote esangui, ma l’occhio ride assorto in una visione
che l’estasia.
I carcerieri, meglio i boia, la colpiscono di calci, e a calci la spingono, come fosse un sacco tanto immondo da non poter esser toccato, verso la predella del Questore.
“Ancor viva sei?”.
“Sì, per volontà del mio Signore”.
“Ancora insisti? Vuoi proprio la morte?”
“Voglio la Vita. Oh! mio Gesù, aprimi il Cielo! Vieni, Amore eterno!”.
“Gettatela nel Tevere! L’acqua calmerà i suoi ardori”.
I boia la sollevano con mal garbo. La tortura delle membra spezzate deve essere
atroce. Ma ella sorride. La avvolgono nelle sue vesti, non per pudicizia ma per
impedirle di reggersi in acqua. Inutile cura! Con degli arti in quello stato, non si nuota. Solo la testa emerge dal viluppo delle vesti. Il suo povero corpo, gettato sulle spalle di un carnefice, pende come fosse già morta. Ma ella sorride alla luce delle fiaccole, perché ormai è sera.
Giunti al Tevere, come fosse un animale da sopprimersi, la prendono e dall’alto del ponte la precipitano nelle acque scure, sulle quali ella riaffiora due volte e poi si inabissa senza un grido.


Dice Gesù:

«Ti ho voluto far conoscere la mia martire Felicola per dare a te ed a tutti qualche insegnamento.
Tu hai visto il potere della preghiera nella morte di Petronilla, compagna e maestra di Felicola di cui era molto più anziana, e il frutto di una santa
amicizia.

Petronilla, figlia spirituale di Pietro, aveva assorbito dalla viva parola del
mio Apostolo lo spirito di Fede. Petronilla. La gioia, la perla romana di Pietro. Sua prima conquista romana. Quella che, per la sua rispettosa e amorosa devozione all’Apostolo, lo consolò di tutti i dolori della sua evangelizzazione
romana.

Pietro per amore mio aveva lasciato casa e famiglia. Ma Colui che non mente gli
aveva fatto trovare in questa fanciulla - e in maniera sovrabbondante, colma,
premuta, secondo le mie promesse Luca 6, 38. - conforto, cure, dolcezze femminili. Come Io
a Betania, egli in casa di Petronilla trovava aiuti, ospitalità e soprattutto amore. La donna è uguale, nel suo bene e nel suo male, sotto tutti i cieli e in
tutte le epoche. Petronilla fu la Maria (Maria di Magdala, sorella di Lazzaro e Marta di Betania) di Pietro, con in più la sua purezza di fanciulla che il Battesimo, ricevuto mentre ancora l’innocenza non aveva conosciuto oltraggio, aveva portato a perfezione angelica.


Maria, ascolta.
Petronilla, volendo amare il Maestro con tutta se stessa senza che la sua avvenenza e il mondo potessero turbare questo amore, aveva pregato il
suo Dio di fare di lei una crocifissa. E Dio la esaudì. La paralisi crocifisse le sue angeliche membra. Nella lunga infermità sul terreno bagnato dal dolore fiorirono più belle le virtù e specie l’amore per la Madre mia.
Ascolta ancora, Maria. Quando fu necessario, la sua malattia conobbe una sosta.
Per mostrare che Dio è padrone del miracolo. E poi, finito il momento, tornò a crocifiggerla.

Non conosci nessun’altra, Maria, alla quale il suo Maestro, come Pietro a Petronilla, non dica, quando gli occorre: “Sorgi, scrivi, sii forte” e cessato il bisogno del Maestro non torni una povera inferma in perpetua agonia?
Morto l’Apostolo e guarita Petronilla, ella trovò che la sua vita non era più sua. Ma del Cristo. Non era di quelle che, ottenuto il miracolo, se ne servono per offendere Dio. Ma la salute la usò per l’interesse di Dio.

La vita vostra è sempre mia. Io ve la do. Ve lo dovreste ricordare. Ve la do come vita animale facendovi nascere e conservandovi vivi. Ve la do come vita spirituale con la Grazia e i Sacramenti. Dovreste ricordarvelo sempre e farne buon uso. Quando poi vi rendo la salute, vi faccio rinascere quasi dopo malattia mortale, dovreste ancor più ricordarvi che quella vita, rifiorita quando già la
carne sapeva di tomba, è mia. E per riconoscenza usarla nel Bene.
Petronilla lo seppe fare. Non si è assorbita  inutilmente la mia Dottrina. Essa
è come sale che preserva dal male, dalla
corruzione, è fiamma che scalda e
illumina, è cibo che nutre e fortifica, è fede che fa sicuri.
Viene la prova, l’assalto della tentazione, la minaccia del mondo. Petronilla prega. Chiama Dio.
Vuol essere di Dio. Il mondo la vuole? Dio la difenda dal mondo.
Il Cristo l’ha detto: “Se avete tanta fede quanto un granello di senape, potrete dire ad un monte: ‘Levati a va’ più in là’ ” (Matteo 17, 20; Marco 11, 23; Luca 17, 6).
 Pietro glie l’ha detto tante volte. Ella non chiede al monte di muoversi.
Chiede a Dio di levarla dal mondo prima che una prova superiore alle sue forze la schiacci. E Dio l’ascolta. La fa morire in un’estasi. In un’estasi, Maria, prima che la prova la schiacci.
Ricordala questa cosa, piccola discepola mia 


(Maria Valtorta, della cui vita viene fatto qui un parallelo con quella di Petronilla, morì dopo un lungo periodo di smemorato isolamento, che per molti è rimasto misterioso).

Felicola era amica, più che amica figlia o sorella, data la poca differenza d’età di una diecina d’anni circa. Non si convive senza santificarsi con chi è
santo. Come ci si guasta convivendo con chi è guasto. Se il mondo se la ricordasse questa verità! Ma il mondo invece trascura i santi o li sevizia, e
segue i satana divenendo sempre più satana.

La fermezza e la dolcezza di Felicola l’hai vista. Che è la fame per chi ha Cristo a suo cibo? Che è la tortura per chi ama il Martire del Calvario? Che è la morte per chi sa che la morte apre la porta alla Vita?
È sconosciuta dai cristiani d’ora la mia martire Felicola. Ma essa è ben conosciuta dagli angeli di Dio che la vedono ilare in Cielo dietro l’Agnello
divino. Ho voluto renderla nota a te per poterti parlare anche della sua maestra di spirito e per incuorarti al patire.

Ripeti con lei: “Ora sì che fra questi dolori comincio a vedere il mio sposo Gesù, nel quale ho posto tutto il mio amore”, e pensa che anche per te ho suscitato un Nicomede 
(È il nome del presbìtero che recuperò il corpo della santa martire Felicola, le cui notizie storiche sembrano corrispondere al racconto sulla martire Felicola, qui presentato. Il “Nicomede” della scrittrice, suscitato per il suo recupero spirituale, è Padre Migliorini),
per salvare dalle acque delle passioni il tuo io che
volevo per Me, e per raccogliere quanto di te merita d’esser conservato, ciò che è mio, ciò che può operare del bene all’anima dei fratelli.»



Felicola, santa, martire di Roma, la passio di Nereo e Achilleo la vuole sorella di latte di S. Petronilla. Sepolta al VII miglio della via Ardeatina, nel 1112 venne scoperta dal presbitero Benedetto e traslata a S. Lorenzo in Lucina. Il suo corpo qui ritrovato nel 1605 è conservato presso l’altare maggiore. Il primo rinvenimento dei resti avvenne, secondo la lapide del 1112, insieme alle spoglie del martire Gordiano.

[ Tratto dall'opera «Reliquie Insigni e "Corpi Santi" a Roma» di Giovanni Sicari ]
Antico Martirologio Romano, 13 giugno - A Roma, sulla via Ardeatina, il natale di santa Felicola, Vergine e Martire. Non volendo maritarsi a Flacco, ne sacrificare agli idoli, fu data in mano ad un Giudice, il quale, perseverando essa nella confessione di Cristo, dopo tenebroso carcere e lunga fame, tanto tempo la fece tormentare nell'eculeo, finchè essa non rese lo spirito, e così finalmente la fece deporre e gettare in una cloaca. Il suo corpo, estratto da san Nicomede Prete, fu sepolto sulla medesima via.

Martirologio Romano, 13 giugno: A Roma al settimo miglio della via Ardeatina, santa Felícola, martire

mercoledì 1 maggio 2013

San Giuseppe artigiano


La festa liturgica di San Giuseppe artigiano dev'essere "un giorno di giubilo per il concreto e progressivo trionfo degli ideali cristiani della grande famiglia del lavoro" (Venerabile Pio XII, Papa). Perché così avvenga ispiriamoci tutti all'insegnamento paolino che oggi la Liturgia ci offre e all'esempio di San Giuseppe, capo della Sacra Famiglia di Nazareth, che ha incarnato queste Parole di vita.




"Fratelli, 14 rivestitevi della carità, che è vincolo di perfezione. 15E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E rendete grazie!
 17E qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto avvenga nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di lui a Dio Padre.
 23Qualunque cosa facciate, fatela di buon animo, come per il Signore e non per gli uomini, 24sapendo che dal Signore riceverete come ricompensa l’eredità. Servite il Signore che è Cristo!".

Bonitas Domini Dei nostri
sit super nos, et opus manuum nostrarum
secunda nobis,..alleluja. Ps. 89, 17

sabato 6 ottobre 2012

IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE: In che consista la perfezione cristiana. Per acquistarla bisogna combattere. Quattro cose necessarie per questa battaglia





CAPITOLO I

In che consista la perfezione cristiana.
Per acquistarla bisogna combattere.
Quattro cose necessarie per questa battaglia

Volendo tu, figliuola in Cristo amatissima, conseguire l’altezza della perfezione e, accostandoti al tuo Dio, diventare uno stesso spirito con lui (cfr. 1Cor 6,17), dal momento che questa è la maggiore e la più nobile impresa che si possa dire o immaginare, devi prima conoscere in che cosa consista la vera e perfetta vita spirituale.
Molti infatti, senza troppo riflettere, l’hanno posta nel rigore della vita, nella macerazione della carne, nei cilizi, nei flagelli, nelle lunghe veglie, nei digiuni e in altre simili asprezze e fatiche corporali.
Altri, e particolarmente le donne, credono di aver fatto molto cammino se dicono molte preghiere vocali; se partecipano a parecchie messe e a lunghe salmodie; se frequentemente vanno in chiesa e si ritemprano al banchetto eucaristico.
Molti altri (tra cui talvolta se ne ritrova qualcuno che, vestito dell’abito religioso, vive nei chiostri) si sono persuasi che la perfezione dipenda del tutto dal frequentare il coro, dal silenzio, dalla solitudine e dalla regolata disciplina: e così chi in queste e chi in altre simili azioni ritiene che sia fondata la perfezione.
Il che però non è così! Siccome dette azioni sono ora mezzo per acquistare spirito e ora frutto di spirito, così non si può dire che in esse solo consistano la perfezione cristiana e il vero spirito.
Sono senza dubbio mezzo potentissimo per acquistare spirito per quelli che bene e discretamente le usano, per prendere vigore e forza contro la propria malizia e fragilità; per armarsi contro gli assalti e gli inganni dei nostri comuni nemici; per provvedersi di quegli aiuti spirituali che sono necessari a tutti i servi di Dio e massimamente ai principianti.
Sono poi frutto di spirito nelle persone veramente spirituali, le quali castigano il corpo perché ha offeso il suo Creatore e per tenerlo sottomesso e umile nel suo servizio; tacciono e vivono solitarie per fuggire qualunque minima offesa del Signore e per conversare nei cieli (cfr. Fíl 3,20 Volgata); attendono al culto divino e alle opere di pietà; pregano e meditano la vita e la passione di nostro Signore non per curiosità e gusti sensibili, ma per conoscere ancora di più la propria malizia e la bontà misericordiosa di Dio, onde infiammarsi sempre più nell’amore divino e nell’odio di se stesse, seguendo con la loro abnegazione e la croce in spalla il Figliuolo di Dio; frequentano i santissimi sacramenti a gloria di sua divina Maestà, per congiungersi più strettamente con Dio e per prendere nuova forza contro i nemici.
Ma ad altri poi che pongono nelle suddette opere esteriori tutto il loro fondamento, possono, non per difetto delle cose in sé (che sono tutte santissime) ma per difetto di chi le usa, porgere talvolta occasione di rovina più che i peccati fatti apertamente. Mentre sono intenti solo in esse, abbandonano il cuore in mano alle inclinazioni e al demonio occulto, il quale, vedendo che questi già sono fuori del retto sentiero, li lascia non solamente continuare con diletto nei suddetti esercizi ma anche spaziare secondo il loro vano pensiero per le delizie del paradiso, dove si persuadono di essere sollevati tra i cori angelici e di sentire Dio dentro di sé. Questi si trovano talora tutti assorti in certe meditazioni piene di alti, curiosi e dilettevoli punti e, quasi dimentichi del mondo e delle creature, par loro di essere rapiti al terzo cielo.
Ma in quanti errori si trovino questi avviluppati e quanto siano lontani da quella perfezione che noi andiamo cercando, facilmente si può comprendere dalla vita e dai loro costumi: infatti questi vogliono in ogni cosa grande e piccola essere preferiti agli altri e avvantaggiati su di loro, sono radicati nella propria opinione e ostinati in ogni loro voglia. Ciechi nei propri, sono invece solleciti e diligenti osservatori e mormoratori dei detti e dei fatti altrui. Se tu li tocchi anche un poco in una certa loro vana reputazione, in cui essi si tengono e si compiacciono di essere tenuti dagli altri, e li levi da quelle devozioni che usano passivamente, si alterano tutti e s’inquietano moltissimo. E se Dio, per ridurli alla vera conoscenza di se stessi e sulla strada della perfezione, manda loro travagli e infermità o permette persecuzioni (che non vengono mai senza sua volontà, così volendo o permettendo, e che sono la pietra di paragone della lealtà dei suoi servi), allora scoprono il loro falso fondo e l’interno corrotto e guasto a causa della superbia. Infatti in ogni avvenimento, triste o lieto che sia, non vogliono rassegnarsi e umiliarsi sotto la mano divina acquietandosi nei sempre giusti benché segreti giudizi di Dio (cfr. Rm 11,33); né sull’esempio del suo Figliuolo, il quale umiliò se stesso e volle patire (cfr. Fil 2,8), si sottomettono a tutte le creature considerando come cari amici i persecutori, che effettivamente sono strumenti della divina bontà e cooperano alla loro mortificazione, perfezione e salvezza.
Perciò è cosa certa che questi tali sono posti in grave pericolo: avendo l’occhio interno ottenebrato e mirando con quello se medesimi e le azioni esterne che sono buone, si attribuiscono molti gradi di perfezione e così insuperbiti giudicano gli altri: ma per loro non c’è chi li converta, fuorché uno straordinario aiuto di Dio. Per tale motivo assai più agevolmente si converte e si riduce al bene il peccatore pubblico, anziché quello occulto e coperto con il manto delle virtù apparenti.


Tu vedi dunque assai chiaramente, figliuola, che la vita spirituale non consiste nelle suddette cose, come ti ho dichiarato.
Devi sapere che essa non consiste in altro che nella conoscenza della bontà e della grandezza di Dio, e della nostra nullità e inclinazione a ogni male; nell’amore suo e nell’odio di noi stessi; nella sottomissione non solo a lui, ma a ogni creatura per amor suo; nella rinuncia a ogni nostro volere e nella totale rassegnazione al suo divino beneplacito: inoltre essa consiste nel volere e nel fare tutto questo semplicemente per la gloria di Dio, per il solo desiderio di piacere a lui, e perché così egli vuole e merita di essere amato e servito.

Questa è la legge d’amore impressa dalla mano dello stesso Signore nei cuori dei suoi servi fedeli. Questo è il rinnegamento di noi stessi, che da noi ricerca (cfr. Lc 9,23). Questo è il giogo soave e il peso suo leggero (cfr. Mt 11, 30). Questa è l’obbedienza, alla quale con l’esempio e con la parola il nostro Redentore e Maestro ci chiama.

E perché, aspirando tu all’altezza di tanta perfezione, devi fare continua violenza a te stessa per espugnare generosamente e annullare tutte le voglie, grandi o piccole che siano, necessariamente conviene che con ogni prontezza d’animo ti prepari a questa battaglia: infatti la corona non si dà se non a quelli che combattono valorosamente.

Siccome tale battaglia è più di ogni altra difficile (poiché combattendo contro di noi, siamo insieme combattuti da noi stessi), così la vittoria ottenuta sarà più gloriosa di ogni altra e più cara a Dio.
Se tu attenderai a calpestare e a dar morte a tutti i tuoi disordinati appetiti, desideri e voglie ancorché minime, renderai maggior piacere e servizio a Dio che se, tenendo alcune di quelle volontariamente vive, ti flagellassi fino al sangue e digiunassi più degli antichi eremiti e anacoreti o convertissi al bene migliaia di anime.

Sebbene il Signore in sé gradisca più la conversione delle anime che la mortificazione di una voglietta, nondimeno tu non devi volere né operare altro se non quello che il medesimo Signore da te rigorosamente ricerca e vuole. Ed egli senza alcun dubbio si compiace di più che tu ti affatichi e attenda a mortificare le tue passioni che se tu, lasciandone anche una avvedutamente e volontariamente viva in te, lo servissi in qualunque cosa sia pure grande e di maggior importanza.

Ora che tu vedi, figliuola, in che consiste la perfezione cristiana e che per acquistarla devi intraprendere una continua e asprissima guerra contro te stessa, c’è bisogno che ti provveda di quattro cose, come di armi sicurissime e necessarissime, per riportare la palma e restare vincitrice in questa spirituale battaglia. Queste sono: la diffidenza di noi stessi, la confidenza in Dio, l’esercizio e l’orazione. Di tutte tratteremo con l’aiuto divino e con facile brevità.

Lilium candidum sanctae Trinitatis,
ora pro nobis