Stabiliti
i due maggiori fondamenti della auspicata “restaurazione di ogni cosa in
Cristo” - Catechismo ed Eucaristia - Pio X rivolse le sue premure e le sue
sollecitudini al clero.
Il
Modernismo, pur troppo, aveva scosso profondamente la disciplina e diminuito
pure in molti sacerdoti il sentimento e la stima della vocazione e della
dignità ecclesiastica.
II
pensiero della necessità di un rinnovamento per la Chiesa nel senso di un
adattamento della verità e della vita religiosa alle correnti del secolo, aveva
fatto molta strada negli ultimi due decenni del Pontificato di Leone XIII e
travolti molti spiriti.
A
rileggere, oggi, le audacie, a cui arrivavano gli “attivisti” - ci si
passi il termine - dell'eresia modernista, viene fatto di chiedersi che cosa
sarebbe rimasto del Cattolicesimo se quelle idee avessero avuto il sopravvento.
Tutto
doveva essere demolito: Dogma, disciplina, culto, pietà, vita ecclesiastica. Le
norme fino allora seguite e raccomandate potevano essere buone per altri tempi!
Questa
la triste condizione di cose al momento, in cui Pio X prendeva nelle sue mani
il timone della Chiesa.
I popoli
avevano necessità di verità: avevano bisogno di sacerdoti santi che potessero
diffondere degnamente ed autorevolmente la verità, veramente capaci di formare
Cristo nell'anima e nella vita del popolo.
Era,
dunque, evidente che Pio X, nella sua riforma non poteva partire che dalla
santità del sacerdozio.
Per
questo, nella sua prima Enciclica al mondo cattolico raccomandava: “Cresciamo
il sacerdozio nella santità della vita e nella purezza della dottrina e allora
tutto il popolo si formerà in Cristo” 959, precisamente così, come quando
nel lontano 5 Settembre 1894, esortando il clero della sua Venezia, nella sua
prima Pastorale scriveva:
"E'
ad uno ad uno per volta che bisogna rigenerare gli uomini, perché la società è
come uno specchio che riflette lo spirito degli individui, delle famiglie,
delle città; e se noi, ad uno ad uno per volta, rimetteremo Gesù Cristo nei
cuori, tutta la società sarà a Cristo conquistata”.
Il
sacerdozio è uno stato soprannaturale creato da Dio per una missione
soprannaturale, nella quale la scienza ha una grande parte, ma non la
preponderante.
Quello
che da valore ed efficacia alla scienza del sacerdote - naturale predicatore
della fede - è la virtù, è la santità. Di qui, la conversione dall'errore alla
verità, dal vizio alla virtù è un'opera soprannaturale, della quale Iddio
riserba a sé la gloria, pur consentendo che vi partecipi anche l'uomo fino a
riconoscergliene una parte di merito. Ma l'opera è di Dio, il quale vuole che
coloro che egli elegge a suoi collaboratori nella salvezza delle anime siano
uomini ricchi del suo spirito e degni della sublimità degli uffici a loro assegnati.
Perciò
la virtù, la perfezione, la santità devono essere il primo studio di un
sacerdote ed ecco ancora perché Pio X, nella sua Lettera-Enciclica “Pieni
l’animo” ai Vescovi d'Italia del 28 Luglio 1906 ammoniva che i Seminari “sono
esclusivamente destinati a preparare i giovani non a carriere civili, ma
all'alta missione Ai Ministri di Dio” 960. Ecco perché, scrivendo il 5
Maggio 1905 al Cardinale Patriarca di Lisbona aveva avvertito che i Seminari,
dove si formano i sacerdoti, devono essere quali li volle il Concilio di
Trento: “asili dì buoni studi e cenacoli di pietà” 960.
Perciò,
la prudenza e l'attenzione voluta da Pio X sull'ammissione dei giovani nei
Seminari; la vigilanza sullo sviluppo della loro vocazione; la severità delle
indagini e degli scrutini prima della promozione agli Ordini Sacri, affinché
nessun indegno potesse penetrare nel Santuario; la sorveglianza più rigorosa
sui contatti con le persone, sulle letture, sulle corrispondenze; le vive
raccomandazioni tante volte ripetute ai Vescovi di non promuovere con facilità
i chierici agli Ordini Sacri; l'avviso di non lasciarsi illudere da belle doti
di natura e di ingegno se non apparivano fondate sulla base di una solida
pietà, la cui prima nota è la docilità all'autorità e l'obbedienza incondizionata
alla Chiesa 961.
Egli
sapeva che la vita di un sacerdote, se non, accompagnata dallo spirito della
pietà, è come un fiore che non ha olezzo, come un frutto bello all'esterno, ma
guasto al di dentro.
Di qui,
le sue sollecitudini per crescere il clero nella pietà, nella carità, nel
raccoglimento della preghiera; le sue insistenze per gli Esercizi Spirituali
del clero, diretti a riparare le forze spirituali logorate dal lavoro, dalle
distrazioni o dalla tiepidezza del cuore 962.
Ma il
documento principe, espressione della sua anima sacerdotale, è la mirabile “Esortazione
al Clero Cattolico” del 4 Agosto 1908, scritta tutta di suo pugno 963.
Il 18
Settembre 1908 si compivano 50 anni dal giorno della Ordinazione Sacerdotale
del figlio del povero cursore di Riese.
Come non
ricordare quella data? E il mondo cattolico si mosse ad onorarla - come già
aveva fatto per Pio IX nel 1869 e per Leone XIII nel 1899 - con un fervore
religioso che distinse le diverse manifestazioni da tutte le precedenti.
Era volontà
del Pontefice che la commemorazione di una data tanto santa non si perdesse in
inutili e vuote esteriorità.
Come
sarebbe stata per lui motivo di raccoglimento e di ringraziamento, così doveva
essere pure per quanti si sarebbero uniti a lui nel ringraziare e benedire il
Signore per i 50 anni di sacerdozio concessi al suo Vicario e Padre Universale
dei fedeli di Cristo.
E quale
occasione più opportuna ancora per richiamare il clero alla considerazione
dell'altezza e della santità del suo ministero ed al compimento fedele dei
doveri ad esso inerenti.
Senza
mancare di modestia, Pio X, Sommo Sacerdote, ben poteva mostrarsi quale era: il
prete “secondo il cuore di Dio", e ripetere a tutti, ma
particolarmente ai figli del Santuario la parola di Gesù, di cui aveva in se
stesso rinnovata l'immagine:
“Vi ho dato l'esempio, affinché come ho
fatto io, così facciate anche voi” 964.
A parte
la prodigiosa attività che lo aveva sempre distinto in ogni campo, negli uffici
più diversi, in mezzo alle tribolazioni ed alle prove, che cosa era stata tutta
la vita di Pio X dal giorno della sua Ordinazione Sacerdotale, e - diciamo pure
- dal giorno del suo primo ingresso nel Santuario, giovanetto di 15 anni, se
non una ininterrotta, continua ed infaticabile ascensione verso le vette della
perfezione e della santità?
In lui
potevano affissarsi e da lui prendere norma e luce tutte le attività del
sacerdote: ogni suo atto, ogni sua parola era un insegnamento ed un monito.
Chierico,
Cappellano, Parroco, Canonico, Cancelliere di Curia, Direttore Spirituale di
Seminario, Vescovo, Cardinale, Papa: una figura più compiuta del vero Servo di
Dio, del Sacerdote posto quale mistico ponte di congiunzione tra la terra e il
cielo, tra l'umanità e la Divinità.
***
Ma sopra
quale regola questa “forma” era venuta prendendo quei contorni meravigliosi che
tanto si imponevano alla ammirazione degli uomini? E quale regola il clero
doveva seguire per salire alla stessa perfezione ed assicurarsi, con la salvezza
delle anime, il merito del suo ministero?
Ecco
quello che Pio X a ricordo del 50° del suo Sacerdozio, spiegava nella accennata
Esortazione.
Lettera
piana, ma eloquente, conforme allo stile del santo Pontefice; documento di
altissima spiritualità, “preciso e completo programma di perfezione e
santità sacerdotale” 965, perfezione e santità, che, mentre costituiscono
la lode più ambita del sacerdote, sono, al tempo stesso, la ragione di tutto il
bene nel mondo, perché non vi è persona, ne ufficio più sociale della persona e
dell'ufficio del Ministro di Dio.
Il
concetto, la stima della dignità non umana, ma divina, di cui è rivestito e
delle sublimi funzioni, a cui è chiamato come sacrificatore e predicatore, ma
sopra tutto, come medico delle anime, non deve mai cadere dalla mente del
sacerdote, non per vana compiacenza, ma per incitamento a santità, a rendersi
di giorno in giorno sempre più meritevole del grado, a cui è stato elevato, e
assicurare fecondità al proprio lavoro. Perché la fecondità della fatica sacerdotale
non è assicurata che dall'unione del sacerdote con Gesù Cristo, di cui è
ministro e senza la cui grazia nulla potrà operare.
Se al
sacerdote manca “la scienza di Cristo, che è la santità, gli manca tutto”.
Poiché -
così ammoniva Pio X:
"La
stessa abbondanza di speciale dottrina, la stessa destrezza e perizia di
azione, sebbene possano addurre qualche vantaggio o alla Chiesa o ai privati,
non di rado sono ragione ai medesimi di nocumento. Chi invece è adorno e ricco
di santità, costui può - benché l'ultimo - molto intraprendere e perfezionare
di meravigliosamente salutare in mezzo al popolo di Dio, come ne fanno fede
moltissime testimonianze di ogni età e molto luminosamente di recente memoria,
Giovanni Battista Vianney. Solamente la santità ci rende quali richiede la
divina vocazione: uomini, cioè, crocifissi al mondo ed ai quali lo stesso mondo
è crocifisso; uomini viventi una nuova vita” 966.
Ma
questa vita, di cui il sacerdote deve vivere per potere dirsi di continuare il
Cristo e compiere la missione di Cristo tra gli uomini, con quali mezzi si
conserva e si svolge? Con la preghiera, con la meditazione, con
la lezione sacra, con la vigilanza sopra sé stessi ed il continuo scrutinio
dell'anima, con l'esercizio delle virtù, nelle quali maggiormente risplendette
la vita di Cristo, modello eterno di quanti hanno da essere fatti salvi o sia:
obbedienza, umiltà, mortificazione, penitenza, preghiera, virtù tutte proprie
del cristiano, ma, sopra tutto, del sacerdote, particolarmente chiamato nella
via della abnegazione di Cristo.
Il
Modernismo - espressione di superbia intellettuale e, perciò, di decadenza
morale - aveva riso e rideva - di tutte queste virtù, chiamate, per disprezzo,
virtù passive, in contrapposto alle virtù attive solo degne di chi vuole
essere del suo tempo e non cercare una perfezione morale in una imitazione
di Cristo di epoche andate e spente.
Rispondendo
alle false teorie dei Modernisti ed ammonendo i sacerdoti a guardarsi da quella
che così bene fu chiamata l’“eresia dell'azione", aggiungeva:
"Ci
sono alcuni, i quali credono che la lode del sacerdote debba essere collocata
interamente in questo: che dedichi tutto se stesso all’altrui vantaggio; per la
qual cosa, lasciato quasi da parte l'amore di quelle virtù, onde si perfeziona
l'uomo stesso - cui perciò chiamano passive - affermano che tutta l'attività e
lo studio devono contribuire a coltivare ed esercitare le virtù attive. E'
meraviglioso, per verità, quanto contiene di falso ed esiziale questa dottrina.
Di essa così sentenziò, conforme alla sua sapienza, il nostro Predecessore di
cara memoria: “Che le cristiane virtù siano accomodate ai tempi lo vorrà
soltanto colui, il quale non ricorda le parole dell'Apostolo: Quos
praescivit et praedestìnavit conformes fieri imaginis Filii sui [967].
Maestro ed esemplare di ogni santità è Cristo, alla regola del quale è
necessario si adattino quanti desiderano di entrare nel regno dei Beati. Cristo
non si muta con il progredire dei secoli, ma è sempre il medesimo heri et
hodie ipse et in saecula [968]. Pertanto, agli uomini di tutti i tempi si
appartiene quel: Discite a me quia mitis sum et humlis corde [969], e
sempre Cristo ci si addimostra factus oboediens usque ad mortem [970].
In ogni età vale la sentenza dell'Apostolo: “Qui sunt Christi carnem
crucifixerunt cum vitiis et concupiscentiis” 971.
"I
quali documenti, se per avventura riguardano i singoli fedeli, più da vicino si
appartengono ai sacerdoti, i quali, più degli altri, devono giudicare detti a
sé ciò che il nostro Antecessore con ardore apostolico aggiunse: “Le quali
virtù Dio volesse che molti di più oggi coltivassero “come i santissimi
personaggi dei passati tempi, i quali con l'umiltà dell'anima, con l'obbedienza
e con la mortificazione furono potenti di opere e di parola e di massimo
giovamento non pure alla religiosa, ma alla pubblica e civile società” 972. Ove
non sarà fuori di luogo considerare che il prudentissimo Pontefice ad ottimo
diritto fece menzione della mortificazione, con vocabolo evangelico, chiamiamo rinnegamento
di se stessi, poiché è in questa massima che sta racchiusa la fortezza e si
contiene la virtù e tutto il frutto del ministero sacerdotale, mentre,
trascurata questa, nasce ciò che nei costumi del sacerdote può offendere gli
occhi e gli animi dei fedeli. Perché, se alcuno agisca per turpe guadagno, se
si intrichi nei negozi del mondo, se desideri i primi posti e disprezzi gli
altri, se accontenti la carne ed il sangue, se cerchi di piacere agli uomini,
se confidi nelle persuasive dell'umana sapienza, tutto questo di qui procede:
dal trascurare il comandamento di Cristo e dal non accettare la condizione da
lui imposta: “Si quis vult post me venire, abneget semetipsum” 973.
Un
Principe di Santa Chiesa, dopo di avere bene meditato l'"Esortazione al
Clero Cattolico” del nostro Beato, così esprimeva la propria ammirazione:
"Parole
sante del santo Pio X ai sacerdoti nel 50.mo anniversario della sua Ordinazione
Sacerdotale, degne di essere tenute in costante ricordo da tutti coloro che
sono stati chiamati al servizio dell'altare.
"Sono
le effusioni del cuore di un vero sacerdote formato come quello del suo Maestro
Divino, come Sacerdote e Vescovo e come sotto il peso del Pontificato Supremo.
"Possano
le parole ardenti del santo Pontefice, per undici anni Vicario di Cristo sulla
terra, ristorare, rafforzare e rendere permanenti nei cuori di tutti i
sacerdoti gli insegnamenti fondamentali contenuti in queste parole” 974.
AMDG et BVM